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Il mito dell’unità e la realtà della frammentazione

 Corpus,anima et spiritus,  stampa di fine sec. XVII, dall'opera Azoth di Basile Valentin

Corpus, anima et spiritus, stampa di fine sec. XVII, dall’opera Azoth di Basile Valentin

di Rosolino Buccheri 

La scienza moderna è nata nel XVII secolo ma, come ci ricorda Lucio Russo nel suo La Rivoluzione dimenticata, non vi è dubbio che essa fosse già stata anticipata da millenni con i tentativi di Talete e degli altri ‘ionici’ alla fine del IV secolo a.C. di dare una spiegazione razionale dell’origine del mondo, seguiti subito dopo da Euclide, Archimede, Eratostene, Aristarco di Samo ed altri, in altri aspetti della conoscenza. La tradizione ci dice anche che lo stimolo primario per una riflessione sulla struttura del mondo venne dalla osservazione del cielo e dai movimenti delle stelle; ma prima ancora che queste osservazioni passassero dalla contemplazione e dall’utilizzo per fini pratici ad una approfondita analisi razionale, i pensieri dei popoli antichi furono catturati dall’immaginazione ed espressi verbalmente dalla narrazione mitica. Immaginazione e narrazione mitica, che non erano sterili e fini a se stesse ma che già prefiguravano la ricerca di un ordine nella natura. Al riguardo, Karl Raymund Popper scrive ne Il mondo di Parmenide:

«Tra i miti più importanti vi sono quelli cosmologici, vale a dire i miti che ci spiegano la struttura del mondo nel quale viviamo. È dall’esame critico e dalla revisione di questi miti cosmologici che nacque in Grecia la prima filosofia e la prima scienza» (Popper 2001: 156).

D’altra parte − come cita Giuliano Romano nella presentazione del libro di Antony Aveni, Conversando con i pianeti −, per quanto riguarda il loro rapporto con l’ambiente «Gli antichi erano degli integratori e non dei differenziatori come siamo noi» (Aveni 1994: 5); dei fenomeni naturali essi ne erano compresi emotivamente e in modo globale (con le conoscenze odierne di neurofisiologia potremmo dire che usavano l’emisfero cerebrale destro molto più del sinistro), percependo, in particolare, un legame intimo molto stretto tra gli accadimenti umani nel mondo e i movimenti della volta celeste. Scrive Lévi-Strauss:

«L’ambizione totalitaria della mente primitiva differisce quindi radicalmente dalle procedure del pensiero scientifico. Questa netta differenza consiste evidentemente nel fatto che tale ambizione non si realizza. Attraverso il pensiero scientifico possiamo acquisire una padronanza sulla natura […] mentre è chiaro che il mito gli dà l’illusione di poter comprendere l’universo, e di comprenderlo naturalmente, effettivamente» (Lévi-Strauss, 2002: 31-32).

1.A questa attitudine viene riferita la loro credenza nelle narrazioni mitiche come l’unico veritiero modello che potesse spiegare compiutamente l’origine dell’universo e il perché di tutte le manifestazioni della natura. Tutte le testimonianze che i popoli antichi ci hanno lasciato risentono di questa modalità istintiva di conoscenza che, essendo fondata su basi culturali completamente differenti da quelle su cui si reggono oggi i nostri metodi logico-lineari d’indagine, ci rende oltremodo difficoltoso coglierne appieno il profondo significato. Ciò non toglie che, per quanto le nostre interpretazioni di queste narrazioni possano essere influenzate dal nostro presente modo di vivere, valutare ed agire, tante caratteristiche del loro pensiero siano già state messe in luce da decenni di appassionati studi di storici e antropologi.

Una di queste caratteristiche, che permane tuttora in quasi tutte le civiltà odierne è l’atavica, congenita, convinzione che il Cosmo possa essere spiegato alla luce di un’unica Entità dalla quale Tutto emerge e deriva. Caratteristica questa, che nelle religioni è oggi rappresentata dai monoteismi praticati dalla stragrande maggioranza della popolazione mondiale, e nella Scienza dall’idea che il cosmo possa essere razionalmente spiegato da un’unica Teoria del Tutto sulla quale da oltre cinquant’anni convergono gli sforzi dei fisici teorici di tutto il mondo [1].  Un sogno, forse utopico, che dovrebbe fornire la spiegazione di tutti i fenomeni, una sorta di mente di Dio di tipo logico-matematico a cui debba obbedire l’intero cosmo in tutti i suoi aspetti. Paradossalmente, a parere di molti, un Dio per chi non vuol sentir parlare di Dio.

In paradossale contrasto con questa perseverante secolare ricerca dell’Unità, ci troviamo oggi di fronte ad un processo reale di frammentazione – in tanti aspetti della società umana (conoscitivo, sociale, politico, religioso, etc.) – che, considerato alla luce delle enormi conquiste del sapere nell’ultimo secolo per merito della scienza e della tecnologia, è forse inevitabile, anche a causa della rapida espansione delle conoscenze, molto più veloce delle possibilità umane della loro acquisizione; contrasto che sembra dare all’idea teorica dell’unità il sapore di un desiderio irrealizzabile, perché apparentemente inconciliabile con la realtà sperimentata della frammentazione.

2Un Unico Dio nella religione, la Teoria del Tutto nella scienza

L’idea dell’Unità ci accompagna da millenni. Il desiderio per il quale dietro la diversità apparente del mondo vi sia una Volontà unica che controlla e abbraccia ogni cosa, si può fare risalire alle origini della storia dell’uomo ed è presente in tutte le antiche cosmogonie e religioni dove sempre signoreggia un Ente primario, più o meno trascendente, perfino nei politeismi egiziani, greci e romani dove un Dio maggiore esercita il suo potere anche nei confronti degli altri Dèi.

La nascita della filosofia naturale greca è legata al concetto di unità e alla perfezione a cui questo concetto rimanda. Talete, con l’affermazione «tutte le cose sono fatte da un’unica sostanza», a lui attribuita da Aristotele, aveva posto nell’acqua il principio primo, origine di tutto ciò che esiste; di fatto, la prima affermazione di tipo scientifico che si ricordi nella storia umana. Dopo Talete, il principio unificatore assunse forme diverse dall’acqua. Con il misticismo aritmetico di Pitagora, il Numero divenne l’elemento unificatore della Natura, pensata simmetrica e perfetta, e la matematica la chiave per svelarne i segreti. Concetto che, mutatis mutandis, si ritrova ai nostri tempi in Roger Penrose quando scrive, nel suo Il grande, il piccolo e la mente umana:

«Una delle cose più notevoli nel funzionamento del mondo è come esso sembri fondato sulla matematica a un grado di precisione stupefacente. Più comprendiamo il mondo fisico e più approfondiamo l’esplorazione delle leggi della natura, più sembra che il mondo fisico quasi si dissolva, e rimanga soltanto matematica. Quanto più a fondo comprendiamo le leggi della fisica, tanto più scivoliamo nel mondo dei concetti matematici» (Penrose 2000: 10).

Il sistema geocentrico di Aristotele e di Tolomeo con le sfere come elementi di perfezione e il successivo sistema eliocentrico di Copernico impersonano altre idee unitarie del Cosmo [2]. Oggi, la teoria del Big Bang come origine dell’Universo e la ricerca affannosa della Grande Unificazione (GTU, l’unificazione delle quattro forze fondamentali) [3] sono le nozioni fondamentali su cui operano la fisica e la cosmologia moderne. Al momento tutti gli sforzi sono concentrati sulla Teoria delle Superstringhe nell’ambito del Modello Standard delle particelle elementari, considerata la candidata naturale delle cercata Teoria del Tutto; sforzi che, insieme al tentativo di unificare la meccanica quantistica con la teoria della relatività, non hanno ancora avuto successo.

Gli studi sui fenomeni complessi, sviluppatisi a cominciare dalla metà del secolo scorso, hanno fatto comprendere le difficoltà insite nella ricerca di una teoria generale che spieghi con un’unica coerente formulazione tutti i fenomeni di un Universo in evoluzione. La scienza funziona fintantoché possiamo verificare sperimentalmente le nostre teorie, ed essendo l’Universo costituito da un insieme enorme di elementi e fenomeni mutuamente interagenti dal comportamento non lineare, la sua evoluzione è di tipo ‘caotico’(nel senso matematico del termine), con un inizio e con un futuro soltanto congetturabili (perché non eravamo né potevamo essere presenti all’inizio per sperimentarlo né potremo mai sperimentare nel nostro futuro).

Come nella religione, dunque, anche nella scienza, l’idea dell’unità è e resterà sempre una questione di fede che, se può avere un fondamento nelle ataviche intuizioni dell’uomo, nella scienza potrebbe rimanere per sempre un’utopia sul piano della verifica sperimentale. Pertanto, se anche una Teoria del Tutto venisse effettivamente formulata, rappresenterebbe sì quello che auspicava Stephen Hawking quando scriveva

«Se perverremo a scoprire una teoria completa […] decreteremo il trionfo definitivo della ragione umana: giacché allora conosceremo la mente di Dio» (Hawking 1994: 197),

ma solo nel senso di avere integrato la fede con la scienza, in accordo ai teoremi di completezza di Gödel [4].

3Specializzazione e frammentazione

La scienza e la tecnologia esercitano un’attrattiva e un’influenza sempre maggiore sulla società; tuttavia, il rapidissimo aumento delle conoscenze che ne caratterizza lo sviluppo determina la sua suddivisione in un numero sempre crescente di settori distinti di specializzazione, ognuno dei quali generalmente prodotto da un atto di astrazione dalla complessità del contesto, astrazione necessaria ad isolarne le caratteristiche di interesse in modo da poterle studiare in profondità. La scienza si è così sviluppata in un gran numero di aree generali come fisica, chimica, biologia, medicina, scienza delle costruzioni, etc … A loro volta, ciascuno di questi settori si è ulteriormente spezzettato in aree più specifiche. La fisica, per esempio, include oggi la fisica atomica, la fisica dello stato solido, la fisica delle particelle elementari, la fisica nucleare, la fisica dei fluidi, l’astrofisica ecc. e suddivisioni ancora più fini (in astrofisica, per esempio, c’è chi si concentra sulle alte energie, c’è chi guarda alle basse), mentre ognuno di questi specifici settori coinvolge sia le conoscenze teoriche, sia i metodi sperimentali che sono stati sviluppati nel corso della sua evoluzione storica.

Data la complessità e la profondità raggiunte dalle singole specializzazioni, è spesso inevitabile che ogni scienziato impieghi la sua intera vita concentrato in uno specifico stretto settore – con le confortevoli abitudini che ciò comporta in termini dell’uso automatico di tecniche e concetti propri di quel settore – senza mai venire a contatto con il più ampio contesto in cui esso è immerso. Questo fatto è, secondo uno dei maggiori fisici del secolo scorso, David Bohm, la causa principale di frammentazione nella scienza, per il fatto di coinvolgere in modo subliminale quella che essi chiamano ‘la tacita infrastruttura’ delle idee e delle tecniche, ovvero l’insieme delle conoscenze inconsce che guidano automaticamente le nostre azioni, nella scienza come in tutte le altre attività umane (Bohm&Peat 2006: 20). Si tratta di abilità che una volta acquisite non vengono più dimenticate, come ad esempio, l’andare in bicicletta, il battere a macchina, il nuotare o, per un tecnico, sostituire un filo elettrico o cambiare una guarnizione; tutte attività che si eseguono più o meno meccanicamente. Lo scienziato possiede tantissime conoscenze automatiche di questo tipo, conoscenze che rendono possibile il lavoro giornaliero di ricerca permettendogli di concentrarsi sulle questioni fondamentali usando teorie e tecniche sperimentali acquisite in precedenza, senza avere la costante necessità di rivederne i dettagli. Questo atteggiamento gli evita di tenere insieme a mente sia i collegamenti con le altre suddivisioni e con il contesto generale sia il dettaglio sul proprio settore, capacità oggi non più concepibile per il crescente aumento della conoscenza.

Come ogni altra attività d’altra parte, la scienza è in costante processo di evoluzione, e gli sviluppi di un settore hanno spesso conseguenze più o meno rilevanti sulle teorie e sulle tecniche matematiche e sperimentali di altri settori la cui sottostante ‘tacita infrastruttura’ può gradualmente diventare inappropriata rispetto alle teorie e agli strumenti tecnici in uso, e quindi inefficace per la soluzione dei nuovi problemi che via via si incontrano; senza contare le modifiche che dall’evoluzione conseguono rispetto al contesto generale delle conoscenze, che non sempre possono essere subito riconosciute dai singoli scienziati.

In verità, può succedere a volte che lo studio in un particolare settore conduca ad una estensione del relativo contesto, com’è successo, per esempio, all’inizio del secolo scorso, quando l’interesse nel DNA spinse i biologi ad utilizzare in biologia alcune delle tecniche sperimentali già note in fisica, aprendo così il campo della biologia molecolare che può considerarsi un’estensione della biologia tradizionale (Bohm&Peat 2006: 19). Quando allo scienziato si presenta un accumulo di contraddizioni interne che lo rende cosciente dei limiti della sottostante ‘tacita infrastruttura’ di conoscenza, allora egli riuscirà a mettere in discussione le teorie e le ipotesi del suo settore e in alcuni casi riuscirà anche a ridefinire i limiti della sua dipendenza dalle altre; questo è successo, per esempio, a Max Plank quando si trovò costretto a ‘inventare’ il quanto di luce per uscire dall’ambiguità della ‘catastrofe ultravioletta’ o ad Albert Einstein quando dovette postulare il limite alla velocità della luce per evitare l’elusività del concetto di etere.

Accanto agli esempi positivi di questo tipo, tuttavia, esiste una enorme quantità di casi in cui l’atto di astrazione necessaria all’approfondimento, invece di condurre alla definizione di un’area ben definita e ben collegata con il suo contesto, conduce alla frammentazione [5]. Questo avviene per il fatto che gli scienziati utilizzano la loro tacita struttura di conoscenze in modo subliminale, tendendo pertanto inconsciamente a lavorare nel modo usuale anche di fronte a problemi del tutto nuovi, spinti dalla tendenza della mente a basarsi su ciò che le è familiare e resistendo contro tutto ciò che minaccia di disturbare il loro equilibrio personale e quello dell’istituzione per cui lavorano. Tendenza della mente che si manifesta o assumendo che il problema non previsto possa essere risolto modificando leggermente tecniche o teorie già usate, oppure enfatizzando la separazione fra il proprio e gli altri settori in modo da lavorare all’interno di un contesto limitato e senza la necessità di mettere in discussione la propria ‘tacita infrastruttura’ di conoscenza (Bohm&Peat 2006: 21).

Così, a meno che le ambiguità e le contraddizioni percepite siano tanto serie da provocare accese dispute e confronti a livello extra-locale (come accadde per l’avvio della meccanica quantistica), il risultato che si ottiene è la suddivisione in aree con deboli connessioni fra loro e con i più ampi contesti; aree che, con il tempo, vanno irrigidendosi cessando di costituire delle valide astrazioni di campi distinti. Ne consegue una forma pervicace di frammentazione che si autoalimenterà dall’ulteriore lavoro che ogni scienziato continua a fare sul proprio settore, guidato dal convincimento dell’oggettività della separazione dalle altre aree e dagli scienziati che vi operano, anche se la loro inefficace percezione ne fu la causa originale. Inefficacia alla quale possono anche contribuire problematiche di tipo sociale connesse con la molto intensa concorrenza fra scienziati per l’accaparramento delle poche posizioni oggi disponibili presso le istituzioni di ricerca. La stessa biologia molecolare, nata, come si è detto, dall’estensione in biologia delle tecniche usate in fisica è diventata oggi frammentata e separata dagli altri campi della biologia, tanto che un biologo molecolare ha oggi poco in comune con i colleghi che lavorano in altri settori della biologia (Bohm&Peat 2006: 19).

4Frammentazione, autoreferenzialità, radicalismo

La resistenza della nostra ‘tacita infrastruttura’ di conoscenza, come già detto, non è caratteristica solo della scienza ma esiste in ogni settore della vita umana quando convinzioni e sentimenti confortevoli e familiari, costruiti nell’arco della vita alla luce di tante esperienze (specie per i più anziani) e/o dell’adesione emotiva a specifiche ideologie (specie per i più giovani), sono minacciati da novità più o meno eterodosse, che costituiscono pericolose contraddizioni all’interno del proprio Modello Mentale di Realtà (Buccheri 2017: 23). Il disturbo di udire ciò che non si accorda con il proprio MMR e di dovere eventualmente agire di conseguenza costituisce una delle più importanti motivazioni delle scelte ‘irrazionali’ che si fanno giorno per giorno. Scelte diverse da persona a persona e che quindi producono frammenti di aree del sapere (nel senso dell’orologio rotto di Bohm) in ognuno di noi, non del tutto connesse e coordinate con il complesso delle conoscenze presenti nella società. Ne consegue una generalizzata autoreferenzialità di proposte e teorizzazioni più o meno valide in tutti i campi della vita sociale da parte di singoli e di gruppi che, nella confusione delle idee che ne deriva, si insinuano in modo apparentemente autorevole per proporre soluzioni spesso esotiche, caratterizzate in genere dallo stretto ambito di conoscenza all’interno del quale sono elaborate, e pertanto slegate dai più ampi contesti da cui effettivamente derivano. Circostanza che, a sua volta, in un circolo vizioso, favorisce il crescere della frammentazione, specie quando è amplificata dalla mancanza di regole ben precise di comunicazione che fungano da freno contro la diffusione di informazioni errate da parte di mezzi di comunicazione, tecnologicamente avanzati ma spesso poco attenti alla credibilità delle notizie in quanto anch’essi partecipanti alla generale frammentazione.

Il circolo vizioso di cui l’autoreferenzialità si alimenta in tutti i campi del vivere sociale (particolarmente pericolosa nell’ambito dei problemi di governo di un Paese) genera come prodotto estremo il radicalismo delle utopie che ogni ideologia totalitaria e intransigente comporta, oggi chiaramente connotata da crescenti settarismi, nazionalismi e populismi in tutto il mondo, la cui cifra più evidente è la guerra di tutti contro tutti che da anni sconvolge il Medio Oriente (e a cui tutti contribuiamo, se non materialmente, per interesse economico o politico o con la produzione e l’approvvigionamento di armi). Parodie di unità utopiche reciprocamente scollegate e contrastanti che niente hanno in comune con l’idea di unità del sapere, politica o ecumenica, perseguita dalla scienza e dalla religione da secoli, in quanto ognuna di esse persegue la propria ‘verità’ – senza alcun vincolo di solidarietà né rispetto alla propria comunità di appartenenza né, a maggior ragione, rispetto al più ampio contesto extra-locale – provocando un groviglio di contrastanti sentenze, prive di credibilità a livello morale e sociale dove spesso trionfa un ingiustificabile astio viscerale contro ciò che non si conosce, a dispetto della ragione che richiederebbe verifiche accurate.

5La ‘Società aperta’ e il pluralismo consapevole

L’Unità e le tante parti separate che la compongono – anche se irriducibili l’una all’altra per il fatto di essere l’una un prodotto dell’intuizione e l’altra un fatto collaudato di cui sperimentiamo giorno dopo giorno l’aumento in corrispondenza al crescere delle conoscenze – potrebbero non risultare incompatibili se ogni suddivisione scaturisse seguendo regole ben precise il cui fine fosse lo stretto collegamento fra di esse e con il contesto generale che le comprende, come avviene nelle specializzazioni del sapere nate dall’astrazione consapevole di un elemento dal suo contesto per studiarne i dettagli.

Circostanze ancora da comprendere pienamente, ma che hanno determinato nel tempo la presente direzione evolutiva presa dalla società (anche se con diversa rischiosità da Paese a Paese), hanno eluso queste regole di collegamento solidale, producendo la frammentazione discussa con la conseguente fioritura di indiscriminate perniciose autoreferenzialità politico-sociali ma anche, a volte, di utopie che, pur se irrealizzabili, erano animate da positive finalità morali. La letteratura ci presenta da secoli proposte utopiche di organizzazione della società umana, predefinite unilateralmente, la più antica delle quali, La Repubblica di Platone, è collocata addirittura fra il 390 e il 360 a.C. Fra le più recenti e famose mi piace ricordare le classicheUtopia (1517) di Tommaso Moro – dalla quale è stato ripreso il termine ‘utopia’ [6] – e La città del Sole (1623) di Tommaso Campanella, oltre alle peculiari Il giuoco delle perle di vetro (1943) di Hermann Hesse e Island (1962) di Aldous Huxley.

In queste proposte, nate dalla protesta verso le attuali società umane gravate dal peso di passività e malaffare e sfruttate da potentati che accumulano ricchezza, le società descritte si trovano su territori lontani, isolati dal resto del mondo e in situazione di autarchia politica ed economica. In molti casi si tratta di società a sfondo socialista per l’assenza della proprietà privata, dove tutto appartiene a tutti ed è lo Stato che distribuisce a tutti alimenti e abitazioni. In tutte si evince il rifiuto della guerra e l’enfasi sulla cultura e sulla razionalizzazione del lavoro, capace di sostenere un alto livello di produzione a beneficio di tutta la comunità che, può in tal modo, dedicare al sapere molta parte del suo tempo.

Opere di questo tipo, incluse quelle a sfondo ecumenico-religioso [7], sono state soggette ad analisi critica da parte di molti pensatori. Karl Popper, in particolare, contesta ad esse gli aspetti di tipo totalitario che contengono per il fatto di fondarsi su presupposti gnoseologici insostenibili, come quello di pretendere di avere una definizione oggettiva di perfezione, con la conseguenza di ritenere inevitabile un cambiamento radicale della società secondo regole e principi definiti e stabiliti da punti di vista più o meno personali in quanto basati sulle esperienze negative dei loro autori. Esperienze intellettuali che, secondo Popper, appaiono quasi sempre fondate sulla necessità di sfuggire alle difficoltà e alla varietà di esperienze che presenta la vita reale. A queste proposte, Popper ha contrapposto il concetto di‘società aperta’, ovvero di istituzione democratica dove il punto focale non debba essere quello dell’attribuzione del comando a una classe predefinita di cittadini (come teorizzava Platone in La Repubblica) ma, considerando tutti gli uomini egualmente fallibili, l’obiettivo della realizzazione di istituzioni sempre controllabili, con la possibilità reale di un leale dissenso costruttivo, e alternative non troppo rigide al comando (Popper&Lorentz 1989: 17) [8].

Certo, anche la ‘società aperta’ di Popper può essere vista come un ideale ma quanto meno, prevedendo la perseverante vigilanza per mezzo di adeguati strumenti istituzionali, non è certamente autoritaria e chiusa alle differenze. In questo senso, essa si allontana dal concetto di utopia che vagheggia una società irrealizzabile dove rifugiarsi in sogno ma, avendo ben chiare le caratteristiche della società reale e la sua inconoscibile evoluzione, si avvicina all’utopia solo nel senso di funzione stimolatrice, per spingere con convinzione verso una limitazione delle tendenze negative del potere al comando e quindi verso l’interesse collettivo, in direzione di un deciso miglioramento della solidarietà, dell’ascolto e dell’empatia. Un’aspirazione, quella di Popper, conforme con l’evoluzione ‘caotica’ imprevedibile delle società umane e compatibile con il significato di utopia, qualora ne venga accentuata, come fa il Vocabolario Treccani, la positiva «capacità delle utopie di orientare forme di rinnovamento sociale» (Treccani, 1991: 1078), stimolando l’unità di intenti senza per questo sfuggire alla realtà ineludibile di esperienze e azioni differenziate.

Non frammentazione quindi, ma coerenti suddivisioni che, nel sapere dovrebbero consapevolmente concorrere all’unità del contesto e nella società dovrebbero contribuire all’unità solidale in un fertile e interconnesso pluralismo di idee e progetti, senza combattersi reciprocamente in una babele di proposte nate dall’autoreferenzialità che la frammentazione comporta. Uno stimolo alla consapevolezza di questa necessità può venire, secondo Antonino Cusumano, da un maggiore investimento nella cultura antropologica; scrive infatti che «Lo studio delle diversità nel quadro di un temperato relativismo resta il migliore antidoto contro ogni espressione di etnocentrismo e di fondamentalismo identitario» (Cusumano, 2016: 10)

Antidoto, oggi più che mai necessario dopo le estreme e contrastanti ideologie che il secolo scorso ci ha regalato, producendo – dopo gli indicibili massacri provocati dalla totalitaria ‘superiorità razziale’ e i decenni di tensioni fra un’ipotesi di liberalismo moderato e una utopica ‘dittatura del proletariato’ – soltanto una parodia della ‘società aperta’ di Popper: un liberalismo privo delle necessarie regole che potessero frenarne gli eccessi di individualismo e di tendenza all’accumulo di potere insiti nella fallibilità dell’uomo. Forse se, al di là delle buone intenzioni dei suoi fautori, il liberalismo economico non si fosse sviluppato in modo così pervicacemente disordinato e sregolato nel corso dell’ultimo secolo, affermandosi sempre di più come il valore principale su cui fondare i rapporti umani e contribuendo così all’esasperazione dell’individualismo – catalizzatore del circolo vizioso tra frammentazione e autoreferenzialità –, avremmo oggi una società diversa. Ma del senno del poi son piene le fosse

Dialoghi Mediterranei, n.24, marzo 2017
Note

[1] Non sono qui considerate le pur interessanti speculazioni filosofiche sull’unità del Cosmo, derivate dal fenomeno dell’entanglement in fisica quantistica. Una seria trattazione scientifica è fatta da David Bohm in Wholeness and the implicate order.
[2] Senza dimenticare la struttura unitaria del cosmo di Keplero, pubblicata sul Mysterium Cosmographicum, che riprende le idee geometriche di Pitagora e di Platone.
[3] Per quanto riguarda l’unificazione delle forze, iniziava James Clerk Maxwell nel 1864 unificando l’elettricità e il magnetismo (unificazione monca dei monopoli magnetici), quindi, nel 1983 al CERN di Ginevra si sperimentaval’unificazione dell’elettromagnetismo con la forza nucleare debole.
[4] Secondo questi teoremi non esistono sistemi formali autosufficienti, ergo ogni sistema formale (come, ad esempio, la logica e la matematica usati dalla ragione umana) ha bisogno di aiuti esterni, per arrivare a delle ‘verità’; se non può avere l’aiuto della verifica sperimentale deve per forza prestar fede alle intuizioni.
[5] Bohm&Peat accostano il concetto di frammentazione all’immagine di un orologio fracassato con un martello, circostanza che non produce un appropriato insieme di suddivisioni ma frammenti arbitrari che hanno poco o nessun significato in relazione al funzionamento dell’orologio (Bohm&Peat: 16).
[6]  In accordo con l’etimologia della parola derivata dalle voci greche ū (non) e tópos (luogo), ovvero “luogo che non esiste”, l’utopia viene definita dal Devoto-Oli: «Quanto costituisce l’oggetto di un’aspirazione ideale non suscettibile di realizzazione pratica […] Ideale etico-politico destinato a non realizzarsi sul piano istituzionale, ma avente ugualmente funzione stimolatrice nei riguardi dell’azione politica, nel suo porsi come ipotesi di lavoro o, per via di contrasto, come efficace critica alle istituzioni vigenti» (Devoto-Oli: 3009).
[7]  Vedi, ad esempio, L’utopia ecumenica di P. Anthony Elenijmittam di Antonio Osnato
[8] Una democrazia, dice Popper, da non confondere con formule semplicistiche come ‘il governo della maggioranza’ o ‘il governo del popolo’, per il semplice fatto che anche una maggioranza può governare tirannicamente e che anche il popolo può scegliere un tiranno, come insegna la storia.
    Riferimenti bibliografici
    Antony Aveni, Conversando con i pianeti. Il Cosmo nel mito e nella scienza, Dedalo edizioni, Milano, 1994
   David Bohm, Wholeness and the implicate order, Routledge, London and New York, 2008
   David Bohm, David Peat, Science, Order and Creativity, Routledge, London and New York, 2006
   Rosolino Buccheri, La dualità dell’uomo tra fede e scienza. Dalla neurofisiologia alla letteratura, in “Dialoghi Mediterranei”, n. 19, 2016
   Rosolino Buccheri, Retoriche, ambiguità, potenzialità e utopie nel dialogo fra fedi religiose, in “Dialoghi Mediterranei”, n. 23, 2017
     Antonino Cusumano (a cura), Dialoghi Mediterranei. Antropologia delle migrazioni, Istituto Euroarabo, Mazara del Vallo, 2016
     Giacomo Devoto & Gian Carlo Oli, Dizionario Devoto-Oli della lingua Italiana, Le Monnier, Firenze, 2004
     Stephen Hawking, Dal Big Bang ai Buchi Neri. Breve storia del Tempo, Rizzoli, Milano, 1994
     Claude Levi-Strauss, Mito e significato. L’antropologia in cinque lezioni, Il Saggiatore, Milano, 2002
     Antonio Osnato, L’utopia ecumenica di P. Anthony Elenijmittam, Zeta printing, Palermo, 2016
     Roger Penrose, Il grande, il piccolo e la mente umana, Raffaello Cortina, Milano, 2000
    Karl Raymund Popper, Il mondo di Parmenide. Alla scoperta della filosofia presocratica, Mondolibri, Milano, 2o01
    Karl R. Popper, Konrad Lorentz, Il futuro è aperto, Rusconi editore, Milano, 1989
   Lucio Russo, La Rivoluzione dimenticata. Il pensiero scientifico greco e la scienza moderna, prefazione di Marcello Cini, Feltrinelli, Milano, 2008.

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 Rosolino Buccheri, già Dirigente di Ricerca del CNR in Astrofisica e Fisica Cosmica, direttore dell’Area della Ricerca CNR di Palermo e docente di Istituzioni di Fisica Nucleare e di Storia del Pensiero Scientifico all’Università di Palermo. Ha rappresentato l’Italia alle missioni spaziali della NASA e dell’E.S.A. e annovera la scoperta della prima pulsar binaria superveloce. È autore di oltre duecento pubblicazioni, coautore del libro L’idea del Tempo con Margherita Hack e co-curatore di diversi libri. È Accademico dell’Accademia Siciliana dei Mitici e Presidente dell’Associazione di Astrofili ORSA.

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2 risposte a Il mito dell’unità e la realtà della frammentazione

  1. dino levi scrive:

    Carissimo,
    credo che soprattutto la politica abbia perso la capacita’ di pensare in modo unitario e che la perdita di un linguaggio comune ne sia la tragica conseguenza.

    • Rosolino Buccheri scrive:

      Concordo, caro Dino, penso peraltro di avere alluso alla politica, ma ci sarebbe tanto altro da dire!

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