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Il Buddhismo in Italia: dalle teorie alle prassi

copertina3di   Maria Immacolata Macioti

Sono ormai decenni che mi interesso dei fenomeni religiosi, e come tanti altri colleghi interessati a questo ampio settore da tempo sono rimasta colpita dai mutamenti in merito occorsi in Italia e in genere in Europa.  Ho infatti incontrato varie forme di credenza, ho visto cambiare notevolmente le percentuali delle religioni diverse dal cristianesimo, svilupparsi le presenze islamiche, comparire sempre più buddhismo e forme di hinduismo.

Tutte realtà, quelle delle religioni altre  rispetto al cattolicesimo, in parte già note e presenti in Italia prima degli anni ’80 del XX secolo, quando ci si è accorti della presenza di immigrati, presenza ormai visibile, significativa. Da allora, in genere il tema del pluralismo religioso è stato abbinato a quello degli immigrati. Il che è in parte comprensibile: ma non va dimenticato che in realtà le religioni altre –  già in parte presenti e diventate ora più visibili – sono state molto attrattive anche per gli italiani. Stefano Allievi ad esempio da decenni studia le conversioni all’Islām degli italiani, tema che ha recentemente ripreso in una pubblicazione dell’editore Guida di Napoli, con il libro Conversioni. Un nuovo modo di credere? Europa, pluralismo, Islam. Per varie ragioni, tra cui certamente la rilevanza numerica, la realtà musulmana è in Italia tra le più seguite e studiate.

Io invece, per varie ragioni, ho avuto sempre più interesse verso altre credenze religiose e spirituali, tra cui  il complesso mondo del buddhismo. Interesse che ha voluto dire contatti con l’UBI, Associazione Buddhista Italiana, per cui ho partecipato a vari congressi, a partire da alcuni della tradizione Sōtō Zen, con Taiten Guareschi, presidente UBI dal 1990 al 1993;  ho avuto  contatti con Massimiliano Polichetti, studioso della realtà indo-tibetana, all’epoca curatore del Museo Nazionale d’Arte Orientale fondato da Tucci, su cui tornerò più avanti, membro della Fondazione Maitreya; ma anche con l’amico e collega della Sapienza Riccardo Venturini, studioso degli stati di coscienza e dei livelli di vigilanza in Occidente, oltre che delle psicologie tradizionali orientali, impegnato nel dialogo interreligioso. Avevo conosciuto anche Pio Filippani Ronconi, che è stato, ormai già molto anziano, mio ospite alla Sapienza, e molti altri studiosi di questa interessante, complessa realtà.

In un primo momento ho studiato, su richiesta di alcuni addetti alle pubbliche relazioni,  Fiorella Oldoini e Roberto Minganti, la Soka Gakkai, un movimento a sé rispetto all’UBI, di origini giapponesi: argomento su cui si tornerà più avanti. Ed ecco il libro da me curato Il Sūtra del Loto. Un invito alla lettura (Guerini 2001), oltre a uno studio intitolato Il Buddha che è in noi, riguardante la SG. Poi, dopo il 2002, ho lavorato soprattutto con la Fondazione Maitreya, di cui non da oggi sono uno dei garanti, e con l’UBI. Mi sembra infatti che il buddhismo, pur non essendo una realtà maggioritaria, in Italia, sia per più versi interessante, vivace  e significativo. Devo dire che già se ne era interessata mia madre, per cui avevo potuto leggere in casa alcuni testi ben noti in merito, prima ancora di frequentare all’università i corsi sulle Religioni dell’India e dell’Estremo Oriente e di studiare i libri di Tucci.

Buddha StatueIn primo luogo, va detto che il buddhismo è ormai diffuso, in molteplici rami, in Occidente. È presente nelle Americhe e in Canada, in Europa e altrove. Ha attirato l’attenzione delle classi medie e alte, quella di importanti nomi dello spettacolo e degli studi. Ma è presente anche tra gli immigrati, quindi negli strati meno favoriti della società. Si tratta di una realtà che, come ho avuto modo di ricordare altre volte, ha inciso non solo sulla cultura, sulla vita quotidiana di molti: ha inciso anche sul paesaggio, poiché oggi in Italia esistono monasteri, centri buddhisti, luoghi di culto molto visibili e consolidati, di varie tradizioni. Esistono nelle grandi città ma anche nelle campagne. Bandiere da preghiera si muovono al vento, piccoli e meno piccoli stupa custodiscono preziose reliquie, e sempre più popolari sono cerimonie quali la preparazione del tea, o addirittura quella del mandala, che chiede gli sforzi, in genere, di più monaci, in più giorni, canti e preghiere, musiche, polveri colorate e concentrazione: non vi sono schemi scritti, visibili, cui riferirsi mentre si costruisce questa rappresentazione simbolica dell’universo, del cosmo, tipica del buddhismo Vajrayana. Che sarà poi velocemente distrutta, come insegnamento ulteriore della impermanenza.  Anche le colorate vesti dei monaci e delle monache, i loro capi rasati sono oggi più tranquillamente accettati di quanto non lo fossero ieri, così come lo è il suono dei tamburi, dei cimbali, delle campane tibetane, delle preghiere.

Una ricostruzione di molti percorsi ci è offerta da un recente libro pubblicato dall’editore Guida di Napoli. Si tratta di un’opera di  Maria Angela Falà, Un altrove possibile Viaggio tra vissuti e immaginari del dharma in Italia, edito nel 2016. Un libro che, in  218 dense pagine, ci porta dal lontano Oriente all’Occidente attraverso vari indirizzi, molteplici scuole di pensiero.

Un altrove possibile, è il suggestivo titolo. Segue un sottotitolo che circoscrive alla situazione italiana una materia che è qui certamente ben più complessa, poiché si chiamano in causa Paesi in cui il buddhismo vanta antiche radici – India ma anche Tibet, Cambogia, Mongolia, Cina e Giappone –  e più recenti Paesi d’arrivo. Tanto che vi possiamo trovare  diversi Stati europei, da quelli più nordici all’Italia appunto, ma anche Usa, Sud America Australia ecc. Un vasto panorama quindi, che richiama diverse affiliazioni teoriche, una pluralità di maestri, nomi molto noti e altri forse al momento meno consolidati.

Il tema del buddhismo viene affrontato, dopo una interessante Introduzione, in cinque densi capitoli, di cui i primi due trattano delle origini. Il primo insiste da subito sul nesso tra teoria e pratica, sulla sperimentazione del Dharma. Lo chiamarono Buddhismo, recita uno dei paragrafi, che ci introduce poi a Il Fondatore. Alla scelta della Via, alla diffusione. Il secondo affronta il tema del Passaggio a Occidente. Come si muove il buddhismo, forse una filosofia, forse una religione, uscendo dai Paesi di origine, andando verso il tecnico, teoricamente razionale Occidente? Come si attua poi il passaggio dalla teoria, dai testi sapienziali, alla pratica? Come si articola la presenza buddhista oggi in Europa? Certo siamo di fronte a una imprevista novità: esistono oggi, in terre occidentali, delle Unioni buddhiste nazionali. Esiste persino una Unione Buddhista Europea, che l’autrice ben conosce e di cui offre un rapido quadro storico, mentre ne tratteggia le principali linee, dando anche notizia di varie rielaborazioni.

Quanti sarebbero, i buddhisti in Europa? Tre o quattro milioni circa. Un numero non ben definito perché «nel buddhismo non vi è un atto ufficiale di conversione e pertanto non vi è un registro per i buddhisti, salvo (…) in alcune nazioni». Chi è allora buddhista? «Per definire un praticante buddhista normalmente si considera  chi da almeno due o tre anni ha ‘preso rifugio’ nel Buddha, Dharma e Sangha, atto fondamentale per essere considerati buddhisti, e segue con costanza la pratica, frequentando gruppi, seminari, ritiri». Esistono poi, sottolinea l’autrice, molti simpatizzanti. Ma quel che più interessa non sono tanto le cifre –  spiega la Falà – quanto la qualità della pratica, la motivazione, da cui poi il lavoro spirituale.

Apprendiamo che oltre gli incontri degli associati vi sono assemblee degli insegnanti buddisti, occidentali o orientali che operano in Europa, in genere, a scadenza annuale, in corrispondenza con la riunione associativa cui offrono «stimolo e supporto». Quali sono i principali motivi di attrazione? –  si interroga la studiosa – che in realtà ha alle spalle una importante, pluridecennale diretta esperienza.

http://www.dreamstime.com/stock-photography-head-buddha-white-black-background-image39922902A suo giudizio, abbiamo ormai in Europa una presenza buddhista stabile, che potrebbe dare vita a un ‘buddhismo all’occidentale’, almeno in America settentrionale, Europa e Australia. Un discorso comunque complesso, ché i buddhismi in Oriente sono molti, come molti sono ormai i gruppi, le scuole in Occidente. Molteplici, quindi, le motivazioni. Si va dal carattere non dogmatico dell’insegnamento alla spinta alla sperimentazione in campo di comprensione intuitiva e meta razionale, accanto alle più usuali forme del pensiero logico-discorsivo. Dalla tendenza anti-autoritaria dell’insegnamento al vivo rapporto con le scienze. A tutte queste motivazioni l’autrice aggiunge quella della presenza di maestri qualificati, ormai sia orientali che occidentali.

Compare quindi  il ‘laboratorio Italia’, dove la parola ‘laboratorio’ riveste significati di pluralità, di continuità e rielaborazione, di mutamento. Apprendiamo così di primi interessi già in secoli passati, almeno del XVIII secolo; di luoghi di studio importanti a livello mondiale, come l’Orientale di Napoli; di studiosi di grande impatto e rilievo, come Giuseppe Tucci  (1894-1983), che aveva aperto una scuola di orientalisti nell’università di Roma, accademico d’Italia. La Falà ricorda al proposito le migliaia di manoscritti e reperti conservati fino a tempi recenti nel Museo Nazionale di Arte Orientale in Roma, a lui dedicato, oltre che all’Isiao, Istituto Italiano per l’Africa e l’Oriente.

Un discorso oggi doloroso, quest’ultimo, poiché non è chiaro dove e come sarà possibile fruire ancora di questo grande patrimonio, dopo la chiusura dell’Isiao, e il conseguente accumulo dei suoi preziosi materiali in casse oggi tenute da qualche parte presso il Ministero degli Esteri, dal 2011. Scrive la Falà: «Nonostante gli appelli di intellettuali, universitari e cittadini, una tale ricchezza di reperti e libri, alcuni assolutamente unici, da molti invidiata, è in via di degrado e scomparsa di fronte al mondo della burocrazia e dell’insipienza italica». Non solo: si è avuto lo spostamento del Museo da via Merulana all’Eur, in seguito agli accorpamenti voluti da  Franceschini all’epoca Ministro dei Beni Culturali e Turismo: anche lì, difficile dire se e quando sarà possibile consultare quello che era un rilevante patrimonio culturale.

Però la Falà non si limita a questi pur rilevanti nominativi e, venendo verso l’oggi, ricorda vari studiosi e maestri tra cui Riccardo Venturini e Corrado Pensa, Giorgio Colli e Giangiorgio Pasqualotto, e persino gli studi di orientalistica di Massimo Cacciari e di Emanuele Severino,  fino a Roberto Assagioli, fondatore del metodo della psicosintesi e molti altri, forse meno noti. Si trovano qui notizie sui principali gruppi e movimenti, Soka Gakkai compresa, oltre che sull’UBI, Unione Buddhista Italiana e i suoi presidenti. Fino ad arrivare all’Intesa con lo stato italiano (11 dicembre 2012), con il carico di aspettative e difficoltà che ciò ha inevitabilmente comportato.

Gruppi etnici a parte, esistono altre comunità buddhiste poliedriche, di cui qui si fa cenno. Interessanti le riflessioni sul buddhismo nella società italiana: l’autrice sottolinea il dato significativo delle presidenze di donne, laddove in genere sono dominanti modelli maschili. E sottolinea invece come dato problematico le difficoltà di un ricambio generazionale: si tratta degli stessi nomi che si alternano e ripetono. Il capitolo presenta quindi un esame delle iniziative interconfessionali portate avanti negli ultimi anni, anche con il Pontificio Segretariato per il Dialogo, oggi attività inserite in quelle della Conferenza Episcopale Italiana, iniziative cui si è sempre avuta una larga partecipazione, con diverse realtà compresenti, con grande attenzione agli interventi previsti ma anche alle musiche, i fiori, ai colori e in genere a quella che si potrebbe chiamare la scenografia.

3E,  infine, si affronta un tema oggi di grande attualità, quello della comunicazione: troviamo qui, a ragione, riferimenti alla prestigiosa casa editrice Ubaldini Astrolabio, alla rivista «Paramita» fondata da Vincenzo Piga, al periodico «Dharma», organo ufficiale della Fondazione Maitreya –realtà intesa a far conoscere il buddismo – , che promuove attività culturali varie, « anche in dialogo con altre religioni e filosofie».

Quindi, un quarto capitolo è intitolato Uno sguardo dall’oggi al domani, in cui tornano il tema del Dharma in Asia, il passaggio verso Nord-Ovest, ma anche i mutamenti indotti in Oriente. Troviamo qui interessanti e ricche conclusioni.

Ci imbattiamo, in questo testo, in nomi ben noti e in altri per l’Italia meno immediatamente riconoscibili, in buddhismi tradizionali e in altri che sono invece più recenti, meno immediatamente riconoscibili a largo raggio. Si parla di adattabilità e contro cultura, del buddhismo inteso come una religione scientifica – per gli italiani, un concetto, questo,  quasi paradossale e certamente fascinoso. Si parla di buddhismo impegnato e di scuole dove i giovani sono lasciati molto liberi, da cui un certo inevitabile, già contemplato e ipotizzato smarrimento. Di antiche scuole e di gruppi di più odierne meditazioni on line. L’autrice si sofferma su alcune scuole tra cui lo Zen, che ha avuto in Occidente un forte seguito, tanto da avere influenzato il costume e il mercato, non senza rischi per la dottrina. Emergono il tema della ricerca di equilibri tra tradizione e innovazione, quello della globalizzazione, sempre affascinante, e al contrario si parla poi di rischi del personalismo. Della doppia esigenza di maestri che vengano dall’Oriente, ma anche di giovani e meno giovani maestri occidentali. Delle interpretazione psicologizzanti del buddhismo e del buddhismo come opera collettiva.

Un approccio quindi sempre interessante e problematico, tale da far comprendere questo grande, diffuso interesse in merito, ben percepibile non solo in Italia, da cui  la grande presenza, con annessi rischi, della dottrina.  E si toccano anche temi più pratici, vedi l’Intesa con lo Stato italiano con tutto quello che ciò ha implicato in fatto di aspettative da parte di singoli gruppi e appartenenze, quindi con difficoltà di scelte e gestione.

Leggendo questo libro, infine capisco meglio i tanti perché di un mio stesso più che decennale interesse per questa poliedrica, interessante, variopinta realtà, di grande fascino.

Dialoghi Mediterranei, n.31, maggio 2018
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Maria Immacolata Macioti, già professore ordinario di Sociologia dei processi culturali, ha insegnato nella facoltà di Scienze politiche, sociologia, comunicazione della Sapienza di Roma. Ha diretto il master Immigrati e rifugiati e ha coordinato per vari anni il Dottorato in Teoria e ricerca sociale. È stata vicepresidente dell’Ateneo Federato delle Scienze Umane, delle Arti e dell’Ambiente. È coordinatrice scientifica della rivista “La critica sociologica”  e autrice di numerosissime pubblicazioni. Tra le più recenti si segnalano: Il fascino del carisma. Alla ricerca di una spiritualità perduta (2009); L’esperienza migratoria. Immigrati e rifugiati in Italia (con E. Pugliese, nuova edizione 2010); L’Armenia, gli Armeni cento anni dopo (2015).
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