Stampa Articolo

Il lungo viaggio dei siciliani nel mondo

copertina-nostra-patria-e-il-mondo-interodi Grazia Messina

L’importante era davvero sbarcare in America: come e quando non aveva poi importanza […] (Leonardo Sciascia) [1]

Ad un grande sogno che ha scritto la storia è dedicato il volume Nostra Patria è il mondo intero.150 anni di emigrazione siciliana, opera di Nicola Grato e Giuseppe Oddo, con prefazione di Santo Lombino (Istituto Poligrafico Europeo, 2021). Gli autori, tutti con ricca esperienza di studi e ricerche sull’emigrazione siciliana, non ci consegnano nell’occasione soltanto una ricostruzione storica, peraltro assai bene articolata, bensì un autentico diario di viaggio, invitandoci a seguirli in «posti assai lontani», per raggiungere insieme sponde e porti, città e campagne, fabbriche e miniere.

Più volte è stato ribadito che mai cammino è stato così ricco di donne e uomini in marcia, autentico fiume umano dalle pieghe sofferenti eppure fiero e tenace, come quello dell’emigrazione italiana nel mondo tra la metà dell’Ottocento e gli anni Settanta del Novecento. Qui gli autori ci conducono – già dall’elegante immagine in copertina, un piroscafo in alto mare  ̶  tra i siciliani in partenza e in movimento negli ultimi 150 anni della loro storia, e riceviamo in ogni tappa ricchezza di dettagli e situazioni, tante storie cariche di sfide quotidiane.

Il viaggio, e con esso il fascino di quell’avventura che è sale della vita, ha inizio con Giuseppe Oddo. È con i suoi saggi [2] che attraversiamo la Sicilia nei profondi cambiamenti che l’hanno segnata a partire dall’Ottocento e fino al secondo dopoguerra, con la trasformazione da antica terra d’accoglienza in terra di migrazioni. Gli abitanti dell’Isola lasciano prima le aree interne e collinari per raggiungere la fascia costiera, per affidarsi soltanto in seguito alle rotte mediterranee, transoceaniche ed europee, sempre spinti dalle necessità ma animati dal sogno di migliore fortuna. Già nel 1911 un terzo dei siciliani risultava trasferito in città con più di trentamila unità, mentre una buona parte si era imbarcata verso terre straniere (l’apice si registrerà nel 1913 con 146.061 partenze). Il processo ebbe certamente caratteri di complessità, se si intende il termine nella definizione epistemologica che guarda a dinamiche non prevedibili, poiché non riconducibili a precise e costanti cause scatenanti, come lo stesso autore precisa:

«Dalle statistiche ufficiali sappiamo che tra il 1876 e il 1925 espatriarono ben 1.660.555 siciliani: 1.517.721 verso Paesi transoceanici, 49.816 verso Paesi europei e 92.918 verso Paesi mediterranei. La scelta della destinazione era condizionata da diverse variabili, compresa la propaganda proveniente da ambienti esterni alle località dove risiedevano i cittadini disposti ad espatriare».

L’Africa e Malta furono le prime mete degli imbarchi di commercianti, contadini e pescatori, come pure di molti proletari, che ottennero lavoro nelle opere di bonifica e nella realizzazione di infrastrutture. Algeria, Marocco e soprattutto Tunisia divennero l’approdo stagionale di trapanesi e palermitani, che magari da lì pensavano di poter andare oltre, come Rosaria Prestijapico che portò la numerosa famiglia in Tunisia per racimolare i soldi che le servivano per raggiungere il porto di Marsiglia, e poi tentare (nel suo caso senza successo) di raggiungere New York, inseguendo un sogno di vita su tre continenti.

1934 Lawrence Mass, Banchetto dell'Italian Citizens Club. Fonte Lawrence History Center

1934, Lawrence Mass, Banchetto dell’Italian Citizens Club. (Fonte Lawrence History Center)

Sarà la sostituzione dei grandi velieri con i battelli a vapore, a seguito della nascita nel 1840 della Società dei battelli a vapore siciliani in cui confluivano i capitali di Benjamin Ingham, Vincenzo Florio, Ettore Aragona Pignatelli, del barone Chiaramonte Bordonaro e di tanti altri, ad aprire una nuova fase delle partenze. Dopo avere raggiunto i quattro porti nazionali (Genova, Napoli, Palermo, dal 1904 anche Messina) o anche i più allettanti (per i costi del biglietto) porti stranieri, i siciliani allargarono l’orizzonte di futuro al di là dell’oceano. Sull’emigrazione in America l’autore non ci consegna solo le storie di riscatto e di fortuna, ma ci conduce con giudizio a guardare oltre. E ci ricorda le centinaia di vittime dei disastri navali e delle grandi epidemie esplose a bordo delle navi, le tragedie sul lavoro e ancora il traffico clandestino gestito dai mafiosi e dalla “mano nera”, l’arrivo di truffatori, ladri e bancarottieri che videro in quel torrente umano in piena l’occasione di facili e rapidi profitti senza scrupoli. Al movimento, all’inizio soprattutto maschile, s’aggiunsero negli anni anche le donne, alcune per seguire il capofamiglia, altre giovani e persino giovanissime per le tessitorie del Massachusetts. Per molte di loro sarà l’inizio di grandi cambiamenti antropologici e sociali: il lavoro permise di sganciarsi da antichi vincoli di dipendenza dagli uomini di casa, apprendere la nuova lingua, partecipare alle prime proteste e sfilare tra gli scioperanti per i diritti dei lavoratori [3].

Nella tappa argentina, l’autore ci ricorda che fu la principale meta italiana delle catene migratorie e, anche se con cifre inferiori ai valori nazionali, molti furono i siciliani che avevano scelto questa destinazione, visto che «tra il 1901 e il 1910 ne arrivarono 113.000. I flussi più consistenti provenivano dalle province di Catania, Siracusa e Girgenti». Prima della crisi del 1910 il Paese sudamericano era stato lanciato verso uno sviluppo demografico senza precedenti (dal 1870 al 1914 la popolazione argentina passò da 1,8 milioni a 8 milioni di unità), con notevole incremento di esportazione agro-zootecnica, in particolare di grano e carne. Dal 1911 le crescenti difficoltà che si riversarono su tutta l’economia stimolarono una partecipazione attiva degli immigrati: diedero grande impulso alla nascita di Società di mutuo soccorso e leghe agrarie, mentre i quotidiani fondati da italiani informavano sui cambiamenti in corso e in alcuni casi sostennero anche le richieste di «intellettuali, insegnanti, parroci, socialisti e anarchici» che si erano schierati dalla parte degli agricoltori in difficoltà. Viene segnalato in questo contesto l’impegno dei sacerdoti italiani, soprattutto salesiani, che si attivarono in difesa degli agricoltori per migliorarne le condizioni contrattuali e le condizioni di vita – Giuseppe e Pasquale Netri, Angelo Gritti, Antonio Mollo – senza tuttavia riuscire ad evitare l’ondata di violenza che si riversò sul dialogo tra proprietari terrieri e coltivatori dopo lo scoppio del primo conflitto mondiale.

La presenza italiana – precisa l’autore nella successiva tappa sudamericana del nostro viaggio – fu significativa anche in Brasile, tanto che fra il 1876 e il 1925 si contavano 1.292.159 immigrati, ancora una volta in numero superiore veneti (dal Veneto si registrerà in tutte le ondate migratorie italiane il maggior numero di partenze su base regionale [4]). I quasi cinquantamila siciliani trovarono soprattutto impiego nelle fazendas di caffè, i cui proprietari avevano ottenuto incentivi e contratti vantaggiosi dal governo per l’assunzione di immigrati sin dal 1885. A San Paolo le famiglie numerose venivano chiamate dalle nuove misure statali, senza costi di viaggio e con lavoro garantito sia alle donne che ai ragazzi, che dai dodici anni di età potevano lavorare nelle grandi coltivazioni di caffè. Non si trattò però di tempi felici, le condizioni di vita per tutti furono durissime: lontani dai centri abitati e da qualunque servizio sanitario, per gli immigrati quella permanenza divenne una residenza coatta, con donne spesso violentate, uomini frustati dai padroni delle terre, mentre l’alimentazione insufficiente e il lavoro pesante portavano a frequenti malattie che resero la vita impossibile nelle piantagioni.

Nel primo decennio del nuovo secolo iniziò così la fuga dalle campagne brasiliane, prive di attenzione da parte delle organizzazioni di sinistra, che si erano concentrate principalmente nei centri urbani e che a loro volta si mostravano, come in Europa, lacerate da posizioni interne divergenti e dunque inefficaci nella tutela di quelle comunità sofferenti. Anche negli Stati Uniti gli accordi raggiunti nel tempo con il governo italiano portarono molta manodopera nelle zone agricole dell’interno e non mancarono, seppure in misura limitata, imprese di successo. Viene riportato nel testo il caso degli immigrati da Palazzo Adriano, in provincia di Palermo, che avevano dato vita con la catena dei richiami ad una sorta di piccolo villaggio siciliano nei pressi di Independence, mentre vicino Buffalo, nello Stato di New York, si era costituita una colonia agricola con 800 coltivatori di Valledolmo, comune palermitano al confine con Caltanissetta. In Louisiana l’autore rintraccia un ramo dell’albero familiare, lì avviato dallo zio Ignazio che per 25 anni si era fermato in America, per poi rientrare con la famiglia in Italia durante la Grande Guerra. Il figlio Salvatore (Turiddu) diverrà il primo sindaco comunista di Villafrati nel 1946, sostenendo l’impegno dei contadini contro la mafia e proseguendo nella tradizione di famiglia che sarà coltivata in seguito dallo stesso autore [5].

Marcinelle. La torre con la gabbia per la discesa dei minatori al Bois du Cazie

Marcinelle. La torre con la gabbia per la discesa dei minatori al Bois du Cazie

Nel secondo saggio Oddo ci aiuta a leggere le spartenze dalla Sicilia nel secondo dopoguerra. Adotta in questa prospettiva il modello proposto da Giovanna Fiume [6], con l’intento di fare uscire l’Isola dalle tradizionali trappole dicotomiche in cui sembra avere sempre la peggio, e dare piuttosto risalto ai drammi esistenziali della povera gente in bilico, come altrove, tra tradizione e modernità. Decidere se rimanere, e in che modo, o partire verso le città del Nord o altri Paesi d’Europa divenne infatti la domanda costante dei giovani siciliani negli anni del “miracolo economico”. Non mancheranno nuove sciagure sui luoghi di lavoro, si registreranno nell’Isola nuove lotte (e nuove tragedie) contro la mafia, gli imprenditori senza scrupoli e il malgoverno locale (nella strage di Mussomeli si contarono quattro morti e numerosi feriti).

In questo quadro, in cui lo scontro tra vecchio e nuovo non sembrava condurre ad esiti rassicuranti, prese forma l’emigrazione “assistita” verso Belgio, Francia, Svizzera, Germania. La tragedia del Bois du Cazier dell’8 agosto 1956, con i cinque siciliani rimasti intrappolati nelle gallerie a 975 metri di profondità (le vittime furono in tutto 262), fu tra le più gravi del dopoguerra ma riuscì ad accendere una nuova attenzione da parte delle istituzioni europee, chiamate a prendere atto delle gravi carenze ancora presenti nei luoghi di lavoro, fino a quel momento ignorate, nonostante le ripetute denunce e proteste degli stessi minatori nei mesi precedenti. Fu necessario intervenire, e Marcinelle segnerà una sorta di linea di confine tra un prima e un dopo nelle regole sulla sicurezza nel posto di lavoro, dove soprattutto gli emigrati continuavano a pagare il prezzo più caro perché ancora privi delle necessarie tutele [7].

Dal 1946 al 1972, ricorda ancora l’autore, oltre sette milioni di italiani sono emigrati all’estero, e solo un terzo si è diretto fuori dall’Europa. Nei dieci anni che vanno dal 1961 al 1971 hanno lasciato l’Isola 612.424 siciliani per raggiungere Francia, Germania, Belgio, Svizzera. Vanno poi considerati i movimenti dal Sud verso le fabbriche del Nord, destinati a modificare profondamente il volto della Sicilia. Si trattò di un grande processo di ingegneria antropologica, con importanti ricadute sociali ed economiche: le donne si spostarono molto spesso da sole, conquistarono altrove l’autonomia che in Sicilia non veniva ancora garantita, specie nei piccoli paesi, e il denaro dei risparmi non venne più investito nella terra ma prese altre strade (la casa, i mobili, l’abbigliamento), seguendo un pensiero del domani ormai sradicato dalle tradizioni dei luoghi d’origine.

Certificato di nazionalità (Fonte: Museo etneo delle Migrazioni)

Certificato di nazionalità (Fonte: Museo etneo delle Migrazioni)

Si chiude negli anni Settanta il nostro cammino con Giuseppe Oddo, in una Sicilia che ha cambiato volto nel giro di pochi anni: dal 1951 al 1971, mentre solo il 30 per cento dei suoi abitanti è rimasto nelle zone interne, la popolazione agricola si è quasi dimezzata, le città hanno avuto un incremento demografico del 240 per cento e il settore primario dell’agricoltura è addirittura precipitato dal 40,5 per cento al 16,7 per cento. A differenza dei veneti, che a partire da quegli anni rallentano le partenze, i siciliani non hanno mai smesso di fare le valigie, cercano ancora fortuna altrove e sempre più raramente decidono di ritornare [8].

Il viaggio al seguito dei migranti prosegue nel testo con Nicola Grato e l’esperienza di un laboratorio storico realizzato con i giovani studenti della scuola media di Villafrati, i cui risultati sono stati dal 2019 acquisiti dal Museo delle Spartenze dell’area di Rocca Busambra. L’autore ha guidato gli alunni nello studio dell’emigrazione villafratese in Svizzera, seguendo l’iter metodologico che, dalla raccolta di dati e testimonianze, aiuta a ricostruire sia il movimento delle partenze, con il picco di 143.054 siciliani nel 1961, che il vissuto dell’inserimento nel paese di destinazione. Una serie di tabelle sui movimenti demografici riporta la continuità del movimento emigratorio dall’area di Rocca Busambra e da Villafrati fino al 2017. Si è trattato di spostamenti più accentuati verso altri comuni italiani ma costanti anche verso l’estero, con una significativa ripresa nell’ultimo decennio e destinati a incidere sul calo complessivo della popolazione residente nel territorio [9].

Il fumetto Celeste bambina nascosta, sui bambini clandestini in Svizzera

Il fumetto Celeste bambina nascosta, sui bambini clandestini in Svizzera

Nella ricerca, che di quelle partenze verso la Svizzera analizza cause e sviluppi, si apre una finestra dolorosa sui “piccoli clandestini”, i bambini degli emigrati stagionali che non ottenevano un regolare permesso di permanenza e dovevano “vivere nascosti” per evitare che i genitori venissero rimpatriati: «È stato molto duro abituare la bambina a stare immobile sul divano e a non scendere sul parquet altrimenti i vicini l’avrebbero sentita e chiamato la polizia», ricorda Giuseppina, emigrata da Villafrati negli anni Ottanta, nell’intervista rilasciata ai giovani ricercatori. Il dramma dei piccoli che furono costretti a diventare invisibili nelle case di famiglia, oppure affidati all’aiuto di missionari religiosi o ancora trasferiti in collegi italiani al confine con la Svizzera, portato alla luce anni dopo dall’UNICEF, segna quasi una frattura di civiltà nella legislazione del Paese del secondo dopoguerra, lacerazione che oggi la Confederazione mostra di voler sanare per porre rimedio ai propri errori [10].

Con le testimonianze raccolte dai ragazzi, che restituiscono parola e pensiero ai protagonisti dell’esodo dalla Sicilia e consegnano tracce di memoria da custodire, si chiude simbolicamente il racconto del lungo viaggio affidato all’intero volume, ma non certo la sua mission, che non può essere ritenuta soltanto editoriale. Curato dal Museo delle Spartenze, con prefazione del suo lungimirante direttore scientifico Santo Lombino, l’opera in verità inaugura un inizio, ancora più importante dopo la lunga pandemia. Nella prospettiva della prossima riapertura con un nuovo e più ricco itinerario esperienziale, il Museo delle Spartenze trova infatti in questo prezioso volume il suo illuminato manifesto storico, per ricordare a tutti, e ai più giovani in particolare, quello che siamo stati e che siamo ancora. Donne e uomini in cammino per edificare ponti, per respingere le ingiustizie, per difendere il valore di quell’appartenenza comune che non conosce frontiere e confini nei progetti di vita. Per continuare a scrivere e dire che l’unico dialogo possibile per l’umana convivenza, sempre più ricca di incontri, scambi e relazioni, procede ancora da queste sei, essenziali, parole: nostra patria è il mondo intero. 

Dialoghi Mediterranei, n. 56, luglio 2022
Note
[1] L. Sciascia, Il lungo viaggio, in Il mare colore del vino, Einaudi Torino 1973 
[2] Il volume ripropone due saggi di Giuseppe Oddo, estrapolati rispettivamente da Il miraggio della terra in Sicilia. Dalla belle époque al fascismo (1894-1943), Istituto Gramsci Siciliano, Palermo 2017, e da Il miraggio della terra in Sicilia. Dallo sbarco alleato alla scomparsa delle lucciole (1943-1969), Istituto Gramsci Siciliano, Palermo 2021.
[3] Cfr. B. Bianchi, Lavoro ed emigrazione femminile, in P. Bevilacqua, A. De Clementi e E. Franzina (a cura di), Storia dell’emigrazione italiana – I. Partenze, Donzelli Editore, Roma 2001, pp. 266-274. Anche M. Tirabassi, Un mondo alla rovescia: le emigrate italiane negli Stati Uniti, da contadine a cittadine, in Annali Istituto Alcide Cervi, 12/1990: 307-323.
[4] Cfr. C. Bonini (a cura di), Migranti italiani. L’esodo che non vediamo. Quello che nell’indifferenza sta svuotando il nostro Mezzogiorno dei suoi giovani, «la Repubblica», 28 aprile 2022.
[5] Giuseppe Oddo è stato dirigente della Cgil regionale siciliana e poi consulente di Turismo verde – Cia nazionale.
[6] G. Fiume, Vista con gli occhi degli altri. La Sicilia del cambiamento, in S. Mafai (a cura di), Riflessioni sulla storia della Sicilia dal dopoguerra ad oggi, Sciascia editore, Caltanissetta, 2007: 164-165.
[7] Cfr. P. Di Stefano, La catastròfa, Sellerio, Palermo 2011; A. Forti, La catastrofe, in AA.VV, Da Roma a Marcinelle, Le Bois du Cazier, Marcinelle 2011. A seguito della tragedia di Marcinelle, nel 1957 una conferenza dell’Alta Autorità della Ceca (Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio) riesaminò la legislazione sulla sicurezza nelle miniere di carbone per fissare nuove misure a tutela dei lavoratori, norme ribadite e rafforzate con accordi successivi e oggi estese a tutti i 27 paesi dell’Unione europea.
[8] Cfr. C. Bonini (a cura di), Migranti italiani. L’esodo che non vediamo. Quello che nell’indifferenza sta svuotando il nostro Mezzogiorno dei suoi giovani, cit.
[9] Ibidem.
[10] Da un progetto del Comites di Berna, Neuchâtel e Friburgo, con il sostegno dell’Ambasciata italiana in Svizzera e del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale è stato realizzato nel 2021 il fumetto Celeste, bambina nascosta, scritto da Pierdomenico Bortune e illustrato da Cecilia Bozzoli. Dedicato ai bambini nascosti perché ritenuti clandestini dalla legislazione svizzera del secondo dopoguerra, il lavoro si aggiunge alle precedenti produzioni sul tema già consegnate da cinema, letteratura, fotografia. Attualmente destinato alle scuole di lingua e cultura italiana in Svizzera e ai licei svizzeri dove viene insegnato italiano, in una prossima versione francese, e forse anche tedesca, il fumetto dovrebbe raggiungere le scuole cantonali e federali.

________________________________________________________

Grazia Messina, docente di Storia e Filosofia, ha seguito il Master in Economia della Cultura all’Università Tor Vergata di Roma. È direttrice della ricerca scientifica nel  Museo Etneo delle Migrazioni di Giarre (CT) per la Rete dei Musei siciliani dell’Emigrazione. Ha curato i testi Migranti (2005), L’emigrazione dalla zona ionico-etnea (2006), European Migration in XX century (2007), Quando partivano i bastimenti (2009) e pubblicazioni multimediali sulla storia moderna e contemporanea.  È autrice di saggi editi in riviste e volumi collettanei.

_________________________________________________________

 

 

Print Friendly and PDF
Questa voce è stata pubblicata in Letture, Migrazioni. Contrassegna il permalink.

Lascia un Commento

L'indirizzo email non verrà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

È possibile utilizzare questi tag ed attributi XHTML: <a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <strike> <strong>