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Il mio virus

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Palermo, Corso Calatafimi e Porta Nuova (ph. N. Giaramidaro)

dialoghi intorno al virus

di Nino Giaramidaro

17 febbraio

Metto insieme l’esiguo e zoppicante rimasuglio di coraggio nel varcare la frontiera del cancello di casa per andare a buttare le immondizie, manovra ora non più gravosa rapida e patita, quasi confinante con la vergogna, ma da me vissuta come un premio alla disciplinata reclusione casalinga. Superata la terra di nessuno del marciapiedi, di nessuno perché deserta, attraverso il corso assaporando la lentezza dei passi sino al cassonetto.

Non c’è nemmeno “un’ultima carrozza (che) cigolando se ne va” e neanche quel solitario con la gardenia nell’occhiello. Sono solo.

E riesco a distinguere il tipico rumore di una sperduta marmitta che evoca l’odore, ormai polveroso, dell’olio di ricino delle miscele carburanti dosate nelle officine dei corridori bravi e dilettanti delle motociclette anni Cinquanta.

Una specie di gentile aggressione in quei liberi, pochi passi, di ricordi e possibili futuri, e la sensazione lancinante di quei versi di guerra: “Si sta come d’autunno sugli alberi le foglie”. Rientro nel coprifuoco, nel tempo sospeso della mia vita di soggetto ad alto rischio.

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Agrigento, Stazione ferroviaria, area del parcheggio (ph. A. Pitrone)

Sconvolgente, sì, scoprire come l’infinitesimo e primitivo possa perpetrare ecatombi moltiplicate nella società ecumenica mega-informatica e tecnologica: quella che sa in ogni momento cosa fai, dove vai, da dove vieni, e che conosce con esattezza la data di nascita del mondo, calcolando persino gli anni “rotti”.

Una società globalizzata che si è creduta invulnerabile. Invincibile come i tirannosauri giganteschi, forti e feroci che però si sono estinti mentre lo scarabeo stercorario (alias scarafaggio), il millepiedi e le formiche continuano la loro incomparabile vita.

Come anche accade a grandi concentrazioni aziendali il cui obiettivo non è più quello di conseguire il bene sociale bensì espandersi aggregare fondere: diventare dinosauri e così giungere alle socialmente costose bancarotte nelle quali gli squali-manager guadagnano un sacco. E come è già accaduto alle grandi concentrazioni urbane chiamate non più città ma con tanti nomi inesistenti, dove nulla più funziona se non la precarietà e l’indigenza senza speranza alcuna di riconquista.

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Agrigento, via Atenea (ph. A. Pitrone)

Siamo precipitati nell’incantesimo della fragilità il cui principe azzurro è il coronavirus. Si guardano con occhi diversi pure i parenti più prossimi, quelli con i quali si vive e sui quali sino a ieri poggiava il patto familiare e inattaccabile di mutuo soccorso. Si gira alla larga da tutti con la vergogna degli asciugamani separati nella monomania di lavarsi le mani, con molta schiuma e acqua calda. Forse arriveremo all’immaginaria sicurezza del metro e mezzo anche con moglie e figli.

Si fa strada il panico nel tempo monotono che non si muove tra le mura reclusorie di casa. Sentimento dei deboli, da sempre nemico dell’amore, di se stessi e del prossimo.

Sembra che il cielo non sia sempre più blu e nella sera che trema bisogna fare i conti con le parole del Papa – non sprecare l’insegnamento di questi giorni difficili – o l’esortazione del calciatore Neymar: la solidarietà deve essere più contagiosa del virus. Anche a costo del “distanziamento sociale”. Che evoca lessici maccheronici come “lo trattava con la canna” (a distanza di una canna), un distanziamento di ceto altezzoso e mansueto, oppure l’oscura filastrocca dedicata al pipistrello: Taddarita canna canna – lu dimoniu t’incarna – e t’incarna pi li peri, – taddarita, veni veni. – E t’incarna pi la cura –Taddarita veni allura. Sì, la taddarita, la nottola sanguinaria che incarnerebbe il demonio e alla quale gli umani accollano le nefandezze più orripilanti, sino alle leggende dei vampiri.

Solidarietà che va avanti come una strada ferrata che sull’altro binario fa viaggiare la solitudine, già cinquanta giorni di solitudine.

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Castelvetrano, il Corso (ph. L. Ingrasciotta)

La lontananza è come il vento, che fa dimenticare… soli si muore: filosofia della canzonetta che indirizza verso l’animale sociale, sentimento presente e vivo in questa quotidianità da anacoreti, con la libertà sospesa. Il Papa solo, nei sacri spazi deserti, sgomentanti. La città – le città – vuota, stradoni e viuzze senza anima viva, come in attesa smarrita di eventi terribili e ineluttabili, dove un singolo scalpiccìo risuona lancinante e completamente estraneo.

Cinquanta giorni di solitudine e devastazione della rassicurante monotonia: il piccolo bar con gli assidui, l’associazione dei fotografi, la libreria rianimata dietro l’università, gli incontri alla Libreria del mare. Le fisionomie dei luoghi e delle persone nella mente dovrebbero vedersi nell’esasperata nitidezza dell’immaginazione, ma con la psicologia affranta dalla prigionia cominciano a perdere lucentezza; stanze, ingressi finestre e pure i volti si accingono a scivolare in uno sbiadimento simile al fuori fuoco delle fotografie, nomi e volti appaiono e si affievoliscono nella memoria diventata balbuziente.

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Palermo (ph. N. Giaramidaro)

È iniziato un altro evo. Tutte le presunzioni dell’arroganza e le sicumere dei predatori cadono anch’esse nella fragilità che la malattia con virulenza sbatte in faccia anche ai più protervi. Non ci sono riusciti il socialismo reale tantomeno il capitalismo in tutte le sue metamorfosi, sino a quello selvaggio. Ora, grazie a un microbo, ad un organismo al margine della vita, Ate, l’antica dea, vola un po’ più lontano dal mondo, tirandosi dietro la sua attribuzione di dissennatezza e la tracotanza che nasce dal difetto di senso della misura.

Il Corona Virus, oltre i suoi perniciosi contagi, ha convinto perfino gli Stati Uniti che la salute è di tutti e, per dirla alla tedesca, über alles. Noi qui, nell’Italietta, ci rifacciamo alla madre lingua: “Salus publica suprema lex”. Concetto che è inchiodato nell’articolo 32 della Costituzione. Primo comma: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti”. Insomma, il profitto ad ogni costo sta sul filo del rasoio del coronavirus, che contagia di briciole di etica l’esercizio di una democrazia stremata.

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Palermo, via Notarbartolo (ph. A. Belvedere)

Paesi che aiutano altri Paesi, la sanità che diventa diritto di tutti, anche nell’America di Trump, annunciate gare di solidarietà con milioni e miliardi che abbandoneranno le fameliche casseforti, in un principio di cammino verso l’equità del cui prosieguo si vede solo la Speranza, antica ultima dea, patria dell’umanità.

Ma il decrepito Faust mitteleuropeo trova sempre irriducibili re Mida, questa volta in espressioni geografiche del nord Europa. Esempio l’Olanda, che vorrebbe far rivivere le sue Indie nei Paesi del sud dell’Unione. Sì, c’è una politica dei soldi che sempre più appare – rivoltiamo lo stratega Carl von Clausewitz – come la continuazione della guerra con altri mezzi. Insomma, atti ostili contro i quali sono in corso gli attacchi del coronavirus.

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Palermo (ph. G. Cuttitta)

Del quale, per fare una sintesi grossolana da conversazione dal barbiere, si sa ben poco. C’è chi dice che bisogna fermarsi ad un metro e mezzo di distanza da qualunque essere umano, ma altri sostengono che la distanza di sicurezza sia di almeno otto metri. Le mascherine sono irrinunciabili,molti dicono che no. Lavarsi le mani spesso e accuratamente con molta schiuma, ma qualche luminare lo sconsiglia perché il sapone elimina i nostri preziosi anticorpi rendendo più facile il lavoro del virus.

Si profetizza il “picco”, che contiene lo scemare del virus, ma la Fata Morgana si sposta sempre più avanti. I vecchi, questi ottantenni che non si decidono a morire, c’è chi li vuole segregati sino a fine anno, probabilmente in una solitudine senza rimedio, definitiva; e se si ammalano, nessuno li curerà con le attrezzature sanitarie adeguate: il loro filo della vita sarà reciso da un inesorabile Ảtropo in camice bianco. E il Papa prega per loro che hanno paura di morire da soli, coatti in case che le cronache descrivono come campi di sterminio. «Sono le nostre radici – esorta Francesco – la nostra storia, ci hanno dato la fede, la tradizione, il senso di appartenenza, una patria».

In Svezia – il paese mito di noi terroni – dichiarano che faranno di più: negheranno la terapia intensiva anche a partire dai 60 anni a chi risulterà affetto da altre patologie.

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Palermo, via Libertà (ph. M. Minnella)

Siamo precipitati in un maleficio ancora sconosciuto, intrappolati ai margini della desolazione, con la paura all’orizzonte, senza un indizio che conforti la nostra fragilità. Ci aggiriamo nella retrotopia di Zygmund Bauman, il tempo noto del passato, rassicurante poiché ormai il futuro – sostiene il sociologo è per noi associato a un’idea di “sempre peggio”, con la certezza dell’incertezza.  Perché questo invisibile nemico incrudelisce con tenacia e una ferocia mai viste? Vittorio Gregotti, “La signora senza camelie” Lucia Bosè, Ellis Marsalis jr grande uomo del jazz, Luis Sepulveda che sognò un gatto che insegnava a volare ad un gabbianella: rapiti per sempre insieme ad altre decine di migliaia in questa vigilia d’estate disorientata.

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Cina, Canton, 1991 (ph. M. Minnella)

Abbiamo una profusione di risposte, ma tutte sottoforma di ipotesi, tentativi di azzeccarci comprovati solo dalle parole. La pista più frequentata è quella del pipistrello, mai simpatico all’uomo, spesso preso a capro espiatorio di malattie, leggende e timori, e spesso sodale con i topi, specie anch’essa aborrita dall’umanità. Alla coppia di untori si era aggiunto il pangolino, frugale mammifero corazzato, dal volto di animale di compagnia, dannato dalle provette e dalla sapienza di alcuni studiosi. Ma anche per questa triade le accuse sono confutate, non c’è uno straccio di prova che la condanni.

Passiamo al vilipeso mercato di Wuhan, dove si vendono pipistrelli vivi per alimentazione e carne di pangolino clandestina. Ovviamente non è una circostanza occasionale quella di mangiarsi i pipistrelli e pure i topi, sulle bancarelle arrostiti e ancora infilzati allo spiedino. I cinesi continuano nel loro stile alimentare che ha come leccornìe pezzetti di fauna che a noi fanno accapponare la pelle; e sono sempre quasi un miliardo e mezzo.

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Palermo, Santa Rosalia proiettata a piazza Tosti (ph. A. Clemente)

Per far rientrare le cose nella credibilità interviene l’intelligence. Per ora la Cia. Suoi autorevoli funzionari riabilitano il mercato di Wuhan con tutte le sue derrate e spostano il mirino su un laboratorio di ricerca avanzata nei pressi della metropoli – 6 milioni e mezzo di abitanti, più dei 5,8 della Danimarca – ritenuto da diplomatici sempre americani carente già nel 2018. Intelligence e Sicurezza nazionale Usa sostengono «fra le varie possibilità» che il virus sia nato in quel laboratorio e si sia diffuso per un incidente. La Cina e scienziati che studiano sul pipistrello dichiarano che mancano le prove per questa ipotesi.

È chiaro che abbiamo perso di vista la ricerca della verità per inoltrarci nel contorto mestiere delle spie, nel quale l’auretta, il venticello della calunnia è assai poco gentile. «Siamo consapevoli di come questa storia venga utilizzata come base per teorie non verificate secondo le quali il nuovo coronavirus che causa Covid-19 sia stato progettato».  È l’incipit di alcuni articoli pubblicati dall’autorevole rivista inglese Nature che introduce l’ipotesi complottista.

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Palermo, Stazione Notarbartolo (ph. A. Belvedere)

Secondo diversi “internauti”, il coronavirus proverrebbe dagli Stati Uniti. I fedeli della teoria del complotto sostengono che «sia un’arma creata da Washington per punire la Cina e i suoi Paesi “amici”, come Italia e Iran». E continuano a navigare nel mistero coronavirus: «viene dai serpenti, dai pipistrelli o forse dai pangolini?».

Sembrava che l’origine animale fosse l’unica pista da seguire, eppure ancora non c’è una posizione ufficiale capace di mettere tutti d’accordo. Perfino l’Organizzazione mondiale della Sanità (Oms) ha lasciato aperta più di una porta. «Primo obiettivo di governi e istituzioni deve essere quello di combattere il Covid-19. Quando le acque si saranno calmate, sarà tuttavia quanto mai doveroso fare estrema chiarezza sulla nascita del misterioso agente patogeno.

«Il coronavirus è un’arma da guerra biologica creata in un laboratorio di Wuhan e l’Organizzazione mondiale della Sanità ne è già a conoscenza», ha affermato sul sito Geopolitics and Empire Francis Boyle, professore di diritto presso l’Università dell’Illinois. E sostiene che sia «un’arma da guerra biologica potenzialmente letale, che sarebbe fuoriuscita da un laboratorio di massima sicurezza» di Wuhan. Il governo cinese avrebbe quindi inizialmente cercato di coprire il caso. Il laboratorio BSL-4 di Wuhan è anche un centro di ricerca dell’Organizzazione mondiale della Sanità e per questo motivo, secondo Boyle, la stessa Oms «non poteva non sapere».

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Palermo, ginnastica in veranda (ph. N. Pillitteri)

La rivista, anch’essa inglese, The Lancet, il 17 febbraio aveva sostenuto che il primo caso di infezione risaliva al primo dicembre 2019 e che la persona contagiata non si era mai recata al mercato ittico di Wuhan. Il virus avrebbe “preso vita” in uno dei due laboratori che si trovano nei pressi del mercato del pesce di Wuhan, affermano due biologi della South China University of Technology che contestano la versione fornita da Pechino, secondo la quale l’agente patogeno si sarebbe trasmesso direttamente dai pipistrelli all’uomo.

Un altro studio riferisce che questi pipistrelli «si trovano a circa 960 chilometri di distanza dal mercato di Wuhan e la probabilità che abbiano compiuto un volo così lungo, dalle province di Yunnan e Zhejiang, era minima. Come è minima anche la possibilità che l’infezione sia nata dalla tendenza locale di mangiarli». Migliaia di pagine in ognuna delle quali la preoccupazione ha lo scientifico obiettivo di affermare la propria tesi. Disponiamo di decine di confutazioni, opposizioni, smentite tutte autorevoli che non ci aiutano e consentono qualche pagina anche alla più precaria dietrologia. Per esempio, che il Covid – 19 sia un “virus delle spie” come non pochi film catastrofici preconizzano.

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Palermo, Altare della patria e statua della Libertà (ph. G. Cuttitta)

Insospettisce la circostanza che non abbia colpito regioni depresse ad alta promiscuità e con scarsissima igiene bensì zone industriali, il cuore dell’economia delle produzioni avanzate dell’Europa, del Giappone, della Corea del Sud. Sembra un virus “militare”. Secondo la dietrologia, il coronavirus sarebbe una moderna “invincibile armata”.

Giuseppe Cuttitta ha fotografato la Statua della Libertà di Palermo assediata dalla palizzata dei restauratori. Una emblematica immagine della nostra condizione di libertà sospesa, con gli anziani minacciati di rimanere ai domiciliari sino a dicembre, quando anche il più stoico degli assistenti si sarà stancato di loro.

Che ne sarà di noi? Gianluca Grignani canta: “Oltre la salita / lo hanno visto in tanti già / c’è la vita”.

Dialoghi Mediterranei, n. 43, maggio 2020
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Nino Giaramidaro, giornalista prima a L’Ora poi al Giornale di Sicilia – nel quale, per oltre dieci anni, ha fatto il capocronista, ha scritto i corsivi e curato le terze pagine – è anche un attento fotografo documentarista. Ha pubblicato diversi libri fotografici ed è responsabile della Galleria visuale della Libreria del Mare di Palermo. Recentemente ha esposto una selezione delle sue fotografie scattate in occasione del terremoto del 1968 nel Belice.

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