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La Bibbia: un libro sacro?

81jxvn6lqmldi Elio Rindone

Una classifica di qualche anno fa confermava un fatto già ampiamente conosciuto: la Bibbia, con quasi 4 miliardi di copie stampate negli ultimi 50 anni, è di gran lunga il libro più venduto al mondo. Non c’è confronto con altri classici del patrimonio culturale dell’umanità: dai poemi omerici alle opere dei grandi filosofi, dai tragici greci ai capolavori dell’induismo e del buddhismo.

Le ragioni del successo

Come spiegare questo straordinario successo? Esso dipende dalla ricchezza e dalla profondità, che non conoscono paragoni, dei suoi contenuti? Non credo. Personalmente sono convinto che la Bibbia, pur con tutti i suoi limiti, presenti un messaggio religioso di grande valore che una volta impostosi, anche con la forza, nel corso dei secoli ha raggiunto grazie a una costante predicazione tanti uomini e tante donne, anche analfabeti, offrendo loro la prospettiva di una vita ricca di senso nella dedizione al servizio del prossimo.

Ma l’elemento che fa la differenza rispetto a tutti gli altri classici, che in genere non godevano certo di simili strumenti di diffusione, è a mio parere un altro, e cioè l’affermazione, comune alle diverse Chiese cristiane – ma in questa sede ci occuperemo in particolare di quella cattolica per la rilevanza indiscussa che ha nel nostro Paese – che a parlare nella Bibbia non siano gli autori umani ma, servendosi degli agiografi, Dio stesso, e che perciò essa sia una Scrittura ‘sacra’. Un aggettivo da prendere alla lettera perché davvero in quei testi, e solo in essi, il mistero divino si rivelerebbe immediatamente all’uomo. È proprio questa convinzione, radicata da secoli nel sentire comune, che spiega il posto assolutamente unico riservato alla Bibbia presso i popoli di tradizione cristiana.

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Palermo, Santa Maria dell’Ammiraglio o chiesa della Martorana, Cristo Pantocratore, Profeti, Evangelisti, Apostoli, Santi ed episodi della vita di Maria, particolare decorazione musiva (sec. XII)

Un testo considerato sacro

Questa tesi era insegnata da grandi teologi come Tommaso d’Aquino – che nel medioevo poteva affermare senza esitazione che «l’autore principale della Sacra Scrittura è lo Spirito Santo, l’uomo invece ne è l’autore strumentale» (Quodlibetales 7, a. 14, ad 5) – e veniva ribadita alla metà del secolo scorso dal Concilio Vaticano II: «le verità divinamente rivelate, che nei libri della sacra Scrittura sono contenute ed espresse, furono scritte per ispirazione dello Spirito Santo» (Dei Verbum n. 11). Inevitabile, quindi, che la Bibbia sia stata e sia ancora considerata nel mondo cristiano, come il Corano nel mondo musulmano, un libro ben diverso da tutti gli altri, ed abbia finito col plasmare il modo di pensare e di sentire della popolazione europea, e non solo europea. Ciò ha comportato ovviamente conseguenze numerose e non di poco conto anche in ambito non strettamente religioso: infatti, la fede nel carattere sacro della Bibbia ha indotto ad accettarne integralmente gli insegnamenti – dall’immagine di Dio alla visione della storia umana e alle regole morali – perché un libro che comunica agli uomini la sapienza divina è evidente che non può contenere alcun errore.

I pensatori cristiani hanno costruito infatti – a partire da testi biblici spesso letti senza adeguati strumenti critici e per di più interpretati ricorrendo a categorie filosofiche del tutto estranee alla tradizione ebraica – una metafisica, un’antropologia, un’etica, una cosmologia… che erano considerate immutabilmente vere, perché fondate sulla parola divina. Si è affermata così l’idea di una philosophia perennis, frutto dell’incontro considerato provvidenziale tra cultura classica e fede cristiana, che poteva tutt’al più accogliere le nuove conquiste del pensiero moderno – quelle che Jacques Maritain chiamava ‘verità impazzite’ – ma non mettere in dubbio una visione della realtà nelle sue grandi linee ormai definitivamente acquisita. Come negare che ciò abbia ostacolato la libera ricerca filosofica e ritardato la diffusione delle scoperte della scienza?

In effetti, se c’è una Scrittura sacra che insegna la verità una volta per tutte – e, per i cattolici, addirittura un magistero che la interpreta infallibilmente – qualunque ipotesi che possa metterla in discussione apparirà per principio falsa: si sa già come stanno le cose, e quindi si è indotti a restare inchiodati al passato. La nozione di rivelazione, intesa alla lettera, restringe necessariamente lo spazio del pensiero – ammesso che si abbia ancora voglia di pensare perché, come già più di due secoli fa osservava Kant, «se ho un libro che pensa per me […] non ho bisogno di pensare» (Risposta alla domanda: che cos’è l’illuminismo?, 1784) – entro il perimetro della fede biblica, nella maggior parte dei casi fatta propria da bambini e mai sottoposta a verifica, e non favorisce certo la ricerca, faticosa e rischiosa, di nuove prospettive.

Ma questo modo di intendere la Bibbia ha ormai fatto il suo tempo: oggi non è più credibile e, se si registra questo straordinario successo di vendite, ciò accade, a mio parere, solo perché certe idee, se presentate per secoli come verità indiscutibili, diventano senso comune e sopravvivono a sé stesse anche in nuovi contesti culturali. Invece anche tra gli studiosi cristiani – e questa è una novità da non sottovalutare – è ormai diffusa la consapevolezza che la Bibbia, proprio come tutti gli altri libri, è il frutto dell’esperienza, dei sentimenti, della riflessione, della cultura di uomini appartenenti a un particolare popolo e vissuti in un ben preciso momento storico. Essa risente perciò dei condizionamenti, delle imperfezioni, degli errori propri di ogni opera umana, anche la più nobile, e non contiene insegnamenti e norme vincolanti per tutti i tempi sicché, se non prenderanno atto di ciò, le autorità religiose appariranno sempre più nemiche del libero pensiero per il loro attaccamento a una visione del mondo che ha plasmato per secoli idee e comportamenti ma che oggi è decisamente datata.

9788861248472_0_0_626_75Una concezione mitica

È esattamente quanto scrive, per esempio, Lloyd Geering, un teologo protestante neozelandese di fama mondiale che, riferendosi al modo in cui i cristiani hanno tradizionalmente considerato la Bibbia, parla senza mezzi termini di una vera e propria forma di idolatria che «chiude la mente […]. Toglie la libertà di pensare da soli. Ostacola la crescita mentale e spirituale. Impedisce di diventare persone mature, equilibrate e autocritiche»[1].

Geering non è certamente l’unico teologo che la pensa così, ma non c’è dubbio che simili posizioni difficilmente raggiungono – almeno in Italia, un Paese in cui l’insegnamento cattolico ufficiale sembra non avere rivali sui media – il grande pubblico, e credo perciò che sia un innegabile merito della casa editrice Il pozzo di Giacobbe quello di impegnarsi più di altre nella pubblicazione di autori del genere, che parlano di temi scottanti con assoluta chiarezza e indiscutibile competenza.

A conferma di quanto sostiene Geering in una delle conferenze raccolte nel volume citato – quella che, riferendosi al testo considerato sacro dai cristiani, è intitolata non a caso Idolatria nella Chiesa – mi limito a riportare di seguito alcuni esempi di concezioni che sono ancora largamente condivise solo per la fideistica accettazione dell’autorità della Bibbia; l’intento è quello di offrire l’occasione, ai non credenti, di scoprire che qualcosa si muove nell’ambito del pensiero cristiano e, ai credenti, di prendere almeno in considerazione l’ipotesi di essere di fatto prigionieri di una mentalità che non è esagerato definire mitica.

E i temi da rivedere con spirito critico riguardano – è bene dirlo subito – questioni di primaria importanza. Se è vero infatti, come ricorda l’autore, che «negli ultimi quattrocento anni la nostra visione del mondo […] e la nostra comprensione della condizione umana sono cambiate in modo così radicale da essere incompatibili con quelle dei nostri antenati» [2], è assolutamente evidente che i cristiani dovrebbero al più presto liberarsi di una visione tradizionale del mondo, dell’uomo e persino di Dio, che oggi ai non credenti appare a ragione nient’altro che una «collezione antiquata di superstizioni che sopravvivono da una cultura da tempo obsoleta» [3].

61dalcw2rlIdee da accettare o da rifiutare?

Anzitutto, per quanto riguarda il mondo, se nella predicazione corrente non si ripete più che l’opera della creazione sia effettivamente giunta a compimento in sei giorni, si continuano però a commentare come se nulla fosse le pagine della Genesi che raccontano la creazione dal nulla di un universo già strutturato e posto sotto la signoria dell’uomo o, come si preferisce tradurre oggi, affidato alla sua custodia. Gli scienziati ci dicono invece che esso è «costituito interamente da energia che manifesta una sorprendente creatività nella sua tendenza a prendere forma in entità sempre più complesse», dagli atomi alle molecole alle cellule sino agli organismi e all’essere umano, «l’organismo più complesso che conosciamo nell’universo, essendo emerso solo di recente, dopo un processo di evoluzione molto lungo» [4]. E la nostra terra, il pianeta che ci ospita e che tanto a lungo ci è piaciuto considerare il centro dell’universo, è soltanto una minuscola parte di una tra le migliaia di miliardi di galassie, e gira intorno a un sole che si spegnerà tra meno di sei miliardi di anni, ponendo così fine a ogni forma di vita su di essa. Un universo, quindi, che non sembra creato in vista dell’uomo e che appare, al contrario, del tutto indifferente alla sua sorte.

L’umanità poi – si ribadisce basandosi sempre sulla Genesi e senza tenere in alcun conto le acquisizioni della scienza riguardo al poligenismo – deriverebbe da un’unica coppia il cui peccato avrebbe compromesso le sorti di tutti i discendenti. Ma, anche ammettendo il monogenismo, senza il quale non si regge la teoria del peccato originale, è davvero sorprendente che nel ventunesimo secolo, ignorando il principio che la responsabilità morale è personale, si possa ancora proporre l’idea che qualcuno possa subire le conseguenze di una colpa commessa da altri. E il colmo è che una simile tesi appariva arcaica e insostenibile addirittura duemila e cinquecento anni fa, ed era rifiutata da quella stessa Bibbia che conterrebbe la dottrina della trasmissione per via ereditaria del peccato originale. Nel libro del profeta Ezechiele, infatti, si legge: «Chi pecca morirà; il figlio non sconterà l’iniquità del padre, né il padre l’iniquità del figlio. Sul giusto rimarrà la sua giustizia e sul malvagio la sua malvagità» (18, 20).

Eppure questa umanità, ormai peccatrice e bisognosa di redenzione, era stata creata per una vita felice – ignara della fatica del lavoro, dei dolori del parto e soprattutto della morte – addirittura a immagine e somiglianza di Dio! È evidente però che se, come scrive Geering, la Scrittura è «un prodotto di origine umana» [5], la frase va capovolta: non è Dio che ha creato l’uomo a propria immagine e somiglianza ma è l’uomo che ha elaborato un’idea di Dio a propria immagine e somiglianza.

Non è difficile in effetti trovare in tante pagine della Bibbia, se lette con un minimo di senso critico, la conferma del ricorso, costante e talvolta davvero sgradevole, al linguaggio antropomorfico. Il capitolo sesto della Genesi, per esempio, presenta il Signore che, preso alla sprovvista dal dilagare della malvagità tra gli uomini, si pente di averli creati e decide di sterminarli, assieme alle bestie: «Il Signore vide che la malvagità degli uomini era grande sulla terra e che ogni intimo intento del loro cuore non era altro che male, sempre. E il Signore si pentì di aver fatto l’uomo sulla terra e se ne addolorò in cuor suo. Il Signore disse: Cancellerò dalla faccia della terra l’uomo che ho creato e, con l’uomo, anche il bestiame e i rettili e gli uccelli del cielo, perché sono pentito di averli fatti» (5-7).

Sorpresa, pentimento, crudeltà, come del resto sollecitudine paterna o tenerezza materna, sembrano sentimenti decisamente umani, che la Bibbia non esita ad attribuire a Yahvé. Specialmente crudeltà, almeno nei testi più antichi, dal momento che l’Esodo, per esempio, ne rivela un piano strategico non proprio edificante. Dopo avere indotto il Faraone a non lasciare partire gli ebrei – «il Signore aveva reso ostinato il cuore del Faraone» (11,10) – Yahvé ordina a Mosè di segnare col sangue di un agnello immolato, perché siano risparmiate, le porte delle case del popolo eletto. Quindi punisce atrocemente l’Egitto causando in una sola notte la morte dei primogeniti degli uomini e pure delle bestie; e così regola, in un modo certamente originale, anche i conti con gli dèi egiziani: «È la Pasqua del Signore! In quella notte io passerò per la terra d’Egitto e colpirò ogni primogenito nella terra d’Egitto, uomo o animale; così farò giustizia di tutti gli dèi dell’Egitto. Io sono il Signore! Il sangue sulle case dove vi troverete servirà da segno in vostro favore: io vedrò il sangue e passerò oltre; non vi sarà tra voi flagello di sterminio quando io colpirò la terra d’Egitto. Questo giorno sarà per voi un memoriale; lo celebrerete come festa del Signore: di generazione in generazione lo celebrerete come un rito perenne. […] A mezzanotte il Signore colpì ogni primogenito nella terra d’Egitto, dal primogenito del Faraone che siede sul trono fino al primogenito del prigioniero in carcere, e tutti i primogeniti del bestiame» (12,11-14.29). Pesach, (pascha in aramaico, da cui l’italiano ‘pasqua’), vuol dire ‘passaggio’: è appunto la festa, per gli ebrei, del passaggio di Yahvé, che è causa di morte per i nemici e di salvezza per gli eletti!

senza-buddhaIl ruolo della ragione

Anche questi pochi cenni credo che siano sufficienti per avere la conferma che la Bibbia è espressione di un mondo ormai irrimediabilmente lontano dal nostro [6], tanto che le autorità ecclesiastiche hanno ben poco di cui rallegrarsi per il gran numero di copie che si vendono del loro testo sacro, perché non potranno arrestare l’emorragia di fedeli se, limitandosi a piccoli aggiornamenti, continueranno a difendere dottrine non più accettabili e a usare espressioni ormai imbarazzanti come Scrittura sacra e Magistero infallibile.

Non si può più ignorare infatti, come scrive un noto teologo cattolico statunitense, Daniel Maguire, che «il buon libro non è tutto buono. La Bibbia ospita anche insensatezze, banalità e meschinità, insieme a una visione classica delle irrealizzate possibilità del genere umano» [7]. I testi biblici fanno parte del grande patrimonio mitico-sapienziale di cui siamo eredi e, come tutti gli altri, vanno interpretati alla luce della ragione: a questa spetta il compito di distinguere, in quella tradizione che ha forgiato la nostra cultura, ciò che va salvato da ciò che va abbandonato. Una ragione ormai adulta, e perciò non sottomessa ad alcuna autorità perché, per citare ancora Kant, proprio «la minorità in cose di religione, fra tutte le forme di minorità, è la più dannosa e anche la più umiliante» (Risposta alla domanda: che cos’è l’illuminismo? 1784).

La ragione: uno strumento finito, proprio di quell’essere finito che è l’uomo. Una ragione, quindi, sempre in ricerca, che sa di non possedere verità definitive sul mondo e sull’uomo, e ancor meno su Dio. È quanto intuivano i grandi mistici medievali che, pur se imprigionati nella gabbia di una Scrittura sacra, allorché si affidavano alla ragione potevano scrivere come Tommaso d’Aquino che «Deum tamquam ignotum cognoscimus» (Summa contra Gentiles, I, 49, 5). Ed è quanto afferma solennemente lo stesso Magistero: «Crediamo fermamente e confessiamo semplicemente che uno solo è il vero Dio […] incomprensibile e ineffabile» (Concilio Lateranense IV, 1215), così contraddicendosi, come rileva con ironia un altro noto teologo cattolico statunitense, Paul Knitter: «in altre parole, è dogma definito che Dio non può essere definito!» [8].

In effetti, cominciamo a comprendere qualcosa della realtà ultima soltanto quando capiamo di trovarci di fronte al mistero. Tutte le volte invece che, illudendoci di possedere rivelazioni divine, abbiamo trasformato il termine simbolico ‘Dio’ in una persona dotata di ragione e volontà – caratteristiche umane anche se qui elevate al massimo grado di perfezione – non abbiamo fatto altro che costruire un idolo non più credibile, al punto che, come scrive Geering, «il moderno ateo che proclama la non esistenza di alcun essere soprannaturale chiamato Dio è pienamente giustificato» [9].

 Dialoghi Mediterranei, n. 49, maggio 2021
Note
[1] L. Geering, Reimmaginare Dio, Trapani 2020: 172.
[2] Ivi: 168.
[3] Ivi:169.
[4] Ivi:16.
[5] Ivi: 172.
[6] Ciò non toglie che essa contenga anche intuizioni preziose, come il precetto dell’amore del prossimo: «Non ti vendicherai e non serberai rancore contro i figli del tuo popolo, ma amerai il tuo prossimo come te stesso» (Levitico 19,18). Una benevolenza rivolta in particolare ai poveri e agli stranieri: «Non opprimerai il tuo prossimo, né lo spoglierai di ciò che è suo; il salario del bracciante al tuo servizio non resti la notte presso di te fino al mattino dopo. […] Quando un forestiero dimorerà presso di voi nel vostro paese, non gli farete torto. Il forestiero dimorante fra di voi lo tratterete come colui che è nato fra di voi» (Levitico 19, 13. 33-34). Un amore che i discepoli di Gesù devono addirittura estendere anche ai nemici: «Avete inteso che fu detto: Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico. Ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano, affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli; egli fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti» (Matteo 5,43-45).
[7] D. Maguire, Il cuore etico della tradizione ebraico-cristiana, Assisi 1998: 105.
[8] P. Knitter Senza Buddha non potrei essere cristiano, Roma 2011:74.
[9] Reimmaginare: 180.

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Elio Rindone, docente di storia e filosofia in un liceo classico di Roma, oggi in pensione, ha coltivato anche gli studi teologici, conseguendo il baccellierato in teologia presso la Pontificia Università Lateranense. Per tre anni ha condotto un lavoro di ricerca sul pensiero antico e medievale in Olanda presso l’Università Cattolica di Nijmegen. Da venticinque anni organizza una “Settimana di filosofia per… non filosofi”. Ha diverse pubblicazioni, l’ultima delle quali è il volume collettaneo Democrazia. Analisi storico-filosofica di un modello politico controverso (2016). È autore di diversi articoli e contributi su Aquinas, Rivista internazionale di filosofia, Critica liberale, Il Tetto, Libero pensiero.

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