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Intorno al culto della Madonna dell’Alto: appunti su un documento inedito

 

Santuario della Madonna dell'Alto, Alcamo (foto Montalbano)

Santuario della Madonna dell’Alto, Alcamo

di Maria Rosa Montalbano

Oggetto del seguente studio è segna- tamente il culto della Madonna dell’Alto sul Monte Bonifato, un massiccio calcareo di 826 m. s. m, sulle cui pendici sorge la città di Alcamo. Lo studio della nascita del culto sul monte e dello sviluppo delle pratiche religiose ad esso collegate è stato possibile attraverso l’individuazione di un documento presente all’interno di una Sacra Visita del 1774, in custodia presso l’Archivio Storico Diocesano di Mazara del Vallo: esso consente di integrare i dati forniti dalla scheda redatta in occasione del censimento sui santuari cristiani d’Italia [1].

In realtà, il motivo per cui si era alla ricerca di un documento sulla chiesa della Madonna dell’Alto è da ricondurre alla stesura di una tesi di laurea magistrale sull’incastellamento e sulla cultura materiale di età medievale sul monte Bonifato. Essendo a conoscenza del periodo di costruzione del santuario, avvenuta in seguito alla “miracolosa” inventio di un’antica icona mariana, interrata tra le mura del castello del Bonifato [2], si cercavano notizie supplementari rispetto a quanto era già noto circa la edificazione del maniero. L’intuizione si è rivelata corretta perché non solo il documento ha permesso di avere notizie sul castello, ma ha fornito una descrizione dettagliata sull’origine e sullo sviluppo del culto della Madonna dell’Alto [3], così profondamente sentito, ancora oggi, ad Alcamo.

L’importanza del documento consiste nel fatto che, contrariamente a quanto ci si possa aspettare, è finora l’unico testo a riferire dell’inventio dell’icona mariana. Dalle ricerche condotte all’Archivio Storico Diocesano di Mazara, non emergono riferimenti riguardo alla costruzione della chiesa, certamente in posizione extra moenia, né alla vicenda relativa al ritrovamento dell’icona, almeno prima del 1774. Si sa che il primo documento che cita la chiesa è un atto stilato dal notaio alcamese A. Balduccio [4], trascritto e tradotto dal latino dallo studioso locale Carlo Cataldo [5]. Da esso si apprende che sul monte Bonifato esistevano due chiese: una all’interno del castello e una fuori le mura. La prima, già evidentemente esistente nel 1568, venne dunque “ricostruita” all’esterno delle mura grazie all’opera di tre frati carmelitani, Antonio La Melodia, Vito Foraci e Giuseppe La Chelba, i quali dimoravano sul posto col permesso del vescovo di Mazara [6]. A giudicare anche da una lettera del 4 giugno 1583 del vicario generale al P. Agostino Abbati, priore dei Carmelitani, si viene a conoscenza che la chiesa versava in uno stato di abbandono, confermato anche dal fatto che essa non figura tra le chiese extraurbane che tra 1573 e 1578 versavano al vescovo la cosiddetta “chiamata”, una tassa annuale [7].

In questo caso, il documento, che viene qui presentato per la prima volta, può essere definito un fortunato ritrovamento e la sua importanza è dovuta soprattutto all’eccezionalità della persona del vescovo Papè (1772-1791) [8], che era molto attento alle questioni della Diocesi e, non a caso, le sue visite pastorali sono tra le più dettagliate dell’Archivio Storico di Mazara. Dall’analisi del documento in questione appare evidente che il santuario della Madonna dell’Alto risulta essere la più antica chiesa campestre, nonché la più antica della stessa città di Alcamo. Dopo un riferimento al periodo di dominazione araba, iniziato con lo sbarco a Mazara nell’827 che precede quello normanno, durante il quale si ripristinò ufficialmente il Cristianesimo in Sicilia, nel documento si data, in un periodo non proprio definito, tra la fine del Medioevo e l’età moderna, il ritrovamento miracoloso dell’antica icona mariana: secondo la leggenda, l’immagine venne trovata «in basso sito e quasi al suolo dipinta [...] tra pietre rustiche» [9].

Strutture murarie del Castello (Foto Montalbano)

Strutture murarie del Castello (Foto Montalbano)

Il Filangeri, che considera la notizia del XVI secolo, riferisce del ritrovamento dell’antica icona collocata presso un ingresso (molto probabilmente quello dell’antico castello) e rimasta interrata tra i franamenti delle strutture murarie. In questo punto si ipotizza la collocazione originaria dell’ingresso del castello: un dato che potrebbe confermare tale ipotesi sarebbe la cisterna sotto la chiesa. Gli studiosi hanno, infatti, supposto che essa fosse il risultato della trasformazione dell’antico fossato che precedeva il ponte levatoio del castello [10].

Dopo il ritrovamento dell’icona, il monte divenne freneticamente frequentato dagli alcamesi, i quali, con molta fede, aiutarono i tre frati sopra citati ad edificare o, meglio, “riedificare” nello stesso luogo del ritrovamento, la chiesa della Madonna dell’Alto. Sempre dal documento, si apprende che essa fu sotto il patrocinio dei Padri Carmelitani e di alcuni laici per circa cento anni. Va precisato che il monte era stato abitato attivamente dall’universitas di Bonifato a partire dal 1182 [11] e aveva condiviso fasi di vita alterne con la sottostante città di Alcamo, sorta prima come casale e poi divenuta terra [12]. Sappiamo con certezza, da altri documenti della Real Cancelleria dell’Archivio di Stato di Palermo citati dal Rocca, che gli abitanti dei due siti erano gli stessi [13] e che il monte, insieme al castello e all’abitato, fu abbandonato nel 1398, in seguito al provvedimento di re Martino di diroccare il castello [14], conseguentemente alla richiesta degli stessi abitanti, irritati dall’atteggiamento fellone di Enrico Ventimiglia, conte di Alcamo e Bonifato [15].

Da allora, il monte divenne luogo di rifugio per la popolazione ed è ipotizzabile che questi laici, privi di risorse economiche, si fossero ritirati sul monte insieme ai Padri Carmelitani, assumendo, di fatto, la cura della chiesa, dopo un periodo di lungo abbandono. Grazie alla presenza dei preti dell’Oratorio di S. Filippo Neri, situato ad Alcamo, si ravvivò la devozione alla Vergine Maria tanto che, nel 1646, venne fondata la Congregazione dell’Alto, a cui aderirono numerosi alcamesi. Ancora, dal documento leggiamo come operava questa congregazione: i membri si riunivano il venerdì sera e salivano fino al santuario per la venerazione della sacra immagine. Poi incontravano i Padri Carmelitani e meditavano insieme. Il giorno seguente, dedicato al culto della Vergine, tutti i membri della congregazione si confessavano, ricevevano l’eucarestia e scendevano nuovamente in città. Questo esercizio venne praticato a lungo dagli alcamesi, molti dei quali avevano anche lasciato delle rendite alla chiesa con beneficio di messa in un determinato giorno del mese o dell’anno.

Per quanto concerne la posizione della chiesa, viene riferito che si trovava sulla cima del monte Bonifato e che distava due miglia dalla città. L’edificio aveva lunghezza otto canne (circa 17 m) e larghezza tre canne (circa 7 m), con l’ingresso rivolto ad oriente, al di sopra del quale si ergeva il campanile. All’interno vi erano due altari: uno rivolto verso l’entrata, con l’immagine di Gesù Cristo e l’altro volto a mezzogiorno, dove si venerava l’icona di “nostra Signora dell’Alto”. La chiesa disponeva di una sagrestia e di alcune stanze per il cappellano e per i pellegrini che desideravano sostare al santuario. Il documento termina riferendo che, collaterale alle officine della chiesa, era presente un antico monumento costruito dai saraceni, e sul quale essi abitavano prima dell’inventio dell’immagine di Maria Santissima.

Dal documento si evince la convinzione del compilatore che il castello di monte Bonifato fosse una costruzione saracena. È plausibile che l’autore avesse letto la notizia dal Fazello, il quale considera il castello un’opera saracena del leggendario Alcamaq(da cui prese il nome la città di Alcamo), detto anche Adelkam (il nome in arabo), capo degli eserciti che, a partire dall’827 d.C., avrebbero conquistato la Sicilia [16] e vi sarebbero rimasti fino all’arrivo dei Normanni. Questa leggenda viene raccontata per la prima volta da Giovanni Leone, nella sua Africa [17]. Sempre secondo il Fazello, il castello sarebbe stato “trasferito” ai piedi del monte nell’attuale centro urbano della città di Alcamo ai tempi di Federico III [18], come è testimoniato in un suo privilegio datato a Giuliana il 31 agosto 1332 [19], poi riconfermato da re Martino nel 1399. Geograficamente, il castello di Bonifato, situato in un sistema di luoghi fortificati che dominava le piane del trapanese dove scorre il fiume Belice e i suoi rami iniziali, non solo presidiava questi valichi, ma costituiva un vero e proprio sbarramento contro un’eventuale invasione da est. Altri castelli con funzione analoga a Bonifato erano a Menfi, Sambuca, Castelvetrano, Calatafimi, Salemi, Gibellina, Calatubo [20].

 Interno Santuario Alcamo (foto Montalbano)

Interno Santuario, Alcamo (foto Montalbano)

Anche i dati che emergono sulla architettura della chiesa sono interessanti, considerando che nel corso del tempo l’edificio ha subìto rifacimenti e diversi interventi di manutenzione. L’attuale costruzione risale, infatti, al 1930. È possibile fare una sintesi delle vicende della chiesa dopo la ricostruzione da parte dei tre frati, grazie alle ricerche condotte dallo storico Carlo Cataldo. Nella prima metà del ’600 la chiesa era «distrutta, senza porte ed adibita al rifugio di bestiame» e nel 1643, l’eremita fra’ Rosario da Palermo fece una raccolta di elemosine per la sua ricostruzione, ma poi, non trovando le risorse, abbandonò l’iniziativa lasciando Alcamo [21]. Il 27 ottobre 1646 i devoti ottennero dal vicario generale della diocesi il permesso per la costituzione della Congregazione di Santa Maria dell’Alto, composta da «nobili, preti e popolani», i quali si adoperarono subito per effettuare le riparazioni della chiesa [22].

Per il XVII secolo, notizie inerenti le riparazioni della chiesa sono ricavabili dal Libro 1° dei Conti della Congregazione dell’Alto (1644-46) [23]. Per il XVIII secolo possiamo contare sul Libro 3° dei Conti, mentre il 2° è andato perduto. Da due note contabili del 1712 e del 1766, messe in evidenza dal Cataldo, si apprende che la chiesa versava la chiamata [24]. Per quanto riguarda le vicende edilizie ed economiche per il XIX secolo, non ci sono notizie particolari riscontrabili dal Libro 4° dei Conti, se non relative a donazioni e restauri. Per il XX secolo, si apprende che nel 1905 la chiesa venne restaurata grazie all’amministratore Domenico Lombardo, anche se poi cadde nuovamente in rovina [25]. Secondo un manoscritto analizzato dal Cataldo, di cui non viene riportata la segnatura archivistica, nel febbraio 1930 una donna vestita di nero apparve ad un ragazzo e gli disse di andare dai figli del citato Lombardo e mettersi a capo di una commissione per fare risorgere la chiesa, e così fu fatto [26].

I viaggi penitenziali in onore della Madonna dell’Alto si effettuavano per diverse ragioni, ma pellegrinaggi frequenti si svolgevano soprattutto per propiziare la pioggia, necessaria a far crescere rigogliosi raccolti e per il suffragio dei defunti il 2 novembre. Sul monte erano collocate lungo la via Sacra delle “figurelle”, ovvero delle stazioni-edicole in una via di accesso al santuario lungo la quale si recitava il rosario della Madonna dell’Alto [27]. Per quanto riguarda il culto contemporaneo, le festività religiose si svolgono ancora tra agosto e settembre. Nell’ultima domenica di agosto si compie il pellegrinaggio a piedi dalla parrocchia del Sacro Cuore di Gesù al santuario della Madonna dell’Alto e l’8 settembre, festa della natività di Maria SS. dell’Alto, si porta in processione la sacra statua della Madonna [28].

Pellegrini sulla via del Santuario di Alcamo (foto Lucchese)

Pellegrini sulla via del Santuario di Alcamo (foto Lucchese)

  Il culto della Madonna dell’Alto non è circoscritto, in Sicilia occidentale, al solo territorio di Alcamo. Almeno altri due luoghi attestano la presenza di un santuario dedicato alla Madonna dell’Alto: Castellana Sicula (Pa) e Mazara del Vallo (Tp). Il santuario della Madonna dell’Alto di Castellana Sicula è collocato sulla vetta di uno dei monti più alti delle Madonie, il monte Alto, appunto, a 1819 metri slm. Sin dal XV secolo esso è stato un importante luogo di culto da parte di tutti i devoti dei paesi madoniti e, in particolare, degli abitanti di Petralia Sottana e di Calcarelli e Nociazzi, frazioni di Castellana Sicula, che sorgono alle pendici del Monte Alto. Anche qui, come sul monte Bonifato, si trova una piccola chiesa, con una sagrestia e diverse stanze a disposizione dei pellegrini autorizzati alla sosta. Sulla sua origine non si hanno notizie certe: secondo lo storico Caruso, il santuario venne fondato da un eremita, il beato Guglielmo Gnoffi da Polizzi [29], nel XIV secolo; secondo altri studiosi, si trovavano già in loco una piccola chiesa e una abitazione diroccata [30]. Sull’altare è collocata una statua della Vergine, attribuita allo scultore Domenico Gagini, attivo in Sicilia dalla seconda metà del Quattrocento, databile al 1471 grazie ad un’iscrizione sulla base della stessa [31]. Secondo una leggenda, la statua della Madonna sarebbe arrivata invece dal mare, all’interno di una cassa rinvenuta sulla spiaggia, nei pressi di Campofelice di Roccella. Gli abitanti, decisi a fare affidamento sugli animali, caricarono la statua su un carro trainato da buoi, che peregrinarono in diversi paesi, come Collesano, Polizzi Generosa e Termini Imerese, senza alcuna intenzione di fermarsi. Nella strada tra Polizzi e Petralia, i buoi imboccarono spontaneamente la via per il monte Alto, dove finalmente si fermarono. La leggenda riferisce, utilizzando un motivo topico che compare in molti altri testi agiografici, che essi ripresero a camminare solo dopo che la statua venne scaricata dal carro e collocata nella chiesa, evidentemente già esistente [32].

Ritornando alla prima versione di fondazione, cioè a quella dello storico Caruso, la chiesa venne edificata, molto probabilmente, grazie all’operato dell’eremita Guglielmo da Polizzi [33]. Sostanzialmente, ciò che accomunava gli eremiti era la ricerca spasmodica della povertà assoluta, soprattutto come contrasto alla corruzione degli enti ecclesiastici in seguito al loro inserimento nell’economia curtense e nelle strutture sociali. Seguire anzitutto gli orientamenti della comunità apostolica primitiva, mettendo in comune i beni e vivendo di quel poco che necessita, e, appunto aderire ad una vita di povertà assoluta, ad imitazione del Cristo, erano i principi degli eremiti e, in seguito, degli stessi Ordini Mendicanti [34]. Si trattava, spesso, di laici che avevano intrapreso la vita ascetica vivendo in luoghi ricchi di risorse come i boschi e disponendo anche della carità delle persone del luogo. Proprio i boschi delle Madonie furono talvolta luoghi di violenti scontri che si risolvevano con ferimenti e uccisioni tra i membri delle diverse comunità, che ivi erano soliti far legna e le secolari liti tra Polizzi e Petralia, protratte fino al XVIII secolo, sono testimonianza dell’interesse comune delle due comunità di esercitare sui boschi un dominio strategico e soprattutto la possibilità di sfruttarne le risorse naturali [35]. E il bosco ha costituito, da sempre, una risorsa economica di grande rilievo. A tal riguardo, la figura del beato Guglielmo svolse un ruolo chiave: essendo una figura familiare per i suoi compaesani, con i quali condivideva problemi ed ansie, la sua presenza nel luogo permise loro di prendere campo in questo sito selvaggio così conteso.

Il culto della Vergine sul monte Alto si è mantenuto fino ai nostri giorni e attualmente vengono effettuati annualmente due pellegrinaggi al santuario: uno si svolge la prima domenica di luglio ed è organizzato dalla parrocchia di Calcarelli, l’altro, nei primi quindici giorni di agosto, è organizzato dalla parrocchia di Petralia Sottana. Il 15 agosto si concludono le festività in onore della Madonna [36]. La quindicina, che si effettua nei quindici giorni che precedono la ricorrenza della festa di Maria Assunta, prevede che ogni pomeriggio venga celebrata la messa anche nella chiesa Madre di Petralia Sottana (preceduta dalla recita del rosario, preghiere e canti popolari), nei giorni che vanno dal 31 luglio al 15 agosto, per dare l’opportunità a coloro che sono impossibilitati a salire fino al santuario, di prendere parte alla preghiera. Il pellegrinaggio, compiuto per tradizione, per sciogliere un voto o per devozione alla Madonna, per la fatica fisica impegnata nella difficoltà del sentiero, va a rafforzare il suo significato penitenziale e purificatore [37].

Santuario Madonna dell'Alto, Mazara ( Foto Montalbano)

Santuario Madonna dell’Alto, Mazara  (Foto Montalbano)

L’altro sito in cui sorge un santuario della Madonna dell’Alto è Mazara del Vallo. La chiesa, conosciuta anche come “Madonna delle Giummare”, perché un tempo attorniata da palmette nane dette “gemme”, è situata su una collinetta e si data tradizionalmente alla fine dell’XI secolo, all’epoca del Gran Conte Ruggero e della figlia Giuditta [38]. Secondo lo storico mazarese Filippo Napoli la chiesa è stata edificata per volere di Giuditta ed è ipotizzabile che sia stata collocata proprio nel punto più alto della città come segno di vittoria e ripristino della cristianità. A tal proposito, avendo Ruggero tra le prime chiese della città fatto costruire la Basilica Cattedrale dedicandola al Salvatore, è probabile che abbia ritenuto doveroso dedicare l’altro edificio di culto, strate-gicamente visibile, alla Madonna.

Sulla chiesa non ci sono notizie d’archivio relative ai primi secoli. Il Di Simone ne ipotizza la costruzione attraverso l’inglobamento di un’antica torre di avvistamento araba, in parte individuabile, ancora oggi, in alcuni elementi architettonici della struttura come una scala a chiocciola [39]. Si tramanda che in epoca medievale vi fu annesso un monastero basiliano di cui oggi purtroppo non resta traccia. Numerose modifiche strutturali hanno stravolto l’assetto originario: è stato spostato il portale e chiuso un robusto arco di periodo chiaramontano che immetteva in una cappella costruita successivamente. Le trasformazioni più sostanziali hanno interessato l’area celebrativa: infatti, per permettere la collocazione votiva della statua della Vergine col Bambino, realizzata nel 1575 da Giacomo Castagnola, è stata smantellata la conca absidale e costruita una cassa muraria con funzione di nicchia. Nell’abside è ancora possibile scorgere scorci di affreschi raffiguranti san Basilio e san Giovanni Crisostomo [40].

Sulla denominazione “dell’Alto” potrebbero essere fatte delle ipotesi. Una, meno probabile, sarebbe da ricondurre alla tradizione popolare: trovandosi su una collinetta e partendo dal presupposto che a Mazara esistevano diverse chiese dedicate alla Madonna, forse la denominazione dell’Alto è da ascrivere alla volontà di distinguerla dalle altre, un po’ come si è verificato a proposito della chiesa della Madonna delle Grazie, detta volgarmente “della Porta”, perché edificata nei pressi di Porta Palermo. Ma l’ipotesi più probabile è quella che vedrebbe nei monaci basiliani, la cui presenza nel luogo è accertata [41], l’introduzione e la cura del culto della Madonna dell’Alto. Dopo la loro fuga dalla persecuzione dell’imperatore iconoclasta Leone III Isaurico, infatti i monaci si rifugiarono in Italia, nel Salento e in Sicilia, dove fondarono molti nuovi monasteri e scuole [42]. Per quanto concerne il culto dell’epoca contemporanea, si è mantenuto il pellegrinaggio che i fedeli tenevano fin dall’epoca medievale, la notte tra il 14 e il 15 agosto, quindi in occasione della festa dell’Assunta, proprio come al santuario della Madonna dell’Alto di Castellana Sicula [43].

Devozione per la statua della Madonna di Alcamo (Foto Lucchese)

Devozione per la statua della Madonna di Alcamo (Foto Lucchese)

La montagna , trovandosi al “centro del mondo” è il punto di incontro tra cielo e terra e il luogo più elevato della stessa terra. La sua vicinanza al cielo le conferisce una doppia sacralità: da un lato partecipa al simbolismo della tra- scendenza e dall’altro è lo spazio in cui si verificano le cosiddette ierofanie [44]. Secondo la prospettiva antropologica, sacro diventa quel luogo che viene interpretato come tale e non per una sua caratteristica intrinseca, dato che dalla stessa cultura e tradizione religiosa può essere visto ora come sacro ora come profano.

È innegabile che il culto della Madonna dell’Alto, nei tre siti analizzati, si sia sviluppato grazie all’opera di laici, di eremiti, di monaci basiliani e di Padri Carmelitani. I primi si recarono nel territorio montuoso alla ricerca di un luogo protetto e destinato alla meditazione, i Padri Carmelitani e i monaci basiliani, pur essendo ordini diversi, hanno come comune denominatore il culto di Maria,  modello di verginità e castità perfetta. In ogni caso, nei tre siti analizzati emerge il processo di sacralizzazione del territorio in relazione a luoghi “eminenti”, evidenziata dalla presenza degli stessi santuari, dagli itinerari religiosi per i pellegrinaggi e da segni minori come le edicole, che ne rafforzano il carattere sacro.

Attraverso i rituali, i simboli e il sacrificio di sé, il pellegrino [45] viene iniziato al rapporto col sacro. Il viaggio di fatica, di devozione e di preghiera lo purifica, lo guarisce e lo proietta sulla strada della salvezza [46]. Di conseguenza, la sacralità stessa di questi luoghi analizzati non sarebbe stata tale e sarebbe già svanita se non fosse stata alimentata fino ad oggi dalla fede di pellegrini e devoti, tenuta in vita dalla periodicità delle azioni rituali e conservata nella memoria collettiva delle comunità di fedeli.

Dialoghi Mediterranei, n.19, maggio 2016
Note
[1] La scheda è consultabile online sul sito web http://www.santuaricristiani.iccd.beniculturali.it/.
[2] V. Regina, Il castello trecentesco dei conti di Modica in Alcamo, Alcamo 1967: 19-23; Id., Profilo storico di Alcamo e delle sue opere d’arte dalle origini al secolo XV, Alcamo 1972: 33; Id., Alcamo. Storia, arte e tradizione, vol. I, Palermo 1980: 21; M. Giuffrè, Castelli e luoghi forti di Sicilia, XII-XVII secolo, Palermo 1980:31-32; A. Filippi, Antichi insediamenti nel territorio di Alcamo, Alcamo 1996:75; G. Vallone, I Castelli della Sicilia, Roma 2005: 221-22.
[3] V. Regina, La chiesa della Madonna dell’Alto sul monte Bonifato, s. l. 2005.
[4] Alcamo, Biblioteca Comunale, Archivio dei Notai defunti, Notaio P. A. Balduccio, Bastardello del 1568-69 (ANDBAL), f.s.n.
[5] C. Cataldo, Accanto alle aquile: il castello alcamese di Bonifato e la chiesa di S. Maria dell’Alto, Palermo 1991: 31-32.
[6] Ibidem.
[7] L’elenco delle chiese che versavano la chiamata è stato pubblicato da P. M. Rocca, Un’illustrazione degli affreschi di Firenze, Firenze 1906, ma non compare la chiesa della Madonna dell’Alto. Citato anche da Cataldo, Accanto alle aquile, cit.: 32.
[8] Sul vescovo Ugo Papè si veda: P. Safina, La Mazara Sacra, Palermo 1900: 20; G. B. Quinci, Fonti e notizie storiche sul Seminario vescovile di Mazara, Palermo 1937: 248; G. Marrone, La schiavitù nella società siciliana dell’età moderna, Palermo 1972: 269ss; A. Rizzo Marino, La Cattedrale e i Vescovi di Mazara, Trapani 1980: 48; P. Pisciotta, Mons. Ugo Papè, vescovo di Mazara (1772-1791), in «Annali del Liceo G. G. Adria di Mazara» 5 (1988): 91-131; G. Nicastro, La Sicilia occidentale nelle relazioni “ad limina” dei vescovi della Chiesa mazarese, vol. II, Trapani 1989: 239-59; 323-30; P. Pisciotta, La Chiesa di Mazara nei novecento anni della sua storia, Trapani 1995: 95-96.
[9] F. M. Mirabella, Delia. Tradizione popolare alcamese, in ‹‹La Tempra›› 2 (1922): 12-13.
[10] C. Filangeri, Bonifato: Castello dei Ventimiglia di Alcamo, in Atti della Società Trapanese per la Storia Patria, a cura di G. Di Stefano-S. Costanza, Trapani 1971: 305.
[11] Abbiamo notizie dell’insediamento di Bonifato nel Rollo di concessione terriera della chiesa di Monreale, che attribuì agli abitanti del monte una divisa (divisa terrarumduane) di 800 salme di terra di cui 600 seminative e le restanti 200 per il pascolo. A tal riguardo si veda Palermo, Biblioteca Centrale della Regione Siciliana, Fondo Antico (BCRS), Tabulario di S. Maria Nuova di Monreale (TSMM), perg. nr. 163, f. 7r A-13r B, ed. S. Cusa, I diplomi greci e arabi di Sicilia, vol. II, Palermo 1868-1882: 179-244. Disponibile sul sito web http://vatlat3880.altervista.org/documenti/i.4.xml
[12] Palermo, Archivio di Stato (ASP), Real Cancelleria (RC), vol. 7, f. 422 r- 429 v.
[13] P. M. Rocca, Sopra un antico privilegio concesso a Bonifato e indi confermato ad Alcamo, Palermo 1887: 458.
[14] Ne parla anche il Fazello: T. Fazello, Della storia di Sicilia deche due, trad. di R. Nannini, vol. II, Palermo 1817: 453.
[15] Sulla famiglia Ventimiglia si vedano i lavori ricchi di bibliografia specialistica di C. Trasselli, Alcamo un Comune feudale alla fine del Trecento, in Atti della società trapanese per la Storia patria, a cura di Di Stefano-Costanza: 5-97; P. Corrao, Un dominio signorile nella Sicilia tardo medievale. I Ventimiglia nel territorio delle Madonie (sec. XIII-XV), in«Reti Medievali Rivista» 2 (2001) disponibile sul sito web
http://www.dssg.unifi.it/_RM/rivista/iper/venti.htm; G. Fallico, Per la storia dei Ventimiglia tra Medioevo ed Età moderna. Fonti e bibliografia, in G. Fallico-U.Balistrieri, Gli archivi non statali in Sicilia, Palermo 1994: 141-51.
[16] Per un inquadramento delle vicende del territorio della Sicilia occidentale si veda il contributo di F. Maurici, La Sicilia occidentale dalla tarda antichità alla conquista islamica: una storia del territorio (ca. 300- 827 d. C.), Palermo 2005.
[17] A proposito della leggenda, il marchese V. Mortillaro, Opere, Palermo 1846: 291, riferisce che Giovanni Leone fu il primo e il solo che abbia dato a credere alla “storiella” di Adelkam invasore della Sicilia e che poi su di lui si basarono altri scrittori poco avveduti, i quali non lessero o ignorarono le opere arabe. Su questo personaggio, Leone detto “l’Africano”, cf. N. Zemon Davis, La doppia vita di Leone l’Africano, Roma-Bari 2008; Leone Africano, Viaggio in Marocco: taccuino illustrato di un avventuriero del ’500, a cura di C. Spila, Roma 2011.
[18] Il Fazello riporta precisamente il numerale II per Federico III e, infatti, come re di Sicilia, avrebbe dovuto essere Federico II, perché era il secondo Federico che regnava sull’isola, ma, secondo gli storici, egli stesso scelse l’ordinale III, in omaggio a suo bisnonno, l’imperatore Federico II di Svevia, che era stato anche re di Sicilia e che soleva  firmarsi come: Fridericussecundus.
[19] Palermo, Archivio di Stato (ASP), Real Cancelleria (RC), vol. 35, cc. 247 v- 248 v.
[20] H. Bresc – F. Maurici, I castelli demaniali della Sicilia (secoli XIII- XV), in Castelli e fortezze nelle città italiane e nei centri minori italiani (secoli XIII e XV), a cura di F. Panero-G. Pinto, Cherasco 2009: 296.  Maurici preferisce datare la costruzione all’epoca di Federico III, quando si intensifica l’attività costruttiva di nuovi castelli.
[21] Cataldo, Accanto alle aquile, cit.: 33.
[22] Ibidem
[23] Ibidem.
[24] Ibidem: 38.
[25] Ibidem: 42-43.
[26] Ibidem: 44.
[27] Ibidem: 57ss.
[28] Ibidem: 82ss.
[29] Per approfondimenti sul beato si veda: P. Flaviano-D. Farella, L’eremita delle Madonie, Palermo 1973.
[30] G. Castiglia, Maria SS. dell’Alto. Patrona di Petralia Sottana, Petralia Sottana 1981: 11; M. G. Giacomarra, La Madonna dell’Alto: un culto secolare in un santuario delle Madonie, s.l. 2007: 10ss.
[31] D. Geraci, La Madonna dell’Alto: Storia, fede e tradizione, Petralia Sottana 2007: 23.
[32] Ibidem: 27ss.
[33] Ibidem: 23.
[34] Sull’eremitismo si rimanda ad alcuni contributi: L’eremitismo in Occidente nei secoli XI e XII.Atti della seconda settimana internazionale di studio (La Mendola, 30 agosto-6 settembre 1962), Milano 1965; M. Sensi, Eremitismo “salvatico” tra fine Medio Evo ed Età Moderna: gli eremiti terziari custodi di santuari, in Atti del 6 Convegno di Studi francescani (Milano, 22-24 settembre 1992), s.l. 1992: 102-148; F. Giunta, Santità ed eremitismo nella Sicilia normanna, in Cristianità ed Europa. Miscellanea di studi in onore di L. Prosdocimi, a cura di C. Alzati, vol. I, Roma-Wien 1994: 245-48; Per una storia dei santuari cristiani d’Italia. Approcci regionali, a cura di G. Cracco, Bologna 2002; F. Cusimano, Il topos della montagna sacra nella tradizione monastica, in «Mediaeval Sophia» 6 (2009), abstract disponibile sul sito web http://www.mediaevalsophia.net/Abstract/6-cusimano-abstract.html?phpMyAdmin=45359ee9ec0e3d22eaea414acdb2f07a
[35] D. Geraci, La Madonna dell’Alto, cit.: 24. Sull’importanza delle risorse boschive e il loro utilizzo in età medievale si vedano: G. Petino, Montagna e bosco in Sicilia ieri e oggi, in «Annali del Mezzogiorno» 6 (1966): 340-67; H. Bresc, “Disfari et perdiri li fructi e li aglandi”. Economia e risorse boschive nella Sicilia Medievale (XIII-XV), in «Quaderni storici»54 (1983): 941-70; P. Corrao, Boschi e legno, in Uomo e ambiente nel Mezzogiorno normanno-svevo: atti delle ottave giornate di studi normanno-svevi, a cura di G. Musca, Bari 1989: 135-64; G. Cherubini, Agricoltura e società nel Medioevo, Firenze 1972; F. Figlia, Poteri e società in un comune feudale, vol. I, Caltanissetta-Roma 1990: 405. In questo caso, i petraliesi erano stati danneggiati dai polizzani tanto da essere ridotti allo sfruttamento di pochissime risorse.
[36] D. Geraci, La Madonna dell’Alto, cit.: 21-22.
[37] Ibidem: 54-62.
[38] F. Napoli, Guida storico-artistica di Mazara, Agrigento 1928: 45-46; Id., Folklore di Mazara. Feste, tradizioni e leggende religiose, Mazara 1934: 23-24; n. ed. a cura dell’Istituto Euroarabo Mazara 2003; Id., Storia della città di Mazara, rist. an. Sala Bolognese 1974: 50.
[39] L. Di Simone, S. Maria delle Giummare: la Madonna dell’Alto, Mazara del Vallo 2007: 13.
[40] G. Bellafiore, Architettura in Sicilia nelle età islamica e normanna (827-1194), Palermo-Siracusa 1990: 45ss; V. Scuderi, Arte medievale nel trapanese, Trapani 1978: 29ss;
[41] Cf. M. Scaduto, Il monachesimo basiliano nella Sicilia meridionale: rinascita e decadenza secc. XI-XIV, Roma 1947; S. Borsari, Il monachesimo bizantino nella Sicilia a nell’Italia meridionale prenormanne, Napoli 1963.
[42] G. Ostrogorsky, Storia dell’impero bizantino, Torino 1993: 158-59.
[43] F. Napoli, Guida storico-artistica di Mazara, cit.: 45.
[44] M. Eliade, Trattato di storia delle religioni, Torino 1972: 111 e seg e 386 e seg.
[45] G. Sole, Il cammino verso la Grande Madre. Il pellegrinaggio in un santuario di montagna in, Madonne, pellegrini e santi. Itinerari antropologico-religiosi nella Calabria di fine millennio, a cura di M. L. Lombardi Satriani, Roma, 2000: 113-34.
[46] E. Turner, Pellegrinaggio, in M. Eliade, Enciclopedia delle Religioni, II, Milano 1994: 416-19; P.A. Sigal, Pellegrino, pellegrinaggio, in  A. Vauchez, Enciclopedia del Medioevo, II, Roma 1999: 1434-35.
 
 APPENDICE
Relacione della Venerabile chiesa di Nostra Signora dell’Alto fuori la città di Alcamo sulle cime del Monte Bonifato, s.d.
Il documento è una relazione sulla chiesa della Madonna dell’Alto, collocata sul monte Bonifato fuori le mura della città di Alcamo e nei pressi del castello detto dei Ventimiglia.
Mazara, Archivio Storico Diocesano, Prima visita di Mons. Papè anno 1774, arm. 35, palc. 1, posiz. 3, f. 195r-196v.
La Venerabile chiesa di Nostra Signora dell’Alto può dirsi la più antica non solo delle campestri, ma di tutte le chiese della città di Alcamo poiché fu ella (costretta) costrutta dall’antichi alcamesi anni doppo la generale espugnazione che fecesi contro li Saraceni dal conte Ruggiero, in quel tempo, che oppressa teneano la Sicilia tutta coll’abitazione nelle di loro sontuose fortezze situate nelli monti più alpestri. Dopo dunque una tale espugnazione nel Monte Bonifato luogo abitato (da detti) saraceni si ritrovò miracolosamente dalli antichi alcamesi un’Imagine di Maria Santissima col suo Bammino nelle braccia la quale di continuo grazie particolari impartiva alli detti Alcamesi come di presenza alli medesimi concede pieni impertanto li fedeli di quel tempo di vera divozione a pro’ la Signora sudetta le costruissero con fervoroso zelo nelle cime del sudetto monte ove si ritrovò la miracolosa Imagine, una chiesa per maggiore onore di Maria e commodo dei fedeli che vi concorrevano per adorarla.
Fu la sudetta chiesa per lo spazio di quasi anni cento sotto la cura di patrocinio de RR. PP. dell’ordine carmelitano che tra Padri e Laici in numero di 30 vi abitavano, ma perché i deperse le rendite o che forse non correvono più d’elomosine destinate per manutenimentodelli Padri sudetti, furono costretti ritirarsi in Città, assumendosi la cura della chiesa sudetta li RR. Preti dell’oratorio di S. Filippo Neri allora in Alcamo degente, e per la continua di più anni vi fecero dimora li Preti sudetti infervorando l’antichi Alcamesi alla divozione di Maria colla fundacione di una Congregazione, alla quale si ascrissero gran numero di Alcamesi; quali ascritti ogni venerdì la sera con ammirevole divozione se ne salivano al sudetto monte per adorare la Signora ed ivi si ascoltava la meditazione che dalli RR. Preti si proponeva, la mattina poi il Sabato giorno destinato al culto di detta Signora tutti confessati facendosi (tutti tagliato) unitamente la S. Comunione, se ne scendevano altra volta in città.
Continuatosi per lungo tempo questo divoto esercizio dell’antichi Alcamesi, il quale D. Girolamo Francica particolare divoto di Nostra Signora assegnò alla chiesa sudetta un beneficio di Meisa colla limosina di once due per ogni meisa, sopra li suoi beni, quali oggi si pagano da questa università per suo testamento per l’atti di (…) Colangelo da celebrarsi per l’anima sua dinanzi l’altare di Nostra Signora dal Cappellano eligendo dall’officiali di questa venerabile chiesa (qui prosemplerunt) coll’obbligo che il detto cappellano domentre continuerà la celebrazione sudetta dovesse fur dimora indetta nella venerabile chiesa come sempre dal detto giorno di g. assegnazione si ha pratticato  e sino ad oggi prosiegue a pratticarsi.
La chiesa sudetta dunque ha la sua situazione due miglia distante di questa città e situata sulle cime del Monte Bonifato; porta la lunghezza di canne otto e larghezza canne tre con la sua porta maggiore dirimpetto all’oriente sopra della quale vi è il suo campanile con la sua campana.
Vi esistono in d. chiesa due altari uno l’altare maggiore in facci alla porta sudetta con un imagine di Gesù Crocifisso di lunghezza palmi cinque e l’altro situato dirimpetto al mezzogiorno ove si adora l’inventa miracolosissimaimagine di Maria sotto titulo di nostra Signora dell’Alto. Vi è pure la sua sagrestia proporzionata alla chiesa sudetta. Contigue alla chiesa sudetta vi sono molte stanze situate per commodo del Cappellano dove fa la sua residenza e delli divoti fedeli che si portano per visitare l’imagine sudetta e collaterale alle sudette officine, vi è un antichissimo emolumento situato e costrutto dalli detti saraceni dove pria dell’invencione di Maria Santissima facevano la sua residenza.
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Maria Rosa Montalbano, ha conseguito la laurea magistrale in Beni archeologici con lode presso l’Alma Mater di Bologna con una tesi dal titolo Incastellamento e cultura materiale di età medievale. Il suo interesse è rivolto alla storia urbana e del territorio nel Medioevo e si dedica alla consultazione di documenti d’archivio, soprattutto quelli della Diocesi di Mazara del Vallo. Ha partecipato a diverse attività promosse dall’Università di Bologna, dalla Società Cooperativa Lilybaeum Archeologica presso il Museo Civico e il Museo Archeologico di Marsala nonché dal Museo Diocesano di Mazara del Vallo.

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Una risposta a Intorno al culto della Madonna dell’Alto: appunti su un documento inedito

  1. luigi culmone scrive:

    articolo ,ricchissimo di notizie storiche,davvero straordinario che ci ricorda la Fede mariana degli alcamesi e la straordinaria figura del Vescovo di Mazara di fine 700 Ugono Pape’ a cui Alcamonon dedica neanche una strada…

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