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Culti extraliturgici e possessioni: aspetti rituali, configurazioni di genere nella post modernità

 

da Compendium Maleficarum

da Compendium Maleficarum

di Annalisa Di Nuzzo

La complessa configurazione culturale che definisce l’orizzonte di senso di un fenomeno in larga parte, ancora oggi, istituzionalizzato come la possessione nelle sue molteplici declinazioni, ci restituisce il tentativo di stabilire una proficua strada di risoluzione di un oggettivo disagio esistenziale e di codificare una familiarità con ciò che è soggettivamente la scissione del sé, la debolezza dei propri sistemi individuali, in ciò attribuendo un valore reciproco sia alla comunità di appartenenza sia al desiderio del singolo di essere riconosciuto nella sua ‘diversità’ per essere poi reintegrato in una possibile ma talvolta labile ‘normalità’.

Ho lavorato per molti anni con l’equipe di Domenico Scafoglio e di Simona De Luna [1] presso l’Università di Salerno, alle ricerche sul campo sulla possessione e sui culti extraliturgici in area campana, abbiamo esaminato documentazioni inesplorate, percorsi interpretativi articolati che coniugano e restituiscono l’aspetto emico ed etico del fenomeno, e individuato soluzioni antropologiche innovative rispetto al tema possessione. Come per ogni plasmazione culturale emergono i diversi livelli di senso e i diversi protagonisti. Nelle pagine che seguono darò spazio in particolare, alla presenza femminile, alle sue contraddizioni, al ruolo che le donne nella contemporaneità si sono ritagliate nell’orizzonte di senso di precise strategie culturali che attraversano il tempo e investono la nostra stessa post-modernità.

Il teatro della possessione con tutte le sue correlazioni convoca in scena vari attori e molteplici copioni. Il corpo, forse più di ogni altro, inscrive su di sé i sintomi di un disagio che si configura spesso attraverso il ritorno delle “anime perse” che «incarnano la sventura, lo scacco, apparentemente immeritato, ma avvertito in qualche modo come condanna e in qualche modo come colpa collettiva di cui in qualche modo i posseduti da questi morti diventano a loro volta in molti casi capri espiatori della comunità ma anche talvolta guide riconosciute del possibile legame tra i vivi e i morti»[2].

I corpi, dunque, istituzionalizzano ritmi scomposti, posture sconce, voci deformate, strumenti della dissociazione e spazi per identità plurime che tentano di mantenere un’impossibile coniugazione. Sono state raccolte nel tempo, in una attenta e prolungata ricerca sul campo, storie di uomini e donne, preziosi cammei, micro universi che esplicitano tutti gli aspetti della possessione. Colpisce il numero rilevante delle testimonianze femminili ed è proprio da questo dato immediatamente statistico che si rileva una differenza significativa da evidenziare.     

lewis-possessione-stregoneria-sciamanismo-contesti-religiosi-nelle-societaNel voler tradurre un abusato e logoro pregiudizio popolare, per cui il diavolo ma anche le anime perse, e più in generale gli spiriti come entità oltre umane, preferiscono manifestarsi ed utilizzare il corpo femminile, si ritrovano risoluzioni e traduzioni di senso della diversità di genere che attraversa la possessione sia essa diabolica che benigna, come chiarirò in seguito. Corpi di donne, voci di donne, sovente inascoltate, che la scena della possessione e dei poteri extraumani e sciamanici può accogliere. Uno spazio riservato alla marginalità che offre l’opportunità nelle società tradizionali, incistate nella modernità, di possibili integrazioni e di orientamenti paradossalmente terapeutici. Donne che come Michelina e Giuseppina cercano un modo per esprimere, anche attraverso il loro corpo, la loro parola, i loro gesti, ciò che è impossibile comunicare in altro modo. Atteggiamenti, rifiuti, aggressività sono tollerati dalla comunità che li considera segni della presenza altra e che la stessa posseduta/guaritrice accoglie perché non responsabile dell’agito non direttamente ascrivibile al suo vissuto, ma tuttavia desiderato e rimosso. La comunità lascia agire queste figure che, in un momento destabilizzante ma rigorosamente strutturato, sono funzionali di un processo di liberazione destinato a convertire il caos nell’ordine e a promuovere la reintegrazione della diversità. Le società tradizionali, come sostiene Lévi Strauss, hanno questa capacità antropofagica che assegna spazi e risoluzioni insospettate di inclusione delle diversità, anche nelle forme di religiosità popolare presenti – come vedremo – nella realtà campana. 

Lo scenario della possessione riabilita e condanna, espelle e reintegra in una dialettica complessa e ricca di piani simbolici e rituali, che può essere letta come dinamica e metafora della commedia umana. Attraverso l’analisi delle storie assume un ruolo significativo un protagonismo femminile che si ritrova in alcuni esempi di donne guaritrici e fondatrici di culti extraliturgici. Si configura una possibile assimilazione a forme sciamaniche, connotate da doti carismatiche, da possessioni benigne di incorporazioni di anime perse ovvero anime di morti a causa di episodi volenti e improvvisi. Sciagure che colpiscono per la loro assurdità e per un senso di perdita inaccettabile. Anime perse che, secondo questa interpretazione culturale, restano sospese tra i due mondi, bisognose di trovare “un posto”, di ritrovare un rapporto tra i vivi e i morti e che dunque si impossessano di corpi di uomini. In vicende che di seguito saranno esplicitate, alcune donne diventano guide spirituali delle comunità a cui appartengono.

Appare necessario chiarire, seppure brevemente, cosa si intende per possessione e di essa quanti tipi si possono individuare. Una definizione di possessione è quella che descrive il fenomeno in cui una entità culturale (Dio, angelo, diavolo, spirito) si impadronisce dell’interiorità e del corpo di un soggetto, sostituendosi a lui, in modo da mutare radicalmente la sua personalità. L’entità “cavalca” il soggetto che possiede: il posseduto, nel momento in cui è preso dal diavolo, nel caso della possessione diabolica, assume caratteristiche e mutazioni corporee che lo rendono assimilabili al diavolo o finisce con l’assumere un mimetismo animale legato alle bestie che simbolicamente hanno a che fare con il demoniaco. Il posseduto scalpita e nitrisce come un cavallo (animale tradizionalmente assimilato al diavolo), si esprime in lingue sconosciute, assume atteggiamenti di repellenza verso oggetti sacri, bestemmia e si esprime con un eloquio sconcio. In molti casi possiede una forza straordinaria e scomposta. L’entità occupante può essere unica o molteplice, quando si crede in più divinità, si può essere invasi da più di uno di essi.

La possessione è spiegata a livello popolare all’interno di un quadro in cui il disagio psicofisico è causato da un intervento esterno, soprannaturale. La possessione si traduce nell’occupazione del corpo e della mente del soggetto, lascia possibili soltanto due scelte: o si accetta la possessione, trasformando in senso positivo, con strumenti culturali, il rapporto con lo spirito invasore (adorcismo), o la si nega ritenendola responsabilità del Diavolo e la si espelle (esorcismo) [3]. Nel primo caso è definita una possessione benigna, e lo spirito invasore è creduto un Dio, un angelo o un’anima buona. La scelta è sempre condizionata dai quadri mitologici e dalle credenze popolari e dal tempo in cui si vive.

In epoche pre-cristiane gli spiriti invasori sono di norma spiriti buoni o anime perse, ossia anime di morti vaganti senza pace sulla terra; mentre in un contesto cattolico fortemente controllato dalla gerarchia ecclesiastica la forza esterna è identificata sempre e soltanto col diavolo e la possessione non può essere che di natura diabolica e pertanto rifiutata e dunque sottoposta al necessario esorcismo. Nella possessione lo spirito maligno opera dall’interno, disponendo sia del corpo che della mente della persona. Nel linguaggio demonologico si ha la “vessazione” quando lo spirito maligno danneggia l’uomo nei suoi familiari o nella sua salute e “l’infestazione” quando i luoghi, la casa, il letto portano i segni della presenza dello spirito o demone. Questa distinzione è importante nella teoria cattolica della possessione, nella misura in cui è funzionale alla pratica esorcistica e ai suoi precisi rituali. In area cristiana l’identificazione dell’entità occupante col diavolo comporta che la possessione non venga accettata e che conseguentemente si cerchi di cacciare il diavolo dal corpo e dalla mente del posseduto.

A differenza di quanto è avvenuto ed avviene in altre culture, in cui l’invasore può essere uno spirito positivo, il cattolicesimo ufficiale non ha mai tollerato le possessioni benigne che vengono accettate nel cattolicesimo popolare. Nonostante le repressioni, le possessioni benigne hanno accompagnato tutta la storia del cristianesimo fino ai giorni nostri e il lavoro sul campo ne dà articolata testimonianza. Come vedremo dalle storie, esse cominciano a manifestarsi quando l’invasato dichiara di essere “preso” da un’entità positiva (Dio, angelo o lo spirito di un morto identificabile con le anime del purgatorio e con un’anima persa), ma sia per la dottrina cattolica che per i protestanti, né gli angeli né le anime dei morti possono reincarnarsi nei corpi, perciò i preti sono obbligati a intendere che in questi casi si tratta del diavolo sotto mentite spoglie, e lo costringono con l’esorcismo a rivelarsi e andar via dal corpo posseduto.

Nell’area campana si sono trovate anche tracce di possessione miste, ossia insieme benigne e diaboliche. Nella stessa persona del posseduto, al diavolo, proiezione delle proprie tentazioni e dei sensi di colpa, si oppone l’angelo, incarnazione della parte buona della persona, che lo contrasta e contiene. Nelle società tradizionali ci si ammala, soprattutto quando si parla di malattie mentali, perché si è senza colpa, magicamente aggrediti dall’esterno da forze superiori, oppure si è colpevoli perché è stata violata una norma comunitaria e, in questo caso, la malattia/disagio si configura come punizione ed espiazione; infine ci si può ammalare per espiare colpe dei familiari morti.

71ayx70fzglLa possessione spiritica e diabolica si colloca, sia dal punto di vista eziologico che della diagnostica e cura, in questo quadro che interpreta la malattia e il disagio esistenziale in generale. L’aggressore esterno, inizialmente ignoto, è identificabile con la stessa entità extraumana che si incarna nel posseduto, ma può anche accadere che la colpa commessa da un parente morto ricada sul parente vivo. Le tipologie dell’aggressione sono varie: di solito lo spirito o il diavolo di propria iniziativa s’impadroniscono della persona, altre volte l’iniziativa parte dallo stregone o strega che provocano l’invasione spiritica o diabolica per mezzo della fattura, altre volte il nemico personale si serve dello stregone, per provocare la possessione. Quest’ultima può anche essere determinata da un’esperienza allucinatoria, provocata dall’impatto casuale con l’extranaturale. Infine la possessione coincide, a volte, con i cambiamenti di casa.

Anche nella dottrina cristiana la possessione si radica in una definizione generale della malattia e la spiega come effetto dell’intervento di forze demoniache, l’associa alla trasgressione individuale e collettiva e al peccato e conseguentemente alla guarigione e grazia: il percorso della malattia ripeterebbe la prima vicenda fondante, l’errore di Adamo ed Eva e la loro punizione, implicante la perdita dell’incorruttibilità del corpo. La distinzione tra possessione diabolica e malattia naturale individuale è una concezione che ha il suo fondamento nella Bibbia, e si è andata poi radicando nella cultura cattolica nel corso del Medioevo, secondo la quale il malessere era simbolo dello stato in cui si trova l’uomo peccatore. Spiritualmente, egli è cieco, sordo e paralitico e conseguentemente la guarigione del malato è il simbolo della guarigione spirituale che Gesù viene ad operare tra gli uomini.

In questa logica l’insieme delle pratiche di guarigione trovava un modello nell’esorcismo, così come la possessione era il paradigma di tutti gli attacchi morbosi. Il cristianesimo ha inoltre ripreso la credenza popolare del maleficio, che ha una centralità indiscussa nell’eziologia della possessione, ma ne ha introdotto di nuove, in cui è evidente la preoccupazione di combattere la magia e le sette sataniche. La Chiesa cattolica riconosce dunque nella sua teologia solo la possessione diabolica e la necessità di praticare l’esorcismo, qualora sia accertata la presenza del demonio, secondo un rituale preciso che fu definito nel 1614 e che con alcune recenti modifiche resta sostanzialmente invariato. Solo i preti possono praticare l’esorcismo e non tutti indistintamente. Si devono possedere doti particolari per sostenere lo “scontro” con il diavolo che è subdolo e potente.

I laici, e in particolare le donne, sono esclusi da questa pratica ma nei culti della religiosità popolare le cose stanno diversamente. Le guarigioni e il ripristino della ‘normalità’ possono essere portati a termine da donne e uomini “toccati” da un’eccezionalità e da un potere extraumano ovvero posseduti da entità benigne che aiutano le guarigioni, annunciano palingenesi spirituali e denunciano i mali dell’umanità peccatrice. Si tratta di lasciare invadere il proprio corpo e la propria mente da un’entità con cui il soggetto condivide la sua esperienza di vita, la sua marginalità e diversità che diventano sintomi e simboli di potere. Con questa entità si elabora un dialogo fatto di momenti estatici e di stati di trance tali da far ipotizzare un rapporto stretto con lo sciamanesimo [4]. 

9788871196336Possessioni e sciamanesimo 

Elementi dello sciamanesimo sono presenti nelle forme della possessione ed è necessario chiarirne gli aspetti che coesistono all’interno del fenomeno e come sia esso correlato all’esperienza di vissuto delle guaritrici oggetto di studio.

Lo sciamano stabilisce per sé, e ottiene per sé solo, una forma di esistenza che all’origine era di tutti. È il testimone di una condizione di vissuto che era di ciascuno di noi nella primordiale convinzione che la natura e il mondo sia abitato dagli spiriti e che questi ultimi possano continuamente entrare in relazione con noi e aiutarci a superare disagi e momenti di crisi per ricomporre l’ordine del mondo e delle cose. Secondo Gilberto Mazzoleni, «lo sciamano (dall’inglese shaman, adattamento del termine tunguso šaman) è un operatore rituale che generalmente agisce in stato di trance […]. Attraverso una progressiva attenuazione dello stato di veglia, lo sciamano perde il controllo del sé, consentendo alla propria “anima” di staccarsi dal corpo e intraprendere un viaggio verso quella entità extraumana che gli possa rivelare le ragioni e i rimedi di una crisi, di un malessere o di una minaccia che incombono sulla comunità» [5]. Ed è in questo modo che può dare risposte alle domande più ancestrali: la vita piuttosto che la morte, la felicità piuttosto che il dolore, l’armonia piuttosto che il disordine o il caos.

Le risposte alle domande esistenziali e alle paure più ancestrali, sono inscritte in una concezione ben chiara: l’universo è abitato da enti ossia spiriti che vivono in diverse forme, parti e livelli della realtà, bisogna lasciare che si uniscano questi mondi, e ritrovare la loro antica armonia, i sentieri e gli strumenti perduti per raggiungere la condizione di questa conoscenza originaria che ora solo alcuni hanno. Il percorso che conduce a questa verità ha un accesso attraverso il corpo e la parola che, come vedremo nel caso delle guaritrici, diventa scrittura scomposta e delirante che sembra accedere alla parola oracolare e divinatoria.

La religiosità popolare si affida dunque ai guaritori/guaritrici toccati da una entità extraumana (che sia angelo o diavolo questo è da definire) e in tal senso diventa labile il discrimine e, a volte, poco definito tra possessione benigna e diabolica. La figura dello sciamano è presente in tutte le culture come un soggetto che diventa guida per la comunità, definendo un rapporto con la natura antichissimo, addirittura già presente dal Paleolitico: sono celebri le pitture scoperte sulle pareti di numerose caverne in Francia e Spagna in cui ci sono scene di caccia e uomini per metà animali con maschere che danzano (la grotta di Lascaux in Dorgogna in Francia). Sicuramente la Siberia è un punto centrale e da qui i sentieri delle diverse culture si intersecano e si contaminano tra Oriente ed Occidente, fino alla Tracia [6]. I misteri orfici, che declinano una particolare forma di sciamanesimo, prendono il nome da Orfeo, che nella mitologia occidentale greca, è rappresentato come poeta e musicista capace di incantare gli animali e soggiogare la natura col suo canto e, dunque, dotato di chiari poteri sciamanici. Cultore del potere della parola e inventore della retorica (secondo Platone), Orfeo, forse figlio di Apollo e della Musa Calliope, nasce proprio in Tracia.

9788817028561_0_536_0_75Lo sciamano è capace di intraprendere il viaggio estatico, uscendo dalla dimensione corporea, attraverso la condizione dell’estasi fino al centro del mondo e oltre il mondo dei vivi. Nello sciamano coesistono e non sono ancora differenziate, le funzioni di mago e naturalista, di poeta e filosofo, di predicatore, di guaritore e di pubblico consigliere. Nelle trasformazioni dei diversi contesti culturali, tali funzioni divennero poi progressivamente autonome. Un esempio nella cultura occidentale è dato dai filosofi pre-socratici, che sono stati dei veri sciamani, come Parmenide, Pitagora, Eraclito, ma allo stesso tempo anelli di congiunzione e di trasformazione dello sciamanesimo. Essi riplasmarono questa figura, operandone una razionalizzazione: non più né maghi né poeti. Eric R. Dodds, nel suo libro I Greci e l’irrazionale, definisce lo “sciamano” come una personalità psichicamente instabile dotata di vocazione religiosa, in grado di interagire con gli spiriti, in possesso di forze soprannaturali grazie ad uno stile di vita ascetico. Lo sciamano è colui che presiede a tutto ciò che interessa le esperienze dell’anima umana, sa che l’anima è precaria ed è incline ad abbandonare il corpo, è perciò spesso preda dei demoni e degli stregoni. In questo processo lo sciamano ha funzioni di medico e di guaritore, formula diagnosi, cattura l’anima fuggitiva del malato che si allontana dal corpo, la reintegra nel corpo, è di fatto uno psicopompo (psykhḗ ‘anima’ e pompós ‘guida’).

Questa qualificazione di terapeuta e di psicopompo la possiede perché conosce le tecniche dell’estasi, perché la sua anima può allontanarsi dal corpo e portarsi lontano, può nel caso del pitagorismo trasmigrare da un corpo all’altro [7]. «L’elezione/investitura del futuro sciamano è data dal suo incontro con un essere divino che gli appare in occasione di un sogno, di una malattia o di altra circostanza; che gli fa sapere, di essere stato “scelto” e che l’incita a seguire, d’ora in poi, una nuova regola di vita» [8].

Tutto questo istituisce una relazione con il mondo che sembrerebbe lontanissima dalla attuale post modernità, ma in realtà ciò che può essere superficialmente liquidato come primitivo e selvaggio continua ad essere compresente in altre forme con altri immaginari e riti, persistendo all’interno delle strutture antropologiche dell’immaginario della natura umana; una sorte di archetipologia che attraversa il tempo assumendo connotazioni metastoriche e trasversali [9].

L’eterno selvaggio, come sosteneva l’etnologo Cocchiara, è in noi e abita nella nostra modernità. Il “primitivo” dominava la natura dandole un’anima, un significato, una voce. In queste culture il compito dello sciamano era di provvedere che le fonti di sussistenza non si esaurissero, di assicurare il successo delle battute di caccia, di aiutare le donne sterili, in altri casi interveniva per le buone condizioni atmosferiche ovvero per provocare tempeste, piogge ecc. Comunque con i suoi percorsi, i suoi riti, le sue conoscenze (veri o falsi che fossero) traeva conseguenze utili a dirigere la vita e a darle senso e costrutto. Questa atavica necessità, ereditata, riplasmata e coltivata dalle più diverse forme di religiosità, continua ad essere sempre più avvertita nelle società contemporanee che registrano un significativo ritorno al sacro. Riprendendo ancora Eliade: «accontentiamoci di dire che gli sciamani sono degli esseri che si differenziano in seno alle corrispondenti comunità per via di certi tratti che, nelle società dell’Europa moderna, potrebbero apparire come segni di una “vocazione” o, almeno, di una “crisi religiosa. Essi si distinguono dal resto della loro comunità per l’intensità dell’esperienza religiosa che vivono. Dunque lo sciamanesimo è una tecnica estatica a disposizione di una certa élite che dirige la vita della comunità»[10].

La presenza delle donne è trasversalmente presente, come è, per esempio, testimoniato dai lunghi elenchi di donne pitagoriche quali punti di riferimento per le comunità della Magna Grecia. Le sciamane hanno un loro spazio in quasi tutte culture: dai Buriati (Mongolia) ai Bwiti in Gabon, secondo i quali il primo sciamano è stata una donna. Di fatto, le donne sciamane erano predominanti in Cina e in Giappone e ancora in Corea e ad Okinawa, come pure in Sud Africa (San) e nella California del Nord (Karok e Yurok). Gli esempi sono infiniti: nel Cile del sud, troviamo le Machi dei Mapuche, e nelle Filippine le Babaylan e le Catalonan. Le immagini, le tradizioni orali, le descrizioni storiche mostrano invocatrici, guaritrici, erboriste, divinatrici e oracolanti, danzatrici estatiche, donne che potevano cambiare aspetto (shapeshifters), sacerdotesse di antiche tradizioni. In Tunisia le dervisce curano gli ammalati dalle possessioni dei jinn [11]. In genere bisogna sottolineare che le donne sciamane hanno compiti meno ambiziosi rispetto a quelli maschili e molte volte diventano sciamane solo dopo la menopausa. In altri casi sono generatrici di sciamani come i miti siberiani raccontano. «Gli dei decisero di dare all’umanità uno sciamano per combattere la malattia e la morte e inviarono l’Aquila con l’ordine di concedere il dono dell’arte sciamanica alla prima persona incontrata sulla terra…L’Aquila vide una donna addormentata ed ebbe commercio con essa. Dopo qualche tempo la donna dette alla luce un figlio che divenne il “primo sciamano”. Secondo un’altra variante la donna, in seguito ai suoi rapporti con l’Aquila, vide gli spiriti e divenne essa stessa sciamana»[12].

La presenza dello sciamanesimo nelle culture ha sempre subìto una sanzione /opposizione ed è stata vissuta come qualcosa di destabilizzante, specialmente in rapporto all’Occidente che continuava a ratificare la necessità di ricondurre tutto ad un solo percorso di senso e di costruzione culturale legato ad una sola razionalità. In molti casi, come per le forme della religiosità popolare in Occidente, lo sciamano sopravvive o resta nascosto, si insinua in maniera diversa da quello che accade in Asia, in Siberia, in Indonesia, in Oceania, resta appunto tra le pieghe della religiosità popolare a sancire un bisogno atavico di risoluzioni e di armonia e di rimedio alle sofferenze e alle perdite. 

Michelina Izzo

Michelina Izzo

Culti extraliturgici, possessioni benigne, genere: Michelina Izzo, Giuseppina Norcia 

Il lavoro sul campo e le storie di vita emerse riguardano gli ultimi decenni del Novecento e i primi del Duemila. Lo spazio di indagine si è definito nell’entroterra campano, in particolare l’area di Poggiomarino in provincia di Napoli e del comune di Gallinaro, piccolo paese in provincia di Frosinone nel basso Lazio. Sono entrambe realtà rurali legate alle produzioni a agricole, comunità legate al valore della terra e a sistemi parentali che negli ultimi decenni hanno sempre più subìto il fenomeno dell’emigrazione e della disgregazione della famiglia estesa meridionale.

Numerosissime sono state le storie raccolte in tutta l’area campana. Il lavoro sul campo è stato sistematico ed ha interessato tutti gli attori coinvolti. Le storie di vita, i racconti, le interviste hanno riguardato i preti esorcisti, i fedeli che hanno assistito agli esorcismi, i posseduti e soprattutto due delle guaritrici carismatiche tra le più note, protagoniste di culti di devozione extraliturgici e fondatrici di chiese spirituali: Michelina Izzo, Giuseppina Norcia. Necessario è il riferimento alle loro biografie, contrassegnate da eventi per lo più drammatici, ricorrenti nelle storie dei posseduti e di leader carismatici.

Michelina Izzo nasce a Poggiomarino il 12 maggio del 1936. I genitori sono contadini, penultima di quattordici figli, sette dei quali muoiono prima del parto. La sua famiglia sarà segnata come del resto lei stessa da questo dolore profondo. La madre le insegna il continuo esercizio delle preghiere e quel bisogno radicato del sacro, seppure attraverso una religiosità popolare fatta di devozioni e di pratiche salvifiche. La religione popolare non è una categoria a sé, un’altra religione con connotati chiaramente e nettamente autonomi, ma è la stessa religione ufficiale legata al cattolicesimo ortodosso nel nostro caso, interiorizzata e reinterpretata, vissuta secondo gli umori, le convenienze, gli interessi, le abitudini, gli orizzonti simbolici dell’ambiente storico locale e del territorio di appartenenza [13]. Può così assumere aspetti diversi e può riconoscere consenso e devozione ad un soggetto della loro stessa comunità, individuando i segni di una santità di cui sono gli stessi appartenenti alla comunità diretti beneficiari e gestori del culto. Il leader diventa pertanto il punto intorno al quale ruota tutta l’organizzazione del culto e della rituale che si definisce.

Sia Michelina che Giuseppina interpretano al meglio il loro ruolo, gestiscono e esercitano il loro carisma, dando vita ad un protagonismo femminile che continua a declinare il matricentrismo meridionale, adattandolo ai tempi e alle specifiche connotazioni religiose/teologiche. Michelina è protagonista di una vera genealogia di guide spirituali carismatiche al femminile. Il “dono”, come lei stessa lo definisce, le è stato tramesso dopo un lungo periodo di apprendistato, e le viene veicolato attraverso figure femminili che, a loro volta, hanno poteri sciamanici e sono avvezze a gestire incorporazioni benigne di anime perse, segnali di una religiosità fatta di assertività e cura della comunità.

Una assertività e un’autorevolezza che io stessa ho avvertito più volte nei miei incontri con lei: occhi azzurri penetranti, una dolcezza nel parlare mai disposta però a indulgenze o a fare sconti sulle sue affermazioni. Racconta in un dialetto efficace la sua vicenda, il suo percorso di iniziazione, i suoi poteri, le sue profezie, il suo continuo rapporto con le potenze extraumane che sono tutte inscritte nel suo cattolicesimo. I suoi giudizi e le sue condanne, chiare e senza appello.  Michelina sente da subito di essere pronta per accogliere visioni e poteri derivati dal mondo extraumano. La sua infanzia è segnata da un primo forte elemento traumatico che è legato alle morti premature dei suoi fratelli. Da questa dimestichezza a vivere e gestire il dolore la sua storia di vita rende manifesta una complessa genealogia familiare e di gruppo al femminile che si connota sempre più radicalmente e di cui lei sarà poi la protagonista. Da qui l’elemento che ha scatenato la crisi, ovvero l’evento traumatico con implicita rivelazione dei poteri soprannaturali in cui viene ricercata l’origine e il dispiegarsi degli eventi successivi, non diversamente da come si verificherà per Giuseppina Norcia.

Nella casa di Michelina statue e crocifissi, la Madonna di Montevergine, la statua di Rosa Auricchio, la Madonna di Lourdes

Nella casa di Michelina statue e crocifissi, la Madonna di Montevergine, la statua di Rosa Auricchio, la Madonna di Lourdes

Accanto alla madre che, come abbiamo sottolineato, le insegna a pregare e ad elaborare il lutto e il dolore ci saranno altre figure femminili su cui vale la pena di soffermarsi. È l’incontro con altre donne segnate da poteri speciali a renderla, come lei stessa mi dice, consapevole di avere un “dono” che si paleserà solo molti anni dopo a Lourdes in un pellegrinaggio che segnerà la sua vicenda successiva. La devozione si manifesta attraverso un’assidua frequentazione della chiesa di Poggiomarino e la partecipazione alle iniziative legate ai pellegrinaggi verso i diversi santuari mariani della Campania. In particolare si lega al Santuario di Pompei e alle pratiche religiose di Michelina Langella che aveva dato vita ad un culto extraliturgico legato alla morte prematura dell’unica figlia Rosa Auricchio, la cui anima si incarnerà nel corpo della madre tanto da diventare protagonista di un fenomeno di possessione benigna. In questo modo Michelina Izzo condivide questa particolare religiosità e, per circa vent’anni, frequenta assiduamente la casa di Pompei, osserva e assiste ai fenomeni di trance, ascolta le profetiche parole che la Langella proferisce. Ma nonostante abbia già avuto visioni e contatti extraumani resta in silenzio, devota e obbediente fino a quando avverrà la sua investitura dopo la morte sia di Michelina Langella, la quale aveva a sua volta ereditato le facoltà carismatiche e profetiche di guaritrice da certa Filomena Elefante. Un susseguirsi dunque di trasmissioni di poteri spirituali in linea femminile, una sorta di contagio/investitura che riguarda questo gruppo di donne con funzioni di guida del gruppo e delle comunità, chiamate a soddisfare richieste e bisogni d’ordine immediatamente mondano, cioè salute, benessere, fertilità, successo, vitalità.

Sono religioni di guarigioni [14] in cui l’incorporazione delle anime perse e dunque dell’adorcismo ha un posto fondamentale. Un lungo percorso di visioni, sogni, voci di entità divine che diventano il fattore di legittimazione del loro prestigio e la prova della loro elezione e contraddistinguono la vita di queste donne come quella di Michelina. I segnali di questa sua elezione si erano manifestati fin da bambina. La prima visione risale al 1966, quando nel cortile della sua casa le appaiono la Madonna e Gesù crocifisso. Trascorre il tempo, un lungo percorso iniziatico prende sempre più consistenza e si concretizza fino al 1994, quando proprio dalle mani di Filomena Elefante in punto di morte Michelina riceve un chiaro segnale dell’investitura e della trasmissione dei poteri: si uniscono le mani delle due donne e il lenzuolo, che ricopre Filomena in fin di vita, si colora di sangue ratificando inequivocabilmente la successione alla guida carismatica della comunità.  

Un angolo della chiesa con la statua di sant'Antonio

Un angolo della chiesa con la statua di sant’Antonio

La stessa Michelina mi ha chiarito con lucida determinazione di aver avuto da sempre “la forza” che le viene dalla preghiera insieme alle visioni che fin da bambina l’hanno accompagnata. Così mi confessa: “Sono quarant’anni che sappiamo di avere un dono”. Si avverte dal tono delle sue parole la consapevolezza di questo ruolo, di avere una funzione non solo di guaritrice e di sostegno per la sua comunità ma di avere il compito di annunciare, di profetizzare, come effetto delle rivelazioni che riceve dalle varie entità divine, una palingenesi sociale e cosmica, di promettere una liberazione dall’oppressione, l’avvento di un’era di benessere, prosperità, beatitudine.

L’ulteriore prova dell’avvenuta investitura e delle sue capacità extraumane per i fedeli che la seguono, avviene come lei stessa mi racconta durante il pellegrinaggio a Lourdes. La Madonna avrebbe consegnato nelle mani di Michelina un dono consistente in una piccola scatola contenente ventitré perline, simboli dei martiri di Cristo, del velluto rosso come il sangue di Cristo, un rametto di rose che rappresenta le ossa profumate di Gesù, una pietra del sepolcro di Gesù, una medaglia con l’effige della Madonna, ed una scritta in un improbabile inglese: “Grotto stone and rose tree Lourdes” (forse: pietra della grotta e tre rose di Lourdes). Così mi descrive il momento dell’incontro: «Il Signore in quel momento mi impediva di parlare, io ho capito che era la Madonna di Lourdes ma non potevo svelarlo anche agli altri. Tutti quelli intorno a me hanno visto una donna bellissima che mi consegnava qualcosa». Tornata a Poggiomarino la vita di Michelina è sempre più contrassegnata da eventi eccezionali; si definisce e si istituzionalizza la sua possessione benigna. Diverse entità e spiriti benigni “abiteranno” il suo corpo e le indicheranno quanto deve essere fatto da lei in nome e per conto delle entità che rappresenta. Sono diverse le entità che le parlano e da cui è agita [15] . Di volta in volta, Dio stesso, Gesù la Madonna ma soprattutto l’anima di Rosa Auricchio figlia di quella Michelina Langella da cui, di donna in donna, ha ereditato i poteri.

La scrittura di Michelina in un messaggio figurato

La scrittura di Michelina in un messaggio figurato

Siamo di fronte ad una vicenda che ha tutti gli elementi di un culto extraliturgico. In particolare Michelina diventa, non solo in senso metaforico, la mano di questi spiriti e mi parla di come le sue mani diventano lo strumento sacralizzato della scrittura e di quanto siano fondamentali per la sua “missione” gli scritti. Per una donna, per di più analfabeta, scrivere decine e decine di quaderni, che “reinterpretano” le Sacre Scritture a partire dal Vecchio Testamento fino alla venuta di Cristo dei Vangeli, rappresenta una occasione significativa per aprirsi a compiti e modalità che esulano dai tradizionali ruoli e compiti femminili. Così da diventare una donna che assume su di sé la responsabilità di interpretare le verità teologiche, di ammonire e giudicare anche le azioni e i compiti della Chiesa di Roma. Si arroga il diritto di utilizzare uno spazio della dimensione sacra, generalmente e quasi totalmente destinato al maschile; con l’aiuto degli spiriti buoni che si impadroniscono di lei per insegnarle la scrittura.

Si apre per lei un universo di senso che le era rigorosamente precluso in quanto donna, analfabeta e senza gli elementi filosofico/teologico che sono caratteristici di una formazione religiosa ortodossa. La sua scrittura è però incomprensibile e illeggibile; è l’intervento divino a rimettere le cose nel giusto modo: ci sarà uno dei suoi fedeli che durante una processione riuscirà miracolosamente a comprendere la grafia, trascriverà da quel momento al computer tutti i numerosi quaderni di Michelina che vengono stampati e diffusi in tutta la Campania. Siamo dunque entrati nella modernità, in una plasmazione rituale che coniuga elementi arcaici e moderne possibilità di diffusione, esigenze di trovare spazi per una differenza di genere che supera le antiche interdizioni che il femminile ha subìto. Il culto di Michelina si diffonde, i fedeli aumentano e lo scontro con la Chiesa diventa inevitabile. Michelina ha bisogno di uno spazio sacro che sia direttamente gestito da lei e riceve da Dio stesso il compito di costruire nel suo cortile di casa una chiesa dove lei stessa conduce e padroneggia il rito. Edifica pertanto, con l’aiuto del marito, con il quale ha un rapporto di direttività totale, unitamente al sostegno dei fedeli, una chiesa di legno nella quale sono presenti elementi tipici di ogni chiesa cattolica.

Nella csa di Michelina un angolo della camera da letto, tra stuate, immagini di santi e fiori donati dai devoti

Nella casa di Michelina un angolo della camera da letto, tra statue, immagini di santi e fiori donati dai devoti

La sua giornata è scandita da adempimenti rituali molto precisi: al mattino è impegnata con le entità benigne che le dettano le “Sacre Scritture”, di pomeriggio prega genuflessa con le ginocchia su diciassette pietre e resta a digiuno per lunghe giornate. Diventa sempre di più la mediatrice tra il mondo dei vivi e quello dei morti. Cade sempre più spesso in trance, si agita con violenza, parla in lingue straniere, colloquia con le entità benigne e con i defunti delle persone che la incontrano. La Chiesa ufficiale non può esimersi dal condannare quanto accade; scomunica Michelina e impedisce ai suoi seguaci di entrare in chiesa a Poggiomarino con un provvedimento che diventa ufficiale nel 2000.

La frattura è ormai netta e decisa. Michelina nella sua chiesa “concelebra” la messa con due dei suoi fedelissimi devoti, anche se esclude il rito dell’eucarestia, si leggono i suoi testi che vengono anche commentati. Ma un altro lutto devastante la colpisce: la morte della figlia Emilia che si affiancherà a Rosa Auricchio come anima persa benigna, destinata ad entrare a pieno titolo nel pantheon degli spiriti buoni del suo culto extraliturgico. Michelina farà costruire una statua della figlia che porterà in processione per tutto il paese. Nel corso degli anni continuerà a sperare che le autorità religiose ufficiali riconoscano il suo ‘dono’ e la presenza di nuove sante come Rosa Auricchio e sua figlia Emilia. La Chiesa ufficiale ostacolerà in tutti modi il culto di Michelina Izzo che sarà scomunicata ma il gruppo dei devoti le resterà fedele e il culto continuerà ad avere seguaci.

Sull'altare della chiesa, la statua di san Giovanni Battista e di Emilia, Padre Pio e foto di defunti di pellegrini

Sull’altare della chiesa, la statua di san Giovanni Battista e di Emilia, Padre Pio e foto di defunti di pellegrini

Non lontano da questo stesso contesto rituale e dall’esperienza di trauma doloroso che dà corpo al disagio per un verso e alla sua risoluzione dall’altro, si inscrive la vicenda di Giuseppina Norcia. Siamo a Galliano piccolo paese in provincia di Frosinone, centro agricolo di 1.100 abitanti, molti sono gli elementi che si ripropongono simili alla vicenda di Michelina Izzo. Giuseppina giovanissima nel 1947, all’età di sette anni, ha la prima visione di Gesù bambino che l’accompagnerà poi nel corso degli anni. L’elemento traumatico che caratterizza la sua vicenda è la morte del marito e la condizione di estremo disagio e di povertà assoluta che ne conseguirà. Si aggiunga che l’insorgere di una forma tumorale la costringerà a letto. Anche per lei è la preghiera continua a dare avvio ai momenti di trance e alle visioni che aveva avuto da bambina. Le appaiono Gesù, la Madonna e San Michele Arcangelo. Attraverso questi spiriti le viene affidata una missione salvifica e viene definita dalle stesse divinità come mediatrice tra loro e l’umanità. Dunque si manifesta la complementarietà tra possessione benigna, doti sciamaniche ed inizio di un vero culto extraliturgico.

Giuseppina accoglie con devozione e determinazione questo ruolo di mediatrice e nel giro di qualche mese guarirà dal tumore. Le visioni e i compiti cui ottemperare si susseguono, è Gesù stesso a dirle di fondare un luogo sacro così come si evince dal racconto: “Figlia mia, vedi, dove cade la punta di questa freccia, lì tu mi dovrai costruire una Cappellina, una piccola culla, dove io possa scendere tutti i giorni fino alla fine dei tempi”. Nel 1975 viene costruita la Cappella e da allora quella culla ha visto masse di pellegrini e di fedeli provenienti dalle varie parti d’Italia e non solo. Il pellegrinaggio diventa un elemento fortemente caratterizzante il processo di liberazione e di risoluzione dei disagi, anche per la collocazione geografica del luogo in alta collina difficile da raggiungere. Si parte per andare a guarire ma il partire stesso è già principio di guarigione, i devoti hanno sempre amato i posti lontani e il raggiungerli accresce in loro la speranza di poter vantare particolari benemerenze al momento della richiesta di ritrovare benessere e salute. Il peregrinare del singolo in cerca di soluzioni ai suoi disagi e/o dell’indemoniato in cerca di liberazione è motivato dalla ricerca del luogo sacro, dotato di maggiore concentrazione di potenza, ossia laddove si ritiene maggiore la possibilità di ricomporre la frattura e ritrovare l’armonia dello stare al mondo [16].

La chiesa di legno

La cappellina di legno col giardino circostante e la statua della Madonna di Lourdes

A Giuseppina viene riconosciuta questa concentrazione di potenza, la sua Cappellina è un luogo di potere di guarigione e di liberazione, come ogni sciamana ha il dono della bilocazione e può trovarsi contemporaneamente in Cappella e accanto al letto della persona malata. Anche per Giuseppina è determinante l’uso della scrittura. Analfabeta come Michelina, è lei che scrive di suo pugno i messaggi che Gesù le detta e che poi comunica a tutti i presenti nella Cappellina. Il suo rapporto con la Chiesa ufficiale è di rispetto: ogni lunedì si reca dal fiduciario del vescovo di Sora a consegnare i messaggi che riceve da Gesù e dalla Madonna. Mediamente sono circa cinquecento i seguaci che raggiungono la Cappellina, un piccolo luogo di solo nove metri quadrati, al centro c’è un bambinello in coccio posato su un lettino e avvolto da un velo. Al contrario di Michelina, è molto meno disposta ad accentrare l’attenzione su di sé, tende ad essere più dimessa ma comunque decisa nella sua volontà di liberare dal male e di annunciare un nuovo mondo.

Si sente guaritrice e annunciatrice di un nuovo mondo e per questo è molto vicina ai suoi fedeli. Li invita in maniera sommessa ma perentoria alla purificazione e alla liberazione dal male. Giuseppina è convinta che la sua generazione ha un compito preciso di liberazione e di palingenesi e che Gallinaro sarà la nuova Gerusalemme. Ribadisce la prossima fine dei tempi e il ritorno di Gesù sulla terra. Accanto a lei è presente una cerchia sempre più numerosa di seguaci, il suo millenarismo è convincente e il suo carisma efficace; un’ulteriore affermazione di un’assertività del femminile che esce dalle pieghe di una cultura solo marginale e tradizionale ma si riscrive in universi di senso e di bisogni della modernità.   

Giuseppina è l’intermediaria fra la terra e il cielo e la Cappellina è il rifugio dei peccatori, l’asilo per i posseduti, un riparo estremo per i condannati dalle malattie, nonché la sede di riunione per fedeli di ogni luogo. Fanno parte dei suoi doni spirituali l’ascolto verso i suoi fedeli, il vaticinio e le guarigioni, come attestano molti suoi fedeli intervistati. Il legame con questi ultimi è profondo, li ascolta con attenzione trasmettendo una grande serenità in maniera discreta, quasi con ritrosia.

Per Giuseppina la sua devozione verso gli altri è totale, si sente al servizio degli altri e di Dio; infatti è sempre in Cappellina solo per pregare e per allontanare il male dal mondo, come Michelina combatte i diavoli e il Maligno. Con i loro poteri le donne come Michelina possono “liberare” chi è posseduto dal diavolo, diventando esorciste in netto contrasto con quanto sostiene la Chiesa cattolica. Entrambe donne sciamane dunque, che governano il rapporto con gli spiriti, entrano periodicamente in trance, combattendo il male con il quale ingaggiano ogni notte battaglie di scontro fisico. Come gli antichi sciamani queste guaritrici curano dalle malattie e ripristinano il rapporto tra il mondo dell’aldilà e quello di qua.

La dimensione post moderna che ha visto l’espansione della medicina e della psichiatria scientifica a livello di massa non ha portato all’estinzione e neppure al declino di pratiche terapeutiche inestricabilmente legate al culto dei santi, ai pellegrinaggi votivi, a luoghi sacri, ma al contrario ad una rivificazione dei culti terapeutici e salvifici di arcaica definizione. Si è acuita, nella perdita di orizzonti di senso condivisi, un’esigenza di rassicurazione magico-simbolica fuori dal contesto dell’ortodossia del cattolicesimo. La rivincita delle forme di religiosità popolare, dopo secoli di pervasivi processi di laicizzazione, sembra essere un dato che è parte significativa della complessità contemporanea: un laicismo ed una secolarizzazione radicata e pervasiva di contro a risvegli di forme di religiosità estrema.

Negli ultimi anni, forme diffuse di religiosità sono diventate un elemento caratterizzante, un nuovo fondamento per la definizione dell’identità, un fulcro importante della ridefinizione di se stessi, una prassi legata ai fenomeni di «indigenizzazione»[17] che attraversano le attuali società e comunità. Il bisogno e la ricerca di religiosità determinano forti ambivalenze. Per un verso, le religioni assorbono e mediano le tensioni sociali e contribuiscono a smorzarle e sdrammatizzarle. Esse collocano su un orizzonte di solidarismo interclassista le aspirazioni dei ceti deboli, affidano i processi di integrazione e di inclusione alla predicazione della pace. Per un altro verso, il fideismo religioso può rendere inconciliabili le differenze di cultura e di stili di vita e produrre tensioni e scontri.

Alla luce di queste considerazioni generali assume forte rilevanza nella riflessione antropologica la dimensione glocale che tenta di conciliare elementi trasversali: per un verso il disagio individuale da reintegrare, dall’altro il riscatto e la visibilità socio-comunitaria. Queste guide femminili danno prova di rimescolare le carte tra passato e presente, assertività e devozione, carisma e obbedienza, divergenza e disagio, dando vita ad una specificità del femminile che coniuga la cura con la protesta e l’indipendenza, la sofferenza in resilienza, gli aspetti organizzativi e le riflessioni teologico/filosofiche, confermando ancora una volta quanto il femminile sia idoneo a produrre e riprodurre la vita, a controllare e  decodificare la complessità del presente e ad attraversare con disinvoltura e aderenza i più disparati piani della realtà. Attraverso i secoli sono state definite streghe, sante, madonne ma forse è tempo di definirle più semplicemente donne che interpretano con autonomia ed autorevolezza il loro ruolo e il loro posto nel mondo. 

Dialoghi Mediterranei, n. 54, marzo 2022 
Note
[1] Ho fatto parte del gruppo di esperti del Laboratorio di antropologia culturale per la comunicazione interculturale dell’Università di Salerno dal 2001 al 2020
[2] Cfr. D. Scafoglio, S. De Luna, Corpi senza pace, Gentile, Salerno, 1998: 22
[3] Cfr. D. Scafoglio, S. De Luna, La possessione diabolica, Avagliano Cava de’ Tirreni, 2003.
[4] Cfr. M. Eliade, Lo sciamanesimo, Edizioni mediterranee, Roma, 2005.
[5] G. Mazzoleni, Maghi e Messia del Brasile, Bulzoni, Roma,1993:76.
[6] Cfr. K.E. Muller, Sciamanesimo. Guaritori, spiriti, rituali. Bollati Boringhieri, Torino,2001
[7] Cfr. M. Eliade, Lo sciamanesimo, Edizioni Mediterranee, Roma, 2005.
[8] ivi: 89.
[9] Cfr. G. Durant, Le strutture antropologiche dell’immaginario, Dedalo, Bari, 2013
[10] M. Eliade, Lo sciamanesimo, Edizioni mediterranee, Roma, 2005:26.
[11] Cfr. Muller, op.cit.
[12] M.Eliade, Lo sciamanesimo, Edizioni Mediterranee, Roma, 2005: 91.
[13] G. De Rosa, Chiesa e religione popolare nel Mezzogiorno, Laterza Bari, 1979: 7
[14] Cfr. V. Lanternari, op.cit.
[15] Cfr. D. Scafoglio, De Luna, op. cit.
[16] Cfr. V. Turner, Il Pellegrinaggio, Lecce, Argo, 1977.
[17] Cfr. A. Di Nuzzo, Conversioni all’islam all’ombra del Vesuvio, Roma CISU, 2021.
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Annalisa Di Nuzzo, docente di Antropologia culturale, insegna Geografia delle lingue e delle migrazioni al Suor Orsola Benincasa; già professore a contratto di Antropologia culturale presso DISUFF Università di Salerno, e membro del Laboratorio antropologico per la comunicazione interculturale della stessa università fino al 2020- Ha conseguito il PhD in Antropologia culturale, processi migratori e diritti umani.  È membro dell’Osservatorio Memoria storica, Intercultura, Diritti Umani e Sviluppo Sostenibile “MInDS” Univ. di Cassino, socia del Centro di Ricerca Interuniversitario I_LAND (Identity, Language and Diversity) nonché del Centro Interuniversitario di Studi e ricerche sulla storia delle paste alimentari in Italia (CISPAI). I suoi campi d’indagine sono l’antropologia delle migrazioni e del turismo, antropologia e letteratura, antropologia e genere, antropologia urbana. È autrice di numerose monografie, tra le ultime pubblicazioni si segnalano: Il mare, la torre, le alici: il caso Cetara. Una comunità mediterranea tra ricostruzione della memoria, percorsi migratori e turismo sostenibile, Roma Studium 2014; Fuori da casa. Migrazioni di minori non accompagnati, Carocci, Roma, 2013; Conversioni all’Islam all’ombra del Vesuvio, CISU, Roma, 2020; Minori Migranti. Nuove identità transculturali, Carocci, Roma, 2020.

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