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La Madonna di Kyiv. Codici iconografici e vita quotidiana in tempo di guerra

Kiev, metopolitana (ph

Kyiv, metropolitana (ph. Andràs Foldes)

di Giovanni Gugg

Nelle prime pagine dell’introduzione del volume collettivo “Santità e tradizione”, Luigi M. Lombardi Satriani vent’anni fa scriveva che «la realtà è, per noi, né può non essere, la rappresentazione che ce ne diamo, la narrazione che di essa moduliamo». Ho ritrovato quella frase alcune settimane prima della morte del grande antropologo, nei giorni in cui raccoglievo notizie per questo contributo, quando, dinanzi a certe informazioni provenienti dai luoghi di guerra in Ucraina, pensavo che, in effetti, non facciamo altro che interiorizzare continuamente simboli e rappresentazioni, cioè siamo incessantemente impegnati a creare realtà che, prosegue Lombardi Satriani, «sono frutto di pregiudizi, letture condizionate dagli occhiali con i quali tale realtà è stata guardata» (Lombardi Satriani 2004: 8).

Ancora frastornato dall’aggressione bellica mossa dalla Russia di Putin all’Ucraina il 24 febbraio scorso, intorno alla metà di aprile ho incrociato una notizia diversa dagli abituali e sconvolgenti bollettini quotidiani del conflitto: nei dintorni di Napoli era “apparsa” una nuova icona mariana denominata “Madonna di Kyiv” e, preso dalla curiosità, ne ho ricostruito i suoi passaggi salienti, come espongo nei paragrafi successivi, a cui poi ho aggiunto qualche appunto interpretativo. Il fenomeno è nuovo e, soprattutto, composito e in divenire, perché riguarda soggetti, luoghi e strumenti diversi: una mamma e una bambina di Kyiv, un fotografo ungherese, un’artista di Dnipro, i social-media globali e una parrocchia dell’hinterland napoletano, il tutto nel contesto di una guerra che, probabilmente, è ancora di là dallo spegnersi.

Al momento, pertanto, non siamo in grado di capire se e come evolverà la vicenda della “Madonna ucraina”, se sorgerà un culto o delle pratiche rituali, per cui – con onestà e prudenza – questo mio testo è da considerarsi una sorta di raccolta di spunti di riflessione che, chissà, potrebbero tornare utili come piste di indagine per futuri eventuali approfondimenti, i quali non potranno comunque prescindere da ripetute osservazioni etnografiche. Anche perché l’attenzione va spostata dal prodotto al processo, dall’oggetto al contesto, cioè, tornando ai suggerimenti di Lombardi Satriani nel testo citato in apertura, dall’immagine – che non è mai la sola a determinare un culto – al suo processo di localizzazione e contestualizzazione. 

Una foto virale

Il 26 febbraio 2022 il fotogiornalista ungherese András Földes ha pubblicato sui suoi profili Twitter https://www.twitter.com/foldes_andras/status/1497621405898260483 e Instagram https://www.instagram.com/p/CacGAk-oOBi/ alcune immagini scattate nelle 48 ore precedenti nei sotterranei della metropolitana di Kyiv, capitale dell’Ucraina, assediata e bombardata da due giorni per l’invasione militare della Russia. Tra i tanti rifugiati, Földes ha ritratto una giovane madre mentre allatta la sua neonata: seduta per terra e appoggiata ai marmi di una parete non lontana da alcune scale mobili, quella donna guarda l’obiettivo del fotografo, indossa un cappotto invernale e una felpa gialla con cappuccio, che tiene leggermente alzata con la mano destra per permettere di nutrirsi ad una poppante avvolta in una specie di gigoteuse e con il capo coperto da un cappellino rosa con pon-pon.

Kyiv, metropolitana (ph. Andràs Foldes)

Kyiv, metropolitana (ph. Andràs Foldes)

Contemporaneamente, András Földes pubblica una galleria fotografica più ampia su Facebook [1] dove è presente un’immagine simile, ma presa da un’altra angolatura: la donna è ritratta nella stessa posizione, ma ora lo sguardo è rivolto alla sua bambina, di cui si intuisce la presenza dal gesto e dalla mano sinistra che sorregge la testa della piccola. Le didascalie del fotografo sono meramente di cronaca, in cui spiega la presenza di quelle persone nelle stazioni della metropolitana, considerate più sicure durante l’assedio della città, e brevemente presenta alcuni dei soggetti ritratti: «C’era gente che parlava, allattava il bambino, guardava un film, c’era una donna che non voleva lasciare il pappagallo a casa».

Intanto, le sue fotografie hanno cominciato a circolare e ad essere condivise, quindi ad essere interpretate e reinterpretate. Tutto questo accade spontaneamente, per il meccanismo stesso dei social-media; tuttavia, riceve anche alcuni impulsi particolarmente importanti: l’8 marzo, ad esempio, l’agenzia stampa “Vatican News” rilancia sulle varie versioni in lingue diverse delle sue pagine-Facebook la seconda foto di Földes in occasione della Giornata Internazionale dei Diritti della Donna. Nella versione in italiano https://www.facebook.com/vaticannews.it/photos/7965483316810762, la didascalia riporta una dichiarazione di Papa Francesco, secondo il quale «Le donne sono custodi del mondo. Guardando con il cuore, riescono a tenere insieme i sogni e la concretezza». Il concetto è poi spiegato e approfondito nell’articolo linkato https://www.vaticannews.va/it/papa/news/2022-03/papa-francesco-donne-giornata-internazionale-russia-ucraina.html, in cui torna la foto di Földes, ma stavolta descritta con una didascalia esplicita: «La madonna di Kiev», dove la minuscola tiene al riparo da paragoni che potrebbero apparire blasfemi.

La madonna di Kyiv, di Solo

La madonna di Kyiv, di  Marina Solomennikova

Due giorni dopo, il 10 marzo, András Földes pubblica su Facebook [2] una nuova galleria di immagini, ma stavolta si tratta di trasformazioni della sua fotografia, graficizzata come un manga o un quadro o, ancora, rielaborata alla maniera di un’icona sacra. Quest’ultima è opera di Maryna Solomennikova, pubblicata originariamente sul suo profilo Instagram il 5 marzo [3], che dopo due mesi conta oltre 11.600 apprezzamenti e più di 200 commenti. Dal 12 marzo, poi, l’immagine è stata resa disponibile anche sul sito “Creative market” [4] , che si occupa di compravendita di opere d’arte inedite, dove il file ad alta definizione della “Kyivan Madonna” è acquistabile a 50 dollari, una cifra che, specifica una nota, «sarà donata a fondi di beneficenza in Ucraina».

In un’intervista concessa a Sergey Gutakovsky del magazine ucraino online “SFG” https://sfg.media/en/magazine/i-draw-because-i-want-to-show-people-from-all-round-the-world-what-is-going-on-in-ukraine-marina-solomennikova/ , Solomennikova ha spiegato che aveva visto la fotografia scorrendo le notizie del suo smartphone e che, prima di iniziare a fare l’illustrazione, aveva tentato di trovare sia la donna che il fotografo, ma non c’erano dettagli e possibilità di contatti, tuttavia «poi la forza di Internet ci ha riuniti tutti, sono persone molto simpatiche e interessanti». La pittrice ha detto, inoltre, che la sua versione «non è un’icona, è più una figura», tuttavia lo è diventata in seguito ad un contatto specifico: «mi ha scritto un napoletano, voleva distribuire dei piccoli volantini a sostegno dell’Ucraina con questa illustrazione durante una cerimonia in chiesa».

Madonan del Latte, di Leonardo da Vinci, 1474

Madonna del Latte, di Leonardo da Vinci, 1474

Un’immagine senza tempo

La sera del 25 febbraio, al suono dell’ennesimo allarme aereo, Tatyana Bliznyak, di 27 anni, è corsa nei sotterranei della metropolitana di Kyiv con la sua bambina Marichka di due mesi, suo marito Mikhail e il loro carlino Phoebe. L’incertezza, il freddo, l’attesa: sappiamo qualcosa di quella sera grazie alle foto di András Földes, in cui è ritratta lei, oltre che gli altri abitanti della capitale ucraina riparatisi in quel rifugio improvvisato. Poi, però, la piccola deve nutrirsi e la madre, quindi, si sistema accanto a una parete e l’allatta: ecco il momento la cui foto, una volta giunta sui social-media, si sarebbe rapidamente diffusa in tutto il mondo.

L’immagine dell’allattamento è tra le più arcaiche e presenti nella storia delle rappresentazioni figurative degli esseri umani. Per stare ai classici, si va dal Vaso della dea Istar, prototipo babilonese del culto successivo delle dée-madri, alla Mater Matuta della mitologia romana, passando per la statua egizia di Iside che allatta Horus che, nell’arte, è senza dubbio l’ispiratrice della figura della Madonna con Bambino del mondo cristiano. A questo proposito, James Frazer osservò che

«L’antico Egitto può aver contribuito al suntuoso simbolismo della Chiesa cattolica, come ne contribuì alle pallide astrazioni della teologia. Certo nell’arte la figura di Iside col bimbo Oro [Horus] al seno somiglia talmente alla Madonna col Bambino che ha qualche volta ricevuto l’adorazione di inconsapevoli cristiani. Ed è forse a Iside, nel suo posteriore carattere di protettrice dei marinai, che la Vergine Maria deve il suo bell’epiteto di Stella maris» (Frazer 1973: 603).

Non sempre nell’antichità l’allattamento era stato ben considerato: il latte era certamente visto come sinonimo di fertilità, benessere e abbondanza, ma spesso era del tutto scollegato dal concetto di maternità. Come osserva Aurora Russo, «nell’antica Grecia l’allattamento materno era condannato perché si riteneva che questo avrebbe creato un rapporto privilegiato tra madre e figlio, rapporto dal quale il padre sarebbe stato escluso. Nella Roma imperiale le ricche patrizie lo rifiutavano perché avrebbe rovinato loro il seno e le avrebbe allontanate dalla vita di società» (Russo 2016: 3), per cui fu soprattutto il Cristianesimo a rivalutare l’allattamento materno: all’immagine di Maria “Regina dei Cieli” si affiancò quella della “Madonna del Latte”, che ebbe grande diffusione a partire dal XII secolo. Già nel Vangelo di Luca si sottolinea questa caratteristica tutta umana di Maria, ad esempio nel versetto 11, 27, in cui è scritto: «Beato il ventre che ti ha portato e il seno che ti ha allattato».

Con questa immagine, il mondo cristiano assume una connotazione meno aulica e più popolare, quindi più terrena e vicina ai fedeli, più confidenziale; infatti, il culto della Madonna si diffonde soprattutto nelle campagne, dove le donne più umili sentivano una maggiore necessità di allattare e crescere i propri figli, rispetto alle dame benestanti che avevano più possibilità di affidare i figli alle balie. In certe zone come il sud della penisola italiana, inoltre, il culto mariano va diffondendosi in maniera massiva, al punto da essere nettamente il più prevalente, sebbene Maria venga invocata con una gran varietà di appellativi; Giuseppe Galasso rileva che

«Nella molteplicità delle denominazioni si esprime, anzi, un ingenuo (ma, a volte, o per altri versi, anche raffinato) processo di appropriazione, di determinazione, di sublimazione collettiva e individuale della figura di Maria […]. È grazie a tale processo che Maria diventa la propria, inconfondibile patrona, garantita in tale specificità, dal riferimento cultuale che si esprime nella denominazione» (Galasso 1982: 86).

In Campania, tra le varie immagini mariane, una particolare venerazione è riservata alle cosiddette “Madonne nere”, alle quali i napoletani si rivolgono con vari appellativi, da quello di “Mamma Schiavona” a quello de “La Bruna”: il loro colorito è scuro perché di derivazione bizantina o di produzione locale, su modello bizantino, e spesso alla base del loro culto hanno una leggenda riguardante san Luca, ritenuto il primo pittore o scultore della Vergine, secondo la quale la Madonna, quando Cristo era ancora fanciullo, avrebbe posato per lui. La rappresentazione della Vergine poi sarebbe stata nascosta per diversi secoli al fine di salvarla dalle razzie saracene, per poi essere ritrovata e conservata a Costantinopoli e, successivamente, in svariati altri santuari del bacino mediterraneo. Come osserva Gianfranca Ranisio,

«attribuire le immagini o le statue a Luca, che aveva conosciuto Maria, significava attribuire a esse la caratteristica della veridicità, l’icona, che riproduceva esattamente il volto, diventava in qualche modo partecipe della potenza del sacro e, rappresentando un prototipo, diventava essa stessa sacra come le reliquie» (Ranisio 2004: 75). 
Madonna di Kyiv

Madonna di Kyiv, di Panteleimon Kurylenko

Tra social-media e devozione

Il 14 marzo, circa una settimana dopo la diffusione dell’immagine tramite “Vatican News”, il gesuita James Martin, direttore della rivista cattolica “America Magazine” e tra i responsabili proprio di “Vatican News”, ha rilanciato l’opera di Maryna Solomennikova tramite Twitter [5], ma stavolta con una didascalia più esplicita e impegnativa: «Our Lady of Kyiv, pray for us», «Nostra Signora di Kiev, prega per noi», con tutte le maiuscole.

Parallelamente, il sacerdote gesuita ucraino Vyacheslav Okun, che si trova a Roma per approfondire i suoi studi, si è messo in contatto con la pittrice Marina Solomennikova, dicendole che per gli ucraini profughi in Italia sarebbe importante avere qualcosa di iconico e familiare, presentandole così il suo amico Antonio Di Guida, parroco della chiesa di San Biagio a Mugnano di Napoli, interessato all’immagine vista sul web per allestire il Santo Sepolcro del Giovedì Santo nella sua parrocchia.

In una intervista a “Fanpage” https://www.fanpage.it/napoli/a-napoli-nasce-la-madonna-di-kiev-e-la-mamma-ucraina-che-allatta-il-figlio-nella-metro/, don Antonio ha riferito che, grazie al contatto di Okun, l’artista ucraina gli ha inviato il file e lui l’ha stampato ed esposto «alla venerazione del popolo». Così, ha continuato Di Guida, «è nato il culto, che è uscito fuori dal nostro territorio di Mugnano e, credo, è arrivato un po’ al mondo intero». La prima, provvisoria, collocazione del ritratto è stato il “Sepolcro” del Giovedì Santo, ovvero un allestimento artistico che ogni parrocchia cattolica elabora autonomamente ed espone durante la Settimana Santa, per un breve lasso di tempo tra la cerimonia della “Lavanda dei piedi” e l’uscita processionale della “Via Crucis” del Venerdì Santo. Si tratta di una installazione temporanea in cui, tra candele, fiori e piantine di grano, si intende rappresentare una sorta di “camera ardente” del Cristo Morto, attraverso la quale diffondere ai fedeli dei messaggi di riflessione, ma anche degli spunti di speranza.

Nel caso di Mugnano di Napoli, il parroco ha pensato di usare l’immagine di Solomennikova, elaborata sulla foto di Földes, per preparare un angolo della sua chiesa in cui, proprio durante il rito del Giovedì Santo, ha partecipato la massima autorità cattolica napoletana, ovvero monsignor Domenico Battaglia, l’arcivescovo metropolita di Napoli, «in comunione e in sintonia anche con le famiglie ucraine».

Madonna di Kyiv, nella cappella dell'Istituto sacro Cuore a Mugnano, Napoli (@Ansa, Ciro Fusco)

Madonna di Kyiv, nella cappella dell’Istituto Sacro Cuore a Mugnano di Napoli (@Ansa, Ciro Fusco)

Successivamente, dopo la Domenica di Pasqua, il 17 aprile, l’immagine è stata collocata definitivamente nella chiesetta dell’Istituto Sacro Cuore di Mugnano, gestito dalle suore Vittime Espiatrici di Gesù Sacramentato, in cui, oltre agli alunni del quartiere, sono ospitati quaranta bambini figli di profughi ucraini. Come ha detto all’ANSA https://youtu.be/JkNU3MVvKMU don Vyacheslav Okun, che ogni domenica celebra la messa per la piccola comunità, l’immagine della “Madonna del Metrò” è «una moderna Maria che, come la madre di Gesù sfuggiva alla minaccia di Erode, si ripara dalla violenza della guerra curando e nutrendo il bimbo appena nato». Dal canto suo, il teologo Luigi Santopaolo, promotore del progetto di accoglienza nell’istituto, in un’intervista a “Cronache della Campania” del 21 aprile [6]  aggiunge una dimensione storica che legittima ulteriormente l’idea:

«Guerra, carità e cura dei bambini bisognosi hanno da sempre abitato queste mura, sin dalla sua fondazione nei primi del ‘900 voluta dalla suora Maria Pia Brando il cui processo di canonizzazione è appena partito. Qui durante le due guerre mondiali da tutta la regione venivano le mamme a chiedere al Sacro Cuore di Gesù che la guerra finisse e che i figli tornassero a casa sani a salvi. A decenni di distanza la storia si ripete e mamme e mogli preoccupate della sorte dei loro cari in Ucraina e loro figli giunti qui hanno trovato le braccia ospitali di queste suore. […] Non poteva trovare miglior casa la “Madonna della Metropolitana” attaccata al figlio come le mamme ucraine che aspettano nel parco della scuola che i figli finiscano le lezioni». 
Madonna di Kyiv, presso il  Santo Sepolcro allestito nella parrocchia di San Biagio di Mugnano di Napoli, lo scorso 14 aprile (© Vyacheslav Okun, SJ)

Madonna di Kyiv, presso il Santo Sepolcro allestito nella parrocchia di San Biagio di Mugnano di Napoli, lo scorso 14 aprile (© Vyacheslav Okun, SJ)

L’invenzione di un culto

Nella tradizione popolare meridionale, varie icone di Madonne dalla pelle olivastra sono migrate da Oriente a Occidente seguendo il percorso lungo il quale si è diffuso il cristianesimo. Anche la “Madonna di Kyiv” ha un’epidermide più scura rispetto a quella della mamma fotografata nella metropolitana ed è giunta a Napoli dall’Europa orientale, dall’Ucraina del cristianesimo ortodosso e delle tradizioni liturgiche che affondano le radici in Anatolia e nei Balcani, in Medio Oriente e in Egitto.

Nelle leggende locali dei culti mariani del Sud Italia è frequente il ritrovamento di un quadro “miracoloso”, come nel caso di Melito di Porto Salvo, raccontato da Vito Teti: i turchi abbandonano il quadro della Madonna sulla riva, ma «gli abitanti del luogo non comprendono subito il significato e il valore del dipinto e rifiutano l’offerta degli infedeli», gettandolo tra le onde. «Ma il quadro, invece di affondare, resta a galla e torna a brillare sempre in località “Maiorana”», per cui «i melitesi si rendono finalmente conto di essere davanti a un evento miracoloso, e decidono di costruire una chiesa in onore della Madonna» (Teti 2000: 138). Storie simili sono presenti anche in Campania, come ad esempio a Positano, dove il nome stesso del paese deriverebbe da un’invocazione della Madonna – «Posa, posa» – durante una navigazione nel XII secolo, quando l’imbarcazione che ne trasportava un quadro, all’improvviso si bloccò per assenza di vento e i marinai, che erano monaci benedettini, udirono una voce proveniente dalla raffigurazione, per cui decisero di fermarsi sulla costa di quella che oggi è una rinomata località turistica internazionale (Talamo 1890).

Naturalmente non ci troviamo nella medesima situazione, tuttavia in un certo senso anche l’icona della “Madonna della Metropolitana” ha navigato nel mare di internet e, dopo tante tappe, è approdata a Mugnano, ancora una volta in Campania. Qui il quadro non ha parlato, però in qualche modo ha fatto capire il suo valore, anzi il suo scopo, infatti don Antonio Di Guida ha affermato che

«l’intento è proprio quello di diffondere questa devozione al culto dei fedeli», perché «può essere un conforto, può essere uno spiraglio di luce, può essere un’opportunità per consolare, non solo in questo momento le famiglie ucraine che, in maniera particolare sono coinvolte e la invocano per il dono della pace, ma credo che questa icona, giunta nella nostra comunità parrocchiale, sia opportunità di devozione e possa essere coinvolgimento nella preghiera per tante famiglie anche del nostro territorio».

Come nei secoli scorsi, pure oggi i culti possono essere “inventati”, per cui anche l’immagine di «Nostra Signora di Kiev» – ritratta nel sottosuolo della città, cioè in una «culla ctonia», direbbe Mircea Eliade (2008: 225) – un giorno potrebbe diventare oggetto di devozione collettiva e di preghiera comunitaria. Tecnicamente, non si tratta di un’immagine sacra: non vi è la “presenza” del divino, né è stata realizzata con intenti devozionali o, ad oggi, le si può attribuire un qualche prodigio, tuttavia, come le rappresentazioni sacre dell’allattamento raffiguravano di più della Madonna che nutre Gesù, ossia la Chiesa tutta, così la Madonna di Kyiv potrebbe andare oltre e garantire visibilità al dramma ucraino, restituendo dignità a chi, a causa di un conflitto di cui non si comprendono le reali motivazioni, ne è stato privato.

Madonna di Kyiv, presso il  Santo Sepolcro allestito nella parrocchia di San Biagio di Mugnano di Napoli, lo scorso 14 aprile (© Vyacheslav Okun, SJ)

Madonna di Kyiv, presso il Santo Sepolcro allestito nella parrocchia di San Biagio di Mugnano di Napoli, lo scorso 14 aprile (© Vyacheslav Okun, SJ)

Non sappiamo se la vicenda avrà un seguito e, nel caso, se un eventuale avvicinamento tra la Chiesa cattolica del Vaticano e il Patriarcato di Kiev della Chiesa ortodossa, ormai alquanto distante da quello russo, possa averne un ruolo. Quel che sappiamo, invece, è che, come mostrato da Sergio La Salvia (2017) nel caso di santa Filomena, i culti nascono anche per il ruolo giocato dal clero ai diversi livelli gerarchici, dagli ordini religiosi e dalle autorità politiche, non di rado attraversando percorsi che incrociano la cosiddetta cultura “alta” e la letteratura religiosa “minore”, dando forza a forme devozionali in grado di resistere al tempo e al mutamento. Inoltre, come spiegato da Gianfranca Ranisio (2004), non è soltanto l’immagine in sé, né la sua caratterizzazione iconografica a determinare gli elementi e il tipo di sviluppo del culto: «Si rivela, infatti, altrettanto importante considerare il processo di localizzazione e contestualizzazione entro cui l’immagine sacra viene a essere inserita» (Ranisio 2004: 105).

Ragionando sul rapporto tra l’arte contemporanea e il religioso, Ivan Bargna osserva che «il cristianesimo continua dunque a offrire un’iconografia, un immaginario e un simbolismo culturalmente radicati e dalla facile risonanza mediatica». Le opere contemporanee non sono semplici provocazioni, tuttavia non vanno caricate di reconditi significati: piuttosto, «si tratta di dispositivi diversamente attivati a seconda dei contesti, degli attori e spettatori coinvolti; possono esplicitamente evocare il religioso senza prendere valenze sacrali, oppure assumerle nel trasferimento da un luogo profano a uno consacrato» (Bargna 2019: 97).

In altre parole, per quanto riguarda il caso oggetto di questo contributo, solo in futuro sapremo se il “culto” della “Madonna metropolitana” non sarà stato solo un episodio delle prime settimane della guerra in Ucraina: dipenderà dal processo di familiarizzazione e di appropriazione che la comunità locale, di cui faranno parte i rifugiati ucraini stessi, attraverso l’elaborazione di storie, ricordi e leggende, sentirà come la “storia” di quell’icona; dipenderà, cioè, dalla capacità con cui quell’immagine riuscirà ad inserirsi nel territorio, da come e quanto, allegoricamente, la Madonna ne sarà parte e partecipe.

Dialoghi Mediterranei, n. 56, luglio 2022 
Note
[1] https://www.facebook.com/andrasfoldesjournalist/posts/372765614671664,
[2] https://www.facebook.com/andrasfoldesjournalist/posts/380350817246477
[3] https://www.instagram.com/p/CauqET-t8-2/
[4] https://creativemarket.com/tubik/7056439-Kyivan-Madonna-Illustration-HIGH-RES
[5] https://twitter.com/JamesMartinSJ/status/1503170868146585601
[6] https://www.cronachedellacampania.it/2022/04/madonna-kiev-napoli/
Riferimenti bibliografici
Bargna, Ivan, 2019: Forme del sacro e arte contemporanea fra materiale e immateriale, in “Antropologia”, vol. 6, n. 1.
Eliade, Mircea, 2008: Trattato di storia delle religioni, Bollati Boringhieri, Torino.
Frazer, James George, 1973: Il ramo d’oro. Studio sulla magia e la religione [1922], Boringhieri, Torino.
Galasso, Giuseppe, 1982: L’altra Europa. Per un’antropologia storica del Mezzogiorno d’Italia, Mondadori, Milano.
La Salvia, Sergio, 2017: L’invenzione di un culto. Santa Filomena da taumaturga a guerriera della fede, Viella, Roma.
Lombardi Satriani, Luigi Maria, 2004: “Evocazione degli Inferi e itinerari paradisiaci”, in Id. (a cura di), Santità e tradizione. Itinerari antropologico-religiosi in Campania, Meltemi, Roma.
Ranisio, Gianfranca, 2004: “Madonne orientali e culti campani”, in Lombardi Satriani (a cura di), Santità e tradizione. Itinerari antropologico-religiosi in Campania, Meltemi, Roma.
Russo, Aurora, 2016: La Madonna del Latte. L’allattamento attraverso le immagini dell’arte, Ministero della Salute, Roma.
Talamo, Errico, 1890: Monografia della città di Positano. Dalla sua origine sino al presente, Stabilimento Tipografico di L. De Bonis, Napoli.
Teti, Vito, 2000: “Viaggi religiosi, sentimento dei luoghi, identità. La festa di Maria SS. di Porto Salvo a Melito e a Pentedattilo”, in Luigi M. Lombardi Satriani (a cura di), Madonne, pellegrini e santi. Itinerari antropologico-religiosi nella Calabria di fine millennio, Meltemi, Roma.

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Giovanni Gugg, dottore di ricerca in Antropologia culturale e ricercatore post-doc presso il LESC (Laboratoire d’Ethnologie et de Sociologie Comparative) dell’Università di Paris-Nanterre per il progetto internazionale “Ruling on Nature. Animals and Environment before the Law”, attualmente è scientific advisor per ISSNOVA (Institute for Sustainable Society and Innovation). Ha insegnato presso il Dipartimento di Ingegneria dell’Università “Federico II” di Napoli e al master Erasmus Mundus Dyclam+ coordinato dall’Università di Saint-Etienne “Jean Monnet”. I suoi studi si concentrano sulle relazioni tra le comunità umane e il loro ambiente, in particolare nei territori a rischio. Ha condotto una lunga etnografia nella zona rossa del Vesuvio e studiato le risposte culturali dopo alcuni terremoti italiani e altri disastri. Tra le sue pubblicazioni più recenti: Ordinary life in the shadow of Vesuvius: surviving the announced catastrophe (2022), Guarire un vulcano, guarire gli umani. Elaborazioni del rischio ecologico e sanitario alle pendici del Vesuvio (2021), Inquietudini vesuviane. Etnografia del fatalismo su un vulcano a rischio (2020), Disasters in popular cultures (2019).

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