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La città e le due tribù. Cronache di un antropologo

 face-to-face-5-2-845x321di Clelia Bartoli

Omrelap si diceva campionessa di metissage e di accoglienza e per certi versi era vero. Ma il problema era che questa città era divisa in due tribù, le chiameremo tribù ma potremmo utilizzare un termine più desueto, potremmo dire infatti che fosse divisa in due classi, se non addirittura in due caste.

Una tribù era quella dei Normannici e l’altra degli Arabici. Un tempo, esattamente mille anni addietro, Normannici e Arabici avevano governato insieme la città, o almeno così amavano raccontarsi. E quando la governavano insieme pare che la città fosse straordinariamente fiorente.

Oggi, invece, le due tribù si tenevano a debita distanza. Erano stanziati solitamente in zone diverse della città, ma anche quando vivevano vicini non stringevano mai amicizia e men che meno si sposavano tra loro. Un’ipotesi per spiegare tale fenomeno è che, vivendo separate, le due tribù avessero sviluppato usi, costumi e lingue differenti.

I normannici erano mediamente benestanti. È vero che alcuni di loro avevano pochi soldi, soprattutto le nuove generazioni, ma non mancavano mai di titoli di studio. La maggior parte dei normannici aveva un passaporto italiano (ma tra di loro si annoveravano anche tedeschi che volevano prendere tanto sole, artisti francesi alla ricerca di autenticità, architetti iraniani che in quella città avevano studiato o giovani africani che, pur giunti con i barconi, si erano ben inseriti nel tessuto normannico) e tutti quanti parlavano in italiano.

Anche la maggior parte degli arabici erano autoctoni, ma tra loro vi erano alcuni di origini zigane, magrebine, bengalesi e di altri luoghi ancora. Ma quasi tutti usavano parlare nell’antica lingua della città e adoravano le canzoni napoletane.

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Ariballo gianiforme attico a figure rosse (VI sec. a.C.), Parigi, Louvre

I normannici investivano parecchio tempo e denaro nella cura di sé. Infatti nelle zone dove abitavano c’erano tante palestre, psicologi e negozi di prodotti biologici. Anche agli arabici piaceva prendersi cura di sé, ma essendo mediamente più poveri accadeva, ad esempio, che alcune donne avevano pochi denti, ma le unghie lunghe, smaltate e lucenti. Infatti aggiustare le unghie, al contrario dei denti, costa poco.

In generale si può dire che il gusto normannico predilige le cose discrete e costose, mentre gli arabici preferiscono cose che con poca spesa facciano un grosso effetto.

Diverso è anche il modo in cui le due tribù si occupano della prole. I normannici danno ai loro figli nomi normanni e li chiamavano Manfredi e Costanza, Federica e Ruggero. Li portano a tennis e a danza, li mandavano a imparare l’inglese nel college. E soprattutto li fanno studiare per molti molti anni. Così il normannico inizia a lavorare e far figli quando ha già i capelli bianchi.

Gli arabici danno ai loro figli nomi o molto esotici o molto autoctoni: Kevin e Rosalia, Sharon e Salvatore. Il bambino arabico – a differenza del coetaneo normannico che cresce in un ambiente protettivo e ovattato – è più libero di scorrazzare nel proprio quartiere e di correre dei rischi. La prole degli arabici, per una serie di fattori che sarebbe d’uopo analizzare, smette di andare a scuola molto presto e pertanto inizia a lavorare e far figli assai giovane.

Anche paure e tabù delle due tribù sembrano differire. I normannici hanno paura di fallire, perché tutti si aspettano grandi cose da loro. Gli arabici sono abituati a fallire e hanno invece paura di avere successo perché questo significa tradire il destino della loro tribù.

perche-le-crociate-medioevo-da-raccontareI normannici non hanno paura di viaggiare e vanno per il mondo a studiare, far vacanza e diventare qualcuno. Gli arabici spesso temono di uscire fuori dal loro quartiere o perfino dal loro vicolo, perché a parte per quei pochi isolati dove sono cresciuti, nel resto della loro città si sentono stranieri. Infatti quasi tutte le istituzioni sono in mano ai normannici che le amministrano in accordo alla loro lingua e ai loro costumi. Così accade che quando gli arabici vanno dal medico, dinanzi al funzionario del Comune o da un insegnante provano vergogna. E l’imbarazzo di usare quella lingua straniera fa sì che alcuni balbettino e altri urlino. E c’è allora chi prende il posto dello Stato, approfittandosi della vergogna degli arabici.

D’altro canto i normannici non perdono occasione di far pesare il loro giudizio e di prendersi gioco degli arabici. I normannici, anche quelli più liberali e progressisti, diventano facilmente spietati verso gli arabici. Dicono che sono incivili, delinquenti, indecorosi e hanno pure cattivo gusto. Dicono che con quelli lì non c’è rimedio, che vanno eliminati o almeno ricacciati in quartieri lontani lontani, tutti per loro, dove si possono ammazzare a vicenda. Così i normannici possono comprare le case sgarrupate dove vivono gli arabici per pochi soldini e, dopo averli mandati via, ci fanno tanti b&b.

I normannici usano la legalità e il senso dello Stato come randelli contro gli arabici, senza chiedersi chi sono, come stanno davvero e di cosa hanno bisogno. I normannici dicono che loro, a differenza degli arabici, sono “gente per bene” che rispetta la legalità, ma si dimenticano che parecchi normannici evadono le tasse, sfruttano i dipendenti, raccomandano i figli e fanno gli abusi edilizi.

Un tempo vi erano più contatti tra arabici e normannici, sempre gerarchici, si intenda. Perché alcuni normannici di buon cuore facevano volontariato per aiutare gli arabici. Ora, per sentirsi buoni, i normannici preferiscono fare le donazioni alle fondazioni che vedono in tv.

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Palermo, Sala di re Ruggero, mosaico, part.

A volte però i normannici fanno dei progetti e si fanno pagare dall’Europa per fare laboratori artistici e corsi di empowerment per gli arabici. Ma quando il progetto è finito, gli arabici non hanno visto un soldo e restano nella stessa situazione di prima.

Ma bisogna dire che anche i normannici hanno tanti travagli e alcune tenerezze. Spesso si sentono soli, angosciati e privi di senso, il loro talento è sprecato e la loro vita un po’ falsa. E se si tengono a tanta distanza è perché hanno una paura segreta e rimossa, che è quella di assomigliare agli arabici.

L’antropologo vorrebbe suggerire qualcosa alla città di Omrelap. Perché la città è sfiorita da quando le tribù non si parlano più. Consiglia di praticare l’intertribalità. Di invitare ai convegni e alle assemblee anche gli arabici, di rendere più mescolati i quartieri, di far viaggiare gli arabici per il mondo e i normannici nella loro città facendogli visitare le vie e le case degli arabici. E poi di scrivere i progetti in modo tale che si danno i soldini agli arabici per educare e aiutare i normannici. 

Dialoghi Mediterranei, n. 50, luglio 2021

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Clelia Bartoli, docente di “Diritti umani” presso l’Università di Palermo, già esperta presso la struttura di missione del Ministro dell’Integrazione Cécile Kyenge. Dal 2013 è consulente, a titolo gratuito, del Comune di Palermo per le politiche relative alla popolazione Rom. Tra i suoi libri: le curatele: Sull’universalità dei diritti umani (Firenze University Press, 2003) e Esilio/Asilo. Donne migranti e richiedenti asilo in Sicilia (Ed. DuePunti, 2010). Le monografie: Il monoteismo hindu. La storia, i testi, le scuole (con Federico Squarcini, Pacini, 1997); La teoria della subalternità e il caso dei dalit in India (Rubettino, 2008); Razzisti per legge. L’Italia che discrimina (Laterza, 2012); Inchiesta a Ballarò. Il diritto visto dal margine (Navarra, 2019).

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