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Il divario Sud-Nord in Italia e nel mondo euro-mediterraneo. La tragica eredità della marginalità storica

coverdi Salvatore Palidda

La situazione dei Sud, in Italia e nel mondo euro-mediterraneo (ma purtroppo anche in altri Sud del pianeta), è sfacciatamente preoccupante e sempre più assai drammatica. Oltre alla perpetua riproduzione di guerre locali (si pensi agli oltre 70 anni della guerra di Israele contro i Palestinesi, al Libano, alla Siria, alla Libia, alla guerra della Turchia contro i Kurdi, al Kossovo ecc.), i dati economici, sociali, sanitari e ambientali mostrano una realtà di grave degrado e spesso di disperazione [1]. Quella disperazione che spinge tanti giovani a rischiare la morte dell’emigrazione via mare o via terra perché da oltre tre decenni l’Europa ha deciso di far morire o lasciar morire i migranti [2]. La stessa disperazione che traduce senza pietà i dati del divario economico, sociale, sanitario e ambientale fra i Sud e i Nord del mondo euromediterraneo (cfr. infra).

La storia economica e politica ci insegna che questo divario ha origini lontane. Comincia dopo la scoperta delle Americhe e la formazione di quella che Wallerstein chiamò l’“economia-mondo” e quindi l’assetto del dominio del centro (situato nei “Nord” del mondo) e le periferie (i Sud) [3]. Il colonialismo, la rapina delle risorse materiali e umane dei Sud, la perpetuazione dello scambio diseguale sempre a sfavore dei Sud, il neocolonialismo [4] e la tragica deriva delle indipendenze nazionali, l’estrattivismo e le criminali devastazioni dei territori, hanno scavato il baratro fra i Sud e i Nord del mondo [5].

«La disuguaglianza è sempre una scelta politica», afferma  Lucas Chancel, il principale autore del World inequality report 2022 che sintetizza il rapporto sul divario tra ricchi e poveri nel mondo. Lo studio, che si avvale del supporto di famosi economisti come Thomas Piketty, Emmanuel Saez e Gabriel Zucman, analizza i fenomeni che negli ultimi trent’anni hanno reso i “ricchi sempre più ricchi” e i “poveri sempre più poveri”. La disuguaglianza globale ha raggiunto i massimi storici. «Le disuguaglianze globali contemporanee sono vicine ai livelli dell’inizio del ventesimo secolo, quando eravamo al culmine dell’imperialismo occidentale», sottolinea il rapporto [6]. Dal 1990 a oggi l’1% più ricco della popolazione si è accaparrato il 38% della ricchezza aggiuntiva accumulata, a differenza del 50% più povero a cui sono arrivate solo le briciole (il 2%).

51msdbeukklUn dato che da solo spiega bene come mai la classe media si stia pian piano schiacciando verso il basso, e cioè verso quella povera, andando di fatto a incrementare il divario esistente. E ancora: il 10% della popolazione mondiale possiede ora il 76% di tutta la ricchezza; questa è cresciuta dal 6 al 9% all’anno dal 1995 a oggi, un aumento esacerbato dalla pandemia che ha portato all’incremento «più rapido mai registrato della quota di ricchezza dei miliardari mondiali». In media, la metà più povera della popolazione detiene una ricchezza pari a 2.900 euro per ogni adulto, il 10% più ricco invece possiede 550.900 euro. Per quanto riguarda le disuguaglianze di reddito, attualmente il 10% della popolazione mondiale assorbe il 52% del reddito globale (dati 2021), una quota assai più alta di quella destinata alla metà più povera della popolazione a cui va l’8,5%. Quindi, il 10% ha un reddito di circa 87.200 euro l’anno, la metà più povera della popolazione guadagna 2.800 euro l’anno.

La regione più diseguale è quella del Medio Oriente e del Nord Africa, dove il 10% assorbe il 58% del reddito totale (più che in America Latina). Si tratta quindi della regione che è stata colonia dei Paesi europei dell’ovest e che continua a essere afflitta dal neocolonialismo praticato da questi stessi Paesi e dalle principali potenze mondiali sostenitori dei regimi brutali (cfr. infra).

Nel mondo euromediterraneo questo degrado si perpetua e anche si aggrava dopo la 2a guerra mondiale e successivamente ancora di più con la costruzione dell’Unione Europea. I finanziamenti del piano Marshall andarono innanzitutto allo sviluppo dei Nord e la ricostruzione postbellica si nutrì delle emigrazioni di abitanti dei Paesi mediterranei. Sin dal 1957, l’Europa si configura come l’entità economica nettamente “eurocentrata”. L’egemonia (nel senso forte di pieno dominio) dei Paesi del Nord Europa (Regno Unito, Germania e Francia, anche se quest’ultimo Paese è in parte mediterraneo) è schiacciante. E lo diventa ancora di più a seguito del trionfo della contro-rivoluzione del capitalismo liberista globalizzato: da allora si ha l’escalation dell’erosione della protezione dei lavoratori e della popolazione più debole, la diffusione del super sfruttamento brutale nelle economie sommerse, il boom delle delocalizzazioni di ogni sorta di attività anche negli stessi Sud del mondo mediterraneo sino alla proliferazione di forme di neo-schiavitù. È la fine delle speranze sull’Europa sociale mentre continua l’ipocrisia cinica di una UE “democratica” e “a difesa dei diritti umani”.

Evoluzione reddito , dal Report Word 2022

Evoluzione reddito , da World Inequality Report 2022

Dopo la caduta del muro di Berlino, la progressiva inclusione dei Paesi dell’Est nell’UE è nettamente marchiata dall’orientamento nord-centrico. Mentre si favorisce l’ingresso nell’UE dei Paesi ex-URSS (dopo aver provocato la terribile guerra nella ex-Jugoslavia) non si prende neanche in considerazione la necessità della prospettiva euro-mediterranea e quindi di rapporti privilegiati con i Paesi nordafricani che da sempre hanno avuto scambi di ogni sorta con l’Europa del Sud.

La promozione indiretta e talvolta diretta del pseudo islamismo radicale e del suo terrorismo diventa l’alibi perfetto per giustificare la messa alla gogna dei Paesi della riva sud e est del Mediterraneo. Si finisce anche per esaltare la pseudo identità europea come cristiana in evidente antitesi a quella assegnata al resto del mondo mediterraneo (torna buona la battuta di Ferdinando II,  che del suo Regno diceva “stretto tra l’acqua salata e l’acqua benedetta»).

Questa parte del Mediterraneo è lasciata al degrado economico, sanitario e ambientale secondo la logica implicita del lasciar morire o anche di far morire istigando guerre “locali” in realtà eterodirette dagli USA e dai principali Paesi europei dominanti (Regno Unito, Francia, Germania e anche Italia che pesa tanto nella tragedia libica). E sono questi stessi Paesi i primi a sostenere la guerra alle migrazioni (che non a caso approda all’opera criminale di Frontex [7]). Sono i primi a garantire da oltre 70 anni la perpetuazione della guerra israeliana contro il popolo palestinese così come la guerra della Turchia contro il popolo curdo e ancora altri massacri. Sono sempre gli Usa con i Paesi NATO che sembrano oggi non volere far cessare la guerra russa contro il popolo ucraino.

Non mancano i discorsi retorici come quelli in occasione della prima edizione della  “Giornata del Mediterraneo in cui l’Alto Rappresentante dell’ Unione europea per gli affari esteri e la politica di sicurezza e vicepresidente della Commissione, Josep Borrell, ha dichiarato: «Dobbiamo lavorare insieme per la transizione verde, mirando a sfruttare le abbondanti risorse solari, eoliche e idriche esistenti nel Mediterraneo e a costruire un sistema energetico completamente nuovo». In questa occasione – come in altre simili – si proclama che «le nostre relazioni sono basate e devono basarsi su una piattaforma ben più ampia» [accantonando le vicende dei conflitti e delle migrazioni e quindi le responsabilità europee rispetto a questi fatti].

Al Forum regionale dell’Unione per il Mediterraneo e alla riunione ministeriale UE “Vicinato Meridionale”, recentemente svoltasi a Barcellona, si è discusso di come fare del Mediterraneo una piattaforma di “progressi condivisi” [8]. Anche qui si ricorda (ma se ne esclude la ricerca delle cause) che: 

«secondo i dati della Banca mondiale, nel 2020 il PIL pro capite nei Paesi del vicinato meridionale dell’UE è stato in media 6 volte inferiore a quello dell’UE (e 6,8 volte inferiore se si considerano solo i quattro paesi del Maghreb). Mentre in Europa stiamo invecchiando rapidamente, la popolazione dell’altra sponda è molto più giovane: il 31% degli abitanti ha meno di 14 anni, mentre in Europa sono appena il 15%. Dal 1990 la popolazione dell’UE è cresciuta del 6,5%, mentre quella dei dieci Paesi del vicinato meridionale è cresciuta del 72%». [ma ovviamente non si dice nulla sulle responsabilità dei Paesi europei]. 

Ed ecco subito reiterata la retorica demagogica e ambigua:

«A beneficio delle società di entrambe le sponde dobbiamo collaborare per affrontare le discrepanze e le tensioni e arginare la “fuga dei cervelli” giungendo a una migrazione più ordinata. … Dobbiamo impegnarci per imprimere una svolta positiva. Dobbiamo imparare gli uni dagli altri, gettare ponti, favorire gli scambi umani e culturali [evidentemente le migrazioni non lo sono!]. Ma occorre soprattutto migliorare le condizioni di vita, concentrarsi sulla creazione di posti di lavoro e sulla crescita economica. Perché solo grazie a uno sviluppo economico e umano più inclusivo riusciremo ad eliminare il divario economico e di ricchezza, colmando le distanze che ci separano» (discorso di Josep Borrell). 

103309231_maxÈ dal 1995 che è stato varato il cosiddetto processo di Barcellona, e poi nel 2008 l’Unione per il Mediterraneo che riunisce gli Stati membri dell’UE e 15 Paesi delle sponde meridionali e orientali del Mediterraneo. La cosiddetta “Agenda per il Mediterraneo” dovrebbe «promuovere lo sviluppo economico sostenibile costruendo società più inclusive ed eque». Per far questo il nuovo Piano economico e di investimenti per il Vicinato meridionale dell’UE stanzierebbe «fino a 7 miliardi di euro per il periodo 2021-2027 nella regione, che potrebbe poi attirare fino a 30 miliardi di € di investimenti privati e pubblici nella regione nei prossimi dieci anni». Un miraggio che non manca di suscitare fameliche attese da parte dei dominanti locali dei Paesi mediterranei, sempre pronti a spartirsi la torta con le lobby che dominano l’UE e quindi con le imprese dei Paesi del Nord Europa che come d’abitudine si accaparreranno gli appalti [9].

Intanto il Mediterraneo si sta riscaldando a un ritmo superiore del 20% rispetto al resto del mondo.  Mister Borrell è notoriamente uno dei principali euroburocrati e necessariamente in continua relazione con le lobby che infestano la Commissione europea; fra i suoi tanti incarichi ha partecipato anche alla definizione di quella tassonomia che a beffa della promessa transizione ecologica ha rinnovato il permesso alle energie fossili (petrolio e gas) ed è anche uno dei primi responsabili delle scelte militari europee. Ma, con nonchalance rilancia: «Dobbiamo fare in modo che la COP 27, in programma in Egitto il prossimo anno, costituisca una pietra miliare per questo rinnovato impegno».

Così gli euroburocrati come mister Borrell non si preoccupano minimamente del bilancio quantomeno disastroso di questi quasi trent’anni dall’inizio del “processo di Barcellona”: non solo deludente, ma segnato da fatti esattamente opposti al discorso retorico prima citato. Chi ha provocato la guerra in Libia, in Siria, la riproduzione di quella in Libano, le elargizioni di soldi o “pizzo” alle bande e milizie per la guerra alle migrazioni o per proteggere i siti dell’estrattivismo italiano e di altri Paesi europei? [10] Chi avalla i regimi iper corrotti e criminali del Marocco, di Erdogan, dell’Egitto, della Libia, della Siria ecc. ecc.? Chi continua a trattare i territori dei Paesi della riva sud ed Est come discariche o luoghi in cui si può operare senza tema ogni sorta di devastazione e supersfruttamento, delocalizzazioni schiavizzanti o zone di rapina usando anche la criminalità organizzata transnazionalizzata (vedi ancora capitoli su Tunisia e Turchia in Resistenze … op. cit.). La “cartina di tornasole” che smaschera la retorica demagogica e ambigua prima evocata la si vede bene anche negli stessi Sud dei Paesi dell’Europa meridionale, cioè in Grecia, in Francia e in Italia che vedremo dopo in dettaglio.

A titolo approssimativo ecco qui i dati relativi al divario fra il PIL pro-capite nei Paesi del Sud Mediterraneo e quello dei paesi del Nord Europa.

Divario PIL procapite fra Paesi del Sud Mediterraneo e Paesi del Nord Europa (dati del 2020) 

Paesi Reddito procapite % rispetto alla Germania Paesi Reddito procapite % rispetto alla Germania
Marocco 3.009 $ 6,6 Bulgaria 9.971 $ 21,8
Palestina 3.239 $ 7,1 Croazia 13.828 $ 30,2
Algeria 3.310 $ 7,2 Grecia 17.676 $ 38,7
Tunisia 3.929 $ 8,6 Spagna 27.057 $ 59,2
Egitto 3.547 $ 7,8 Italia 31.676 $ 69,3
Libia 3.699 $ 8,1 Italia del Sud 22.363 $ 48,9
Libano 4.891 $ 10.7 Francia 38625 $ 84,5
Albania 5.215$ 11,4 Germania 45.723 $ 100
Serbia 7.666 $ 16,8 UK 40.284 88,1
Turchia 8.538 $ 18,7 Paesi Bassi 52.304 114,4

copertina-umanita-a-perdereAl convegno “Lo sviluppo sostenibile: didattica, ricerca e innovazione nel campo agroalimentare per l’agenda 2030”, organizzato dalla Sapienza Università di Roma, FAO e Segretariato di PRIMA, il report mostra il crescente divario tra i Paesi del nord e sud del Mediterraneo, nel breve (2020) e lungo periodo (2030), documentando le forti differenze tra le due macro aree per la gestione delle risorse idriche, i sistemi di allevamento e la sostenibilità agroalimentare. Si sottolinea altresì il ruolo chiave dei cambiamenti climatici e le sfide relative alla nutrizione [11]. 

Il divario Sud-Nord in Italia

Com’è ben noto la letteratura sulla questione meridionale è assai vasta, ma non è casuale che in questi ultimi trent’anni sembra ben poco rinnovata. La grande maggioranza dei ricercatori meridionali non sembrano impegnati in questo campo. Appare allora possibile pensare che la “marginalità storica” a cui è stato relegato il Mezzogiorno d’Italia abbia accentuato il suo effetto a seguito delle conseguenze del trionfo del capitalismo liberista. Ricordiamo che ancora verso la fine degli anni ‘60 ci fu invece un valido impegno di alcuni intellettuali nella critica delle tesi antimeridionaliste (fra altri gli autori [12]). Ma appare evidente che insieme al capitalismo liberista c’è stato un ritorno del nordismo che al di là della Lega ha permeato un po’ tutti i campi. Da notare fra l’altro le crociate contro il sud accusato di essere parassita e avvezzo solo al clientelismo assistenzialista e alle mafie.

Ed è proprio dal 1970 a questi primi anni venti del XXI° secolo che s’è accentuato il degrado del Sud. I siti industriali – le celebri cattedrali nel deserto – hanno lasciato solo macerie (vedi la SicilFiat, il petrolchimico di Gela e prima le fabbriche della Regione siciliana) e soprattutto un inquinamento gigantesco che di fatto non si sta bonificando (si pensi all’area del petrolchimico di Augusta-Priolo, a quello di Gela, a quello di Taranto e ancora a tanti altri a fianco poi della “terra dei fuochi” ecc.). Il primo programma di cui ha necessità il Sud è un gigantesco programma di bonifiche effettive. Ma di questo non se ne parla.

«Nessun Paese presenta oggi in Europa un divario economico e territoriale tanto profondo come il nostro», scrive Lepore [13]. Ma la sua illusione è che «la “questione meridionale” stia per diventare a tutti gli effetti una problematica di livello europeo, che, solo nell’ambito di una più ampia valutazione del rapporto tra le aree economicamente progredite e quelle in condizioni di arretratezza del Vecchio Continente, può trovare collocazione in una nuova prospettiva di sviluppo». Pie illusioni se si guarda che i vari progetti e finanziamenti in questo ambito non sono serviti a gran che e anzi hanno avuto spesso effetti nefasti (per esempio esubero enorme di macchinari e mezzi vari che hanno squassato i terreni o proliferazione di serre super inquinanti, monoculture antitetiche all’ecosistema e indebitamento rilevante di tanti beneficiari attratti da azzeccagarbugli abili ad approntare tale genere di progetti peraltro in parte captati dalle mafie). E non è un caso che proprio in questi ultimi decenni si assista alla ripresa dell’emigrazione sia verso l’estero sia verso il nord Italia [14].

dopo-familismo-cosa-tesi-confronto-sulla-questione-1cff1536-21e9-40e8-ae43-c259164aa871Al Forum ‘Verso Sud’ (maggio 2022) il ministro Franco (di fatto vice di Draghi) a proposito del divario Sud-Nord ha detto: «Dopo una fase di grande recupero nel dopoguerra, dagli anni 80 non sono stati fatti sostanziali progressi. Il Pil pro capite è al Sud il 55% di quello del Nord. È un divario enorme». Ha poi continuato con un discorso generico sulla necessità di «conseguire tassi di crescita più robusti e imprimere una forte cruciale accelerazione all’economia del Mezzogiorno (…) riavviare la convergenza tra le due aree del Paese» (…) Il Pnrr è un’opportunità nuova, ma da solo non basta. (…) Bisogna utilizzare tutti i fondi a disposizione e “saper spendere” le risorse, con una capacità “adeguata” di realizzare i progetti».

Tra gli elementi di divario Franco ha citato la qualità dei servizi pubblici, ma anche la formazione dei giovani: «Nel Mezzogiorno la quota di giovani che completa il ciclo di scuola superiore è di 7 punti percentuali più bassa che nel Centro-Nord. Molti giovani emigrano portando altrove il loro capitale umano». E infine ha aggiunto: «Non basta spendere, occorre realizzare un’opera che funzioni (…) Si deve guardare ad una strategia “complessiva” che vada oltre anche temporalmente ai limiti del Pnrr  [ansa].

Insomma, un discorso generico, paternalista verso i meridionali per non farli sentire dimenticati. Ma quale sarebbe la “strategia complessiva” a cui allude Franco? Come non avere l’impressione che si tratti solo di chiacchiere un po’ demagogiche? E come non temere che i fondi PNRR andranno a finire nelle tasche dei soliti speculatori o di opere ancora una volta devastanti?

Decine e decine di studi e rapporti SVIMEZ (certo alcuni farlocchi e inutili) permettono di mettere a nudo le questioni effettivamente cruciali: non solo le mafie e la corruzione precisamente alimentate dalle autorità istituzionali e politiche da sempre, ma la negazione di un indispensabile programma di risanamento dell’assetto economico, sociale, culturale e politico. Se le mafie riproducono la loro forza e il consenso è perché di fatto possono porsi come l’impresa che può offrire prospettive di sopravvivenza se non di reddito soddisfacente. Tutti i fondi europei e nazionali destinati ai Sud sono stati elargiti persino alle mafie e ad opere o imprese che hanno contribuito alla devastazione del territorio, all’inquinamento, ad attività peraltro senza futuro (si pensi fra altro alla marea di serre o di coltivazioni dannose rispetto all’ecosistema). Fra l’altro, recenti risultati dei discutibili test Invalsi mostrano che i ragazzi ad avere maggiori difficoltà a scuola sono quelli in condizione di svantaggio socio-economico, con background migratorio e residenti nel sud Italia. Ovviamente, la causa sta nell’offerta educativa del tutto debole a causa della mancanza di investimenti [15].

I Sud potrebbero essere territori ricchi e floridi se si adottasse un programma (sia di bonifica del disastro sinora alimentato sia di sviluppo effettivamente ecosostenibile) di produzione biologica – senza bisogno di alcun marchio – e di turismo responsabile. La prima questione che va posta è che i Sud dell’Italia sono stati condannati al degrado, alla devastazione e alla corruzione perché la costruzione europea e lo sviluppo economico dell’Italia sono stati sfacciatamente Nord-centrici. I Sud hanno perciò subìto lo stesso destino tragico riservato alle società dell’area frontaliera del Mediterraneo: solo se il mondo mediterraneo non sarà più marginalizzato, massacrato e costantemente degradato, anche i Sud dell’Italia potranno costruirsi un futuro sostenibile e senza bisogno di paternalismi e di elemosine. 

Dialoghi Mediterranei, n. 56, luglio 2022 
Note
[1] Resistenze ai disastri sanitari. Ambientali ed economici nel Mediterraneo, Derive/Approdi, Roma 2018 (con capitoli su Turchia, Tunisia, Libano e sul sud italiano)
[2] «Il cambiamento radicale delle politiche migratorie: dal lasciar vivere al lasciare morire» (dalla biopolitica a sempre più tanatopolitica): https://www.scielo.br/scielo.php?script=sci_arttext&pid=S1980-85852021000100033&lng=en&nrm=iso&tlng=it; “La guerra alle migrazioni nel XXI° secolo”, in Umanità a perdere. Sindemia e resistenze, a cura di Osservatorio Repressione, Momo Edizioni, 2021; “Aporie demo-politiche e approdo dell’Europa alla tanatopolitica”, http://effimera.org/aporie-demo-politiche-approdo-delleuropa-alla-tanatopolitica, 2021
[3] Wallerstein, I., The modern world-system II. Mercantilism and the consolidation of the European world-economy, 1600-1750, New York 1980 (it.: Il sistema mondiale dell’economia moderna II. Il mercantilismo e il consolidamento dell’economia-mondo europea 1600-1750, Il Mulino, Bologna 1982). Vedi anche https://www.treccani.it/enciclopedia/economia-mondo_%28Enciclopedia-delle-scienze-sociali%29/
[4] Il neocolonialismo si configura come la fase del dominio dei paesi più ricchi e potenti nei confronti dei paesi dei Sud ex-colonie proprio come vanificazione della loro indipendenza assoggettandoli attraverso i meccanismi finanziari, dello scambio diseguale e la corruzione dei governanti. Così le ex-colonie sono rese economicamente sempre più dipendenti. Il primo uso documentato del termine neocolonialismo faceva riferimento alla politica francese in Algeria nel 1959 e nel 1961 il termine divenne più ampiamente utilizzato in relazione alla condizione di diversi paesi dei Sud (fra altri da Perry Anderson e Stuart Hall New Left Review nel 1961). Che Guevara lo usò in un discorso del 1962 all’Unione dei Giovani Comunisti; il leader della liberazione nazionale ghanese, Kwame Nkrumah, pubblicò il libro Neo-Colonialism, the Last Stage of Imperialism, Thomas Nelson & Sons, Ltd., London, 1965
[5] Vedi anche Resistenze ai disastri sanitari. Ambientali ed economici nel Mediterraneo, 2018
[6] https://asvis.it/home/4-10926/disuguaglianze-globali-ai-massimi-storici-il-10-piu-ricco-emette-il-50-della-co2
[7] https://www.osservatoriorepressione.info/lue-speso-oltre-340-milioni-euro-la-tecnologia-intelligenza-artificiale-controllo-delle-frontiere-la-nuova-legge-non-riesce-regolamentare
[8] https://www.eeas.europa.eu/eeas/il-mediterraneo-come-luogo-comune-costruire-un-futuro-condiviso_it
[9] “Le lobby a Bruxelles sono 13.528, +18% in 5 anni”: https://www.truenumbers.it/lobby-significato-bruxelles/ ; Sylvain Laurens, Lobbyists and Bureaucrats in Brussels. Capitalism’s Brokers, Routledge, 2018
[10] http://effimera.org/lo-sporco-baratto-italo-libico-neo-genocidio-liberista-dellue
[11] http://www.primaitaly.it/wp-content/uploads/2019/06/AGRIFOODMED-Delphi-Final-Report.pdf
[12] A. Pizzorno, «Familismo amorale e marginalità storica ovvero perché non c’è niente da fare a Montegrano» (1967) https://journals.openedition.org/qds/1612. Su “questione Mezzogiorno”, società e potere vedi https://www.treccani.it/enciclopedia/la-questione-del-mezzogiorno-societa-e-potere_%28Cristiani-d%27Italia%29/; Cerase F.P. (a cura di), Dopo il familismo, cosa? Tesi a confronto sulla questione meridionale negli anni 90, F. Angeli, milano, 1992
[13] Amedeo Lepore, L’evoluzione del divario tra il Nord e il Sud dal dopoguerra a oggi https://estudioshistoricos.org/23/eh2308a.pdf
[14] Lo spopolamento di centinaia di comuni meridionali continua con l’emigrazione verso le grandi città della penisola soprattutto quelle del Nord e verso l’estero Vedi qui: – 2019: “Non-paradossi delle mobilità umane del XXI secolo”, https://www.kabulmagazine.com/non-paradossi-mobilita-umane/). Ne parlo anche in San Cono. Migrazioni ed emancipazione, Mimesis, Milano, 2021, recensito qui, Dialoghi Mediterranei, n. 55, maggio 2022  https://www.istitutoeuroarabo.it/DM/memorie-di-famiglia-storie-di-vita-di-una-comunita
[15] Vedi Antonella Inverno:
https://www.lastampa.it/cultura/2022/05/24/news/studenti_in_crisi_per_una_scuola_da_ripensare_
ecco_la_verita_sui_quindicenni_da_bocciare-4497279/

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Salvatore Palidda, già docente di Sociologia presso l’Università degli Studi di Genova, per più di tredici anni presso l’École des Hautes Études en Sciences Sociales di Parigi e il Cnrs francese e poi in Italia dal 1993. E’ stato esperto presso l’Ocse, ricercatore per la Fondation pour les Études de Défense Nationale, per l’Institut des Hautes Études pour la Sécurité Intérieure, per il Forum Europeo per la Sicurezza Urbana, è autore di oltre 90 pubblicazioni in lingue straniere e oltre 90 in italiano. Tra le altre in italiano si segnalano: Polizie, sicurezza e insicurezze (2021), Resistenze ai disastri sanitari, ambientali ed economici nel Mediterraneo (2018), Mobilità umane (2008), Polizia postmoderna (2000). Oltre che qui pubblica articoli su https://blogs.mediapart.fr/salvatore-palidda/bloghttp://effimera.org/tag/salvatore-palidda/e altri siti; il suo cv e la lista delle sue pubblicazioni qui: https://unige-it.academia.edu/SalvatorePalidda/CurriculumVitae

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