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Frantz Fanon, il colonialismo culturale e l’imperialismo sanitario

Franz Fanon

Frantz Fanon

di Francesco Valacchi

Partiamo da alcuni presupposti crudi ma reali. Come primo punto in regioni come l’Africa subsahariana, dove l’AIDS rappresentava ancora la causa di 320 mila morti nel 2018, il fatto che l’attuale pandemia nei suoi primi mesi sia stata un problema molto meno grande di ciò che appare nei Paesi più avanzati economicamente è innegabile. Inoltre, e questo è forse ancor più tragico, il fatto che le organizzazioni che dovrebbero gestire a livello planetario l’emergenza sanitaria si siano limitate a lanciare l’allarme Coronavirus a posteriori su situazioni disperate come quella, appunto, africana (Continente nel quale solo l’6,7% della popolazione è stato vaccinato) ma non abbiano emesso che proclami sottotraccia durante la scellerata corsa nazionale alla produzione dei vaccini e durante l’ancor più colpevole utilizzo dei vaccini come mezzo diplomatico. Eppure il vaccino rimane l’unico, seppur claudicante, mezzo per affrancarsi dall’epidemia che abbiamo.

L’epidemia di Coronavirus è nata e si è diffusa nei Paesi economicamente avanzati, è avanzata senza colpo ferire grazie ai mezzi di comunicazione e condivisione di spazi fisici che i Paesi sviluppati hanno a disposizione per moltiplicare l’accumulazione del capitale a livello globale, è stata decretata pandemia da organizzazioni che vedono la partecipazione macroscopica di Paesi avanzati pur rappresentando (teoricamente) l’intera comunità internazionale, eppure sta gravando essenzialmente sui Paesi meno sviluppati, in particolare in Africa. La tragedia del Coronavirus che stiamo vivendo è causata e dichiarata dal fronte dei Paesi avanzati (nord del mondo o Paesi sviluppati che dir si voglia) e il prezzo, spropositato, sarà pagato dai Paesi meno sviluppati.

Frantz Fanon descriveva, in un certo senso prevedendo l’attuale catastrofe sanitaria, molto di quello che sta accadendo, con i suoi concetti di alienazione del nero (inteso come il soggetto interessato dalla colonizzazione occidentale), di sindrome psichica del nero nel riconoscersi inferiore al bianco e di “processo di lattificazione” ovvero imposizione di ogni singolo aspetto della cultura europea interiorizzato come bene al quale tendere da parte di ogni altro tipo di cultura. La necessaria rivendicazione della salute mentale da parte dei popoli in via di decolonizzazione era la base per liberarsi da questa complessa sindrome del nero e del decolonizzato ed è forse paragonabile alla necessità di liberarsi dai metodi di cura e prevenzione del virus diffusi dai Paesi avanzati.

Per Fanon rivoluzionario e Fanon psichiatra uno degli effetti più deleteri e disumanizzanti del colonialismo è stato la completa sottomissione delle coscienze e dei più profondi aspetti psichici delle vittime dell’estrema propaggine del capitalismo alla cultura occidentale. I colonizzati, i dannati della terra, sono stati asserviti alla dominazione occidentale e alla cultura occidentale e sono diventati strumento dello stesso imperialismo culturale che li ha schiacciati, convincendosi di essere neri (con l’accezione negativa di quota sottosviluppata dell’umanità), ingerendo e processando la certezza di essere colonizzati a giusta ragione, poiché inferiori. I neri hanno assorbito il loro ruolo e hanno di buon grado accettato l’immagine del sottosviluppato contraddistinta da inferiorità culturale, incapacità politica e finanche inferiorità psichica sino a far divenire il loro atteggiamento una reale psicosi e un vero e proprio complesso del colonizzato. 

giorgioriolo-fanonimmagLa psicosi del nero

La figura del nero caratterizzato da comportamento psicotico, ovvero da un’assuefazione, se non un vero e proprio attaccamento, al suo destino di inferiorità, è affrontata a varie riprese da Fanon e dagli studiosi della sua opera [1]. Dalla negritudine espressa dal punto di vista di Fanon, ovvero dal concetto di negro, emergono due dei grandi rimossi della cultura occidentale: il razzismo e la malattia mentale. Questi tabù accompagnano per Fanon la cultura e la filosofia dei Paesi avanzati così come la cultura di massa dei Paesi in via di sviluppo e inevitabilmente soggetti all’egemonia dei Paesi economicamente avanzati. Il nero disumanizzato, descritto dal colonizzatore come un essere poco più elevato di una bestia, è definito come un animale che essenzialmente giustifica, con la sua stessa esistenza, il razzismo.

Il nero pur rendendosi conto di come questo comportamento occidentale lo porti nel vicolo cieco della violenza catartica, la cui descrizione viene effettuata magistralmente in I dannati della terra [2], opera fra le più diffuse dell’autore originario della Martinica, non può difendersi e su adatta. L’opera invece, nella quale vengono approfonditi da Fanon i concetti più propriamente legati alla psichiatria e quindi alla malattia definita come il più profondo turbamento del senso dell’esistenza, è la già citata curatela uscita per i tipi di Ombre corte, casa editrice veronese già dedita a testi riguardanti l’universo della decolonizzazione. I contributi di Fanon raccolti nell’antologia di saggi sembrano proprio avere il filo conduttore della definizione della malattia mentale per il colonizzato e della carica simbolica alla quale il bianco li faceva sottomettere, analizzando in special modo la situazione del mondo musulmano e soprattutto del Maghreb.

Eppure, dietro il leitmotiv regionale e etno-psichiatrico emerge un sinistro rimando a tutto ciò che è stato ed è colonizzazione, economica, politica, psichica e sanitaria. Se da un lato, fin dal primo saggio: Disturbo mentale e disturbo neurologico, pubblicato per la prima volta nella rivista “L’information psychiatrique” nel 1975 [3], si utilizzano le categorie tecniche della psichiatria riportata ad una specifica dimensione sociale ed etnica che sembra concentrarsi su Lacan, dall’altro l’orizzonte rimane quello dell’umanità, rigidamente suddivisa fra sfruttati e sfruttatori. Mentre si approva la definizione lacaniana della follia che afferma: «È tutta vissuta nel registro del senso. E la sua portata metafisica si rivela in quanto il fenomeno della follia non è separabile dal problema della significazione per l’essere in generale, cioè del linguaggio per l’uomo» [4]. 

L’elemento chiave della lettura di Frantz Fanon rimane molto più generale e travalica i confini regionali del Maghreb e dell’Africa del nord: l’elemento chiave è la follia del colonizzato che subisce una sindrome che ne cancella l’identità e lo porta a farsi un ridicolo e controverso emulo del dominatore. Il nero si conforma e accetta di buon grado una doppia alienazione dovuta alla dittatura della soggettività e alla dittatura del colonizzatore [5]. Il nero è condannato ad essere paziente psichiatrico molto più di quanto non lo sia il bianco, soprattutto per la sua alienazione e al contempo è condannato ad essere lontano dalle cure proprio in virtù della sua natura di colonizzato.

4425I meccanismi dell’oppressione bianca sono presi in esame in Pelle nera, maschere bianche, libro nel quale viene esposto il meccanismo con il quale il nero, dopo essere stato costretto a accettare la cultura e conseguentemente la cura occidentale, ovvero la cura comunemente accettata dal bianco, ne viene escluso [6]. Il nero è quindi, ancora una volta, alienato prima dalla sua cultura medica e poi dalla nuova sospirata medicina. 

La medicina bianca, le malattie dei bianchi e la pandemia dei neri

Proprio questo avviene di nuovo, in un ciclo perpetuo di colonizzazione e sostanziale imperialismo, con il fenomeno della pandemia: ogni cura riferibile alla medicina tradizionale anche solo in senso lato è stata disconosciuta come folle, come se fosse lungi dalla realtà qualsiasi tipo di medicina tradizionale. Come se la medicina non occidentale appartenesse, ora in special modo, al campo della più fervida e irreale fantasia. Sebbene almeno fino a giugno 2021 la stragrande maggioranza degli Stati africani mancasse di  una effettiva politica vaccinale il problema centrale è di  tipo molto più etico che logistico. La domanda principale da porsi è quella che afferisce al perché tanta parte della medicina tradizionale africana, ad esempio, è stata ignorata, soprasseduta e bypassata da istituzioni come l’Organizzazione mondiale della sanità almeno fino a metà del 2020 mentre (seppur con un contingente ritardo), altre agenzie dell’ONU, come l’UNESCO, hanno sottolineato l’esistenza di un possibile ruolo di tali pratiche. Per l’Organizzazione preposta alla sanità mondiale (L’OMS) il ruolo della medicina tradizionale è stato pura fantasia sino al termine del 2020 e adesso, dato il tracollo dello strumento del vaccino in Africa, è un mero surrogato.

Eppure la medicina moderna ha dimostrato di essere pressoché irrilevante nel contrasto alla diffusione del virus per oltre un anno e mezzo, e ha finora assunto un ruolo molto più politico che sanitario. Eppure, benché in Africa si muoia di Covid-19 gli africani non possono scegliere un metodo di cura che esuli dalla logica della medicina occidentale se non in casi davvero rari. Nella parte settentrionale del continente africano, sia in Maghreb che in Egitto, sembra che, al prezzo di ingenti risorse economiche, vi sia un embrione di produzione vaccinale, mentre nel resto dell’Africa la vaccinazione procede molto lentamente rispetto al resto del globo. Quanto avviene in Africa subsahariana è ormai paragonabile ad una sorta di apartheid del vaccino, come ha documentato il giornalista Leigh Phillips nel suo contributo per la versione on-line di “Jacobin”: la regione, sostanzialmente secondaria nei giochi di potere legati alla cosiddetta “diplomazia del vaccino” ha un bassissimo livello di accesso alle vaccinazioni. Se si esclude un certo interesse, ad esempio, cinese alla distribuzione in Zimbabwe, dove sono state distribuite 5 milioni di dosi, e in Angola, la regione subsahariana è rimasta quasi del tutto esclusa dall’utilizzo della risorsa vaccinale. Il governo di Pechino aveva dimostrato un qualche interesse nella diffusione dei propri vaccini in Africa da febbraio 2021, anche attraverso l’iniziativa “South South cooperation”. La differenza marcata tra l’impegno cinese in altre aree, come l’ASEAN e il Subcontinente, dove la “diplomazia del vaccino” cinese è massiccia, e il caso dell’Africa subsahariana, dove il vaccino è stato esportato solo in una seconda fase e dove l’esportazione avviene con maggiore parsimonia, dimostra indirettamente le prerogative politiche della Cina.

decolonizzareNei Paesi dove sussistono decisivi accordi commerciali e forti interessi diplomatici, come l’ASEAN e il Pakistan, Pechino ha adottato un atteggiamento di supporto elevato (seppur sempre condizionato da tornaconto); in Africa subsahariana dove il ritorno in molti casi è solo un ritorno di immagine, soprattutto se comparato a quanto messo in pratica da altri Paesi (segnatamente nell’iniziativa “South South cooperation” ma non solo), la Cina si sbilancia molto meno. Ma non è solo un problema cinese: seppure la Cina stia ormai rivendicando un ruolo sempre più decisivo ed incisivo nella politica internazionale e nell’Internationl Political Economy, altre potenze avrebbero senza dubbio un dato dovere se non tanto etico, quanto di opportunità, dal momento che cercano di dimostrare di essere all’altezza della posizione di uno dei baluardi del sistema liberale, per esempio gli Stati Uniti. Questi ultimi hanno effettuato il primo grande intervento di distribuzione vaccinale nell’area solo qualche giorno fa, decisamente in ritardo rispetto a Pechino, coinvolgendo la Nigeria e il Sud Africa. Mentre della Nigeria è facile dire che si tratta di un Paese nel quale gli Stati Uniti sono il più grande investitore estero e nel quale Washington vede controllate della sua ExxonMobil essere al secondo posto nell’estrazione di greggio (il primo spetta alla anglo-olandese Shell), invece ad essere un po’ troppo critici si potrebbe definire una differente situazione per il governo di Pretoria. Il Sud Africa, oltre ad essere proprio dal 2020 fra i più grandi partner commerciali negli investimenti degli USA in Africa, se non il maggiore, è anche altro, diciamocelo, e proviamo a mettere a nudo un rimosso: in Sud Africa risiede una grande percentuale di popolazione bianca, e quale modo migliore di esprimere la solidarietà fra Paesi liberali (uno dei cardini del modello liberale statunitense) se non aiutare i bianchi con una medicina dei bianchi? I neri, in fondo, possono attendere.   

Franzt Fanon

Frantz Fanon

Le difficoltà che stanno spingendo l’Africa nera nel baratro della mancanza d’immunizzazione non sono tuttavia da ricercarsi esclusivamente nella diffusione del mezzo vaccinale e nella sua produzione, nonostante le parzialmente inclusive politiche dei brevetti. Esistono due problemi forse ancora più rilevanti per l’Africa: l’assenza di know-how specifico e le abnormi difficoltà logistiche di distribuzione. A causa della generale arretratezza tecnologica dell’Africa subsahariana (figlia delle scellerate politiche di decolonizzazione), seppur esistano poche realtà di avanguardia, resta difficilissimo produrre un vaccino anche su licenza. Secondo l’OMS vi sono meno di dieci affidabili produttori di vaccini nel Continente e sono diffusi soprattutto nel Nord: Marocco, Tunisia ed Egitto; in Sud Africa, Paese già nell’interesse di supporto degli Stati Uniti e in Senegal, dove, è il caso di dirlo, sussiste sull’impresa principale un controllo francese. La produzione nell’area sarà quindi lacunosa, lenta e asservita a interessi di Paesi avanzati. Le grandi difficoltà logistiche attualmente hanno portato Stati come il Malawi e la Repubblica del Sudan alla distruzione di vaccini in numero consistente per aver superato la data di scadenza indicata dal produttore.

Insomma, il meccanismo è sempre il medesimo indicato da Fanon anche per questa pandemia: la malattia è bianca, è diffusa a partire dal mondo bianco e la questione della diffusione del vaccino, che ha prevalso sulla ricerca di una cura per dare uno spunto ad un settore farmaceutico in cerca di fondi per la ricerca, non è tanto funzionale alla risoluzione della pandemia quanto alla questione diplomatica del peso egemonico degli attori in gioco. E mentre i malati e soprattutto i morti sono destinati a rimanere i neri, la medicina dei bianchi è spesso, piuttosto che strumento sanitario, vero e proprio braccio operativo dell’egemonia politica. 

Dialoghi Mediterranei, n. 53, gennaio 2022
Note
[1] Cfr. F. Fanon, a cura di R. Beneduce, Decolonizzare la follia, Verona, Ombre corte, 2011.
[2] Cfr. F. Fanon, I dannati della terra, Torino, Einaudi, 1962: 9-10.
[3] Cfr. idem: 71.
[4] Cit. idem: 88-89.
[5] Cfr. idem: 104.
[6] Cfr. F. Fanon, Pelle nera, maschere bianche, Pisa, ETS, 2015.
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Francesco Valacchi, vive a Livorno, laureato in Scienze strategiche a Torino e Studi internazionali a Pisa, si è poi dottorato in Scienze politiche/Geopolitica nel 2018. Si occupa di geopolitica, geoeconomia e International Political Economy con particolare riguardo all’area asiatica. Ha pubblicato una monografia dal titolo: Le Federally Administered Tribal Areas: Storia e futuro dell’estremismo islamico in Pakistan e Afghanistan; è collaboratore di riviste come “Affarinternazionali” e dell’Istituto di Alti studi in Geopolitica e Scienze Ausiliarie, e della rivista RISE del Torino World Affairs Institute.

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[1] Cfr. passim F. Fanon, a cura di R. Beneduce, Decolonizzare la follia, Verona, Ombre corte, 2011.

[2] Cfr. F. Fanon, I dannati della terra, Torino, Einaudi, 1962, pp. 9-10.

[3] Cfr. idem, p.71.

[4] Cit. idem, pp. 88-89.

[5] Cfr. idem, p. 104.

[6] Cfr. passim F. Fanon, Pelle nera, maschere bianche, Pisa, ETS, 2015.

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