di Michele Di Donato
«Si tratta di una realtà indipendente da me, che costituisce, così considerata in sé, tutto un universo di sapere possibile e di intelligibilità, di mistero intelligibile, e che non è una cosa puramente e semplicemente una, ma si trova dappertutto in modo essenzialmente variato» [1].
Questo è ciò che, più o meno, si verifica quando guardo una distesa di acqua; mi induce a concentrarmi sul rapporto con la mia vita, con gli elementi del territorio, con gli oggetti un tempo familiari che affiorano con insistenza nella mia memoria.
Fotografare “l’acqua” ti costringe all’assenza di un impianto scenografico, alla decontestualizzazione degli oggetti e delle persone abbinata ad una specie di visione telescopica (dovuta alla diffrazione dei raggi luminosi che la attraversano) che portano a convergere con forza lo sguardo verso il centro del fotogramma, creano tensione intellettiva e predisposizione all’ascolto di un mondo interiore.
L’acqua diventa, quindi «lo specchio nitidissimo (…) dove si riflettono tutti i pensieri e l’infinito labirinto di relazioni e di concatenazioni che formano la vita segreta della mente. Leggendola, penetriamo nel nostro spazio interiore, e ne conosciamo la trasparenza e la leggerezza: la compenetrazione del sogno, della visione, della realtà, del pensiero, del fuori e del dentro in una sola e assoluta immagine mentale» [2].
Le immagini che compongono il portfolio “Water” non sono altro che un diario di viaggio; il racconto di una esperienza importante che ridisegna un personale progetto di studio e di ricerca e dà una dimensione diversa ai luoghi indagati. Sintetizza contesti e ambienti singolari dai quali affiorano profili suggestivi e irripetibili, unitamente a momenti magici che vibrano di sentimenti, consapevolezze, emotività, come fossero versi di una poesia, pennellate di sensibilità posate su una tela o note che si irradiano da uno spartito.
“Water” è un’ode all’acqua alla quale mi sono affidato per esprimere i miei stati d’animo, argomentare le mie riflessioni, memorizzare scene irripetibili dove anche il non visibile diventa palpabile. Un mondo nuovo, in apparenza senza tempo né dimensioni, dove la lenta risacca, dal respiro quasi impercettibile, asseconda la quiete del cielo che riecheggia delle risate dei bambini, di cui pare farsi immagine speculare. Poi ci si immerge nell’oscurità dell’acqua, alla ricerca di un luogo dove lenire l’ansia del vivere, un rifugio in cui proteggersi e dove essere davvero se stessi, consapevoli del proprio essere e del proprio esistere.
«Il sentimento metamorfico dell’acqua è il fondamento narrativo e visuale sul quale Michele Di Donato ha costruito questo portfolio. Con la sua immagine lustrale, naturalmente e simbolicamente balsamica, l’acqua, soprattutto quella profonda e sconfinata dei mari e degli oceani, rimanda all’immersione entro un elemento quale mezzo e forma di mutamento. Il desiderio umano di trasformazione, impulso intimo e spesso inconscio, è descritto dal fotografo come un rito di passaggio che, proprio attraverso l’acqua, dal tuffo iniziale all’inabissamento fino all’affioramento finale, apre la strada al nuovo, all’inaspettato, alla rinascita che ognuno di noi può sperimentare.
Il rimando alla nascita, alla prospettiva di un’altra vita come possibilità ulteriore rispetto a esistenze già in atto, è insito nell’iconografia di Water. Lo si vede in certi scatti che alludono evidentemente a “ecografie” dove soggetti aerei e indefiniti fluttuano come feti in un abisso di liquido amniotico. Alcune istantanee spingono addirittura la percezione visiva verso particolari associazioni formali come l’analogia che si viene a creare tra la bianca scia che ogni nuotatore si lascia dietro una volta tuffatosi in acqua e una vigorosa orda di spermatozoi in corsa verso una potenziale fecondazione e messa al mondo di vite, come anche di immaginazioni, di idee, di emozioni. La rinascita avviene di fatto come ogni nascita, ovvero attraverso un’incubazione, un percorso di gestazione e meditazione che cammina le vie dell’attesa, ed esplode, liberandosi, nel grido pieno e vittorioso della nuova vita» [3].
Fotografare l’acqua è stato per me, un po’ come dare vita all’atto del vedere puro o forse anche come dipingere alfabeti. Anche in fotografia le storie sono sempre manipolazione ed io avevo bisogno di questa “immersione catartica” in un elemento che esiste in quanto tale e non può essere “messo in scena”; un elemento che contiene la nostra vita e può illuminarla solo se ci si abbandona al suo mistero, al suo buio, al suo silenzio senza la pretesa di volerne capire il senso.
«Il bianco e nero di Water, come l’abbaglio lattescente della luce all’uscita dal buio fitto e crespo del tunnel, è funzionale anche alla messa in scena e alla trasmissione di un altro significato, assolutamente latente, inapparente, ma determinante, legato alla venuta alla luce, all’antica emersione dell’immagine analogica nelle vasche piene d’acqua delle camere oscure, durante lo sviluppo della carta fotografica. Una citazione sottile, autobiografica, trasmessa dal suo autore in modo riflessivo, che suscita interesse e coinvolgimento nello spettatore il quale assapora l’emozione provata da ogni fotografo nel momento in cui l’immagine scattata prende forma davanti ai suoi occhi e tra le sue mani.
L’analisi di Michele Di Donato giunge come un monito a ricordare l’importanza della meditazione e della parsimonia prima di ogni singolo scatto. Una lezione che arriva puntuale in un momento in cui la tecnica digitale permette di scattare ininterrottamente fotografie, favorendo sempre più l’evoluzione di un occhio viziato, meccanico, quasi passivo e fondamentalmente cieco, rispetto a uno sguardo oculato, critico, attivo e realmente predisposto a immaginare, sperimentare, cercare e vedere. Nella corrispondenza tra la prospettiva di un’altra vita e l’apparizione dell’immagine si trova il punctum delle fotografie realizzate da Di Donato. Quell’attimo in cui la fotografia ci guarda e ci invita, come fosse acqua, a immergerci in essa e a emergerne testimoni, ognuno a suo modo, dei tanti mondi che essa esplora e fa rinascere»[4].
Durante lo shooting mi sono chiesto più volte se fosse “lecito” quello che stavo facendo; non stavo cercando banalmente di trovare una giustificazione ai miei scatti. Mi rendevo conto che questo lavoro non poteva costituire una risposta ad alcun interrogativo. Dovevo solo dare alla mia macchina fotografica, la possibilità di rappresentare me stesso e di cogliere nelle mie immagini le forme dell’acqua che si cristallizzano nel nostro immaginario.
Dialoghi Mediterranei, n. 39, settembre 2019
Note
[1] Piero Coda, Ontosofia. Jacques Maritain in ascolto dell’essere, Mimesis, Milano, 2009: 60
[2] Pietro Citati, La malattia dell’infinito, Mondadori, Milano, 2008: 49
[3] Fabiola Di Maggio, statement del progetto “Water”, di prossima pubblicazione
[4] Ibidem.
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Michele Di Donato, di origini pugliese, vive e lavora in Sicilia da circa vent’anni. Dopo gli studi di economia aziendale lavora come formatore PNL e Analisi Transazionale e come consulente di marketing e comunicazione per aziende vitivinicole. Si occupa di fotografia sin da piccolo; è un autodidatta. Svolge regolarmente workshop, in diversi contesti formativi, sulla percezione visiva, sulla comunicazione e composizione fotografica e sulla lettura delle immagini. Dal 2018 entra a far parte del progetto ISP Italian Street Photography, per il quale svolge esperienze formative di Street Photography in qualità di master. Ha ricevuto premi e apprezzamenti a livello nazionale e internazionale. Le sue immagini sono state pubblicate su magazines come Reflex, Foto CULT, Click Magazine, Die Angst Munich, L’Oeil de la Photographie Paris, Gente di Fotografia, Spectrum, Edge of Humanity Magazine e fanno parte di numerose collezioni pubbliche e private. Attualmente è rappresentato dalle seguenti gallerie d’arte: Singulart (Parigi), Saatchi Art (New York), Blank Wall Gallery (Atene).
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