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“Boujloud” e lontani cugini: maschere mediterranee tra rito, mito e spettacolo contemporaneo

Boujloud interpretati da ragazze (FemBoujloud) durante il Carnevale di Agadir tra il 2023 e il 2024 (ph. hananetastphotography)

Boujloud interpretati da ragazze (FemBoujloud) durante il Carnevale di Agadir tra il 2023 e il 2024 (ph. hananetastphotography)

di Latifa Talbi

Introduzione

Subito dopo le celebrazioni dell’Eid al-Adha [1], in alcune regioni del Marocco le strade si riempiono di suoni, grida e di un’energia che profuma di arcaico. Tra la folla compare una figura avvolta in pelli di capra o di montone, il volto nascosto da maschere improvvisate, campanacci al collo e bastone in mano: è il Boujloud — o Bilmawne, o Herma — letteralmente “padre delle pellicce”. La sua missione è chiara e implacabile: inseguire uomini, donne e bambini, frustandoli simbolicamente per trasmettere forza, fertilità e fortuna.

A un osservatore esterno, questa scena potrebbe sembrare un frammento di caos festivo; in realtà è il residuo vivo di un sistema simbolico antichissimo, dove il confine tra uomo e animale si fa poroso e la maschera diventa strumento di passaggio e rinnovamento.

Questa figura, così legata al ciclo pastorale e ai ritmi stagionali, non è un unicum marocchino: maschere pelose, esseri selvatici e spiriti irsuti compaiono in molte culture europee, dalle Alpi italiane con il Krampus alle leggende dell’Uomo Selvaggio nelle Dolomiti. Curioso è anche il contatto avvenuto negli anni ’60 tra questa figura mistica e i Rolling Stones, mediato dai Master Musicians of Jajouka, i cui ritmi ipnotici amplificano la dimensione estatica della festa.

Archetipi che già Westermarck e Doutté avevano individuato nei loro studi etnografici: figure lontane nello spazio, ma vicine nello spirito, che oggi conoscono nuove vite nei festival folklorici e nelle rievocazioni a scopo turistico. In questo articolo esploreremo l’evoluzione del Boujloud, mettendolo a confronto con i suoi “cugini” europei, per capire come una maschera possa attraversare il tempo e reinventarsi senza perdere il suo nucleo selvaggio. 

Boujloud interpretati da ragazze (FemBoujloud) durante il Carnevale di Agadir tra il 2023 e il 2024 (ph. hananetastphotography)

Boujloud interpretati da ragazze (FemBoujloud) durante il Carnevale di Agadir tra il 2023 e il 2024 (ph. hananetastphotography)

2. Origini e significati tradizionali del Boujloud

Il Boujloud, letteralmente “padre delle pellicce”, come già introdotto, è conosciuto con diversi nomi: Herma o Bilmawne, (Hammoudi, 1993) oppure Sba bel Butain — “il leone delle pellicce”, secondo Westermarck. Si tratta di una maschera arcaica marocchina che ancora oggi compare durante le celebrazioni dell’Eid al-Adha (Hammoudi, 1993). Hammoudi ce lo descrive come una figura, legata alla festa islamica del sacrificio nonostante si percepisce molto la sua connessione a culti arcaici.

In questo giorno sacro e profano si intrecciano: da un lato il sacrificio e la festa comunitaria, dall’altro la maschera che, indossando le pelli delle vittime, irrompe rompendo le strutture sociali e abbattendo, per una notte, la barriera tra il mondo maschile e quello femminile.

Non esiste una teoria univoca sulle origini di questa figura, ma diverse ipotesi la riconducono a un culto pre-islamico, forse legato a divinità agresti come Pan (Talbi, 2017), poi inglobato nell’orizzonte islamico. A prima vista, oggi il Boujloud segue il calendario lunare Hijri [2] e cade per l’esattezza durante il decimo giorno del mese di Du al-Hijja, ma in passato la sua apparizione sembra essere stata associata ai cicli stagionali e al rinnovamento della natura. La sua funzione resta quindi leggibile come rituale di fertilità e di passaggio, in passato le performance di questa maschera erano cariche di allusioni sessuali, e simboli fallici, che rimandano a un immaginario propiziatorio (Webner, 2002).

Boujloud, 2023 (ph. Hamza Keeyvi)

Boujloud, 2023 (ph. Hamza Keeyvi)

L’investitura del Boujloud, in passato, era un atto solenne: veniva scelto un giovane del villaggio in piena forza fisica e, di nascosto, ricoperto con sette pellicce fresche appartenenti a sette animali — solitamente ovini — sacrificati in mattinata (Talbi, 2017). Hammoudi descrive nel suo testo proprio la scena dello spogliare l’attore per poi ricoprirlo di pellicce fresche, ancora intrise del sangue degli animali sacrificati,  e precisa che il ritrovo era solo aperto al pubblico maschile adulto, i bambini spesso venivano cacciati via. Una volta compiuto il rito, il Boujloud iniziava la sua corsa: inseguiva e frustava simbolicamente chiunque incontrasse, fino ad addentarsi all’interno degli spazi più intimi delle case dove solitamente stavano le donne.

Per una notte, le regole sociali crollavano e anche la separazione tra uomini e donne veniva sospesa (Hammoudi, 1993). A questa figura non mancava mai un seguito: personaggi grotteschi e marginali, come ebrei, schiavi o mendicanti, che incarnavano in forma teatrale le diversità della società marocchina, accompagnandolo in una danza propiziatoria che mescolava paura e festa (Doutté, 1909 – Webner, 2002).

Boujloud, 2025

Boujloud, 2025

3. Boujloud e le sue controparti europee

Come già citato nel nostro contesto alpino possiamo riscontrare molte somiglianze con i suoi “cugini europei”, i primi che saltano a mente sono la figura del Krampus e dell’uomo selvaggio, per esempio.

3.1. Il Krampus alpino

Il Krampus è una maschera che viene celebrata nel nord-est dell’Italia, soprattutto nelle zone di Tarvisio, in Friuli-Venezia Giulia ma anche in Austria e Germania. Presso Tarvisio le celebrazioni hanno luogo intorno al 5 dicembre. Questa figura dalla maschera spaventosa si presenta tutto ricoperto di pellicce, catene e campanacci, quest’ultimi servono ad annunciare il suo arrivo (Mangione, 2012, Honigmann, 1977). La studiosa del folklore Shimabukuro, per esempio, lo associa alla figura del Bogeyman, usato per spaventare i bambini, la stessa dinamica è stata osservata da Honigmann in Austria durante il suo campo di lavoro.

Secondo Mangione, la leggenda di Tarvisio racconta che, durante una carestia, un gruppo di ragazzi iniziò a vestirsi con pellicce e a girare di casa in casa per spaventare gli abitanti e rubare provviste. Ben presto si accorsero che tra loro si era nascosto il diavolo, responsabile delle ferite riportate dalle vittime delle incursioni: a quel punto invocarono San Nicola per liberarsene.

La celebrazione è una vera e propria rievocazione della leggenda, con le stesse dinamiche, con l’arrivo dei Krampus dalla foresta che discendono verso il paese inseguendo, frustando e terrorizzando tutti i presenti, finché non compare San Nicola che li aiuta ad esorcizzare il diavolo, per poi ingabbiarlo e procedere con la celebrazione (Mangione, 2012), mentre in Austria i Krampus sono soliti ad andare di casa in casa a chiedere offerte (Honigmann, 1977).

Il fatto interessante entrambe le celebrazioni analizzate sia in Italia che in Austria cadono sempre il 5 dicembre in occasione del giorno di San Nicola ma in antichità durante il periodo romano vi era una celebrazione simile, con le stesse dinamiche solo che era celebrata dalle popolazioni contadine, era dedicata al Dio Fauno ovvero Pan per i greci, la Faunalia Rustica (Johnson, 1967, Stevenson, 1936).  Vi era proprio un sacrificio di ovini, e successivamente si concludeva il tutto con balli e festeggiamenti (Warde Fowler, 1925).

Boujloud con le pellicce delle vittime sacrificate in mattinata in occasione dell’Eid al-Adha in Marocco.(ph. Latifa Talbi, 22 agosto 2018)

Boujloud con le pellicce delle vittime sacrificate in mattinata in occasione dell’Eid al-Adha in Marocco (ph. Latifa Talbi, 22 agosto 2018)

3.2. L’Uomo Selvaggio italiano

Un altro esempio autentico di paragone risiede nella figura dell’Uomo Selvaggio, che riprende esteticamente molte delle caratteristiche del Boujloud. La differenza sta soprattutto nei ruoli che ha assunto nei secoli: da divinità ancestrale a lontano antenato, da rapitore di bambini a Santo Eremita, come Poppi ci illustra nella leggenda di San Lugano, vescovo di Sabiona, contenuta in un manoscritto del 1513 conservato nella biblioteca civica di Belluno (Poppi, 1997).

L’antropologa Porcellana ci offre un quadro generale della figura, accostandola anche al personaggio sumero di Enkidu, uomo selvaggio allevato dagli animali. Ma sottolinea soprattutto un aspetto fondamentale: l’atto di trasmettere conoscenze agli uomini. È il caso del Salvan della Val di Fassa, che insegna come preparare il formaggio, o delle Vivenes — la sua controparte femminile — che, secondo Poppi, istruiscono le donne nell’arte di acconciarsi i capelli.

Glastonbury Masters di Joujoukha

Glastonbury Masters Musicians di Jaioukha

3.3. Boujloud musicale a Jajouka

La stessa dinamica la ritroviamo nel piccolo villaggio di Jajouka, dove un gruppo di musicisti sufi — oggi divisi in due formazioni, The Master Musicians of Jajouka by Bachir Attar [3] e The Master Musicians of Joujouka [4] — porta avanti la leggenda del proprio Boujloud. Scoperti dallo scrittore americano Paul Bowles e dal pittore canadese Bryon Gysin, e successivamente dal fondatore dei Rolling Stones Brian Jones, hanno reso celebre questa tradizione anche fuori dal Marocco.

Secondo la leggenda, un giorno il Boujloud avrebbe donato a un loro antenato un flauto, insegnandogli a suonarlo insieme alla benedizione della fertilità e della prosperità. Nei loro concerti la storia rivive: un performer mascherato da Boujloud partecipa alla musica, incarnando l’energia selvaggia e il caos rituale per un giorno, ma anche la trasmissione di conoscenze che lega le generazioni.

il rituale di preparazione del Boujloud con le pellicce delle vittime sacrificate in mattinata in occasione dell’Eid al-Adha in Marocco.(ph. Latifa talbi 22 agosto 2018)

il rituale di preparazione del Boujloud con le pellicce delle vittime sacrificate in mattinata in occasione dell’Eid al-Adha in Marocco (ph. Latifa talbi 22 agosto 2018)

4. Dal rito alla festa spettacolare: il caso del festival di Agadir

Attualmente negli ultimi anni la maschera è celebrata in tutto il Marocco ma nei pressi di Agadir, area dove sono ancora preservate le tradizioni ancestrali pre islamiche, ogni anno in concomitanza con la celebrazione della festa di Eid al Adha molti giovani si riuniscono dopo aver trascorso i mesi precedenti a preparare il loro travestimento che indosseranno in occasione della festa. Attualmente è diventato un vero e proprio carnevale dedicato ai Boujloud [5] dove vi sono anche ragazze che si uniscono ad indossare la maschera, pratica che prima era riservata solo al genere maschile (Hammoudi, 1993).

Mentre al tempo della mia stesura della tesi triennale appunto sulla figura del Boujloud, mi fu difficile trovare fonti e materiale sufficiente per poter approfondire criticamente il profilo antropologico della figura, attualmente grazie ai social media tutto ciò è facilmente raggiungibile, basta osservare e seguire appassionati che ogni anno si riuniscono travestiti di Boujloud presso il Carnevale di Agadir, o leggere di testate giornalistiche che ne parlano. Il content creator Hamza [6], per esempio, fu eletto miglior Boujloud del 2023 vincendo il titolo. Curioso notare come la maschera si sia evoluta: dalle pellicce fresche e insanguinate si è passati a veri e propri pageant, con costumi elaborati, parrucche e trucchi teatrali. 

Boujloud con le pellicce delle vittime sacrificate in mattinata in occasione dell’Eid al-Adha in Marocco.(ph. Latifa Talbi, 22 agosto 2018)

Boujloud con le pellicce delle vittime sacrificate in mattinata in occasione dell’Eid al-Adha in Marocco (ph. Latifa Talbi, 22 agosto 2018)

5. Boujloud tra sacro, profano e turismo

Da queste brevi osservazioni emerge come le tradizioni non si esauriscano, ma si trasformino e, se necessario, vengano reinventate ex novo (Bonato, 2006). È il caso del festival di Boujloud ad Agadir, che ogni anno accompagna l’Eid al-Adha. Oggi non si usano più le pelli fresche delle vittime sacrificate, ma costumi preparati con largo anticipo: parrucche, maschere scenografiche e persino tecniche di trucco teatrale. È diventato un vero e proprio carnevale, un momento di raduno per appassionati, dove non mancano nuove presenze inedite come è stata la comparsa delle ragazze, un tempo escluse dal ruolo, ora sfilano anch’esse in veste di Boujloud, introducendo una dimensione diversa e più inclusiva.

L’artista teatrale Kenza Berrada [7], ad esempio, ha reinterpretato la figura in chiave contemporanea: nel suo spettacolo Boujloud [8] indossa le pelli per raccontare, attraverso il linguaggio scenico, la condizione e gli abusi subiti dalle donne. I Master Musicians of Jajouka, ad esempio, portano avanti la leggenda del Boujloud attraverso le loro performance. Un esempio di come mito, musica e rito continuino ad alimentarsi reciprocamente, adattandosi ai tempi senza perdere la radice simbolica.

Master Musicians of Joujouka, gruppo musicale guidato da gruppo con la presenza del Boujloud sul palco e sono i Master Musicians of Joujouka

Master Musicians of Joujouka, gruppo musicale del Boujloud

Conclusione

Come abbiamo potuto osservare in questo articolo, la tradizione fa sempre parte del nostro percorso umano. Possiamo abbandonare certe pratiche, ma ci sarà sempre una generazione pronta a riprenderle, anche quelle che i predecessori avevano giudicato obsolete o inutili (Bonato, 2006). E se le tradizioni orali non basteranno, vi sarà sempre una reinvenzione della festa da zero. Lo vediamo in tante celebrazioni che le Pro loco hanno voluto ricreare, restituendo vita a rituali dimenticati.

Le maschere ci accompagnano sempre in momenti precisi dell’anno: che siano invernali, di fine inverno o legati ai cicli agricoli, sono lì per ricordarci che siamo un tutt’uno con la natura. A volte questa natura è addomesticata, ci trasmette delle conoscenze, vedi Salvan e il Boujloud di Jajoukha, oppure come nel caso dei Krampus; altre volte la sua presenza selvaggia e indomata irrompe per scombussolare le nostre esistenze, sciogliendo i rigidi dogmi che la società ci impone.

Il Boujloud, con le sue pelli irsute, il passo rapido e l’energia instancabile, appartiene a questa stessa famiglia di archetipi: figure che varcano la soglia tra il sacro e il profano per scuoterci, ammonirci e, in fondo, rinnovarci. Che lo si incontri tra i vicoli di un villaggio marocchino o nelle piazze europee, il suo messaggio resta lo stesso: ricordarci che senza il selvatico, l’umano è incompleto.

Dialoghi Mediterranei, n. 75, settembre 2025
Note
[1] Festa che cade nel mese di Du al-Hijja, in cui i musulmani ricordano il gesto di Abramo: pronto a sacrificare il figlio per obbedienza a Dio, ma fermato all’ultimo e sostituito da un montone. (Pareja, 1951)
[2] Calendario lunare seguito dai fedeli musulmani che prende come primo giorno la fuga o Hijra del profeta Mohamed (pace sia su lui), verso la città della Medina (Pareja, 1951)
[3] https://www.jajouka.com/
[4] https://www.joujouka.org/
[5]https://fr.le360.ma/societe/a-agadir-le-carnaval-de-boujloud-bat-son-plein_5GLA5NAKJVA5RPJTR3FQ3HQSQU/ 
[6] https://www.instagram.com/hamza_keeyvi/ 
[7] https://www.lesrencontresalechelle.com/artistes/kenza-berrada 
[8] https://www.youtube.com/watch?v=6s7OpsmbChA 
Riferimenti bibliografici
Bonato L. (2006), Tutti in Festa, Milano, Franco Angeli
Doutté E. (1909), Magie et Religion dans l’Afrique du Nord, Algeri, Typographie Adolphe Jourdan
Hammoudi A. (1993), The Victim and its Mask: an essay on sacrifice and masquerade in the Maghreb, Chigago, The University of Chicago Press
Honigmann J. (1977), “The Masked Face” in Ethos vol. 5 n. 3: 263-280
Johnson V. (1967), “Agonia, Indigetes, and the Breeding of Sheep and Goats”, in Latomus: 316-338, Bruxelles,
Mangione G. (2012) “San Nicolò e i Krampus: uno sguardo antropologico sulla festa”, Tesi di laurea.
Pareja F.M. (1951), Islamologia, Roma, Orbis Catholicus
Poppi C. (1997), “Silvano Optimo Maxmio Continuità e Trasformazioni dell’Uomo Selvaggio come paradigma culturale in La Ricerca Folklorica, n.36, Leggende. Riflessioni sull’immaginario: 65-70.
Porcellana V. (2008) “Ego sonto un homo salvadego”, in “Piemonte Parchi”: 12-15
Shimabukuro K. (2014), “The Bogeyman of Your Nightmares: Freddy Krueger’s Folkloric Roots” in Studies in Popular Culture, Vol. 36, No. 2: 45-65, Popular Culture Association in the South
Stevenson M. (1936), “Hints for Teachers”, in The Classical Journal, Vol. 32, No. 3: 182-188
Talbi L. (2017), “Il Marocco Selvaggio: Boujloud, Tesi di laurea
Warde Fowler W. (1925), The Roman Festivals of the period of the Repubblic, London, Macmillan & co.
Webner P. (2002), “The Limits of Cultural Hybridity: on Ritual Monsters, Poetic Licence and Contested Postcolonial Purification” in “Journal of the Royal Anthropological Institute”: 133-152,
Westermarck, E. (1926), Ritual and belief in Morocco vol II, London, Macmillan & co.
Sitografia
https://www.joujouka.org/
https://www.lesrencontresalechelle.com/artistes/kenza-berrada 
https://www.youtube.com/watch?v=6s7OpsmbChA 
https://fr.le360.ma/societe/a-agadir-le-carnaval-de-boujloud-bat-son-plein_5GLA5NAKJVA5RPJTR3FQ3HQSQU/
https://www.instagram.com/hamza_keeyvi/
https://www.jajouka.com/ 

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Latifa Talbi, laureata in Antropologia Culturale ed Etnologia presso l’Università di Torino, con una tesi pubblicata sul culto dei marabutti. Nel 2019 ha partecipato a un progetto Erasmus+ in Marocco per una ricerca etnografica sul campo. Nel 2023 ha pubblicato l’articolo “Ramadance: Sacro e profano online, tra mesi di penitenza e danze folkloristiche” nella rivista Africa e Mediterraneo (Dossier n. 99, 2024) e ha contribuito con diversi saggi alla rivista Dialoghi Mediterranei, tra cui “Sidi Abdel Rahman di Casablanca: tra tradizione e modernità” (2025) e “Genealogia, prestigio e sacralità: gli Chorfa e la tribù Ahmar in Marocco” (2025). Possiede competenze multidisciplinari acquisite attraverso studi e attività di mediazione culturale, unite a una conoscenza avanzata delle lingue arabo, italiano, inglese e spagnolo.

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