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La comunità italoamericana degli Stati Uniti. Il caso di Middletown

 

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Middletown Connecticut, città gemellata dal 1979 con Melilli nel Siracusano, 2000 (ph. Nino Privitera)

di Chiara Privitera

Una comunità etnica non è definita solo dalla vicinanza geografica di un gruppo di persone, o dalle comuni origini, ma si costituisce soprattutto da uno stile di vita simile, da aspirazioni sociali in comune, dalla solidarietà reciproca. Gli studi sulla natura etnica delle comunità formatesi dall’emigrazione transoceanica danno molta importanza anche ad un altro aspetto: la capacità di mantenere i legami solidali anche al di fuori del vicinato, grazie ad organizzazioni etniche proprie. Queste organizzazioni, come le società di mutuo soccorso, le scuole religiose, le parrocchie, sono state fondamentali per la formazione e la sopravvivenza delle comunità degli italoamericani.

L’immigrazione italiana verso gli Stati Uniti ebbe la sua prima grande ondata tra il 1880 e il 1927, il secondo ciclo migratorio tra gli anni ‘50 e ‘70. La comunità italoamericana aveva una struttura sociale molto complessa, riunendo in essa individui anche molto diversi tra loro e con un background culturale distante, spesso con dislivelli nella competenza linguistica caratterizzata dai differenti dialetti regionali.

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Middletown Connecticut, Italoamericani all’ingresso della Società di Mutuo Soccorso, Giuseppe Garibaldi, 2000 (ph. Nino Privitera)

È noto che l’emigrazione italiana verso gli Stati Uniti si sviluppò “a catena”, ovvero gli immigrati raggiungevano i centri dove già erano presenti compaesani o familiari, richiamando a loro volta altri compaesani e parenti. Si formarono così delle comunità etniche chiamate Little Italies, concentrate soprattutto negli Stati del nord-est e del sud-ovest del Paese.

I primi gruppi di italiani emigrati in America provenivano da un’Italia rurale, dove era ancora assente o debole un senso d’identità nazionale: la prima grande ondata migratoria verso gli Stati Uniti si ebbe tra il 1880 e il 1890, nel primo periodo postunitario. Tra le varie famiglie di migranti nascevano meccanismi di solidarietà e aiuto reciproco, c’era quindi la necessità di comunicare con persone di regioni diverse, per questo nacque una sorta di lingua franca che variava dinamicamente dall’inglese al dialetto, di base prevalentemente siculo-campana (varietà bassa dell’italoamericano). Da sottolineare che già a partire dagli anni ‘20 i figli nati nel Paese ospite superarono il numero degli immigrati dall’Italia, e si attivò un processo di americanizzazione molto forte, con personaggi d’origine italoamericana che riuscirono a distinguersi nello sport, nella musica e nel cinema, trasmettendo l’idea che anche gli immigrati potessero far parte del grande sogno americano.

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Middletown Connecticut, Il signor Imme, uno degli ultimi presidenti dell’Associazione Garibaldi sotto la foto dell’Eroe dei due mondi, 2000 (ph. Nino Privitera)

L’attrito dell’italiano, ovvero la perdita delle competenze linguistiche della lingua di origine da parte della comunità, fu influenzato anche dal fattore di dispersione della comunità etnica, con un passaggio dai gruppi chiusi ed emarginati delle Little Italies ad un’integrazione nel tessuto sociale. C’era la volontà di far parte del sistema del nuovo Paese e di far propria la cultura americana a discapito di quella italiana e dei dialetti, divenuti perfino motivo di vergogna fra i più giovani.

Molti migranti smisero di parlare la loro lingua madre per preparare i figli alla lingua che avrebbero poi parlato a scuola, e non fu solo una scelta pratica ma anche un atto di sopravvivenza e autodifesa, conseguenza delle scelte politiche attuate dagli Stati Uniti nei confronti del contesto multietnico [1].

Infatti tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento gli Americani anglosassoni accusavano gli italoamericani di essere incapaci di imparare l’inglese e di isolarsi nelle loro Little Italies, critica paradossale se consideriamo come oggi gli italoamericani siano diventati dei casi da manuale quando si parla di perdita della lingua d’origine, data l’assenza di bilinguismo nelle successive generazioni e un passaggio quasi totale alla nuova lingua.

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Middletown Connecticut, Italoamericano con nome mellilese, 2000 (p. Nino Privitera)

Le pressioni perché si abbandonasse la lingua madre arrivavano sia dall’interno che dall’esterno della comunità. Durante la Seconda guerra mondiale, ad esempio, italiani e tedeschi diventarono stranieri da tenere sotto controllo, le loro organizzazioni etniche (di mutuo aiuto o ricreative) venivano considerate sospette dall’FBI, che vedeva gli italiani come “stranieri ostili” (secondo la definizione giuridica pertinente agli statuti federali, cap. 3 del titolo 50 del Codice degli Stati Uniti).
Questo clima ostile portò il governo a produrre slogan contro la lingua italiana e a imporre a queste organizzazioni di abbandonarla durante le riunioni. Ad esempio Martin Dies, figura di spicco nella Commissione per le attività antiamericane, nel 1940 mise in guardia gli americani dal Cavallo di Troia di Mussolini, insito nella lingua Italiana. In quegli anni molti negozi e organizzazioni italoamericane affissero alle porte con su scritto “No Italian Spoken for duration of the war”.

Dunque l’abbandono della lingua madre non fu sempre spontaneo, ma in alcuni casi fu una conseguenza del clima storico turbolento e violento.

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Middletown Connecticut, La chiesa san Sebastiano costruita dai mellilesi a proprie spese, 2000 (ph. Nino Privitera)

Le organizzazioni etniche e il mantenimento della lingua e della cultura italiana

I gruppi di immigrati e i loro discendenti hanno mantenuto un senso identitario e una forte solidarietà anche grazie alle proprie organizzazioni e istituzioni, come le parrocchie o le società di mutuo soccorso, che hanno avuto un ruolo fondamentale per la formazione di una identità comune e per la sopravvivenza delle comunità in terra straniera. L’interazione tra i vari membri, che non sempre condividevano le stesse credenze religiose, abitudini o affinità politiche, poteva generare al suo interno anche conflitti. Ogni gruppo di immigrati di origine rurale con esperienza urbana, quando si stabiliva nel nuovo Paese, aveva l’abitudine di fondare o poggiarsi su organizzazioni etniche [2].

Era una vera e propria rete di relazioni, fra parenti e concittadini (o compatrioti), che serviva ad attutire lo shock culturale e il derivante senso di isolamento nel nuovo ambiente. Nel tempo libero queste persone si riunivano per aiutarsi vicendevolmente, o soltanto per poter interagire in maniera più rilassata e nella lingua d’origine.

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Melilli, la chiesa nella piazza San Sebastiano (ph. Nino Privitera)

Nei primi decenni della grande immigrazione verso gli Stati Uniti, molti migranti trovavano aiuto alle difficoltà che trovavano nel nuovo Paese unendosi ad organizzazioni di mutuo soccorso. Non sempre queste somigliavano alle istituzioni equivalenti in territorio italiano; infatti le Società di Mutuo soccorso erano sconosciute nel sud Italia, dove prevalevano i legami tra famiglie e compaesani. Invece nelle aree urbane del centro e nord Italia queste organizzazioni erano abbastanza comuni e riunivano a volte la classe operaia, a volte il ceto medio e gli artigiani. Per questo lo sviluppo e le finalità delle Società di Mutuo soccorso che si svilupparono negli Stati Uniti spesso furono diversi rispetto alla madrepatria. In Italia queste società hanno preceduto la creazione dei sindacati, mentre negli USA si focalizzavano principalmente nell’aiutare economicamente le famiglie in caso di malattia e funerali, sostituendosi in pratica alle assicurazioni.

Le prime forme di associazionismo italiano negli USA le ritroviamo negli anni cinquanta del XIX secolo, prima della massiccia immigrazione che arrivò dal sud-est Europa, e divennero molto popolari tra la classe operaia verso la metà del XIX secolo. Il mondo dell’associazionismo italiano è stato sempre legato alle trasformazioni del locale notabilato, per cui spesso la volontà di organizzare circoli e associazioni italiane era espressa da personaggi già in vista nella comunità.

Negli anni settanta dell’Ottocento, anche negli Stati Uniti, la figura del notabile si trasformò da esule risorgimentale, motivato ad organizzare la comunità in modo patriottico, ad uomo d’affari, che non si interessa di più alle vicende politiche italiane ma ai governi federali degli Stati Uniti.

Dal punto di vista mutualistico alcune associazioni riuscirono ad essere molto competitive anche contro le grandi compagnie assicurative, in quanto davano delle garanzie anche alla classe più povera e sfortunata, facendo pagare una piccola quota mensile, utile per un’eventuale indennità di malattia o per l’assistenza medica, e per una futura degna sepoltura in una zona del cimitero acquistata dalla società.

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Middletown Connecticut, Insegne e cognomi italoamericani, 2000 (ph. Nino Privitera)

Un’altra funzione fondamentale era quella di aiutare i propri iscritti a trovare un posto di lavoro. Molti migranti, diventando membri di queste società, ottennero la protezione e il senso di sicurezza che era venuto a mancare andando via dalle proprie famiglie e dal proprio paese di nascita. Queste organizzazioni avevano quindi un grande valore sociale ed erano fondamentali per il mantenimento della propria identità etnica.

I funerali erano considerati molto importanti per i membri della società, tutti dovevano partecipare al corteo funebre, altrimenti venivano multati di una piccola somma. Nel caso dello Stato del Connecticut, dove le società di mutuo soccorso erano molto diffuse, queste provvedevano anche ai fiori, alla bara, e alla macchina per trasportare il defunto [3].

In una testimonianza sugli usi della Società di Mutuo Soccorso Garibaldi di Middletown, Connecticut, uno dei membri racconta:       

«All of the Garry’s, as its members al called, pay two types of dues: fees for social events ($15) and fees for funerals ($20). The only and obvious requirement for membership is Italian ancestry. In fact, easily eighty-five to ninety per cent of the members are from Melilli, a Sicilian village which has given Middletown many of its sons and daughters. In return for their dues, the members enjoy the weekend festivities and the large and spacious home, and are entitled to $1000 and flowers for their funerals. But the Society also take care of its own, and the executive board can vote money to a family whose wage earner has been disable. The cozy brick building on lower Washington Street on weekdays sits dark and silent. But on weekend evenings, it’s alive with activity as members crowd into the home to have few drinks and visit with each other. There is no rivalry between the Garry’s and the other mutual benefit group. Many Garry’s are also members of the other groups and in the summer they all get together to play soccer» [4].

Fu notevole anche il fenomeno dell’associazionismo campanilistico, infatti queste organizzazioni erano molto legate al paese di origine dei membri, spesso avevano anche una forte matrice religiosa, così che allo scopo mutualistico si aggiungevano le celebrazioni delle tradizioni religiose del paese di origine.

Dopo la Seconda guerra mondiale queste organizzazioni attraversarono un forte momento di crisi, perdendo il loro potere commerciale ed economico. Con il Social Security Act del 1935 Franklin Delano Roosevelt introdusse l’indennità di disoccupazione, di malattia e di vecchiaia, e molte società di mutuo soccorso persero parte delle loro funzioni per trasformarsi in società ricreative. Dal periodo successivo alla seconda guerra mondiale, fu dato più risalto alla beneficenza e alle borse di studio per l’istruzione, in un’ottica di integrazione. Purtroppo i costi di queste società erano notevoli, per questo molte vennero sciolte o furono incluse in grandi organizzazioni di livello nazionale, come l’Order of Sons of Italy (nata nel 1905) [5].

Lo spirito associazionistico rifiorì a partire dalla metà degli anni sessanta, nel periodo del cosiddetto “revival etnico”, quando diverse comunità di immigrati presero coscienza della specificità della propria cultura e sulla scia degli afroamericani iniziarono a ricostruire una propria identità etnica. Questo clima influì positivamente sull’associazionismo italiano che riprese vitalità; nacque in quel periodo la National Italian American Foundation (NIAF, nel 1975) [6], organizzazione con lo scopo di tutelare e promuovere la comunità italiana, sostenendo i discendenti che potessero rappresentarla nel mondo politico e dell’economia.

Gli Italiani di Middletown

Un terzo degli abitanti di Middletown asserisce di avere antenati di origine melillese. Dal paese in provincia di Siracusa, a partire dalla fine dell’Ottocento, partirono moltissime famiglie per gli Stati Uniti, e tutte si riunivano in questa cittadina del Connecticut. Nel comune di Melilli sono stati ritrovati due vecchi registri con la lista delle persone partite verso gli Stati Uniti già nei primi del ‘900, che documentano l’esodo di interi nuclei familiari. I primi immigrati melillesi fecero i lavori più disparati, molti erano barbieri o calzolai, le donne lavoravano soprattutto nelle industrie tessili, si trasferirono nella zona vicino al fiume Connecticut, che prese il nome di Little Italy.        

La comunità melillese era molto unita, lo spirito di mutuo aiuto che condividevano le famiglie emigrate viene ricordato con emozione dagli anziani di Middletown, che raccontano l’abitudine di recarsi al molo per accogliere festeggiando ogni nave che portava le nuove famiglie melillesi da Ellis Island.

Durante il periodo della seconda guerra mondiale i genitori della prima generazione cominciarono a capire quanto fosse importante l’istruzione per migliorare lo status sociale di una famiglia, e fecero frequentare ai figli la High School e il College. Questo permise ai giovani discendenti melillesi di assumere da quel momento in poi posizioni di grande rilievo per la città. Dato il gran numero di melillesi residenti in città, interessati alle notizie d’oltreoceano, fu fondato il giornale italoamericano “The Middletown Bulletin”, con un corrispondente “estero” che inviava periodicamente notizie da Melilli.

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Middletown Connecticut, Cartelli elettorali piantati in giardino, 2000 (ph. Nino Privitera)

Per gli immigrati la nostalgia del paese natio era molto forte; così venne l’idea ad un gruppo di melillesi che si riuniva nella drogheria di Don Antonio Amenta, capo della prima banda italiana a Middletown, di istituire anche lì la festa del santo patrono di Melilli, San Sebastiano. La festa è una ricorrenza conosciuta in tutta la Sicilia, e molto amata e sentita, per i melillesi era occasione di vanto, per questo decisero di riprodurre la statua del santo e in seguito, negli anni ‘30, riuscirono anche a dare il via ai lavori per la costruzione di una chiesa a immagine del Duomo di Melilli.

La società di Mutuo Soccorso ‘Giuseppe Garibaldi’, fondata da italoamericani di origine melillese, nacque nel 1905. Nel suo statuto leggiamo i tre scopi principali che l’organizzazione si prefiggeva:

1)  Riunire gli italiani e gli italo-americani per il loro benessere sociale;

2) Difendere la Costituzione della grande Repubblica degli USA del Nord America;

3) Propagare lingua e cultura italiana e assicurare il mutuo soccorso ai membri in caso di malattia e il funerale in caso di morte.

Negli stessi anni (1901) nacque anche la società dei Figli d’Italia, con scopi simili ma caratteristiche diverse. Infatti i suoi membri volevano distinguersi per le loro origini altolocate e non proletarie. Questa società è ancora attiva, mentre la società Garibaldi, purtroppo, ha dovuto dichiarare lo scioglimento il 16 luglio 2007, sia per motivazioni economiche (l’ampio edificio storico richiedeva spese elevate per la manutenzione) ma anche per il numero ormai esiguo di soci. All’interno della Garibaldi, durante le riunioni, le feste di beneficenza, le celebrazioni religiose o laiche, si parlava in inglese, in italiano e in dialetto melillese. Partecipavano anche molti giovani, soprattutto durante gli incontri ricreativi (come quelli in preparazione dei festeggiamenti del carnevale, ricorrenza molto sentita dai melillesi).

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Middletown Connecticut, san Sebastian School, 1957

A Middletown fondarono anche la Saint Sebastian School, scuola privata cattolica che veniva frequentata quasi esclusivamente dai figli degli immigrati melillesi. In classe le lezioni erano tenute in lingua inglese, ma i ragazzi fra loro parlavano in dialetto o in italiano.

Dal 1979 la città di Middletown è gemellata con Melilli, e questo rapporto molto forte tra le due città non è mai scemato. Tutti gli anni moltissime persone vengono a visitare Melilli, parecchi per la prima volta nella loro vita. Arrivano dagli Stati Uniti grosse comitive, intorno al 4 maggio, giorno della festa del patrono. Anche a Middletown i discendenti dei melillesi celebrano il giorno dedicato a San Sebastiano organizzando, sempre nel mese di maggio, una festa che dura tre giorni, e come a Melilli si può assistere al pellegrinaggio dei “nuri” e alla processione della statua del Santo per le vie della cittadina.

Christine Lynn, una giovane di 28 anni, racconta la sua esperienza nel giorno dedicato a questa tradizione [7].

«Today we are Running the Nuri (n.d.a. i nuri sono dei pellegrini che, indossando vestiti bianchi e una fascia rossa, a piedi nudi e portent un mazzo di fiori di carta, compiono un pellegrinaggio in onore di San Sebastiano, il giorno della festa del patrono di Melilli). It’s a yearly tradition carried over from the sister church of St.Sebastian’s in Sicily where our patron saint will be honored.  
It is a barefoot run on the streets of Middletown. We pray for God and St. Sebastian for peace and healing. It started at the Italian society on court street at 12pm.         
We enter the church on Washington street, then the statue is carried on the shoulders of men around the blocks in Middletown. There are rides, Italian food, raffles and Italian music and vendors at the festival!» [8].

Christyne Lynn ormai vive a Guilford, cittadina vicino Middletown, ed insegna nelle scuole elementari. Ogni anno però si recava alla Garibaldi per le celebrazioni della comunità melillese:

«I go to Garibaldi everytime I walk in the St.Sebastians Feast. There you can speak both languages, but when they do activities most of it is in Italian. I am not fluent in Italian. I can understand more than I can speak. I can speak short sentences or phrases only.  I know a little bit of sicilian dialect because my family speaks it.
When I was young I heard my parents and grandparents speak italian, but I learned most of it when I visited Italy, and some in College. I studied Italian in College at the University and I hired a tutor to teach me how to speak Italian. Not many of my friends speak this language, so I speak Italian mostly with my grandparents. 
I went to Italy when I was 18 years old, this experience helped me with this Italian.  I think people of the Italian Origin should learn about their language. Kids of parents who speak fluent Italian seem more interested in learning their parents language, but I think Italian should be offered in grade schools. Currently I know schools teach Spanish, Latin and French. I think Italian is a wonderful language and we should have more opportunities to learn the language» [9].

Queste testimonianze mostrano come molti discendenti italo-americani, pur non conoscendo bene la realtà italiana o non parlando affatto la lingua, riescono ancora oggi a mantenere il senso di comunità etnica. Oggi registriamo un’inversione di tendenza, le terze e quarte generazioni, ormai sicure nella loro americanizzazione, si approcciano ad una etnicità meno conservatrice e più simbolica, intellettualizzata. A Middletown, la storica Wesleyan University, l’università di arti liberali, ha attivato il Corso di Laurea in Studi della Lingua Italiana all’interno del Dipartimento di Lingue e Letterature Romanze (http://www.wesleyan.edu/romance/italian/index.html), e sicuramente non è un caso che sia presente proprio in questa città.

Dialoghi Mediterranei, n. 48, marzo 2021
Note
[1] M. Di Salvo e altri, Multilinguismo in contesto migratorio. Metodologie e progetti di ricerca sulle dinamiche linguistiche degli italiani all’estero, Aracne Editrice, Roma, 2014
[2] A. Tosi, L’italiano d’oltremare. La lingua delle comunità italiane nei paesi anglofoni, Giunti Gruppo Editoriale, Firenze, 1991
[3] Scuola Media Statale “G.E.Rizzo”, Melilli. Ricordi, valori e speranze del mio paese, Melilli. 1992: 101: L’emigrazione Melillese. “Melilli-Middletown”.
[4] Traduzione:
«Tutti noi Garry’s, così chiamiamo i membri della Garibaldi, paghiamo due tipi di contributo: una quota per gli eventi e feste ($15) e una per i funerali ($20). Ovviamente l’unico requisito per fare parte dell’associazione è avere antenati italiani. Non solo, circa il 90% dei membri è discendente di emigrati da Melilli, un paese siciliano che ha dato i natali a tanti figli e figlie di Middletown. Grazie al loro contributo, gli associati possono usare gli ampi spazi dell’associazione durante i weekends e le festività. Quando organizziamo i funerali di uno dei membri, paghiamo i fiori e una quota di $1000. Inoltre la società si prende cura degli associati, il consiglio può decidere di sostenere economicamente le famiglie in difficoltà e i disoccupati. L’edificio in Washington Street, imponente con i suoi mattoni rossi ma confortevole, durante i giorni feriali è silenzioso, ma il weekend si anima e si riempie, le famiglie accorrono per passare insieme il tempo, prendere un drink o festeggiare un evento. Non c’è rivalità tra i Garry’s e le famiglie delle altre società di mutuo soccorso. Molti dei nostri associati fanno parte anche di altri gruppi, e in estate organizziamo anche delle partite di calcetto con le altre società.»
[5] Il sito dell’organizzazione Order Sons of Italy in America: http://www.osia.org
[6] Il sito dell’organizzazione National Italian American Foundation: https://www.niaf.org/
[7] Intervista realizzata nel 2015.
[8] Traduzione:
«Oggi abbiamo Running the Nuri [n.d.a. corso come i Nuri. I nuri sono dei pellegrini che, indossando vestiti bianchi e una fascia rossa, a piedi nudi e con un mazzo di fiori di carta, compiono un pellegrinaggio in onore di San Sebastiano, il giorno della festa del patrono di Melilli]. Questa è una tradizione annuale derivata dalla chiesa sorella di San Sebastiano che si trova a Melilli, in Sicilia, dove il nostro patrono è onorato. Preghiamo Dio e San Sebastiano per la pace e la salute, lo facciamo correndo a piedi nudi in corteo per le strade di Middletown. Partiamo dalla società di mutuo soccorso italiana a mezzogiorno, passiamo per Washington Street e giriamo il quartiere portando a spalla la statua del santo. Il festival dura tutta la giornata e si festeggia con bancarelle di cibo italiano, giostre, lotterie e musica italiana!».
[9] Traduzione:
«Mi reco alla Garibaldi ogni anno, per la festa di San Sebastiano. Lì si parla in italiano e in inglese, anche se la maggior parte delle attività sono in italiano. Io purtroppo non lo parlo bene, ma riesco a capire. Conosco solo poche frasi, ma conosco un po’ di dialetto siciliano perché lo parla la mia famiglia. Quando ero piccola sentivo parlare i miei genitori e nonni in italiano, ma in realtà ho imparato qualcosa quando sono stata in Italia in vacanza, e qualcosa l’ho imparata al college. Ho studiato italiano al college e all’università e ho anche pagato un tutor per esercitarmi a parlarlo. Purtroppo non molti dei miei amici conoscono l’italiano, quindi provo a parlarlo solo con i miei nonni.
Ho visitato l’Italia quando ho compiuto 18 anni, è stata una bellissima esperienza. Credo che chi abbia origini italiane, debba provare ad approcciarsi alla lingua di origine. Ho notato che i bambini che hanno dei genitori che parlano bene l’italiano, imparano più in fretta. Però ritengo che l’insegnamento dell’italiano debba essere offerto già dal 1st grade [n.d.a. dalle scuole elementari], oggi è possibile scegliere solo tra spagnolo e francese. L’italiano è una lingua meravigliosa e sarebbe bello avere più opportunità per impararlo».
Riferimenti bibliografici
P. Cunningham Baldwin, Italians in Middletown, 1893-1932: the formation of an ethnic Community, Faculty of Wesleyan University, Middletown (CT), 1984
M. Di Salvo, P. Moreno e R. Sornicola, Multilinguismo in contesto migratorio. Metodologie e progetti di ricerca sulle dinamiche linguistiche degli italiani all’estero, Aracne Editrice, Roma, 2014
S. Gobbi, Italiano e dialetto im situazione di emigrazione. Analisi di un caso, Unipress, Roma, 1994
S. Pasquandrea, Più lingue, più identità. Code Switching e costruzione identitaria in famiglie di emigranti italiani, Guerra Edizioni, Perugia, 2008
Scuola Media Statale “G. E. Rizzo”, Melilli. Ricordi, valori e speranze del mio paese, Melilli, 1992
A. Tosi, L’italiano d’oltremare. La lingua delle comunità italiane nei paesi anglofoni, Giunti, Firenze, 1991
M. Vedovelli, Storia linguistica dell’emigrazione italiana nel mondo, Carocci Editore, Roma, 2011.

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Chiara Privitera, laureata in Informatica Umanistica, UX Designer di professione e appassionata di Public History, ha curato il Book of Abstract della II Conferenza Nazionale dell’Associazione Italiana di Public History AIPH (2019). Parallelamente alla sua attività professionale ha organizzato, in collaborazione con il Laboratorio di Cultura Digitale dell’Università degli Studi di Pisa, dei workshop dedicati al Content Marketing, alla Web Reputation e al Digital Content Writing.

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