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Il gioco

Collage, 1974, di A. I. Lima)

Collage, 1974, di A. I. Lima

di Antonietta Iolanda Lima 

Prologo 

La certezza non mi appartiene, tranne qualche rara volta. Ma quel giorno, in un ormai molto lontano, mi possedeva. Dopo anni di intransigente faticoso e pur tuttavia ‘gioioso’ lavoro – perché terreno allora inesplorato che mi donava scoperte ed emozioni – il processo di studio e ricerca sui cimiteri di Sicilia, di cui il rilievo era stato indispensabile fondamento, potevo considerarlo concluso.

L’Electa, rivista di urbanistica agli albori della sua inarrestabile ascesa, lo avrebbe pubblicato, ascoltando, pensavo, le sue necessità: grande formato, fogli piegati quel tanto di corrispondenza con le dimensioni dei disegni, l’architettura, la scultura, quanto di scritto era inciso, i nomi delle città, le alberature, l’andamento altimetrico, il paesaggio rappresentato. Erano anch’essi città.

Non so se faccia parte del caso, quello che ha gran ruolo nel dirigere le nostre vite, ma giunse l’imprevisto. L’Electa si tirò indietro, plausibilmente per i costi non appieno valutati o per una capacità insufficiente del reciproco comunicare.

A lungo pensai. Mi mancava il tempo di rivolgermi altrove, avendo progetti – non solo di architettura – che chiedevano di essere ultimati. Misi tutto da parte.

Non ricordo se passarono settimane o mesi. Avvenne in una notte. Non riuscivo a dormire. Mi frullava in testa un ché di intrigante, un miscuglio di realtà sottesa a mò di frammento, la memoria dei ‘miei cimiteri’, due umani marginali. Iniziai a scrivere e così nacque questo breve racconto. Poteva dirsi una metafora della società in cui l’uguaglianza, e la libertà per la quale fondamentale è il lavoro, per tanti è irraggiungibile. Si nega così il rispetto di sé.

Ho voluto però che fossero privi di rabbia i due, ‘candidi’. Fatti di ‘bontà’, parola oggi solitamente derisa e invece così essenziale acché la vita fiorisca. Ma c’è anche la guerra e tutti mandano armi. 

**** 

La vita è, tempera e olio, 1975, di A. I. Lima

La vita è, tempera e olio, 1975, di A. I. Lima

Paradiso era poverissimo. Il più povero di tutti i poveri del villaggio. Si vestiva sempre allo stesso modo, una camicia bucata e sotto carta in quantità a coprirgli petto e spalle. D’inverno per proteggersi dal freddo e d’estate dal caldo. Due volte la settimana però cambiava pelle, lunedì e sabato e la domenica faceva il cantore in chiesa.

Cambiava pelle dunque: un vestito di tela d’oro lo ricopriva intero da capo a piedi. Glielo aveva lasciato il padre morendo e al padre il nonno e al nonno il padre del nonno e così via all’indietro sino a quando non lo sapeva. Era il vestito da banditore della città e quando lo indossava si sentiva felice.

Non accadeva questo per mestiere ma per gioco perché ragazzo e vecchio si volevano bene e giocavano insieme da tanto tempo. Giorno dopo giorno prima, più di rado poi. Il vecchio era spesso malato. Si vedevano di nascosto per paura degli altri, anche se gli altri erano ormai pochi nel villaggio ché tutti prima o poi andavano nella città in cerca di fortuna. Andavano e venivano senza sosta e i loro sentimenti erano in un modo e i loro pensieri in un altro e ancora in un altro modo le loro azioni.

Nel villaggio vicino raccontavano di un ultimo gioco che questa gente aveva fatto tanto tempo prima, quando la città era piccola come un villaggio nato da poco. Raccontavano che avevano ucciso un enorme e strano animale nella campagna e tutti ne avevano bevuto il sangue rosso e caldo convinti di avere fortuna, e poi vino e vino e vino rosso come il sangue torbido di una ferita profonda.

La fortuna l’ebbero. Strana però, ché il villaggio crebbe e diventò una città senza cielo e terra, fiume senza monte che imprigionava la fantasia, colombi sui campanili, uccelli e luna e sole.

Il ragazzo e il vecchio si incontravano subito dopo la scuola dietro il magazzino di Ankub che aveva aperto bottega da poco nella strada maestra ancora lastricata. C’era un giardino pieno di canne selvagge e ulivi contorti e tozzi alberi di arance e limoni con i frutti in preparazione: piccoli, verdi e rotondi, così rotondi come se un compasso li avesse disegnati nell’aria. Le campanelle bianco-rosa della cordellina erano dovunque. Strisciavano sulla terra, salivano sui tronchi, si attorcigliavano ai gambi dei fiori, ai fiori stessi e allora i petali cadevano a terra e restava solo un odore acre.

A Paradiso piaceva tirarla la cordellina ed era sempre una sorpresa nuova sentire quanto era sotto e dentro. Non uno strappo rapido ma piano. La palpava sino a trovarne tutta la lunghezza e giù sino alla fine per poi estrarla intera con la radice. Gli piaceva sentire il calore della terra e ancor più di una vittoria era una liberazione.

- Come giochiamo oggi? – chiese il vecchio.

Collage 1974, di A. I. Lima

Collage 1974, di A. I. Lima

Era figlio di un oliandolo morto mentre faceva di sabato il mercato e la madre era indovina. Cieco con gli occhi aperti, a Paradiso pareva che quegli occhi sempre spalancati vedessero tutto del villaggio e del mondo: – Ascolta Desiderio, oggi voglio fare un gioco nuovo.

Il vecchio trasalì. Gli accadeva sempre quando sentiva il suo nome, quasi che il nome stesso si burlasse di lui perché lui si chiamava Desiderio, ma non desiderava nulla e tantomeno era stato desiderato da qualcuno. Mai. Nemmeno da giovane quando era meno debole e meno brutto.

- Dovremmo avere nomi provvisori almeno sino a quando non si vede che svolta piglia la vita e anche il corpo che svolta piglia. Da certi nomi ci si aspetta molto – concluse infine a voce bassa.

- lo da te mi aspetto solo quello che mi dai – disse turbato il ragazzo – e poi tu pensi proprio che ci siano nomi adatti ad ogni uomo? Per esempio Don Simone come lo chiameresti? Insegue soldi, conigli e donne. Grasso come un porco. Non aiuta nessuno e forse non sa nemmeno pensare.

- Forse per un uomo simile è difficile un nome, sai, i nomi dovrebbero scivolare via come una veste, abbandonare gli uomini sbagliati.

 - Ma Desiderio – disse ridendo il ragazzo – ti immagini cosa succederebbe nel nostro villaggio!

- Hai ragione è proprio un’idea pazza, pazza come me – e rise anche lui un riso quieto e mite. – Piuttosto – continuò quasi subito – qual è questo nuovo gioco che vuoi fare?

- Voglio giocare al racconto – rispose deciso il ragazzo – Anzi dimmelo subito cos’è il racconto per te. È forse una storia che inizia a finisce?

- Il racconto non finisce mai ragazzo.

- E allora tutti i racconti che esistono?

- Fanno parte di un unico che continua sempre come la vita e sino a quando ci sarà la vita. Tutti lo spezziamo per impossessarcene. Così ogni uomo ha il suo racconto ma non è sempre che lo dice o lo sa dire.

- E tu lo sai dire?

- Non lo so

- Provaci.

- Come?

Si ammutolirono e stettero così a lungo come se d’improvviso il filo invisibile che li univa si fosse spezzato ed entrambi guardarono la grande montagna di fronte che solo a loro dava ali alla fantasia.

- La zabara della casa è fiorita e io ho sognato che dopo muoio – disse il vecchio

- Ma qual è? l’avrai piantata ora perché io conosco a memoria il tuo luogo

- No … c’è da sempre

- Ma io non l’ho mai vista

- Non è sempre che si vede quando si guarda

Ci fu di nuovo silenzio. Lontano, in basso, si intravedeva il fiume. Immobile com’era pareva un pezzo di cielo, lungo e stretto, caduto lì per caso sopra il verde della campagna. Eppure questo fiume diventava terribile in certi giorni dell’anno. Si gonfiava e ingoiava tutto.

- Non esiste ancora il domatore dei fiumi – disse piano Paradiso.

- Non esiste nemmeno il domatore dei venti – continuò il vecchio.

- E nemmeno il domatore degli uomini, se addirittura Dio non ci riesce.

- Non vuole. Almeno così dicono e poi non esiste nemmeno il domatore di Paradiso.

Risero e come liberati da un peso respirarono forte. Ingoiarono assaporandola l’aria dell’imbrunire.

Il filo invisibile tornava ad unirli.

- Allora mi racconti un racconto?

- Non so da dove iniziare. te l’ho già detto Paradiso. È difficile.

- Guarda – incalzò il ragazzo – ho il vocabolario nella cartella, lo apro a caso, leggo una parola e tu dici su lei, sulla parola.

- D’accordo – disse Desiderio -. Cominciamo anche se …

Ma la voce di Paradiso lo interruppe e nacque così la prima parola del racconto. 

Collage, 1974, di A. I. Lima

Collage, 1974, di A. I. Lima

Vagabondo 

“Il padrone della città ha molto a cuore le leggi dell’ordine e di Dio. Istituisce perciò un nuovo ufficio di giustizia e lo chiama l’ACCALAPPIAVAGABONDI. – Servono due censori – dice allora ai suoi uomini – fra i ricchi più inutili e fastidiosi così finalmente si occuperanno. Ma almeno uno deve essere del popolo perché il popolo sa chi sono i vagabondi e se vuole li sa pure acciuffare.

- lo sono il padrone e io decido. Ricordatelo. Due tra …

- i ricchi più inutili e fastidiosi. Abbiamo capito Eccellenza, e se non accettano?

I prescelti accettarono.

Di libera scelta non avrebbero mai lavorato insieme. Uguali per nascita erano diversi per svolgimento di vita. Li accomunava tuttavia il desiderio di esercitare il potere e andarono così lungo le strade della città con un bastone in mano spesso quanto un braccio.  La paga era scarsa e per il potere presero a litigare perché ciascuno voleva avere più territorio da comandare dell’altro. II padrone allora affidò alla lunga strada maestra la funzione di confine sicché a ciascuno toccò mezza città: di mezzogiorno l’una, di tramontana l’altra.

Presto la voce si sparse tra i vagabondi, così quelli della città di mezzogiorno quando il loro censore stava per acchiapparli passavano nella città di tramontana e viceversa facevano gli altri. I giorni passavano e le carceri costruite per i vagabondi della città restavano vuote e i due censori si mordevano le mani dalla rabbia e litigavano. Litigavano come tutti gli uomini della città, tutti tranne i vagabondi che non avevano nulla per cui litigare e che amavano fare i vagabondi.

- Non è possibile – disse il padrone quando lo seppe – si burlano di noi – e fece innalzare le barricate da un lato e dall’altro della strada. L’indomani tutto era pronto per acciuffare i vagabondi ma al tocco dell’Ave la città si oscurò come di notte e nessuno vide più niente e i vagabondi scapparono sui tetti delle case.

- Troppi impedimenti – disse allora il padrone e abolì il nuovo ufficio di giustizia e i vagabondi crebbero di numero e occuparono la città e il padrone dei vagabondi disse ai suoi uomini – Voglio creare un nuovo ufficio di giustizia: l’ACCALAPPIALAVORATORI perché non ridono mai e rendono triste la città.

- Ho finito – disse il vecchio.

- Che strano racconto. Me lo spieghi?

- I racconti non si spiegano. Si ascoltano soltanto

- Ma a scuola il maestro.

- Lo costringono. È diverso.

- Allora ti dico una cosa che forse ho capito. Bisogna lavorare con gioia. È vero Desiderio?

- Penso proprio di sì.

- E ci sono uomini che lo fanno?

- Forse pochi nel mondo fanno il lavoro che vorrebbe fare e chi lo fa non è libero di farlo come vorrebbe. Proprio così. Non è libero mai. Chissà forse occorre vivere più volte con altra sostanza e forma.

- Forse – ripetè piano il ragazzo senza capire.

- Ora ti leggo la seconda parola – e Paradiso aprì e chiuse più volte il grosso libro e infine con il dito indicò e il vecchio cieco capì e disse: 

Collage 1974, di A. I. Lima)

Collage 1974, di A. I. Lima)

Illustre 

Parecchi e parecchi anni fa tutti i morti venivano seppelliti nello stesso camposanto. Ma un giorno arrivò l’uomo colto del villaggio e disse – Non è giusto. I morti non sono tutti uguali. Ci sono gli Illustri e per loro occorre un posto a parte. Le donne furono le prime a saperlo e lo dissero ai loro uomini e gli uomini chiamarono il sindaco e i notabili decisero di costruire il posto degli Illustri e chiamarono il capomastro più bravo del villaggio e il capomastro costruì un edificio che non si era mai visto con i soldi di tutti gli abitanti del villaggio e quando fu pronto decisero per il primo trasporto.

- Cominciamo dal Medico – disse il primo notabile – senza di lui non ci sarebbero più abitanti nel villaggio.

Disse allora il secondo – No. È meglio cominciare dal parroco che è già illustre per volontà di Dio.

Disse allora il terzo – Non fa alcuna fatica ad esserlo se è vero che lo è. È più giusto cominciare dagli Amministratori del Villaggio.

Dissero allora le donne – Ma il villaggio è sporco e non ha alberi e non ha più acqua alla fontana né feste nella piazza né carro per i morti.

Dissero gli uomini – Hanno ragione le donne. Allora cominciamo dagli Artisti – e il primo notabile chiese di nuovo – Ma chi sono gli artisti? e la ragazza rispose – Sono quelli che inventano la bellezza – e dissero i bambini – Allora non ne abbiamo. Qui tutto è brutto – e il secondo notabile disse di nuovo

- Scegliamo allora i morti per la patria.

Dissero i bambini – La patria è stata eliminata -

Non c’è allora nessuno – dissero tutti.

Ma ci sono io – disse L’uomo Colto – lo che ho detto che i morti non sono tutti uguali.

- Allora metteremo solo te – disse il sindaco.

- Così non va bene. Non mi confronto con nessuno.

- Allora che restino tutti nel camposanto – e demolirono il Grande Monumento.

- Ho finito per la seconda volta – disse Desiderio – e ora basta con questo gioco. Tra poco è sera.

- Aspetta Desiderio. Anche questo è uno strano racconto.

- Allora non ci sono Illustri nel mondo?

- Mah, forse sono un’invenzione degli uomini.

- E i grandi uomini?

- Esprimono se stessi come tutti gli uomini però loro hanno tanto, tanto più da solo che loro hanno più da esprimere.

- Sono dei privilegiati dalla nascita?

- Ora basta. Sono stanco e sento freddo -.

Le mani del vecchio tremarono e il ragazzo le accarezzò a lungo e piano e allora il vecchio disse sorridendo: – Sai forse ce l’ho un desiderio: Ho Desiderio di Paradiso.

Risero.

- Anche tu sei un grande uomo – disse Paradiso – Sei bravissimo. A proposito, qual è il tuo lavoro nel villaggio? Non me lo hai mai detto.

- lo non ho un lavoro. Non ne ho mai avuto. Da tanto tempo mi hanno promesso di farmi guardiano del cimitero. Ma non succederà. Nel villaggio non sanno che farsene di me. Sono vecchio, Paradiso, e dovrei pensare a morire e invece non lo faccio e sai perché? Se muoio non ho una tomba e senza tomba io nella terra non ci voglio andare, sarà stupido ma proprio non voglio. Ecco, questo è un altro desiderio. Lo avevo dimenticato. Non voglio e la morte per ora aspetta e mi accontenta, ma fino a quando? Sono proprio stupido ragazzo. Non ho trovato posto neanche al cimitero.

- Te lo troverò io il posto almeno lì – disse con rabbia il ragazzo.

Si salutarono e il ragazzo andò dritto al cimitero e cercò a lungo in mezzo alla terra, alle pietre e alle croci. Com’è tutto confuso – pensò – è brutto come nel villaggio del racconto di Desiderio – ma continuò a cercare lo stesso. Cercava una tomba non una croce e quando l’ebbe trovata si assicurò che fosse vecchia abbastanza in modo che all’interno non ci fosse più nessuno. Eliminò data e antico nome e lavorò tutta la notte e all’alba scrisse

DESIDERIO
26 OTTOBRE 1986
DESIDERIO DI PARADISO

Di giorno passarono i padroni del cimitero e videro la nuova tomba e lessero la scritta e allora uno dei due disse:

- Toh! Desiderio è morto. È morto proprio ora che volevamo farlo guardiano del cimitero e per giunta vuole andare in paradiso.

- Tutto sommato in paradiso potrebbe pure andarci. Non ha mai fatto male a nessuno – disse l’altro.

- Per forza. Era uno stupido – e scoppiarono a ridere a lungo.

Di sera passarono i vicepadroni del cimitero e uno dei due vide la nuova tomba e disse: – Guarda, c’è un nuovo morto.

- Chi è – domandò l’altro.

- Desiderio

- Desiderio come?

- Desiderio di Paradiso. 

 maggio 1972  
Dialoghi Mediterranei, n.60, marzo 2023

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Antonietta Iolanda Lima, architetto, già professore ordinario di Storia dell’Architettura presso l’Università di Palermo. Sostenitrice della necessità di pensare e agire con visione olistica, sua ininterrotta compagna di vita, è quindi contraria a muri, separazioni, barriere. Per una architettura che sia ecologica, sollecita il rispetto per l’ambiente e il paesaggio, intrecciando nel ventennio ‘60-‘70 l’elaborazione progettuale, poi dedicandosi alla formazione dei giovani. Ad oggi continua il suo impegno a favore della diffusione della cultura e di una architettura che si riverberi positivamente su tutti e tutto: esseri umani, animali, piante, terra; perché la vita fiorisca. Promotrice di numerose mostre ed eventi, è autrice di saggi, volumi e curatele. Tra essi, qui si ricordano: L’Orto Botanico di Palermo, 1978; La dimensione sacrale del paesaggio, 1984; Alle soglie del terzo millennio sull’architettura, 1996; Frank O. Gerhy: American Center, Parigi 1997; Le Corbusier, 1998; Soleri. Architettura come ecologia umana, 2000 (ed. Monacelli Press, New York – menzione speciale 2001 premio europeo); Architettura e urbanistica della Compagnia di Gesù in Sicilia. Fonti e documenti inediti XVI-XVIII sec., 2000; Monreale, collana Atlante storico delle città Europee, ital./inglese, 2001 (premio per la ricerca storico ambientale); Critica gaudiniana La falta de dialéctica entre lo tratados de historia general y la monografìas, ital./inglese/spagnolo, 2002; SoleriLa formazione giovanile 1933-1946. 808 disegni inediti di architettura, 2009; Per una architettura come ecologia umana Studiosi a confronto, 2010; L’architetto nell’era della globalizzazione, 2013; Lo Steri dei Chiaromonte a Palermo. Significato e valore di una presenza di lunga durata, 2016, voll. 2; Dai frammenti urbani ai sistemi ecologici Architettura dei Pica Ciamarra Associati, 2017 (trad.ne inglese, Londra e Stoccarda, Edit. Mengel; Bruno Zevi e la sua eresia necessaria, 2018; Giancarlo De Carlo, Visione e valori, 2020; Frugalità Riflessioni da pensieri diversi, 2021. Il suo Archivio è stato dichiarato di notevole valore storico dal Ministero dei Beni Culturali.

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