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Vivere non è un fatto privato

copertina

il centro in periferia

di Cinzia Costa

L’8 settembre del 1981 l’artista Maria Lai realizzò una performance artistica denominata Legarsi alla montagna, ispirata in parte da una antica leggenda locale. Tutti le abitazioni di Ulassai, il paesino sardo che le aveva dato i natali, vennero legate (letteralmente) tra di loro per mezzo di un nastro di stoffa celeste lungo circa 27 km; il “legame” attraverso cui si univano le case del centro abitato era diverso a seconda del tipo di relazione che intercorreva tra le famiglie unite dal nastro: se non c’erano buoni rapporti il nastro passava teso e dritto, se invece c’era amicizia si faceva un nodo simbolico, se c’era un legame d’amore si faceva un fiocco al quale venivano legati anche dei pani tipici del paese [1]. Il secondo passaggio dell’ “operazione comunitaria”, come venne poi definita, fu quello di legare i nastri colorati al Monte Gedili, la montagna più alta che si erge sul paese.

Questa performance è identificata oggi come la prima espressione dell’Arte relazionale in Italia, sviluppatasi poi con altri esponenti, forse più noti, alla fine degli anni Ottanta [2]. In questa sua particolare forma, l’arte è intesa come un’esperienza collettiva e sociale, non solo individuale ed estetica.

L’operazione comunitaria di Lai ha delle caratteristiche peculiari, forse uniche nel suo genere, che hanno catturato la mia attenzione: l’arte come strumento democratico e non elitario, il legame con le tradizioni locali, il coinvolgimento della comunità già in fase di progettazione dell’opera, il mettere a nudo pubblicamente le relazioni, tanto nei buoni rapporti quanto nelle criticità, la volontà di unirsi ad un territorio e ad un paesaggio, come ad una persona.

Questi aspetti richiamano alla mente le caratteristiche di un altro personaggio e della sua arte, e in particolare della sua ultima opera: Franco Arminio, che è sbarcato nelle librerie lo scorso luglio con il volume La cura dello sguardo. Nuova farmacia poetica, edito da Bompiani.

L’autore, noto come poeta e paesologo [3], professa infatti da anni una nuova dimensione poetica che incoraggia l’uso e la fruizione della poesia come esercizio pubblico e non privato, un atto popolare e divulgativo, accessibile a tutti [4], che pone al centro della sua riflessione il paese, il paesaggio e le relazioni. Il suo ultimo libro, che si presenta formalmente con una struttura mista tra prosa e poesia, ma che nella sostanza appare in tutto e per tutto un’opera lirica, è una raccolta di pensieri e consigli, elaborati sia prima che durante il difficile periodo di quarantena, che contemplano quindi anche il tema della pandemia. La cura dello sguardo non è però un lavoro sul Covid-19, ma un libro sul disagio dell’uomo contemporaneo, sulla solitudine e l’ipocondria, sull’autismo corale e su alcune possibili soluzioni per curarsi, o meglio prendersi cura di sé e del mondo, delle persone ma anche delle cose.

«In queste righe ci sono istruzioni semplici, non portano a nessuna salvezza ma testimoniano il potere dello sguardo. Dobbiamo spalancare gli occhi, sentire che ognuno di noi è ferita e guaritore. Io mi curo di me guardando fuori».
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Maria Lai, Legarsi alla montagna, 1981 (www.artribune.com)

A guardar bene, si tratta di un’opera potente e delicata, che riesce a toccare molte corde dell’animo umano, dalla sfera più intima ai sentimenti politici e civici più nobili. Come gli abitanti di Ulassai, Arminio intreccia felicemente diverse dimensioni del vivere umano: non c’è un muro che divida pubblico e privato, non c’è un limite che separi la natura dalla cultura. In questo universo olistico tutto si collega a tutto, il bene collettivo è il bene personale, e il malessere soggettivo, quindi, non è scollegato dal virus globale. Di conseguenza sono molteplici e trasversali i temi affrontati o sfiorati dalle poesie, lettere o preghiere contenute nell’opera: l’ecologia, l’antimilitarismo, la politica, il Meridione, l’amore, il sesso, la caducità del tempo, i rapporti familiari, la comunità.

«[…] un essere umano deve capire che noi non siamo una cosa fatta per sempre, non siamo un luogo a sé stante, apparteniamo alla comunità di tutte le presenze, quelle visibili e quelle invisibili. Si può ignorare la fisica quantistica, si può ignorare la chimica, ma noi siamo prima di tutto pezzi di natura, siamo apparizioni misteriose, e il mistero riguarda anche il nostro congedo dal mondo. Al punto in cui siamo arrivati dobbiamo prendere atto di una cosa: siamo troppi e troppo invadenti rispetto alle altre creature del pianeta. […] Ma questa attenzione alla scena planetaria deve accompagnarsi a una rivoluzione nel modo di percepire e di percepirsi. Un essere umano deve essere uno spazio senza confini, capace di avere confidenze con una farfalla e un buco nero».

Questo breve passo, tratto dalla poesia che dà il titolo al libro, racchiude in sé le diverse sfaccettature del pensiero di Arminio, la sua visione del mondo e della politica, che può essere riassunta anche con il titolo di un’altra poesia contenuta nel libro: Vivere non è un fatto privato.

Questa idea dell’importanza del bene comune, con un forte appello al senso di “comunità”, è emersa prepotentemente nei discorsi pubblici e nelle conversazioni di tutti gli italiani, e soprattutto dei media e delle Istituzioni, a partire da marzo 2020, periodo che ha coinciso con l’inizio della fase di lockdown in Italia. Le istituzioni in primo luogo, ma anche, sapientemente, il linguaggio pubblicitario delle grandi compagnie multinazionali, hanno sin da subito invitato la cittadinanza a “rallentare”, a prendersi cura gli uni degli altri, a sentirsi uniti virtualmente, e a manifestare un nuovo senso di fratellanza.

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Maria Lai, Legarsi alla montagna, 1981

La corsa frenetica e rigorosamente individuale e individualistica, «quella caratteristica tipica della condizione umana nella contemporaneità costituita […] dall’obbligo di costruirsi in solitudine la propria vita e di dover risolvere individualmente problemi anche di tipo sistemico»[5], che vedeva tutti rincorrere un appuntamento dopo l’altro, produrre e consumare come se non esistesse un limite alle risorse di cui disponiamo, si è interrotta bruscamente e un nuovo sentimento di solidarietà si è diffuso in tutti i campi: dalla nascita di buoni rapporti di vicinato, alle bandiere e i canti sui balconi, fino alle numerose iniziative gratuite promosse da aziende del settore dello streaming o delle applicazioni per occupare il lungo tempo di isolamento in casa.

Come ha evidenziato Tramma in un interessante contributo su MicroMega:

«la pandemia da coronavirus è candidata a divenire una delle più estese e profonde esperienze educative degli ultimi decenni poiché ha stimolato, e stimola, apprendimenti-cambiamenti in molte aree della vita delle persone, dalla conoscenza attorno al tema del rapporto tra la salute e la malattia ai modi per intendere le relazioni con se stessi e gli altri, tacendo di altri piani, come il tormentone dell’imparare a fare la pasta o la pizza in casa, questione solo apparentemente banale poiché è stato uno degli argomenti che, diffusi attraverso i media e il WEB, ha molto contribuito a costruire l’immaginario delle micro-pratiche virtuose con le quali è stato affrontato il periodo del confinamento»[6].

L’impressione è stata dunque quella di passare da “clienti di una società” ad “utenti di una comunità”. Questo passaggio è stato in effetti molto retorico e in parte poco realistico, come ha dimostrato, per esempio, il boom degli acquisti online, di qualsiasi genere di prodotto, durante il periodo di quarantena, a testimoniare che, nella pratica, non c’è stata una vera inversione di tendenza rispetto al consumismo capitalistico di cui tutti siamo vittime ed esecutori allo stesso tempo.

Più proviamo (psicologicamente) a prendere le distanze dall’esperienza della pandemia, più appare evidente che non abbiamo imparato la lezione, semmai ci fosse una lezione di imparare. «Erano giorni preziosi e li abbiamo sprecati, ormai comincia ad essere penosamente chiaro», come scrive anche Arminio.

Eppure, c’è stata una parte della popolazione che ha risposto alla necessità di una rivoluzione collettiva con azioni in controtendenza, perché, come è ormai sempre più chiaro, questa necessità precede di molto il virus e la pandemia. E la necessità che oggi è sempre più stringente è quella di trasformare le ferite, individuali e collettive, in opportunità. È questo l’appello che da decenni Arminio eleva dai paesi di periferia dimenticati dalle grandi capitali, ed è questo che a gran voce ripete nella sua ultima opera, non c’è una medicina che riporti alla “sanificazione pura” o alla “resilienza”, termine molto in voga in questo periodo. C’è però un modo di aver cura delle persone e del mondo che può, in qualche modo, essere salvifico:

Quando nessun essere umano ti cerca
vai a bere a una fontana,
accarezza un albero,
guarda le cose che stanno
nel mondo
come se il tuo sguardo potesse salvarle.
Esci, cammina,
ricordati che prima di morire
puoi fare cose impossibili
impensate.
Sono tornati i miracoli  [7].
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Palermo, Ballarò (ph. Cinzia Costa)

E le centinaia di iniziative sorte dal basso durante il lockdown in tutta Italia sono, in qualche modo, davvero dei miracoli. Un esempio, che cito perché a me molto vicino, è quello del coordinamento SOS Ballarò di Palermo, che nel periodo della quarantena ha raccolto imprenditori, piccole botteghe e volontari, al fine di organizzare un sistema di assistenza alle persone del quartiere, spesso lasciate fuori da qualsiasi supporto statale (perché impegnate in forme di lavoro nero o perché stranieri irregolari), distribuendo pasti nei vicoli del mercato storico. In un momento di forte crisi, non solo sanitaria, ma soprattutto economica, alcuni ristoratori della città, pesantemente colpiti dalla chiusura forzata, si sono riuniti e hanno preparato pasti per chi ne aveva bisogno. In particolare, giorno 1 maggio, ricorrenza simbolica e fortemente significativa per la difficoltà in cui tutti i lavoratori si trovavano, numerosi volontari si sono adoperati per la distribuzione dei cibi. In questa occasione, al già encomiabile gesto di solidarietà compiuto dal collettivo, se ne è unito un altro, inaspettato: La Mediterranea srl, una società agricola siciliana, ha deciso di donare al gruppo di volontari centinaia di mazzi di fiori, che si trovavano impossibilitati a vendere. Nella lettera che una dipendente del consorzio agricolo ha affiancato ai fiori si legge:

«Ci dispiace di non poter essere presenti fisicamente con voi, ma siamo felici di potervi affiancare nell’iniziativa donandovi i nostri fiori la cui vendita al momento risente della crisi del settore agricolo e florovivaistico.
Utilizzarli così ci sembra un bellissimo modo per onorare e rispettare il lavoro di tutti i nostri collaboratori, molti dei quali al momento sospesi, che quei fiori li hanno coltivati e fatti diventare così belli» [8].
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Palermo (ph. Cinzia Costa)

Centinaia di palermitani, tenuti fuori dal sistema di welfare e da qualsiasi ammortizzatore sociale, privi spesso di scolarizzazione e abituati a vivere di espedienti, hanno ricevuto in dono un pasto da condividere con i propri familiari e un mazzo di fiori. Ecco un miracolo.

Così come la poesia che Arminio distribuisce a tutti, per strada, in tv, sui social media, anche i fiori sono una forma di bellezza che serve a curare il mondo, e di cui, non solo un élite ristretta ha bisogno o merita. Un gesto di attenzione e di cura, che dice che abbiamo davvero bisogno di una comunità, un gesto che lega con una corda trasparente gli uni agli altri e gli uni al territorio, come ci insegna Lai, un gesto che dimostra che «vivere non è un fatto privato».

È per questo che Arminio dedica La cura dello sguardo “Ai morti senza funerali”, perché quei morti erano nostri e quei funerali erano un gesto di cura di cui i vivi, più che i morti, avevano bisogno.

Dialoghi Mediterranei, n. 46, novembre 2020
Note
[1] Per maggiori informazioni sull’operazione “Legarsi alla montagna” è possibile visionare un breve documentario realizzato contestualmente all’operazione da Toni Casula e reso disponibile per la RAI dalla Casa Editrice Elisso (Courtesy Ilisso Edizioni) che oggi detiene i diritti sul corto: https://www.raiplayradio.it/video/2019/05/Legarsi-alla-montagna-di-Maria-Lai-7f04b95b-4885-4395-b7d7-23c4a9c7c3c0.html
[2] Mentre Maria Lai rimase ignota e venne molto criticata negativamente per questa sua operazione (venendo poi rivalutata solo di recente), altre operazioni vennero subito apprezzate e divennero note, in particolare le azioni del Gruppo di Piombino, formato da Salvatore Falci, Stefano Fontana, Pino Modica e di Cesare Pietroiusti.
[3] Franco Arminio ha coniato il termine “paesologo”, con cui si autodefinisce, per indicare la sua attitudine a visitare paesi quasi spopolati e a riportare al centro dell’attenzione le periferie d’Italia e il loro stile di vita, molto lontano da quello delle grandi metropoli.
[4] Arminio è noto per svolgere diverse attività di divulgazione poetica: oltre ad essere il direttore artistico di un Festival “La luna e i calanchi”, in cui la poesia è protagonista, l’autore utilizza qualsiasi mezzo per fare in modo che la poesia diventi di uso comune, per tutti. In primo luogo i social media vengono utilizzati come piattaforma di condivisione: molti dei testi inseriti nel libro erano già presenti sui social, con alcune piccole varianti. Il lavoro di pubblicazione con un editore, come lui stesso dichiara, è un lavoro di taglia e cuci di materiali in gran parte già esistenti. Oltre a questo Arminio promuove diverse iniziative, tra cui il “baratto di poesia” e “poesia d’asporto”: chi vuole può inviare al poeta un pacco di prodotti tipici della propria terra e lui in cambio invierà un suo libro con dedica, oppure poesie lette su richiesta, con una nota vocale, per fare un regalo alla persona che si desidera.
[5] Tramma S., La comunità al tempo della pandemia, in MicroMega, 26 giugno 2020: http://temi.repubblica.it/micromega-online/la-comunita-al-tempo-della-pandemia/
[6] ibidem
[7]È qui visibile un video del poeta che legge questa poesia: https://www.facebook.com/watch/?v=324036322288062
[8] Il testo integrale della lettera si trova qui:
https://www.facebook.com/SOSBallaro/photos/a.211399742539257/1158000411212514/

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Cinzia Costa, dopo aver conseguito la laurea in Beni demoetnoantropologici all’Università degli Studi di Palermo si è specializza in Antropologia e Storia del Mondo contemporaneo presso l’Università di Modena e Reggio Emilia con una tesi sulle condizioni lavorative dei migranti stagionali a Rosarno, focalizzando l’attenzione sulla capacità di agency dei soggetti. Si occupa principalmente di fenomeni migratori e soggettività nei processi di integrazione. Collabora con l’Associazione Sole Luna – Un ponte tra le culture.

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