Stampa Articolo

«Chi pensa resta immortale, chi non pensa muore». Per un profilo di Averroè

Copertina di   Marco Sanfilippo

Abū l-Walīd Muhammad Ibn Ahmad Rushd, conosciuto in Occidente come Averroè, è stato uno dei filosofi più complessi della storia della filosofia. Medico e giurista, egli s’interessava anche di astronomia, di politica e di sociologia. Con Averroè la filosofia islamica ha forse toccato la sua vetta più elevata, ma ha trovato anche la sua conclusione. Il suo pensiero si è diffuso nell’Occidente medioevale, soprattutto grazie ai suoi commenti alle opere aristoteliche che hanno contribuito alla  alla conoscenza del pensatore greco fino a quel momento molto limitata ed è proprio in Occidente che Averroè ha ricevuto l’appellativo di Commentatore. Dopo la fine del Medioevo, il suo pensiero ha continuato ad avere ancora una certa fortuna, anche se solo per poco, tanto che bisognerà attendere l’Ottocento perché fosse nuovamente riproposto dallo studioso francese Ernest Renan. Uno dei paradossi che ha avvolto la figura di Averroè e che in un certo senso ha accresciuto intorno a lui un certo alone mitico è stato proprio questo estremo contrasto fra momenti di altissimo interesse da parte degli studiosi, sia favorevoli sia contrari al suo pensiero, e periodi di eclisse quasi totale come se egli non fosse mai esistito. Lo si potrebbe paragonare al genio (gin) del celebre racconto, La Lampada di Aladino, che appare solo quando è invocato. Profetiche in questo senso sembrano le parole di Jorge Luis Borges (1998:83) alla fine del suo racconto La ricerca di Averroè: «Nell’istante in cui cesso di credere in lui, Averroè sparisce».

Per la formazione culturale di Averroè ha avuto notevole importanza l’ambiente in cui è vissuto. Nacque nel 1126 a Cordoba, città dell’Andalusia (Al-Andalus), che a quel tempo era sotto la dominazione araba e precisamente sotto la dinastia degli Almohadi. Al-Andalus era il cuore della cultura islamica in Occidente: qui poté proseguire il suo sviluppo la falsafa, una corrente filosofica islamica che affondava le sue radici nella filosofia greca, in particolare in Platone e in Aristotele. Fra gli esponenti più importanti di questa corrente di pensiero, si segnalano Al-Kindi, Al-Farabi e  Ibn Sina, conosciuto in Occidente come Avicenna. In Al-Andalus sono cresciuti filosofi come Ibn Tufayl, Avempace e per l’appunto Averroè.

Statua di Averroè a Cordova

Statua di Averroè a Cordova

La famiglia di Averroè era una delle più influenti di Cordoba: sia suo nonno che suo padre furono qadì, cioè giudici. Averroè studiò l’umanesimo arabo, il diritto e la medicina. Si ipotizza che a introdurlo nei grandi ambienti della cultura araba non sia stata tanto l’importanza della sua famiglia, quanto il filosofo Ibn Tufayl che lo presentò al sultano, molto appassionato di filosofia. Nominato medico di corte, Averroè in seguito fu eletto gran qadì di Siviglia e di Cordoba (Cruz Hernandez 2000: 596-597).

Il filosofo di Cordoba si dedicò soprattutto allo studio di Aristotele, tanto da diventarne il più grande interprete. Egli analizzava le opere aristoteliche utilizzando come metodo il Commentario che consisteva nello spiegare il significato dei testi, parola dopo parola, aggiungendo a conclusione la propria interpretazione. Nonostante Averroè non conoscesse né il greco antico né il siriaco e quindi studiasse sulle traduzioni dell’epoca, è riuscito a sopperire a tale mancanza con un’analisi molto accurata, tanto da intuire talvolta addirittura gli errori che potevano nascondersi in quelle traduzioni (Averrois, in Illuminati 1996:152; 214).

L’accuratezza e la precisione delle analisi sui testi filosofici caratterizzavano il pensiero razionalista di Averroè, teso a cercare la verità tramite l’indagine del creato: secondo lui, solo attraverso l’indagine razionale della natura, i filosofi possono ottenere la conoscenza e raggiungere la perfezione. Per Averroè, come per Aristotele, la felicità perseguita dai filosofi coincide infatti con la perfezione (Leaman 1991: 254). Ciò a cui ambiscono i filosofi è quindi una sorta di beatitudine intellettuale, una visione di Dio che si otterrebbe nella vita terrena innalzando il proprio intelletto, oltre i propri limiti, attraverso l’apprendimento di tutto lo scibile umanamente possibile (Gagliardi 2002: 18).

Commentarium magnum Averrois in Aristotelis, 1275

Commentarium magnum Averrois in Aristotelis, 1275

Nonostante il suo razionalismo, Averroè si è professato credente, fedele all’insegnamento coranico e rispettoso della legge islamica. Poiché nell’Islam la legge si basa sull’interpretazione del Corano, proprio citando le Sacre Scritture, egli ha tentato di dimostrare che studiare la filosofia e il pensiero dei filosofi greci non allontanava dalla via tracciata dalla fede, ma al contrario aiutava a riconoscere i segni dell’opera di Dio. Questa sua teoria è sviluppata in una delle sue opere oggi più celebri, L’accordo della legge religiosa con la filosofia (Kitāb Fasl al-maqāl), il cui intento è mostrare ai teologi e ai giuristi musulmani che lo studio della filosofia è giudicato lecito dalla Rivelazione (Averroè 1994:113). Anzi, la religione esorta all’indagine razionale della natura, e questo è mostrato menzionando alcuni versetti del Corano (ibidem: 114-115). Il Commentatore sostiene che la filosofia non è responsabile del fatto che alcuni studiosi abbiano perduto la via della fede. Perciò paragona chi impedisce alle persone idonee di studiare la filosofia, per il timore che possano perdere la via della fede, a colui che si rifiuta di dare da bere a un assetato, perché qualche altro si è affogato ed è morto (ibidem: 122). Nella stessa opera, egli afferma che filosofia e religione ci mostrano l’unica verità, ma ci sono tre diverse vie per aderire ad essa e ogni  via corrisponde al livello di apprendimento di ciascun individuo. Averroè sostiene che la filosofia è una delle tre vie per cercare la verità e non è in contraddizione con quanto è scritto nel Corano, anzi ne dimostra l’autenticità. Egli, infatti, scrive che «la filosofia non può essere contraria alla verità, ma anzi si accorda con essa e testimonia in suo favore» (ibidem: 124).

Le accuse di una parte dei capi religiosi islamici contro i filosofi erano in atto ancora prima che Averroè si affacciasse nel panorama della filosofia. La corrente più intransigente dei religiosi musulmani era quell’ash’arita il cui più importante esponente, il teologo Al-Gazali, aveva scritto L’Incoerenza dei Filosofi (Tahāfut at falasifa), opera nella quale condannava le tesi dei filosofi ritenute contrarie alla religione. Contro quest’opera Averroè scrisse per difendere la ricerca filosofica l’Incoerenza dell’Incoerenza (Tahāfut al-tahāfut) (Averroè 2006).

La parabola discendente della fortuna di Averroè nel mondo islamico non è iniziata solo perché le sue idee erano considerate empie, ma soprattutto per motivi di carattere politico. Molte delle sue opere furono pertanto bruciate ed egli fu esiliato a Lucena dallo sceicco Al-Mansur, che però lo richiamò a Cordoba due anni dopo (Cruz-Hernandez 2000:597-608).  Poco dopo Averroè si ammalò gravemente e nel suo libro di medicina, Kitāb al-Kulliyyāt fī al-Tibb, descrisse i sintomi della sua malattia in modo tale che essa fosse riconosciuta da coloro che sarebbero venuti dopo di lui (ibidem: 603).  Tale operazione non è nuova nel mondo della letteratura poiché già lo storico ateniese Tucidide, nella sua celebre opera poi intitolata La Guerra del Peloponneso (2004: 341), ha descritto i sintomi della peste affinché potesse essere riconosciuta e curata dai posteri. Non c’è dato sapere se Averroè si sia ispirato a Tucidide, ma certamente viene dimostrato come il suo acume lo abbia condotto a preoccuparsi degli altri lasciando a loro disposizione il proprio sapere. Egli morì a Marrakech nel 1198 e con la sua morte si concluse anche l’esperienza della filosofia nell’Islam.

Averroè,SantaMariaNovella,Firenze

Averroè, Santa Maria Novella, Firenze

Poco dopo, il suo pensiero si è diffuso in Occidente e ha provocato un vero e proprio terremoto intellettuale nella cultura medioevale latina ed ebraica. L’enorme mole di lavoro da lui dedicata alle opere aristoteliche e il pensiero che esse contenevano contrastavano con molte delle tesi platoniche nel Medioevo cristiano in quanto si adattavano con maggiore elasticità alle verità del Cristianesimo. Secondo lo studioso francese Mandonnet c’era, infatti, chi, come gli agostiniani capeggiati da San Bonaventura, condannava le idee di Averroè perché contrarie al pensiero cristiano. Altri, come Tommaso d’Aquino e Alberto Magno, pur riconoscendo lo straordinario lavoro fatto dal Commentatore, lo accusavano di avere travisato il pensiero di Aristotele. Altri ancora, come Sigieri di Brabante e Boezio di Tracia, pur non rinnegando la propria fede cristiana, vedevano nel filosofo di Cordoba l’ispiratore del libero pensiero, sciolto da qualsiasi legame imposto da ogni autorità: questi ultimi sono stati definiti come esponenti dell’averroismo latino (Bianchi 1990: 14).

In verità, i cosiddetti averroisti latini non hanno seguito pedissequamente il pensiero del Commentatore pur ispirandosi alle sue idee. Una delle tesi di Averroè più criticata è stata l’ipotetica esistenza di un intelletto unico per tutti gli uomini al quale gli individui attingerebbero per pensare e deliberare. Tale tesi è contraria non solo alla fede cristiana, ma anche all’etica stessa perché presupporrebbe fra le altre cose che l’individuo sia sprovvisto di un proprio intelletto non considerato come anima o parte di un’anima. Questa tesi, come altre di Averroè e degli averroisti latini, provocò la dura reazione della Chiesa che le condannò per due volte, nel 1270 e nel 1277 (ibidem: 14-15).

Nonostante l’opposizione dei suoi avversari, il filosofo di Cordoba ha lasciato una traccia indelebile nella civiltà occidentale tanto da essere ricordato da celebri artisti come Dante (Inferno, v. 144) che lo colloca nel Limbo insieme agli altri filosofi che, pur non conoscendo Cristo, cercarono sempre la verità, e Raffaello che lo inserisce nel suo celebre affresco della Scuola di Atene.

Averroè, Scuola di Atene, Raffaello

Averroè, Scuola di Atene, Raffaello

Infine, se è davvero suggestiva la malinconica conclusione del racconto di Borges nel quale Averroè sparisce quando si smette di credere in lui, si può tuttavia provare a proporre un finale alternativo, aperto, quello trasmesso dallo stesso Averroè, che sosteneva con forza il valore e l’importanza del pensare, dal momento che aiuta l’individuo a conoscersi, a migliorarsi e lo spinge, se egli lo desidera, verso la perfezione. Tale insegnamento ha continuato a sopravvivere con il trascorrere del tempo e per tale ragione probabilmente Averroè non è più da considerare come un fantastico genio evocato da una lampada magica quando si ha bisogno delle sue idee, ma come colui che forse a ragione scrisse: «chi pensa resta immortale, chi non pensa, muore».

Dialoghi Mediterranei, n.12, marzo 2015
Riferimenti bibliografici
Averrois, Commentarium Magnum in Aristotelis De Anima libros, Comm. XXXVI, in A. Illuminati, Averroè e l’intelletto pubblico. Antologia di scritti di Ibn Rushd sull’anima, Manifestolibri, Roma 1996.
Averroè, L’accordo della Legge religiosa con la filosofia, trad. it e intr. a cura di F. Lucchetta, Marietti, Genova 1994.
Averroè, L’Incoerenza dell’incoerenza dei filosofi, trad. e intr. a cura di M. Campanini, Utet, Torino 2006.
L. Bianchi, Il vescovo e i filosofi, Lubrina, Bergamo 1990.
J.L. Borges, L’Aleph, Adelphi, Milano 1998.
M. Cruz Hernandez, Storia del pensiero del mondo islamico, II, Paideia, Brescia 2000.
A. Gagliardi, Tommaso d’Aquino e Averroè. La visione di Dio, Rubbettino, Soveria Mannelli [CZ] 2002.
O. Leaman, La filosofia islamica medioevale, Il Mulino, Bologna 1991.
Tucidide, La guerra del Peloponneso, trad. it.  a cura di F. Ferrari, intr. di  M.I. Finley, Rizzoli, Milano 2004.
___________________________________________________________________________________
Marco Sanfilippo, laureato in Filosofia presso l’Università degli Studi di Palermo, con una tesi in Storia della filosofia araba (relatore Giuseppe Roccaro), nel 2008 ha conseguito il titolo di sceneggiatore presso la Scuola del fumetto di Palermo. Attualmente si sta dedicando alla scrittura creativa e allo studio della Teoria dell’Intelletto di Averroè.

_______________________________________________________________

Print Friendly and PDF
Questa voce è stata pubblicata in Cultura, Società. Contrassegna il permalink.

Lascia un Commento

L'indirizzo email non verrà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

È possibile utilizzare questi tag ed attributi XHTML: <a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <strike> <strong>