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La criminalizzazione dei minori stranieri

centro di prima accoglienza per minoridi Luisa Messina

La questione della devianza minorile è stata oggetto di studio di una ricerca sul campo condotta nel 2012 presso il Centro per la Giustizia Minorile (CGM) dell’Emilia Romagna. Un interrogativo fondamentale ruotava intorno alla necessità di comprendere perché un minore delinque, e fino a che punto sia giusto intervenire con la reclusione e la limitazione della libertà attraverso l’intervento delle istituzioni totali. L’indagine condotta ha a sua volta sollevato il problema dei minori stranieri in Italia, e più nel dettaglio dei minori stranieri non accompagnati (MSNA), la cui presenza si evidenzia presso istituzioni di controllo quali i Centri di Prima Accoglienza (CPA), gli Istituti Penali Minorili (IPM) e le Comunità Pubbliche.

Di ciò si è trovata conferma facendo riferimento ai dati, ricavati dalla documentazione fornita dal CGM dell’Emilia-Romagna, relativi agli ingressi dei minori presso le suddette strutture – in un arco di tempo compreso tra il 2007 e il 2010 – e al rapporto del Gruppo di Lavoro per la Convenzione sui Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza (CRC) in cui si sottolinea che negli IPM in Italia sono sovra-rappresentati tre gruppi di minori: i minori migranti, in particolare non accompagnati, i minori rom e sinti e gli italiani provenienti dai quartieri disagiati delle città meridionali.

Nel caso specifico l’analisi è partita dal presupposto di documentare la situazione relativa al tipo di utenza confluita nelle strutture di Bologna. Le variabili di cui si è tenuto conto sono il numero di ingressi totali in un anno, la nazionalità dei minori, distinguendo tra italiani, magrebini e giovani provenienti dai Balcani e dall’Europa dell’est, il tipo di reato e i motivi di uscita dal CPA e dalla Comunità.

La differenza tra italiani e stranieri incide significativamente sulla decisione dei provvedimenti in materia di libertà personale. I dati relativi alla custodia cautelare in carcere, mostrano un afflusso maggiore presso gli IPM da parte dei minori stranieri. In molti casi l’imposizione del carcere dipende proprio dal fatto che i minori stranieri, specie se non accompagnati e privi di documenti, potrebbero facilmente scappare dalla Comunità. I reati più diffusi sono riconducibili alle categorie di furto/rapina/estorsione e spaccio/detenzione: in quest’ultimo caso risulta abbastanza significativa la componente italiana e quella maghrebina.

Da questa breve rassegna pare emergere una certa penalizzazione subìta ai danni dei minori stranieri, sia in merito al loro ingresso presso il CPA e la Comunità, che in merito ai motivi di uscita, di cui un dato abbastanza allarmante è per l’appunto la maggiore affluenza presso gli IPM degli stranieri rispetto agli italiani, nonostante relativamente al tipo di reati la presenza di italiani pare essere altrettanto significativa se posta in relazione a quella straniera.

Le riflessioni che ne conseguono rimandano ad alcuni punti fondamentali necessari a comprendere la problematicità della presenza in Italia dei minori stranieri e, in particolare, dei minori stranieri non accompagnati. Ciò che si determina è un evidente processo di criminalizzazione dei minori stranieri, connesso a una più ampia questione di criminalizzazione della povertà e violenza strutturale, aggravata nel caso specifico dall’assenza di una famiglia nel percorso formativo e nel progetto di vita del minore.

lagerA prescindere da qualsiasi forma di intervento è opportuno conoscere, in primo luogo, il vissuto del minore prima e dopo il suo arrivo in Italia. In molti casi i minori che decidono di emigrare lo fanno con l’idea di migliorare le proprie condizioni di esistenza che nel Paese di origine appaiono precarie. In certi casi, la decisione dipende da forme di costrizione legate all’impossibilità di negoziare la propria posizione nel mondo, di trovar posto in uno spazio dove il senso della loro presenza si è dissolto, dove la società con le sue istituzioni è assente nel suo ruolo di integrare le fasce giovani della popolazione all’interno di contesti di vita accettabili e dignitosi. Il fatto stesso che molti di questi minori siano privi di un’adeguata scolarizzazione o di una formazione professionale qualificata e siano abituati a vivere di espedienti, può essere indice di condizioni di violenza, disagi e sofferenza sociale presenti costantemente nella loro crescita e che una volta espatriati si portano con sé.

La situazione di irregolarità o di clandestinità del minore risulta particolarmente problematica anche in relazione alla più semplice possibilità di aver accesso al mondo dell’economia informale, e questa preclusione influisce sulla scelta di intraprendere vie alternative a quelle legali, attraverso comportamenti illeciti e perseguibili penalmente che scoraggiano ogni possibile inserimento nel tessuto sociale di accoglienza.

Secondo la legislazione italiana, in riferimento alla Convenzioni sui diritti dell’infanzia dell’Onu (1989), i minori stranieri non accompagnati non possono essere espulsi, né essere trattenuti nei CIE, ma hanno diritto ad ottenere un permesso di soggiorno per minori di età, o un permesso di soggiorno per affidamento nei casi previsti dalla legge. Hanno, altresì, diritto a un tutore rivestito di responsabilità legale. Al loro arrivo è programmata l’accoglienza in centri per MSNA, dove saranno seguiti e accompagnati lungo un percorso che assicuri loro mantenimento e istruzione attraverso precisi progetti educativi. Rispetto alla possibilità di accedere a questi servizi, da un lato ci sono casi in cui i minori si presentano spontaneamente, dall’altro vi arrivano perché identificati dalle forze dell’ordine, ma in altri casi ancora può succedere che alcuni sfuggano ai controlli e vengono identificati proprio perché commettono dei reati. Non di rado accade che al CPA di Bologna arrivino minori stranieri non accompagnati, conosciuti dai servizi perché ospitati in comunità di accoglienza, dalle quali sono fuggiti repentinamente, o si scopre che vivevano in strutture abbandonate o per strada, appoggiandosi a conoscenze occasionali assunte durante i loro primi spostamenti. In molti casi vengono arrestati perché sorpresi a spacciare, o in seguito a furti, rapine o estorsioni, e le loro condizioni appaiono notevolmente disagiate: non conoscono bene la lingua, vertono in condizioni igienico-sanitarie precarie, e mostrano spesso sintomi di dipendenza da sostanze stupefacenti.

Si tratta di ragazzi su cui è difficile e particolarmente delicato costruire progetti educativi e di inserimento sociale, anche perché potrebbero percepire l’intervento da parte della società come teso esclusivamente a sanzionarli. Trovandosi soli con se stessi e godendo della libertà di essere artefici della propria vita, inoltre, possono decidere di attuare comportamenti ribelli e fuori dalla norma nei confronti di una società che li rifiuta. In questo modo trovano il proprio collocamento, diventano agenti della propria vita e rifiutano il loro ruolo di vittime. Lontano dalla famiglia e, in particolare dalle figure genitoriali che, come guide, hanno la funzione di accompagnare gradualmente il giovane lungo il suo percorso di crescita, molti dei minori stranieri non accompagnati decidono di diventare adulti a modo loro, contando sulle proprie forze, sui propri mezzi e sulla propria capacità di discernimento rispetto a ciò che ritengono sia la cosa migliore per se stessi.

Con ciò non si vuole sottovalutare il problema delle diverse forme di sfruttamento, di cui i minori, in quanto soggetti particolarmente vulnerabili, sono spesso vittime. Ma si vuole piuttosto chiarire che di fronte alla mancanza di opportunità, alla scarsità di stimoli, e all’impossibilità di scegliere, una reazione, un’alternativa possibile può essere quella di non subire necessariamente, ma di piegare a proprio vantaggio situazioni la cui negatività, per necessità e per via delle contingenze della vita, va rielaborata in chiave positiva. In questa fase, in cui si determina la possibilità di scegliere tra opportunità lecite e illecite, influisce notevolmente la decisione di aggregarsi a un gruppo piuttosto che un altro, di affidarsi all’aiuto di operatori sociali presenti sul territorio entrando nel circuito dell’inserimento assistito, o di scegliere di prender parte alle attività illegali già avviate dal gruppo dei pari o dai parenti presenti in Italia, e correre il rischio di entrare nei circuiti del trattamento penale.

Altro elemento da non sottovalutare riguarda la scarsa conoscenza che i minori hanno rispetto alla loro condizione di stranieri irregolari e, in particolare, dei loro diritti in quanto minorenni. Essendo poco informati a riguardo dubitano e non danno fiducia a chi offre loro sostegno anche legale e, per paura di essere presto espulsi, essendo comunque consapevoli della loro condizione di irregolarità, decidono di non fidarsi e di intraprendere altri percorsi alternativi. La questione si complica ulteriormente se si considera l’oggettiva difficoltà di dimostrare il loro status di minorenni, poiché sprovvisti di documenti. Per di più gli accertamenti previsti per individuare l’età, come l’esame radiografico alle ossa del polso, sono controversi, restando alti i margini di errore ed elevato il rischio di essere comunque trattenuti ai CIE.

Rispetto alle considerazioni fin qui proposte pare emergere l’assenza di un reale interesse rivolto alla persona che di fatto vive il dramma di un doppio rifiuto: da parte del Paese di origine impotente a trattenere i propri membri, e da parte del Paese ospitante, che accoglie con l’intento di identificare per controllare, monitorare e respingere. Le conseguenze possono essere quelle che caratterizzano un po’ la situazione attuale: molti stranieri irregolari non sono nelle condizioni di poter agire liberamente la propria soggettività e di esprimersi attivamente in una società che più che integrare si richiude su se stessa, spingendo gli altri ai margini di un mondo che per caricarsi di senso si connota di aspetti opposti e contrari, per resistere e non subire. Un mondo nel quale apparentemente ci si muove forse con più disinvoltura, ma dove anche lì, c’è chi domina e chi subisce.

Per questo è importante indagare la dimensione soggettiva della violenza e della resistenza quotidiane, rivelandone il carattere attivo e agito e non meramente passivo o riflessivo, per sottolineare la contraddizione stessa che oscilla tra i poli della decisione consapevole e della scelta obbligata. A maggior ragione, evidenti contraddizioni coinvolgono i giovani, in quanto soggetti più vulnerabili ma anche più imprevedibili e attori di gesti che producono effetti decisamente peculiari e in parte preoccupanti. In loro si mescolano insieme sentimenti di rivalsa e di riscatto all’interno di un processo evolutivo e transitorio tipico dell’età adolescenziale e volto all’autoaffermazione e alla autorappresentazione del sé. Una dinamica in cui la violenza può diventare un valore, l’uso di sostanze una necessità, e lo spaccio un mezzo per ottenere riconoscimento all’interno della rete di cui si è parte.

Tirando le fila del discorso, va necessariamente denunciata la differenza di trattamento tra minori italiani e minori stranieri, ma questa dicotomia deve andare di pari passo a quella altrettanto determinante che implica la differenza tra minori con famiglia – da intendersi come risorsa e alleanza per tutelarsi dagli agenti di minaccia esterni – e minori senza famiglia o con famiglia disgregata e, il collegamento quasi diretto di quest’ultimi con l’ afflusso presso istituzioni penali per minori.

E il cerchio si chiude nel ritornare ancora una volta a considerare gli esiti di una violenza strutturale esercitata dalle egemonie di una società che, con le sue istituzioni totali, ancora una volta ghettizza e discrimina chi sta ai margini, nascondendo attraverso la stigmatizzazione di precise categorie di delinquenti – i minori stranieri in questo caso – evidenti processi di criminalizzazione della povertà. La società di fatto non fa altro che arginare il problema e relegarlo all’azione delle istituzioni totali, dimenticando tra le mura delle loro strutture quei minori resi invisibili, destinati a portare per sempre i segni di una esperienza di reclusione e di esclusione, un incancellabile stigma di violenza e di mortificazione. Da qui la scelta dei minori “devianti” di ritagliarsi un proprio spazio tra gli strati marginali della società, dove paradossalmente la delinquenza diventa un valore di autoaffermazione e riconoscimento.

Dialoghi Mediterranei, n.3, agosto 2013
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2 risposte a La criminalizzazione dei minori stranieri

  1. Valentina Richichi scrive:

    Ho trovato molto interessante l’articolo e mi piacerebbe entrare in contatto con l’autrice per confrontare esperienze di ricerca sul tema.

  2. Sofia Rossi Berluti scrive:

    Ho trovato l’articolo molto interessante e fondamentale per un mio studio personale funzionale ad un elaborato (tesina di approfondimento in criminologia a scopo di esame universitario). Avrei il desiderio di poter quindi essere contatta per ulteriori informazioni fondamentali ai fini della mia ricerca.
    Ringrazio anticipatamente.
    Sofia Rossi Berluti

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