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La Chiesa al tempo di coronavìrus

Pope Francis delivers an extraordinary blessing from St. Peter's Square during the outbreak of coronavirus disease (COVID-19), at the Vatican

Vaticano, 27 marzo (Ansa)

dialoghi intorno al virus

10 aprile

di Marcello Vigli

Mai come in questo tempo l’universo terrestre è apparso un modesto agglomerato sociale. La progressiva esplosione del coronavìrus ha creato una realtà socio-politico-economica che, senza abbattere frontiere ed eliminare diversità, impone a tutti i governi di non ignorarsi.

Tre immagini rendono bene la complessità del momento: l’infermiera d’un ospedale lombardo che, la testa china su un tavolo, strappa un attimo di sonno alla fatica dell’assistenza quotidiana ai malati e ai moribondi. La lunga fila dei camion militari che, nella Bergamasca, trasportano le bare delle vittime verso una solitaria sepoltura. E il Papa, nel deserto della grande piazza di San Pietro, che si fa carico del dolore del mondo offeso e prega perché nessuno sia lasciato solo.

È in questo contesto che, per la prima volta nella storia, la ritualità della Chiesa cattolica è stata sconvolta dal generale divieto di riunioni, assemblee, incontri di ogni genere da quelle culturali a quelle sportive, dalle feste alle sfilate. Vale anche per la celebrazione di messe, funzioni liturgiche e processioni con la partecipazioni dei fedeli. Questa norma imposta dalla stessa autorità ecclesiastica costituisce una novità senza precedenti, che molti cattolici infatti contestano.

Particolarmente eccezionale è stata la celebrazione della messa papale, nella domenica che precede la Pasqua, vissuta in una basilica di San Pietro impressionantemente vuota, come lo era la piazza due giorni prima quando, con una serata veramente magistrale, il papa si era inserito sulla scena mondiale alla vigilia della settimana, che la liturgia cattolica definisce “Santa”, assumendo un ruolo tutto politico.

Aveva assunto, infatti, la funzione di portavoce dell’umanità intera nel raccomandare la fine di ogni guerra in un momento in cui uomini e donne, di ogni colore, si scoprono fratelli e sorelle in presenza del coronavirus nemico comune in grado di colpire tutti e tutte. Le sue parole avevano costituito un appello in rappresentanza dell’umanità tutta, in nome della comune natura umana, prevalente sulle differenze etniche sociali e politiche, non solo a nome dei cattolici e dei credenti, ma di ogni uomo e donna nella prospettiva della globalizzazione, nella quale Dio non è di moda.

Papa Francesco, pienamente consapevole del grave momento di crisi che l’intero pianeta sta vivendo, si riconosce nel bisogno di una guida che ci accompagni e ci aiuti a capire il senso degli eventi che stiamo attraversando, in questa prospettiva ha concesso un’ampia intervista, sulla crisi mondiale causata dalla pandemia di coronavirus, allo scrittore e giornalista britannico Austen Ivereig, suo biografo e interprete affidabile del suo pensiero. Con lui ha parlato di come sta vivendo e contemplando la crisi del coronavirus preparandosi, praticamente e spiritualmente, alle sue conseguenze, mentre invita l’umanità a convertirsi a un modo di essere: diverso e migliore.

Si interroga sulla missione della Chiesa e su come possa essere più missionaria e flessibile in questo tempo; sulle politiche dei governi di fronte alla crisi; sulla possibilità di un cambiamento con una conversione ecologica e con l’avvio verso una economia più umana.

Francesco è anche preoccupato perché le condizioni, imposte nel mondo dalla pandemia, limitano notevolmente l’esercizio del suo ministero come vescovo di Roma e come capo della Chiesa: «Penso alle mie responsabilità attuali e nel dopo che verrà». Per questo ha organizzato una commissione che lavora al suo fianco in previsione di un futuro “tragico e doloroso”, che crea molta incertezza.

Lo preoccupano l’espandersi della crisi per la mancata riduzione del ritmo di consumo e di produzione e l’ipocrisia di certi personaggi politici che «dicono di voler affrontare la crisi, che parlano della fame nel mondo, e mentre ne parlano fabbricano armi»

Molto dura è, al tempo stesso, la sua denuncia contro chi specula sulla sofferenza: «Preghiamo oggi per la gente che in questo tempo di pandemia fa commercio con i bisognosi: approfittano della necessità degli altri e li vendono, i mafiosi, gli usurai e tanti altri. Che il Signore tocchi il loro cuore e li converta. …… lo sfruttamento umano è vendere il prossimo.  Chi ama troppo i soldi tradisce per averne di più, sempre, è una regola, è un dato di fatto»

Ben diverso l’orientamento del cardinale Viganò per il quale: «La pandemia del Coronavirus, come tutte le malattie e la stessa morte, sono una conseguenza del Peccato Originale……La Redenzione annunciata nel Protoevangelo (Genesi 3), profetizzata nell’Antico Testamento e portata a compimento con l’Incarnazione, la Passione, la Morte e la Risurrezione di Nostro Signore ha riscattato dalla dannazione eterna Adamo e la sua discendenza, ma ha lasciato che le sue conseguenze rimanessero come marchio dell’antica caduta, e fosse-ro definitivamente ripristinate solo alla Resurrezione della carne, che noi professiamo nel Credo, e che avverrà prima del Giudizio universale».

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Giudizio Universale, Coppo di Marcovaldo 1260-1270, mosaico Battistero di San Giovanni (Firenze)

C’è da pensare che su queste premesse si fonda la valutazione che lo stesso cardinale esprime nei confronti della serata vissuta da papa Bergoglio nella basilica vaticana: «Mi duole notare che ancor oggi, quando tutti noi siamo testimoni della collera divina che si abbatte sul mondo, si continui ad offendere la Maestà di Dio parlando della «vendetta della madre terra che reclama rispetto», come ha affermato papa Bergoglio qualche giorno fa nella sua ennesima intervista. Urge invece chiedere perdono per il sacrilegio perpetrato nella Basilica di San Pietro, riconsacrandola secondo le norme canoniche prima di celebrarvi nuovamente il Santo Sacrificio. E si dovrebbe parimenti indire una solenne processione penitenziale – anche di soli Prelati, guidati dal Papa – che implorino la misericordia di Dio su loro stessi e sul popolo. Sarebbe un gesto di umiltà autentica, che molti fedeli attendono, in riparazione delle colpe commesse».

Sono parole e proposte che danno la misura della frattura che si vive nella Chiesa cattolica, che trova espressione, seppur di ben altro spessore, nella disobbedienza di alcuni preti che non accettano la disponibilità delle gerarchia italiana ad accettare l’obbligo di non promuovere riunioni di alcun genere, quindi neppure partecipazione a funzioni religiose, comprese le messe, per contrastare la diffusione del coronavirus.

Alcuni di loro hanno infatti celebrato la messa in diverse diocesi italiane seppure con piccoli gruppi di fedeli in contrasto con l’accordo fra governo e vescovi. È successo ad Ammeto di Marsciano in provincia di Perugia dove alcuni fedeli, si tratterebbe di una mezza dozzina, sono entrati in chiesa per partecipare al rito e poi hanno anche ricevuto la comunione dalle mani del parroco, che non indossava i guanti. Il caso è stato denunciato dalla Tv locale e nella tarda serata di domenica è arrivata anche la condanna dell’amministrazione comunale; lo stesso Comune ha formalmente segnalato alle autorità l’accaduto e accertamenti risultano in corso per identificare i fedeli che hanno partecipato alla celebrazioni violando le restrizioni per l’emergenza Covid-19. Loro, come il parroco, rischiano una multa salata.

A Beinasco, comune alle porte di Torino, sono protagonisti un prete, con diacono, lettore, organista, cantore, insieme a due operatori per registrare la celebrazione e trasmetterla alla comunità via Whatsapp. Anche per loro, presenti per la messa nella chiesa di San Giacomo necessari, sono scattati il controllo e la polemica. La messa era in corso a porte chiuse, come disposto dalle misure di contenimento per l’emergenza coronavirus, ma i vigili urbani sono intervenuti perché avevano ricevuto segnalazioni e hanno controllato l’area, aspettando che finisse la celebrazione. A un certo punto il gruppo, 7 persone in tutto, è uscito dalla chiesa. Sono stati identificati. Erano tutti dotati di autocertificazione in cui spiegavano il motivo della presenza e quindi dello spostamento, barrando la casella “comprovate esigenze lavorative”. In verità la circolare del dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione del Ministero dell’Interno dispone che: «Il numero dei partecipanti ai riti della Settimana Santa ed alle celebrazioni similari non potrà che essere limitato ai celebranti, al diacono, al lettore, all’organista, al cantore ed agli operatori per la trasmissione».

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Roma, messa all’aperto nel quartiere Tor de’Schiavi

Anche a Roma la celebrazione della messa della domenica delle Palme, officiata su un altare improvvisato sul balconcino del campanile della chiesa nel quartiere Tor de’ Schiavi, è finita con l’intervento di pattuglie di vigili con i megafoni per disperdere la folla. Tutti rispediti a casa, dopo molte resistenze. Il parroco rischia una sanzione: è stato convocato dalla polizia locale per essere ascoltato

Uguale rischio non ha corso Matteo Salvini per il suo appello. Apriamo le chiese per celebrare la Messa di Pasqua, rivolto dai microfoni di Sky Tg 24. Con l’impegno «a rispettare le distanze, in numero limitato, la santa messa di Pasqua per milioni di italiani può essere un momento di speranza».

Intanto l’Elemosiniere Apostolico del papa, Cardinale Konrad Krajewski, ha invitato i Cardinali, i Vescovi e i Prelati, che compongono la Cappella Papale, a destinare uno stipendio mensile all’emergenza sanitaria causata dalla diffusione del coronavirus. Il papa deciderà poi la destinazione dell’elemosina così raccolta, nella quale sono coinvolti tutti gli ecclesiastici della Curia Romana, vale a dire i capi dicastero, segretari e altri prelati: tutti sono invitati a devolvere.

In questa stessa vigilia di Pasqua, l’Alta corte di giustizia australiana ha dato ragione al ricorso presentato dal cardinale George Pell, condannato in primo e in secondo grado per abusi sessuali su minori a sei anni di reclusione di cui uno già scontato in carcere. L’Alta corte ha deciso di cancellare completamente la condanna dell’ex capo della Segreteria per l’economia vaticana ed ex consigliere di papa Francesco, pur se avrebbe anche potuto annullare il verdetto d’appello e rinviare il caso in secondo grado per un nuovo giudizio. Il proscioglimento ha rimediato ad “una seria ingiustizia”, ha commentato il cardinale Pell appena uscito dal carcere.

In questo contesto si pone il problema delle generali condizioni della vita e del lavoro di milioni di persone perché un conto è chiudere la porta di una chiesa, tutt’altro è chiudere quella della propria azienda, negozio, studio professionale o doversi assentare dal lavoro per tre o quattro giorni, senza potere valutare la durata di tali sospensioni. Qualche giorno significa riposo e possibilità di fare le “proprie cose”, tempi più lunghi e senza “durata” provocano depressione e perdita di autostima oltre che danno economico, pur se solo di questo si parla più diffusamente.

Dialoghi Mediterranei, n. 43, maggio 2020

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Marcello Vigli, partigiano nella guerra di Resistenza, già dirigente dell’Azione Cattolica, fondatore e animatore delle Comunità cristiane di base, è autore di diversi saggi sulla laicità delle istituzioni e i rapporti tra Stato e Chiesa nonché sulla scuola pubblica e l’insegnamento della religione. La sua ultima opera s’intitola: Coltivare speranza. Una Chiesa altra per un altro mondo possibile (2009).

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