di Sergio Ciappina
- Che stai?
- penso …
- a cosa?
- a come iniziare questo viaggio … lunare …
- ma non era soltanto una fantasia?!
- in realtà mi è stato suggerito un viaggio e sto immaginando da dove partire e come inanellare le tappe tra di loro, avendo la Luna come “trait d’union”
- mah!.. per me rimane un compito …
- non importa: la vita stessa, in fondo è un viaggio che inizia dall’immaginare un viaggio.
E allora partiamo! E partiamo da un acuto commentatore [1] del nostro tempo che, con una comicità pensosa, pone l’accento su come ciò che comunemente ricade sotto il nome di progresso, in realtà, si frapponga tra l’animo umano e il suo “bisogno” di poesia; una poesia che a sua volta faccia da tramite fra un “sé” e l’Universo.
La notte durava venti secondi, e venti secondi il GNAC. Per venti secondi si vedeva il cielo azzurro variegato di nuvole nere, la falce della Luna crescente dorata, sottolineata da un impalpabile alone, e poi le stelle che più le si guardava più infittivano la loro pungente piccolezza, fino allo spolverio della Via Lattea, tutto questo scritto in fretta in fretta, ogni particolare su cui ci si fermava era qualcosa dell’insieme che si perdeva, perché i venti secondi finivano subito e cominciava il GNAC.
Il GNAC era una parte della scritta pubblicitaria SPAAK-COGNAC sul tetto di fronte, che stava venti secondi accesa e venti spenta, e quando era accesa non si vedeva nient’altro. La Luna improvvisamente sbiadiva e il cielo diventava uniformemente nero e piatto, le stelle perdevano il brillìo, e i gatti e le gatte che da dieci secondi lanciavano gnaulii d’amore muovendosi languidi uno incontro all’altro lungo le grondaie e le cimase, ora, col GNAC, s’acquattavano sulle tegole a pelo ritto, nella fosforescente luce al neon.
Affacciata alla mansarda in cui abitava, la famiglia di Marcovaldo era attraversata da opposte correnti di pensieri. C’era la notte e Isolina, che ormai era una ragazza grande, si sentiva trasportata per il chiar di Luna, il cuore le si struggeva, e fino il più smorzato gracchiar di radio dai piani inferiori dello stabile le arrivava come i rintocchi di una serenata; c’era il GNAC e quella radio pareva pigliare un altro ritmo, un ritmo jazz, e Isolina pensava ai dancing tutte luci e lei poverina lassù sola.
Pietruccio e Michelino sgranavano gli occhi nella notte e si lasciavano invadere da una calda e soffice paura d’esser circondati di foreste piene di briganti; poi, il GNAC! e scattavano coi pollici e gli indici tesi, l’uno contro l’altro: – Alto le mani! Sono Nembo Kid! –
Domitilla, la madre, a ogni spegnersi della notte pensava: “Ora i ragazzi bisogna ritirarli, quest’aria può far male. E Isolina affacciata a quest’ora è una cosa che non va!”
Ma tutto poi era di nuovo luminoso, elettrico, fuori come dentro, e Domitilla si sentiva come in visita in una casa di riguardo.
Fiordaligi, invece, giovinotto malinconico, vedeva ogni volta che si spegneva il GNAC apparire dentro la voluta del “gi” la finestra appena illuminata d’un abbaino, e dietro il vetro un viso di ragazza color di Luna, color di neon, color di luce nella notte, una bocca ancor quasi da bambina che appena lui le sorrideva si schiudeva impercettibilmente e già pareva aprirsi in un sorriso, quando tutt’un tratto dal buio risaettava fuori quello spietato “gi” del GNAC e il viso perdeva i contorni, si trasformava in una fioca ombra chiara, e della bocca bambina non si sapeva più se aveva risposto al suo sorriso.[…]
E così, ad ogni accendersi del GNAC, gli astri di Marcovaldo andavano a confondersi coi commerci terrestri, ed Isolina trasformava un sospiro nell’ansimare d’un mambo canticchiato, e la ragazza dell’abbaino scompariva in quell’anello abbagliante e freddo, nascondendo la sua risposta al bacio che Fiordaligi aveva finalmente avuto il coraggio di mandarle sulla punta delle dita, e Filippetto e Michelino coi pugni davanti al viso giocavano al mitragliamento aereo, – Ta- ta- ta- tà… – contro la scritta luminosa, che dopo i venti secondi si spegneva.
– Ta-ta-tà… Hai visto, papà, che l’ho spenta con una sola raffica? – disse Filippetto, ma già, fuori della luce al neon, il suo fanatismo guerriero era svanito e gli occhi gli si riempivano di sonno.
– Magari! – scappò detto al padre, – andasse in pezzi! Vi farei vedere il Leone, i Gemelli… – Il Leone! – Michelino fu preso d’entusiasmo. – Aspetta! – Gli era venuta un’idea. Prese la fionda, la caricò del ghiaino di cui sempre aveva in tasca una riserva, e tirò una sventagliata di sassolini con tutte le forze contro il “GNAC”.
Si sentì la gragnuola cadere sparpagliata sulle tegole del tetto di fronte, sulle lamiere della gronda, il tintinnio dei vetri d’una finestra colpita, il gong d’un sassolino picchiato giù sulla scodella d’un fanale, una voce in strada. Ma la scritta luminosa proprio sul momento del tiro s’era spenta per la fine dei suoi venti secondi.
E tutti nella mansarda presero mentalmente a contare: uno due tre, dieci undici, fino a venti. Contarono diciannove, tirarono il respiro, contarono venti, contarono ventuno ventidue nel timore d’aver contato troppo in fretta, ma no, nulla, “GNAC” non si riaccendeva, restava un nero ghirigoro male decifrabile intrecciato al suo castello di sostegno come la vite alla pergola.
– Aaah! – gridarono tutti e la cappa del cielo s’alzò infinitamente stellata su di loro. Marcovaldo, interrotto a mano alzata nello scapaccione che voleva dare a Michelino, si sentì come proiettato nello spazio. Il buio che ora regnava all’altezza dei tetti faceva come una barriera oscura che escludeva laggiù il mondo dove continuavano a vorticare geroglifici gialli, verdi e rossi, e ammiccanti occhi di semafori, e il luminoso navigare dei tram vuoti, e le auto invisibili che spingono davanti a sé il cono di luce dei fanali. Da questo mondo non saliva lassù che una diffusa fosforescenza, vaga come un fumo. E ad alzare lo sguardo non più abbarbagliato, s’apriva la prospettiva degli spazi, le costellazioni si dilatavano in profondità, il firmamento ruotava per ogni dove, sfera che contiene tutto e non la contiene nessun limite, e solo uno sfittare della sua trama, come una breccia, apriva verso Venere, per farla risaltare sola sopra la cornice della terra, con la sua ferma trafittura di luce esplosa e concentrata in un punto.
Sospesa in questo cielo, la Luna nuova anziché ostentare l’astratta apparenza di mezza Luna rivelava la sua natura di sfera opaca illuminata intorno dagli sbiechi raggi d’un sole perduto dalla terra, ma che pur conserva – come può vedersi solo in certe notti di prima estate – il suo caldo colore.
E Marcovaldo a guardare quella stretta riva di Luna tagliata là tra ombra e luce, provava una nostalgia come di raggiungere una spiaggia rimasta miracolosamente soleggiata nella notte.
Così restavano affacciati alla mansarda, i bambini spaventati dalle smisurate conseguenze del loro gesto, Isolina rapita come in estasi, Fiordaligi che unico tra tutti scorgeva il fioco abbaino illuminato e finalmente il sorriso Lunare della ragazza.
La mamma si riscosse: – Su, su, è notte, cosa fate affaticati? Vi prenderete un malanno, sotto questo chiaro di Luna!
Michelino puntò la fionda in alto. – E io spengo la Luna! – Fu acciuffato e messo a letto […] [2].
In queste righe fanno capolino due personaggi Isolina e Fiordaligi: personaggi, con nomi “d’altri tempi”, che “personificano” due stati d’animo distinti; e poi c’è la Luna e il suo “chiaror” …
Chiaror di Luna … il giorno si acquieta, lo sguardo, non più accecato da un invadente sole, volge in alto, attirato da un infinito insieme di piccoli punti luminosi, ma ancor più attirato, complice lo scemare dei suoni diurni, da questo disco argentato che da sempre ci intriga …
- Come fai a dire da sempre?
- Ascolta questi frammenti …
Le stelle intorno alla luna bella
nascondono di nuovo l’aspetto luminoso,
quando essa, piena, di più risplende sulla terra… [3]
- … e ancora:
Tramontata è la luna
e le Pleiadi a mezzo della notte;
anche la giovinezza già dilegua,
e ora nel mio letto resto sola.
Scuote l’anima mia Eros,
come vento sul monte
che irrompe entro le querce;
e scioglie le membra e le agita,
dolce amara indomabile belva.
Ma a me non ape, non miele;
e soffro e desidero [4].
- … e infine:
Piena splendeva la luna
quando presso l’altare si fermarono:
e le Cretesi con armonia
sui piedi leggeri cominciarono
spensierate a girare intorno all’ara
sulla tenera erba appena nata [5].
- Oh! Ma …
Ecco appunto: “Ma … “ma come non vedere un filo ideale – ovviamente argentato – che da quasi ventisei secoli or sono, raggiunge la nostra Isolina nella sua soffitta? E poi l’ultimo frammento … che richiama la musica e le danze spensierate … Già! Spensierate: perché anche la Luna è spensierata, la Luna non pensa, ma ci fa pensare; il pensiero non le appartiene, ma è lei a suggerirlo: qualcosa “d’altro”, esterno a noi, che catalizza in noi il pensiero.
E le danze e la musica che la Luna sussurra a Isolina trasformando gracchianti suoni in argentate note: una danza intorno a un’ara [6], una danza tragica … che parla della solitudine del cuore.
E che dire del suo apparire e sparire per giorni? Il sole, nubi permettendo è sempre lì, a volte più alto, altre più basso sull’orizzonte; lei, la Luna, è multiforme, mai nello stesso punto e mai della stessa grandezza.
E quando sparisce per giorni e ne abbiamo disperatamente bisogno, ecco farsi strada in noi il sentore di perdita irreparabile:
Dov’era la luna? ché il cielo
notava in un’alba di perla,
ed ergersi il mandorlo e il melo
parevano a meglio vederla.
Venivano soffi di lampi
da un nero di nubi laggiù;
veniva una voce dai campi:
chiù… [… ] [7]
Luna multiforme, di aspetto mutevole, mai la stessa, specchio della nostra sorte ma anche metafora della nostra mente:
Luna incostante, luna varia, quale
con corna or vote e talor piene svalli,
or l’orbe tuo bianco, or fosco risale,
or Bora e de’ Rifei monti le valli
fai lustre, or torni per le tue trite scale
a chiarir l’Austro e di Libia le spalli.
La luna mia, per mia continua pena,
mai sempre è ferma, ed è mai sempre piena.
È tale la mia stella,
che sempre mi si toglie e mai non rende,
che sempre tanto bruggia e tanto splende,
sempre tanto crudele e tanto bella;
questa mia nobil face
sempre sì mi martora, e sì mi piace [8].
La Luna di Bruno, in continua trasformazione, si oppone a quella tradizionale, appesa, specchio di una ragione statica, priva di movimento. Per Bruno rappresenta l’incompiuto, preferibile al compiuto, perché passibile di continua evoluzione, ma è anche metafora della propria mente mai ferma e mai appagata così come la luce della Luna varia incessantemente.
Bruno è colui che, in piena osservanza con la legge “immutabile” della trasformazione, accetta di pensare e ripensare se stesso e l’Universo senza sosta; finendo così per diventare agli occhi dei suoi contemporanei il simbolo stesso dell’eresia: un’Eresia continua!
“Bruno: Ho pensato al tuo rifiuto continuo.
Ho pensato alla tua superbia, alla tua “grande, difficile, e straordinaria impresa,
che dal tenebroso abisso cerca di innalzare
gli uomini prigionieri verso la bellezza dei modi splendenti”…
Ho stretto il filo di un tuo pensiero che dice
che la conoscenza passa dall’oggetto
concreto all’immagine o ombra dell’idea,
dall’immagine all’idea o sostanza. O verità.
Ho studiato. Mi sono fatta “materia sensitiva”
… e ho iniziato a dipingere” [9].
- Vita materia infinita? È l’espressione che sintetizza tutta l’opera del Nolano ! No?!
- Vero! E l’artista la stilizza in forma di Luna …
- Mah! Forse una coincidenza …
- La Vita è Coincidenza
Luna specchio, ma anche gioco di specchi, specchi dei nuovi telescopi galileiani, specchi che riflettono la bellezza come in questo contemporaneo di Bruno:
Tu, bianca e vaga Luna
c’hai tanti specchi quanti sono i mari,
mira questo candor ch’è senza pari.
A lei mena i tuoi balli, a lei distilla
le tue dolci rugiade:
spècchiati in lei con amoroso affetto.
E tu, Venere, allor con lei scintilla
che ‘1 sole inchina e cade:
tu, Giove e Marte con benigno aspetto,
lumi sereni e chiari,
non siate a lei de’ vostri doni avari [10].
Questa volta è la Luna che si fa specchio delle bellezze terrestri: bellezze che, a loro volta, sono il riflesso di un reale e ideale insieme: la donna, il femminile.
Il poeta però non è del tutto convinto di ciò, poiché quando quest’ideale/reale si allontana – scompare – ecco che resta solo un pozzo di luce – lunare – pieno di lacrime, serbatoio di sofferenza e vaghezza; tutto questo rimanda all’incertezza, legge fondamentale, della nostra vita:
Qual rugiada o quel pianto,
quai lacrime eran quelle
che sparger vidi dal notturno manto
e dal candido volto de le stelle?
e perché seminò la bianca luna
di cristalline stille un puro nembo
a l’erba fresca in grembo?
perché ne l’aria bruna
s’udian, quasi dolendo, intorno intorno
gir l’aure insino al giorno?
fur segni forse de la tua partita,
vita de la mia vita? [11].
- Si! Però, a parte Saffo, qui son sempre uomini a cianciar in poesia della femminile Luna …
- Non è proprio così; ascolta:
Quando nell’ocean l’altera fronte
inchina il sole e ‘l nostro mondo imbruna,
e dal più basso ciel la fredda luna
sormonta e fa d’argento ogni alto monte,
partesi il buon pastor dal chiaro fonte
e la sua greggia alla sua mandria aduna,
e ‘l stanco pellegrin raccoglie in una
le forze stanche al suo voler mal pronte;
et io che veggio avvicinar la notte
e volar l’ore e i giorni, gli anni e i lustri,
e già dal quinto indietro mi rivolgo,
il passo affretto, e prima che s’annotte,
lo stuol de’ pensier miei sparsi raccolgo
per fargli in cielo eternamente illustri [12].
- Uhm! Mi ricorda qualcosa o qualcuno …
- Vuoi dire questo?:
[…] Somiglia alla tua vita
La vita del pastore.
Sorge in sul primo albore;
Move la greggia oltre pel campo, e vede
Greggi, fontane ed erbe;
Poi stanco si riposa in su la sera:
Altro mai non ispera.
Dimmi, o luna: a che vale
Al pastor la sua vita,
La vostra vita a voi? dimmi: ove tende
Questo vagar mio breve,
Il tuo corso immortale? […] [13].
- Chissà? Forse tra le “sudate carte” del poeta figurava anche la poetessa rinascimentale. O forse no!
- Senti: ma cos’ha di speciale questa luna? In fondo è solo una roccia desolata …
Roccia desolata o no, non è la Terra: è altro dalla Terra … Anzi è l’Altro: colei/colui che ci fa da specchio ma che nel contempo è diverso da noi e ci pone di fronte a quella praxis vitale e vivifica che è il confronto con il diverso da noi:
[…] Che nella Luna o in altro pianeta si generino o erbe o piante o animali simili ai nostri, o vi facciano pioggie, venti, tuoni, come intorno alla Terra, io non lo so e non lo credo, e molto meno che ella sia abitata da uomini: ma non intendo già come tuttavolta che non vi si generino cose simili alle nostre, si. deva di necessità concludere che niuna alterazione vi si faccia, né vi possano essere altre cose che si mutino, si generino e si dissolvano, non solamente diversa dalle nostre, ma lontanissime dalla nostra immaginazione, ed in somma del tutto a noi inescogitabili. E sì come io son sicuro che a uno nato e nutrito in una selva immensa, tra fiere ed uccelli, e che non avesse cognizione alcuna dell’elemento dell’acqua, mai non gli potrebbe cadere nell’immaginazione essere in natura un altro mondo diverso dalla Terra, pieno di animali li quali senza gambe e senza ale velocemente camminano, e non sopra la superficie solamente, come le fiere sopra la terra, ma per entro tutta la profondità, e non solamente camminano, ma dovunque piace loro immobilmente si fermano, cosa che non posson fare gli uccelli per aria, e che quivi di più abitano ancora uomini, e vi fabbricano palazzi e città, ed hanno tanta comodità nel viaggiare, che senza niuna fatica vanno con tutta la famiglia e con la casa e con le città intere in lontanissimi paesi sì come, dico, io son sicuro che un tale, ancorché di perspicacissima immaginazione, non si potrebbe già mai figurare i pesci, l’oceano, le navi, le flotte e le armate di mare; così, e molto più, può accadere che nella Luna, per tanto intervallo remota da noi e di materia per avventura molto diversa dalla Terra, siano sustanze e si facciano operazioni non solamente lontane, ma del tutto fuori, d’ogni nostra immaginazione, come quelle che non abbiano similitudine alcuna con le nostre, e perciò del tutto inescogitabili, avvengaché quello che noi ci immaginiamo bisogna che sia o una delle cose già vedute, o un composto di cose o di parti delle cose altra volta vedute; ché tali sono le sfingi, le sirene, le chimere, i centauri, etc. […] [14].
… e in questo confronto l’immaginazione – la nostra immaginazione – è un aiuto e un limite allo stesso tempo, poiché, come rileva l’astronomo, non riusciremo mai ad immaginare niente che « … sia o una delle cose già vedute, o un composto di cose o di parti delle cose altra volta vedute …».
Il confronto con l’Altro gradisce l’Ascolto di cui il Silenzio è elemento essenziale: un silenzio “lunare”.
Chi, invece, approfitta del luogo canonico dell’alterità per, con molta immaginazione, asserire il proprio pensiero al riparo di “ pericoli inquisitorî ” è questo soldato attaccabrighe del XVII secolo; la perspicace conversazione che segue si svolge sulla Luna e, anticipando tra l’altro, di molti secoli, qualche teoria di gran moda ai nostri giorni [15], avanza l’ipotesi che nelle sacre scritture c’è qualcosa che non torna:
[…] Ci stendemmo pertanto su morbidissimi materassi, ricoperti da grandi tappeti, dove vennero ad avvolgerci i fumi come una volta in trattoria. Un giovane cameriere prese il più anziano dei due filosofi per portarlo in una stanzetta separata, e il mio precettore gli gridò:
- Tornate qui da noi appena avrete finito di mangiare.
Ce lo promise. Questa fantasia di mangiare appartato mi mise in curiosità di conoscerne la causa.
- Non riesce a gustare – mi dissero – l’odore della carne e quello della verdura, se non sono morte da sole, perché pensa siano capaci di dolore.
- Non mi meraviglia tanto il fatto – replicai – che si astenga dalla carne e da ogni cosa che ha vita sensitiva, perché anche nel nostro mondo i pitagorici, e pure qualche santo anacoreta, hanno praticamente questo regime; ma non osare per esempio tagliare un cavolo per paura di ferirlo, mi sembra del tutto ridicolo.
- Io invece – rispose il mio dèmone – trovo molto buon senso nella sua opinione; perché ditemi, quel cavolo di cui parlate non è come voi creatura di Dio? Non avete tutti e due ugualmente per padre e per madre Dio e la privazione? Dio non ha avuto, per l’eternità, la mente occupata dalla sua nascita come dalla vostra? Sembra anzi che abbia pensato di più a quella del vegetale che dell’essere provvisto di ragione, perché ha affidato la generazione dell’uomo ai capricci di suo padre, che poteva a suo piacere generarlo o no, discrezionalità che non ha voluto riservare al cavolo, perché invece di affidare alla discrezione del padre la procreazione del figlio, come se avesse temuto maggiormente che si estinguesse la specie dei cavoli più di quella degli uomini li ha costretti loro malgrado a darsi la vita l’uno con l’altro, e non come gli uomini, che in tutta la vita possono generarne al massimo altri venti, mentre essi producono almeno quattrocentomila altri cavoli a testa. Affermare tuttavia che Dio ha amato più l’uomo che il cavolo è come farci il solletico da soli per ridere. Essendo incapace di passione, egli non può odiare né amare nessuno; e se fosse suscettibile d’amore, lo sarebbe maggiormente per questo cavolo, incapace di offenderlo, che per l’uomo di cui ha davanti agli occhi le offese che gli farà. Aggiungete a ciò che non può nascere senza colpa, discendendo dall’uomo che gli ha trasmesso il peccato originale; mentre sappiamo benissimo che il primo cavolo non offese il Creatore nel paradiso terrestre […] [16].
- A vederla da quaggiù sembrerebbe deserta … eppur a sentir questi scrittori …
- … sembra molto abitata: lunari, seleniti, lunatici …
… lunatici: già! La Luna così enigmatica sembra fatta apposta per ispirare pensieri e riflessioni quantomeno inconsueti se non addirittura da far uscir di senno; ma non è certo la Luna a farci “uscir di senno” bensì:
[…] Altri in amar lo perde, altri in onori,
altri in cercar, scorrendo il mar, ricchezze;
altri ne le speranze de’ signori,
altri dietro alle magiche sciocchezze;
altri in gemme, altri in opre de pittori,
ed altri in altro che più d’altro aprezze […] [17].
… e forse è proprio grazie ad una silenziosa meditazione “lunare” che possiamo rientrare in armonia con noi stessi e con l’Universo: sulla Luna ritrovar il senno.
Ma “lunatici” restiamo comunque; non foss’altro per la nostra innata abitudine a coltivare domande e mai, per nostra fortuna, risposte:
Che fai tu, luna, in ciel? dimmi, che fai,
Silenziosa luna?
Sorgi la sera, e vai,
Contemplando i deserti; indi ti posi.
Ancor non sei tu paga
Di riandare i sempiterni calli?
Ancor non prendi a schivo, ancor sei vaga
Di mirar queste valli?
Somiglia alla tua vita
La vita del pastore.
Sorge in sul primo albore
Move la greggia oltre pel campo, e vede
Greggi, fontane ed erbe;
Poi stanco si riposa in su la sera:
Altro mai non ispera.
Dimmi, o luna: a che vale
Al pastor la sua vita,
La vostra vita a voi? dimmi: ove tende
Questo vagar mio breve,
Il tuo corso immortale? […]
[…] Dico fra me pensando:
A che tante facelle?
Che fa l’aria infinita, e quel profondo
Infinito Seren? che vuol dir questa
Solitudine immensa? ed io che sono?
Così meco ragiono: e della stanza
Smisurata e superba,
E dell’innumerabile famiglia;
Poi di tanto adoprar, di tanti moti
D’ogni celeste, ogni terrena cosa,
Girando senza posa,
Per tornar sempre là donde son mosse;
Uso alcuno, alcun frutto
Indovinar non so. […] [18].
- Quest’ultimo lunatico lo era di sicuro ! …
- Siamo tutti un po’ lunatici: tutti immaginiamo storie che poi finiamo per vivere come reali …
… Essere “lunatico” può essere visto come colui che, momentaneamente, smarrisce il senno; senno che, come già visto, può essere recuperato sulla Luna.
[…] ciò che l’uomo pensa e dice di se stesso nella riflessione razionale non è mai pienamente “vero”, perché non può dar conto dei contenuti psichici profondi ed anzi li deforma o li elude per renderli accettabili. Occorre dunque cercare una verità diversa, attraverso le manifestazioni dove l’attività razionale è meno presente: il sintomo della malattia, il lapsus e gli atti mancanti e, soprattutto, il sogno. […] [19].
… Lo scarto, il margine, l’esilio, tre termini che rappresentano il terreno sul quale si è avviata l’esperienza di Freud: egli mostra in maniera molto brillante e suggestiva – l’azione dei contenuti rimossi nell’inconscio.
L’antichità classica aveva visto nei sogni delle profezie, mentre la scienza dei tempi di Freud li aveva abbandonati come segno di superstizioni.
Ma Freud li ha voluti portare all’interno della scienza. II risultato fu la constatazione che nel sogno c’è un “contenuto manifesto” (quello che si ricorda e si racconta quando ci si sveglia) e un “contenuto latente”. Ebbene, proprio questo contenuto latente contiene il vero significato del sogno stesso, mentre il contenuto manifesto non è altro che una maschera, una facciata (…).
La tecnica psicanalitica, per mezzo di libere associazioni, permette di individuare ciò che è nascosto.
E nelle radici nascoste dei sogni noi troviamo impulsi rimossi che il sogno, data la diminuita vigilanza esercitata dall’io cosciente durante il sonno, cerca di soddisfare: il sogno costituisce la realizzazione di un desiderio, magari nemmeno ipotizzabile nella realtà.
- Ciò che è nascosto? E dove si nasconde questa parte latente di noi?
- Sul lato oscuro della Luna … ça va sans dir !
Il lunatico è sull’erba
Il lunatico è sull’erba
Ricordando giochi e ghirlande di margherite e risate
Bisogna tenere i lunatici in riga
Il lunatico è nella sala
I lunatici sono nella mia sala
Il giornale tiene i loro volti piegati sul pavimento
E ogni giorno lo strillone ne porta degli altri
E se la diga si squarciasse molto prima del previsto
E se non ci fosse posto sopra la collina
E se anche la tua testa esplodesse di oscuri presagi
Ci incontreremo sul lato oscuro della luna
Il lunatico è nella mia testa
Il lunatico è nella mia testa
Tu impugni la lama, tu cambi le cose
Tu mi rivolterai fino a che non sarò sano
Tu chiudi la porta
E getti via la chiave
C’è qualcuno nella mia testa ma non sono io
E se la nuvola esplode, tuona nelle tue orecchie
Tu gridi e nessuno sembra udirti
E se la tua band comincia a suonare canzoni diverse
Ci incontreremo sul lato oscuro della luna [20]..
- Anche questi, in quanto a “lunaticità” non scherzano mica ! …
- Il lato oscuro della luna è il nostro lato oscuro: la Luna Nera!
Strano a dirsi ma anche nell’astrologia la Luna Nera (Lilith) rappresenta alcuni lati oscuri dell’animo umano: disegna il centro delle pulsioni inconsce e della componente individuale di ogni persona e nel tema natale di una persona rappresenta il modo in cui questa esprime la propria passionalità ed erotismo.
- Lilith?!
- Lilith!
Per gli antichi ebrei Lilith era la prima moglie di Adamo (quindi precedente a Eva), che fu ripudiata e cacciata via perché si rifiutò di obbedire al marito. Lilith è creata insieme ad Adamo, non da una sua costola: donna indipendente dunque, essere determinato che difende la propria personalità; alla fine dell’Ottocento, in parallelo alla crescente emancipazione femminile nel mondo occidentale, la figura di Lilith diventa il simbolo del femminile che non si assoggetta al maschile.
Nella lingua ebraica Lilith significa “che appartiene alla notte” e traduce letteralmente un essere femminile della notte … simboleggiato dalla Luna.
dalla Kabbalah ebraica:
[…] Lo Zohar ammette che Adamo si accoppiasse con Lilith sino a quando poi incontrò e conobbe Eva, sua compagna naturale; dopo il peccato originale Adamo rifiutò di incontrare Eva per 130 anni, periodo durante il quale egli perse il proprio seme (in questo, anche se in modo differente, fu simile ai peccatori puniti con il diluvio universale) che sprecarono il seme a terra) la Qabbalah afferma che da questo seme sorsero molti demoni. In seguito, dopo i 130 anni, Adamo si riunì ad Eva.
Il mito di Lilith come prima figura femminile incontrata da Adamo viene ripreso nel XIII secolo in quello che divenne un testo canonico della letteratura post-talmudica, appunto il Sèfer ha-Zòhar o “Libro dello splendore”, secondo l’Halakhah scritto da Shimon bar Yohai o, secondo altri, da un anonimo in Castiglia, o anche da Moshe de Leon. […] [21].
Lo Zòhar è una raccolta di discorsi, alcuni laconici e oscuri, altri fioriti e dotati di una particolare inventiva lessicale che reinterpreta e reinventa le tradizioni, a volte ispirando il dubbio, altre volte dando l’impressione di trovarsi di fronte a realtà profonde e terribili. È stato considerato da molti mistici ebrei come il testo più vicino ai propri sentimenti.
- Domande, dubbi, malinconie, paure, struggimenti … la Luna è tutto questo?!
- Tutto questo e ancora: dolcezza, sensualità, riflessione, ascolto …
- Luna infaticabile, sempre in auge!!!
- Non sempre …
Una strana zingarella
Tu sentirai le rime scivolare
In cadenza nel caldo della stanza
Sopra al guanciale pallida a sognare
Ti volgerai, di questa lenta danza
Magnetica il sussurro a respirare.
La luna stanca è andata a riposare
Gli ulivi taccion, solo un ubriaco
Che si stanca a cantare e ricantare:
Tu magra e sola con i tuoi capelli
Sei restata. Nel cielo a respirare
Stanno i tuoi sogni. Volgiti ed ascolta
Nella notte gelata il mio cantare
Sulle tue spalle magroline e gialle
I capelli vorrei veder danzare
Sei pura come il suono e senza odore
Un tuo bacio è acerbetto e sorridente
E doloroso – e l’occhio è rilucente
È troppo bello, l’occhio è perditore.
Sicuramente tu non sai cantare
Ma la vocetta deve essere acuta
E perforante come il violino
E sorridendo deve pizzicare
Il cuore. I tuoi capelli sulle spalluccine?
Ami i profumi? E perché vai vestita
Di sangue? Ami le chiese?
No tu temi i profumi. Il corpicino
È troppo fine e gli occhi troppo neri
Oh se potessi vederti agitare
La tua animuccia tagliente tremare
E i tuoi occhi lucenti arrotondare
Mentre il santo linfatico e canoro
Che dovevi tentare
Spande in ginocchio nuvole d’incenso
Ringraziando il Signore
E non lo puoi amare
Christus vicisti
L’avorio del crocifisso
Vince l’avorio del tuo ventre
Dalla corona non sì dolce e gloriosa
Nera increspata movente
Nell’ombra grigia vertiginosa
E tu piangi in ginocchio per terra colle mani sugli occhi
E i tuoi piedi lunghi e brutti
Allargati per terra come zampe
D’una bestia ribelle e mostruosa.
Che sapore avranno le tue lacrimucce?
Un poco di fuoco? Io vorrei farne
Un diadema fantastico e portarlo
Sul mio capo nell’ora della morte
Per udirmi parlare in confidenza
I demonietti dai piedi forcuti.
Povera bimba come ti calunnio
Perché hai i capelli tragici
E ti vesti di rosso e non odori [22].
- Ecco! A proposito di lunatici … ma quanti sono?!
- Quanti siamo! Qualcuno ci ha dedicato perfino un poema:
L’incontro fra due culture non è mai un “incontrarsi” bensì uno scontro, ove quella che fra le due porta con sé una maggiore specializzazione punta ad annientare l’altra, considerandola comunque d’intralcio alla propria espansione, fonte d’arricchimento materiale e mai spirituale.
Ma “cultura” è anche il modo di rapportarsi al mondo e alla Vita stessa e l’ascolto attento del «.. sospiro che dal tumulo a noi manda Natura …» si rivela foriero di “maraviglia” e l’impercettibile sussurra Bellezza …
[...] Gli Aztechi. – diceva il prefetto – sono rimasti nella foresta centinaia di anni, e nessuno sapeva che c’erano. Così son diventati fiorenti, tanto che dove prima c’era solo acquitrino e boscaglia, hanno fatto crescere le loro città.
Prendevano una montagna e ne facevan mattoni, calce, pietre da costruzione, metalli; hanno alzato piramidi immense, templi, muraglie, case che resistessero al tempo, palazzi fastosi. E usavano l’oro e le gemme come da noi si usa la latta e i cocci di vetro. L’argento poi lo impiegavano nelle grondaie, nelle inferriate, nei catenacci; i chiodi li facevano di platino e i bottoni dei loro vestiti di agata e di ametista e se gliene avanzava li ributtavano in mezzo alla ghiaia. Quando gli spagnoli li hanno scoperti, c’è stata tanta pubblicità che le navi facevano la fila per andarli a depredare. Così loro hanno perduto tutto quello che avevano; e quelli rimasti si sono ritirati nel fitto del bosco. Hanno continuato ad avere città, ma hanno dovuto cambiare lo stile dell’architettura, per non dare nell’occhio e attirare di nuovo la bramosia degli spagnoli.
Prima di tutto non tagliano gli alberi, come facevano per dare spazio alle piazze e alle strade. Ma dicono: qui ci sarebbe una piazza grandissima, ma è coperta di bosco per non farla vedere; qui c’è la via sacra, ma è camuffata dalle piante selvatiche se no ci vengono anche a saccheggiare.
E le piramidi non le fanno più lisce e squadrate, con i gradini ad angoli retti, ma sono coperte da muschio, da rampicanti, e la pietra non è lavorata in cubi regolari da costruzione, ma l’han lasciata come si trova in natura, tutta scagliosa e accidentata, altrimenti chiunque li può individuare, anche da molto distante.
Anzi, la pietra non l’hanno neanche staccata, e dicono: “questa è la roccia per fare le piramidi, la roccia migliore, ma è meglio lasciarla così, dove si trova, non levigata, se no arrivano i predatori”. E dunque per loro le montagne di marmo sono città non costruite. Ci girano attorno e dicono: “bellissimo, qui c’è un architrave non ancora scolpita, ma sarebbe superba; qui c’è un gigantesco obelisco di tufo, ma non è ancora staccato e drizzato; ed è meglio.”
“Qui c’è il palazzo imperiale”; e ammirano i picchi di roccia e le pareti intatte della montagna. “Ecco il granito della fortezza – dicono – il porfido del colonnato; i basalti, le arenarie, le tormaline per i colori delle facciate; ecco le volte magnifiche delle sale e le cornici bianche di selenite…”
Poi camminano ad esempio nel greto sassoso di un fiume e dicono che quello è in sostanza in pavimento selciato; lo si dovrebbe solo spianare e cementare. Ma è meglio non farlo, perché correrebbero i curiosi e gli spagnoli a frotte.
Quindi gli Aztechi non sono scomparsi, ma si sono intanati. Hanno sempre una grande paura che gli spagnoli possan tornare. E allora per mimetizzarsi non abitano più il vecchio regno, che è stato lasciato andare in rovina; ma ormai è nel regno minerale che stanno, dove le città son sottoterra, nella forma più celata possibile, cioè allo stato di roccia.
E il loro sistema edilizio è di lasciare tutto com’è, adottato dopo l’arrivo degli spagnoli.
Loro tastano i marmi, ne riconoscono le qualità, la resistenza, la luce che danno, e vedono la città già finita. Aggirandosi in mezzo ai dirupi ne discutono, si dicono l’uno con l’altro i progetti più fantasiosi, e li variano continuamente, a seconda dell’umore, dell’umidità o del calore della giornata. E anche se non arrivano a farlo, per la prudenza che ormai hanno istintiva, edificano torri, quartieri, grandi acquedotti, baluardi, ponti, bagni. pubblici, osservatori celesti, e poi secondo l’estro di ognuno, statue, bassorilievi, fontane.
In un certo senso la loro civiltà è più fiorente che mai, perché la materia, dicono, a loro non può più resistere. Prendono un sasso e guardandolo per delle ore in tutte le venature lo cesellano come un merletto, ne fanno un gioiello finissimo, una capigliatura svolazzante di ninfa in cui si distingue ogni nastro, ogni capello. Poi lo buttano via questo sasso, e ne cercano un altro, per vedere le bellezze che ci sarebbero potute essere dentro.
E non solo: dalle sorgenti di roccia guardano sgorgare lo stagno e l’alluminio, e affiorate le vene rosse di rame. Possiedono immensi tesori sepolti nelle miniere: oro nascosto nelle piriti; smeraldi e acquemarine incrostati dentro al berillio; e giacimenti di quarzo, rubino, turchesi.
Ma non se li mettono addosso; loro sono vestiti da poveri, indiani di cotone leggero, e se ne stanno tra i monti e le sierre. Così queste loro nuove città nessuno può visitarle, anche se son sotto gli occhi di tutti; mentre le vecchie, che si vedono bene, sono rimaste deserte.
E non hanno smesso le loro scritture. Dicono anzi che dappertutto c’è scritto; che loro leggono i fogli di roccia quando si sfalda, come un libro stampato; c’è scritta la storia del passare del tempo, e le lettere sono come depositate dal corso dei fiumi, delle alluvioni, delle lave dei grandi vulcani, dai millenni di vita delle foreste, dei deserti, dei mari. Loro dicono che è la cronaca di tutto quel che succede, e che tutto c’è scritto, anche se per chi non se ne intende non sembra scrittura. Ma a loro va proprio bene così.
Dicono: “qua c’è vissuto un mollusco e c’è morto; è scritto con un disegno a spirale. Qui c’è stato un campo di felci; è detto in un sasso con una figura”.
“Ah, sono i fossili, è vero?”, m’è venuto da dire.
“Si, ma gli Aztechi dicono che è la terra che scrive così, e ormai è anche il loro alfabeto”.
E il risultato dell’avidità degli spagnoli, voleva in conclusione dire il prefetto, e della loro invadenza, è stato quello di renderli “impercettibili’ cosicché ormai è come se non ci fossero più, è come averli perduti. […] [23].
Se la Luna è alterità, allora essere “lunatici” significa necessariamente pensare “altro” da ciò che è rappresentato dal “pensiero ereditato” anche a costo di diventare “impercettibili”. Lunatici: non conformi … a tutto ciò di pre-costituito, pre-concetto … Osare pensare, anzi ri-pensare …
Il poema di cui abbiamo letto un frammento, ha ispirato le immagini e le visioni oniriche rese attraverso il mezzo filmico: immagini e visioni in cui vi è una spiccata critica verso tutto quello che manipola noi essere umani, che ci impedisce di vivere con autenticità.
La materialità e l’effimero straripante invadono le nostre giornate. Il film è l’invito a liberarsi da tutte queste catene dell’animo, suggerendo che, a queste condizioni, forse un lunatico vive in maniera più autentica e profonda la propria vita:
… “Eppure io credo che se ci fosse un po’ più di silenzio, se tutti facessimo un po’ di silenzio, forse qualcosa potremmo capire” …
… “Guarda: il fuoco! Dove vanno tutte quelle scintille? Il fuoco, quando si spegne, dove va? Come la musica, che nessuno sa dove va quando finisce. Quante idee mi vengono a stare qui, nonna. Ma volano via: come quelle scintille. Come si fa a fermarle, nonna? Tu ci riesci?” …
…”Lo vedi? Niente è impossibile. Arriva sempre il momento giusto per tutto: basta aspettare. Anche la luna, quando è bella piena, matura, può cascarti fra le braccia… “Luna tu… mi vuoi dire perché…”… [24].
- Mi vuoi dire che si vive meglio da pazzi, da lunatici? Ma via!
- No! Ma è interessante l’invito a soffermarsi sul concetto di “savio ”
- Uff! La tua mania di rimettere sempre tutto e tutti in discussione … così non si finisce mai!
- Bravo! Non si finisce mai! È’ forse il solo modo per accordarsi con l’Eternità dell’essere: ripensare il mondo e noi stessi infinite volte!
- Ma è stancante!
- Tranquillo! Ti è dato farlo, se lo vuoi, solo per una frazione infinitesimale di anno-luce … poi avrai tutto il tempo per “riposare” …
- Anzi: abbi ancora un po’ di pazienza perché il viaggio non è ancora terminato … nel frattempo prova a immaginare la musica di questa canzone …
Era estate quando il fiume si asciugò,
O c’era solo un’altra diga.
Quando la malvagità di un fiocco di neve in Giugno
Poteva ancora essere una fonte di sollievo.
O come ti amo, una volta ho pianto, tanto tempo fa,
Ma ero io quello che ha deciso di partire.
Per cercare oltre la cima finale,
Anche se ho sentito che solo gli uccelli possono dimorare così in alto.
Così ho finto di avere ali alle braccia
E di decollare in aria.
Ho volato su posti che le nuvole non vedranno mai,
Troppo vicini ai deserti di sabbia,
Dove migliaia di miraggi, i pastori di bugie
Mi hanno forzato ad atterrare e travestirmi.
Avrei accettato il calcio di un cavallo per spedirmi indietro
Se solo trovassi un cavallo non fatto di sabbia.
Se questo deserto è tutto ciò che ci sarà mai
Allora dimmi che sarà di me.
Uno scroscio di pioggia?
Questo deve essere stato un altro dei tuoi sogni,
Il sogno della luna di un pazzo
Ehi uomo,
Sono l’uomo sabbia [25].
E, ragazzo, ho notizie per te;
Ti cacceranno in prigione
E sai che non possono fallire
Perché la sabbia è più spessa del sangue.
Ma una prigione nella sabbia
è un rifugio nell’inferno,
Perché una prigione può darti una prigione
[e uno] scopo può trovarti un ruolo
Su un campo fangoso a Newcastle,
Dove piove così tanto
Non puoi aspettare un tocco
Del sole e della sabbia, sole e sabbia?
Nella valle della morte senza ombra
Pregano per nubi e pioggia,
Ma per i molti che stanno sotto la pioggia
Il paradiso è dove splende il sole.
L’erba sarà sempre più verde finché i gambi diventeranno marroni
E i pensieri voleranno sempre più alti finché la terra li porterà giù.
Intrappolati per sempre nelle terre del deserto, uno deve imparare
A non credere al mare.
Se questo deserto è tutto ciò che ci sarà mai
Allora dimmi che sarà di me.
Uno scroscio di pioggia?
Questo deve essere stato un altro dei tuoi sogni,
Il sogno della luna di un pazzo [26].
Ma oggi, adesso, mentre queste parole si formano come per magia sulla lamina plastica retroilluminata di questo schermo, per finire impresse sulla carta in pochissimi secondi, in virtù di un altro processo altrettanto “magico”, la Luna cos’è ?
È ancora lo specchio che riflette e invita alla riflessione?
Luna e poesia
Giorni fa mi fu chiesto da un cortese intervistatore quale potrebbe essere lo status poetico della luna dopo il fatto compiuto dell’allunaggio. Gli risposi che la scoperta dell’ombrello non aveva impedito a Debussy e a D’Annunzio di mimare la pioggia in due loro celebri composizioni. Aggiunsi pure che la poeticità della luna era già in ribasso molto prima che i futuristi scatenassero la loro offensiva contro la pallida Selene. Nessun poeta moderno si rivolgerebbe alla luna col famoso interrogativo «che fai tu in ciel» etc. Detronizzata da gran tempo, la luna sopravvive come parola d’uso (es. «era una bella serata di luna» in cui la parola luna non ha funzione di protagonista). E sopravvivranno all’allunaggio le numerose connotazioni misterico-negromantiche che hanno fatto del nostro vicino satellite un inquietante personaggio astrale. […] [27].
Già: luna e poesia ovvero scienza e mito … termini antitetici e non commensurabili tra di loro?
Nel 1975 viene formulata e dimostrata una teoria sulla formazione del nostro satellite, teoria ad oggi riconosciuta e accettata dalla comunità scientifica internazionale: la “Teoria dell’impatto gigante”:
Attualmente la teoria dell’impatto gigante è quella maggiormente accettata dalla comunità scientifica. Fu proposta nel 1975 da William K. Hartmann [28] il quale ipotizza l’impatto di un corpo delle dimensioni di Marte (che è chiamato Theia o Orpheus) con la Terra. Da quest’impatto si sarebbe generato abbastanza materiale, nell’orbita circumterrestre, da permettere la formazione della Luna. Anche l’astronomo canadese Alastair G. W. Cameron era un convinto sostenitore di questa tesi. Si pensa, inoltre, che i pianeti si siano formati attraverso un’accessione di corpi più piccoli in oggetti maggiori e, al giorno d’oggi, è riconosciuto che impatti come questo potrebbero essere avvenuti anche per alcuni altri pianeti. Simulazioni al computer dell’impatto riescono a predire sia il valore del momento angolare del sistema Terra-Luna, sia la piccola dimensione del nucleo lunare.
L’ipotetico corpo Theia si sarebbe formato in un punto di Lagrange [29] relativo alla Terra, ossia in una posizione gravitazionalmente stabile lungo la stessa orbita del nostro pianeta. Qui Theia si sarebbe accresciuto progressivamente inglobando i planetesimi [30] e i detriti che occupavano in gran numero le regioni interne del sistema solare poco dopo la sua formazione. Quando Theia crebbe fino a raggiungere la dimensione di Marte, la sua massa divenne troppo elevata per restare stabilmente nel punto di Lagrange. In accordo con questa teoria, 34 milioni di anni dopo la formazione della Terra (circa 4533 milioni di anni fa) questo corpo colpì la Terra con un angolo obliquo, distruggendosi e proiettando nello spazio sia i suoi frammenti sia una porzione significativa del mantello terrestre.
Secondo alcuni calcoli, il due per cento della massa di Theia formò un anello di detriti, mentre circa metà della sua massa si unì per formare la Luna, processo che potrebbe essersi completato nell’arco di un secolo. È anche possibile che una parte del nucleo di Theia, più pesante, sia affondata nella Terra stessa fondendosi con il nucleo originario del nostro pianeta.
Si ritiene che un simile impatto avrebbe completamente sterilizzato la superficie terrestre, provocando l’evaporazione degli eventuali mari primordiali e la distruzione di ogni tipo di molecola complessa. Se mai sulla Terra fossero già all’opera processi di formazione di molecole organiche, l’impatto di Theia dovrebbe averli bruscamente interrotti.
È stato inoltre suggerito che in conseguenza dell’impatto si siano formati altri oggetti di dimensioni significative (ma comunque inferiori a quelle della Luna) che avrebbero continuato ad orbitare attorno alla Terra, magari occupando uno dei punti di Lagrange del sistema Terra-Luna. Nell’arco di un centinaio di milioni di anni al più, le azioni gravitazionali degli altri pianeti e del Sole ne avrebbero comunque destabilizzato le orbite, causandone la fuga dal sistema o delle collisioni con il pianeta o con la Luna.
Uno studio pubblicato nel 2011 suggerisce che una collisione tra la Luna e uno di questi corpi minori (dalle dimensioni pari ad un trentesimo di quelle lunari), potrebbe aver causato le notevoli differenze in caratteristiche fisiche esistenti tra le due facce della Luna.
Le simulazioni condotte suggeriscono che, se l’impatto tra i due satelliti fosse avvenuto con velocità sufficientemente bassa, non avrebbe condotto alla formazione di un cratere, ma il materiale del corpo minore si sarebbe “spalmato” sulla Luna, aggiungendo alla sua superficie uno spesso strato di crosta degli altipiani (che oggi vediamo occupare la faccia nascosta della Luna, la cui crosta è spessa circa 50 km più di quelle della faccia visibile) [31]
- Il lato oscuro più spesso di 50 km in più della faccia visibile! Ci credo che lo nasconda … Con tutti quei bitorzoli dev’essere proprio brutta!
- Ti sbagli! In realtà sembra che sia più spessa perché in origine erano due:
La teoria è stata illustrata sulla rivista Nature e ha catturato l’attenzione della comunità scientifica perché spiega anche un altro mistero. Da sempre gli studiosi sono a caccia di una spiegazione riguardo alle due diverse facce del nostro satellite. Il versante visibile dalla terra è pianeggiante, mentre la superficie della faccia oscura è montagnosa, con una crosta più spessa di 50 chilometri rispetto a quella opposta.
Martin Jutzi dell’università di Berna, in Svizzera, e il collega Erik Asphaug dell’università della California credono di aver scoperto il perché. Quattro miliardi e mezzo di anni fa un pianeta delle dimensioni di Marte ha colpito la terra.
“I detriti rocciosi e le macerie si sono liberati nell’atmosfera e hanno formato un disco che dopo è diventato la luna. Ma non c’è ragione di credere che se ne fosse formata solo una”. Per milioni di anni, secondo i due studiosi, le lune sorelle hanno convissuto pacificamente sulla stessa orbita intorno alla terra.
Ma quando la maggiore ha cominciato ad allontanarsi dal nostro pianeta (cioè, 10 milioni di anni dopo la formazione) è entrata in collisione con la minore (di circa mille chilometri di diametro). “Visto che erano sulla stessa orbita si sono scontrate a una velocità minima, meno di 3 chilometri al secondo – prosegue Jutzi – Quindi non si è formato un cratere. Semplicemente la luna più piccola per la forza di gravità si è spalmata come una frittella su quella più grande”.
Ecco spiegato perché la faccia oscura è molto più spessa: in realtà si tratta delle due lune incollate una sull’altra.
Per provarlo i due scienziati hanno usato un modello al computer che riproduce la collisione e ne calcola le conseguenze. La loro è una teoria innovativa. Prima si pensava che l’eventuale secondo corpo prodotto dall’impatto di quel pianeta sconosciuto sulla terra fosse stato respinto nello spazio interstellare e quindi andato perduto. I due ricercatori adesso sono a caccia di prove concrete. Per trovarle si potrebbero analizzare le rocce delle due facce lunari. Siccome la luna piccola si è formata un po’ prima della grande, i due versanti dovrebbero presentare rocce di diversa età. E uno studio della struttura interna del satellite potrebbe essere portato a termine a breve, quando la Nasa invierà intorno alla luna la missione Grail, per sondare la gravità della sua massa e disegnare mappe ad alta risoluzione [32].
- Oh! Ma pensa!… Però: finalmente un po’ di razionalità confutabile!
- Già! La mitologia, invece, non ha bisogno di esser confutata: essa appartiene al sogno …
Nelle religioni dell’Antica Grecia Selene (in greco Σελήνη, “luna”; etimo: “la risplendente”) è la dea della Luna, figlia di Iperione e Teia, sorella di Elio (il Sole) ed Eos (l’Aurora).
Selene è la personificazione della Luna piena, insieme ad Artemide (personificazione della Luna crescente) e ad Ecate (personificazione della Luna calante). Similmente, viene associata al satellite anche nella mitologia romana; proprio a Roma, sull’Aventino, si trovava il tempio della Luna.
La dea viene generalmente descritta come una bella donna con il viso pallido, che indossa lunghe vesti fluide bianche od argentate e che reca sulla testa una luna crescente ed in mano una torcia. Molte rappresentazioni la raffigurano su un carro trainato da buoi o su una biga tirata da cavalli, che insegue quella solare. Le si attribuì una relazione con Zeus, dal quale ebbe Pandia ed Ersa (larugiada) ed un’altra con Pan, che per sedurla si travestì con un vello di pecora bianca e Selene vi salì sopra [33].
- Ecco! Appunto! Questa è mitologia … sogno … non scienza … eppoi dice che erano tre fratelli non due: l’altro era il sole! Stai a vedere che anche il sole è nato dal Grande Impatto!
- E chi lo sa ?! Magari fra qualche anno si scopre che …
- Senti: non è che stai uscendo di senno?
- No! O forse sì! Però la teoria del Grande Impatto mi ricorda una storia simile:
Una delle immagini classiche associate all’idea di “anima gemella” è quella riportata nel Simposio di Platone, in cui viene riportato ed elaborato il mito greco degli ermafroditi.
Secondo questo mito, all’origine dei tempi gli esseri umani non erano suddivisi per genere, e ciascuno di essi aveva quattro braccia, quattro gambe e due teste. Per gelosia nei confronti della perfezione umana, gli dèi li separarono in due parti con un fulmine, creando da ogni essere umano primordiale un uomo e una donna. Come conseguenza, ogni essere umano cerca di ritrovare la propria iniziale completezza cercando la propria metà perduta. Secondo il mito però, gli esseri umani erano una coppia che poteva essere formata da due donne, due uomini o un uomo e una donna, quindi non era presente nessuna forma di omofobia.
Finalmente Zeus ebbe un’idea e disse: “Credo di aver trovato il modo perché gli uomini possano continuare ad esistere rinunciando però, una volta diventati più deboli, alle loro insolenze. Adesso li taglierò in due uno per uno, e così si indeboliranno e nel contempo, raddoppiando il loro numero, diventeranno più utili a noi [34].
Questo mito dell’essere dai due sessi ci “colpisce”, e ci attrae:
Nessuno di noi è relegato a un sesso. Maschile e femminile ci abitano, contrassegnando l’uno la nostra dimensione cosciente, l’altro la nostra dimensione inconscia. Questa ambivalenza sessuale è decisiva a livello psichico, E il rimuoverla, perché non c’è cultura e civiltà che non lo richiedano per un loro bisogno di ordine, è un grave danno psichico. Per questo la figura dell’ermafrodita merita la nostra attenzione.
Ne parla la mitologia di tutti i popoli antichi, tra cui quella greca, la più vicina a noi, a proposito di Hermes (Mercurio) dalla “duplice natura”, ne parla Platone nel Simposio col mito dell’androgino, da cui nacquero maschio e femmina dopo il taglio inferto al suo corpo per volere di Zeus, ne parla la Gnosi che così spiega la partenogenesi di Gesù, generato dal maschile e femminile di Maria, ne parla Clemente Alessandrino, maestro di Origene, che allude all’androginia di Cristo, e più recentemente la mistica cattolica con Georg Koepgen, la cui opera, La gnosi del cristianesimo (1939) ebbe prima l’imprimatur, e poi la messa all’indice, ne parla infine a più riprese l’alchimia con i simboli della coniunctio oppositorum e da ultimo Jung che vede nell’ermafrodita un archetipo decisivo nella dinamica psichica di ciascuno di noi.
Se tanta storia, mitologia, religione, arte, psicologia si sono intrattenute su questa figura, possiamo, sulla traccia di Jung, riflettere se l’ermafrodita non sia il simbolo del nostro inconscio dove tutto è indifferenziato e da cui l’umanità si è emancipata attraverso le differenze instaurate dalla ragione, che distingue il maschile dal femminile, il giorno dalla notte, la causa dall’effetto, e in generale una cosa dall’altra.
Di questo indifferenziato abbiamo esperienza nei sogni dove l’assenza di coscienza con-fonde tutte le cose per cui io sono ad un tempo maschio e femmina, adulto e bambino, dove naufraga la successione temporale, la sequenza spaziale, dove non vige il principio di non contraddizione e tanto meno il principio di causalità. Di questa con-fusione dei codici, l’ermafrodita è il simbolo, nell’accezione greca di syn-ballein, che significa mettere assieme.
Il pensiero antico era profondo. Viene da chiedersi se tanta infelicità dell’uomo d’oggi non dipenda da un eccesso di razionalità conscia che più non ha rapporti con il proprio inconscio, se tanta violenza maschile non dipenda dall’aver rimosso la propria dimensione femminile, e se tanta acquiescenza femminile non sia dovuta alla rimozione del proprio maschile.
Se questo è vero, l’ermafrodita è un simbolo che chiede la nostra riflessione [35].
Scienza e poesia quindi: con tali premesse niente ci impedisce di considerare la Luna come “anima gemella” della Terra, dalla quale, in tempi remoti, si separò suo malgrado…
Ma poesia anche come praxis di ricongiunzione, tensione verso uno stato dell’essere originario armonico …
Chissà: sarà forse per questa “separazione” voluta dagli dei invidiosi – che sia stato il pianeta “Marte” o Zeus in persona, non importa – che Eros, Sentimento, Femminilità e Mistero e tutto ciò che d’impalpabile, nella nostra vita, spesso latita, siano rimasti confinati sulla Luna al momento del distacco?…
E che noi, da quel dì solitaria metà, terricoli diurni e lunatici notturni, interroghiamo il nostro satellite, ogni notte di plenilunio, magari su di un colle, quasi a chiedergli come … come poterci ricongiungere alla parte del nostro animo, che percepiamo “mancante” …come potersi riunire alla nostra “anima gemella” ?…
- Va bene! Adesso che mi hai messo malinconia, hai finito ?
- Per adesso si … forse …
Dialoghi Mediterranei, n. 69, settembre 2024
[1] Italo Giovanni Calvino Mameli, noto come Italo Calvino (Santiago de Las Vegas de La Habana, 15 ottobre 1923 – Siena, 19 settembre 1985), è stato uno scrittore italiano. Intellettuale di grande impegno politico, civile e culturale, è stato uno dei narratori italiani più importanti del Novecento. Ha frequentato molte delle principali tendenze letterarie a lui coeve, dal Neorealismo al Postmoderno, ma tenendo sempre una certa distanza da esse e svolgendo un proprio personale e coerente percorso di ricerca.
[2] Italo Calvino – Marcovaldo – Mondadori – Milano 1993
[3] Saffo – Liriche e frammenti – a cura di E. Savino – trad. di S. Quasimodo – Feltrinelli – Milano – 2008
[4] ibidem
[5] ibidem
[6] emmelèia: ἐμμέλεια danza della tradizione tragica greca
[7] L’assaiolo – da Myricæ – Giovanni Pascoli – ed. DeAgostini – Novara 1995
[8] Giordano Bruno (Nola, 1548 – Roma, 17 febbraio 1600) – cit. da: De gli Eroici Furori 1585 – dialogo V – ed. Gentile-Aquilecchia – documentato da: http://bibliotecaideale.filosofia.sns.it/
[9] Roberta Pugno pittrice; nasce a Bolzano – per rif.ti bio-bibliografici: http://www.robertapugno.it/
[10] Torquato Tasso – Opere vol. IV – Capurro – Pisa 1822
[11] ibidem
[12] Laura Battiferri Ammannati (Urbino, 1523 – Firenze, novembre 1589) cit. da University of Chicago Library – Italian Women Writers – Opere complete su: http://www.lib.uchicago.edu/efts/IWW/texts/htmlfiles/A0006-T002/
[13] Giacomo Leopardi – Canti – ed. Rizzoli – Milano 1974
[14] da Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo - Galileo Galilei (Pisa, 15 febbraio 1564 – Arcetri, 8 gennaio 1642)
[15] Il veganismo è dettato da principi etici di rispetto per la vita animale e basato sul pensiero antispecista e su una visione non-violenta della vita. Il veganismo può essere considerato la prassi della teoria antispecista e, nella pratica quotidiana, si traduce nel rifiuto di usare o consumare, per quanto possibile e praticabile, prodotti derivanti da sfruttamento e uccisione degli animali
[16] da Stati e imperi della luna di Hercule Savinien Cyrano de Bergerac (Parigi, 6 marzo 1619 – Sannois, 28 luglio 1655)
[17] da Orlando furioso di Ludovico Ariosto (Reggio nell’Emilia, 8 settembre 1474 – Ferrara, 6 luglio 1533)
[18] da Canto di un pastore errante dell’Asia di Giacomo Leopardi
[19] da L’interpretazione dei sogni di Sigmund Freud – ed. Bollati-Boringhieri – Milano 1985
[20] Brain damage da “The dark side of the moon” – Pink Floyd – Harvest Records 1973
[21] da La kabbalah – Israel Giorgio – Il Mulino – Bologna 2005
[22] Dino Campana – Opere e contributi – a cura di E. Falqui – Vallecchi – Firenze 1973
[23] Ermanno Cavazzoni – Il poema dei lunatici – Bollati Boringhieri – Milano 1987
[24] da “La voce della luna” di Federico Fellini – prod. Mario & Vittorio Cecchi Gori – 1990 soggetto di Ermanno Cavazzoni (cfr. nota 22)
[25] Sandman nel testo originale: “Uomo sabbia” equivalente inglese del nostro “ uomo nero “ ; un essere magico che fa addormentare i bambini lanciando sabbia nei loro occhi.
[26] “Mad man moon da “A Trick of the Tail” – Genesis – Charisma Records – Londra 1976
[27] Eugenio Montale – Luna e poesia – dal Corriere della Sera – Milano 17 luglio 1969
[28] William Kenneth Hartmann (New Kensington, 6 giugno 1939) è un astronomo, pittore e saggista statunitense.
[29] Nel problema dei tre corpi, i punti di Lagrange, tecnicamente chiamati punti di oscillazione, altro non sono che quelle posizioni nello spazio, nell’ipotesi semplificativa in cui uno dei corpi abbia massa molto inferiore agli altri due, in cui le forze che agiscono sull’oggetto minore si bilanciano, creando una situazione di equilibrio. Questi punti sono detti di Lagrange in onore del matematico Joseph-Louis de Lagrange che nel 1772 ne calcolò la posizione.
[30] Un planetesimo è un oggetto roccioso primordiale alla base della formazione dei pianeti, asteroidi e del sistema solare.
[31] William Kenneth Hartmann – Giant impact hypothesis – ed. “Planetary Science Institute” of Tucson – Arizona – USA 1975
[32] dal The Guardian, 3 agosto 2011 – cfr: http://www.guardian.co.uk/science/2011/aug/03/second-moon-collision
[33] fonte: http://it.wikipedia.org/wiki/Selene
[34] da Simposio – Platone – trad. Franco Ferrari – pref. Eva Cantarella – Rizzoli – Milano 2012
[35] Umberto Galimberti, Ermafrodito il simbolo dell’unione, La Repubblica Robinson– 8 dicembre 2011: 53.
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Sergio Ciappina, siciliano di nascita, toscano d’adozione; si occupa di ingegneria dei sistemi informatici e networking strutturale; ha conseguito un diploma di laurea in Storia presso l’Università degli Studi di Firenze con una tesi sulle «Radici e evoluzione del pregiudizio antiebraico: un’analisi storico-semantica» pubblicata dall’Osservatorio antisemitismo della Fondazione Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea CDEC ETS; ha successivamente proseguito gli studi e la ricerca conseguendo il diploma di laurea magistrale in Scienze Storiche con una tesi sulla «Repressione del dissenso intellettuale sotto il fascismo: Giuseppe Rensi e Ernesto Rossi nelle carte della polizia». Fa parte della redazione del progetto di ricerca gestito dalla Firenze University Press Intellettuali in fuga dall’Italia fascista. Attualmente frequenta il secondo anno del corso di laurea magistrale in Intermediazione Culturale e Religiosa e ha ultimato il Corso di perfezionamento in didattica della Shoah, entrambi sempre presso l’Università degli Studi di Firenze.
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