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Vita spirituale e impegno politico: un ossimoro?

3di Augusto Cavadi [*]

Nell’immaginario collettivo vita spirituale e impegno politico costituiscono due categorie incompatibili: si può coltivare la spiritualità solo se ci si tiene a debita distanza da quel terreno sporco che è l’agone politico; si può avere successo in politica solo se si rimuove ogni aspirazione spirituale.  E, in effetti, se assumiamo i termini (spiritualità e politica) nelle accezioni semantiche dominanti, l’impressione di trovarsi davanti un ossimoro è fondata. Ma tali accezioni non sono né le uniche né le più appropriate: opportunamente risemantizzate, le due parole in questione non si escludono a vicenda, anzi addirittura si co-implicano.  

La politica fra enfatizzazione e svalutazione 

La parola ‘politica’, come altre parole tradizionali (“patria”, “famiglia”, “Dio”…), è ormai sfigurata da troppi abusi e avrebbe bisogno di essere tralasciata in pace, in una sorta di lunga moratoria ascetica. Ma il silenzio sul ‘nome’ non significherebbe distrazione dalla ‘cosa’ designata; consentirebbe, piuttosto, una riflessione più approfondita.

Partirei da un dato storico e quasi autobiografico: la politica come categoria antropologica ha oscillato, pendolarmente, da un estremo all’altro; dalla enfatizzazione alla svalutazione.

La generazione di chi nel Sessantotto (e dintorni) aveva 18 anni ha vissuto una sopravvalutazione della politica, espressa sinteticamente nello slogan “Tutto è politica”. Questa ipertrofia è durata almeno un decennio, sino agli inizi degli anni Ottanta, con il rischio dell’errore – in cui spesso si è effettivamente incorsi – che la politica, intesa in maniera così totalitaria, fagocitasse altre dimensioni non meno rilevanti (dalla teologia alla musica, dalla filosofia al cinema). Per intenderci, erano anni in cui Manzoni o Leopardi venivano giudicati, prima di tutto, sulla base dell’ideologia politica di cui erano impregnate le loro opere. Dovrebbe essere superfluo precisare che il Sessantotto non è stato solo questo, anzi neppure principalmente questo: nel complesso uno spartiacque fra due fasi storiche di cui la seconda è stata decisamente più vivibile.

I tanti cambiamenti in positivo hanno comunque comportato una pervasività invadente della dimensione politica a scapito di altre non meno rilevanti e, forse per reazione a questa esagerazione – comunque per le numerose delusioni che aspettative troppo elevate hanno inevitabilmente comportato –, il pendolo negli ultimi decenni si è spostato sul polo opposto: sul fronte dell’anti-politica e, peggio ancora, della a-politica.

Questo riflusso nel “privato” ci ha condotto nella situazione attuale di smarrimento, di senso di impotenza, nei confronti delle grandi tragedie del nostro tempo. Nell’assenza di progetti politici complessivi e di lunga durata, di ogni speranza di cambiamento del “sistema”, ci sentiamo inermi. Mezzo secolo fa c’era chi aderiva a grandi organizzazioni (i partiti di “massa” come il Partito Comunista Italiano o le Chiese presenti nei cinque continenti come la Chiesa cattolica) nella convinzione che ciò che era impossibile al singolo fosse possibile al collettivo. Ora che siamo diffidenti – anzi, insofferenti – verso queste appartenenze ci sentiamo spiazzati. Impotenti. Sperimentiamo l’avvertimento di Hanna Arendt secondo cui vivere “privatamente” significa vivere “privi/privati” di qualcosa di essenziale: la relazione sociale, il supporto del noi. 

71nze00bcml-_ac_uf10001000_ql80_Che fare? 

Nelle stagioni storiche in cui il buio sembra più fitto non possiamo che ricorrere alle piccole luci delle testimonianze personali se è vero – per citare un proverbio orientale – che accendere una candela è meglio che maledire l’oscurità. Per non sottrarmi a questo dovere autobiografico, confesso che per me è stata illuminante l’asserzione di un intellettuale olandese (H. Kuivert) ripresa e rilanciata dal grande teologo domenicano Edward Schillebeeckx: «Tutto è politica, ma la politica non è tutto» [1].

L’ho intesa così: in quanto attività per condizionare le istituzioni (soprattutto i poteri legislativi e amministrativi a livello locale, regionale, nazionale e internazionale, per esempio con il voto o l’iscrizione a un sindacato) “la politica non è tutto”; possiamo esercitarla o meno [2].

Ma la politica, prima di essere un’attività facoltativa, è una dimensione antropologica ineliminabile. Detto in termini quasi banali: possiamo fare (o non fare) politica, ma in ogni caso noi siamo politica (“animali politici” secondo Aristotele, a meno di non essere dèi o bestie). In questo senso “tutto è politica” perché ogni nostra azione quotidiana (dall’acquisto degli alimenti alla scelta dei mezzi di trasporto) ha un risvolto politico: modifica la polis (in meglio o in peggio).

La differenza allora non è tra chi incide nel tessuto politico e chi se ne astiene, ma tra chi vi incide consapevolmente, intenzionalmente, e chi vi incide senza saperlo e senza volerlo (dunque con effetti del tutto casuali e imprevedibili). 

etty-hillesumTre possibili accezioni della espressione “vita spirituale” 

Se questo è vero non possiamo non chiederci se una vita spirituale matura, riflessiva, critica, responsabile possa ignorare la dimensione politica dell’esistenza.

Riconosco volentieri che la dimensione spirituale ci possa aiutare a prendere le distanze dal totalitarismo della “politica”, a preservarci – come ha preservato alcuni della mia generazione – dalla sua assolutizzazione e dalla conseguente ubriacatura. Ma se essa ci distoglie dalla politica come attenzione a ciò che avviene nella polis e a ciò che noi possiamo fare concretamente e quotidianamente per migliorarla, essa si rivela inautentica: il detto teologico “chi non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede” (I GV 4,20) può essere assunto più ampiamente anche in chiave metaforica.

Per essere chiaro devo qui operare una risemantizzazione a somiglianza di ciò che ho proposito del vocabolo ‘politica’. Quando diciamo vita ‘spirituale’ la maggior parte della gente intende vita interna a una religione istituzionalizzata: appartenenza ecclesiale, catechesi, sacramenti…Sappiamo che intesa così la vita spirituale è in calo: statisticamente per il numero di quanti si dichiarano fedeli/praticanti e, ancor di più, qualitativamente per la credibilità di molti di loro e di molti dei loro ‘pastori’. Ma vedrei, nell’uso contemporaneo, almeno due altri significati: la vita spirituale come mistica (trans-religione) e la vita spirituale come grammatica elementare (pre-religione). In entrambi questi significati l’equazione spiritualità= adesione a una confessione religiosa è spezzata.

Il mistico vola alto, anche quando è un mistico malgré lui- même, un mistico ‘selvaggio’ [3]: non è un caso che, dove hanno potuto, le tradizioni confessionali (almeno cristianesimo e islam) hanno condannato i mistici come eretici. Di Hetty Hillesum è stato scritto recentemente: 

«Così, come per mistici quali Margherita Porete, Meister Eckhart, Angelo Silesio, Enrico Suso, Caterina da Genova, che hanno fatto esperienze simili a lei, possiamo parlare anche per Etty di «ateismo mistico» (l’espressione è di Marco Vannini, che definisce così la posizione della mistica rispetto al problema dell’esistenza di Dio): anche loro sono giunti, come la giovane olandese, da una parte a un ateismo radicale, superando e rimuovendo il Dio tradizionale, quello che nelle religioni è oggetto di credenze; ma, d’altra parte, sono stati dei mistici, hanno sperimentato cioè l’unitas spiritus e la vita in Dio e con Dio è stata il fulcro della loro esistenza» [4]. 

La vita spirituale non si identifica con l’adesione a un sistema religioso definito neanche quando la si concepisca – come da alcuni decenni andiamo provando in molti – come una costellazione di qualità etiche che costituiscono la sintassi del “buon vivere” (e senza la quale i grandi ideali – mistici o politici – si sviluppano senza radici e dunque illusoriamente): gusto dell’ascolto, attitudine a contemplare la bellezza naturale e artistica, capacità di riflettere sulla propria vita, misura nell’uso dei beni materiali, sincera compassione con le sofferenze di tutti i viventi senzienti e così via. Questo genere di spiritualità può essere definita ‘laica’ in quanto potenzialmente condivisibile da tutto il laos, il popolo (dunque da credenti, agnostici, atei) [5]. 

7Spiritualità laica e dimensione politica 

Molti di noi vivono la sfera della religione più come una gabbia che come un sostegno.  Ed è ammirevole andare, oltre le religioni tradizionali, oltre il teismo, verso un rapporto intimo con il Mistero che ci abbraccia e ci sostiene: non dobbiamo avere paura della parola “mistica”. Ma possiamo anche bypassare il piano elementare, basilare, naturale della “spiritualità laica”? La mistica è la cattedrale che si slancia verso il cielo, la spiritualità laica ne costituisce le fondamenta. Senza le fondamenta, ogni cattedrale prima o poi crolla miseramente.

Tra le tessere del mosaico che è la spiritualità laica non c’è posto per l’avarizia. Don Lorenzo Milani l’aveva spiegato incisivamente con i suoi ragazzi di Barbiana: «Ho imparato che il problema degli altri è uguale al mio. Sortirne insieme è la politica, sortirne da soli è l’avarizia».

L’inferno in terra è scoraggiante, ma – come scrive Italo Calvino a chiusura de Le città invisibili – l’omologazione conformistica non è l’unica strada che possiamo imboccare: 

«L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n’è uno, è quello che è già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto da non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio» [6]. 

8La ricerca mistica può essere – se praticata come fuga – una forma sottilissima, travestita, di egoismo; può però anche costituire un “supplemento d’anima” come si esprimeva un secolo fa Henry Bergson quando osservava che la morale dei filosofi e dei preti può chiudersi in sé stessa, nel tradizionalismo, e ha bisogno dei mistici per aprirsi ad orizzonti sempre più ampi.

Se l’esperienza mistica ci distoglie dal cercare nell’inferno le persone, i luoghi, i tempi che inferno non sono, dobbiamo allarmarci. Già nel Medioevo i santi padri avvertivano che la scala della perfezione è caratterizzata da cinque gradini in progressione : lectio, meditatio, oratio, contemplatio, actio [7]. Un’illustrazione di questa scala la si può trovare nel racconto ebraico riferisce del rabbino, un po’ invidioso della fama di un collega di cui si diceva che nella preghiera toccasse il settimo cielo, che volle un giorno seguire nel bosco per spiarlo. Si accorse che andava a trovare una vecchietta sola alla quale spaccava la legna per il focolare. Tornato in città, a chi gli chiedeva se davvero il suo collega ascendesse al settimo cielo, rispondeva: “No. Sale molto più in alto”. Nietzsche, il teorico della “morte di Dio”, metteva sulle labbra di Zarathustra l’invito pressante ad essere fedeli alla Terra. Non c’è bisogno di condividere il suo ateismo per rivolgere lo stesso invito a noi stessi e ai nostri fratelli: restiamo fedeli alla Terra se non vogliamo spegnere ogni barlume di speranza in un qualche Cielo ultraterreno [8]. 

Dialoghi Mediterranei, n. 73, maggio 2025
[*] Il testo riproduce, sostanzialmente, una conferenza del 25 marzo 2025 presso “Centro Terzo Spazio” organizzata dai Cenacoli romani I e II della “Scuola diffusa del silenzio”.
Note
[1] Cfr. E. Schillebeeckx, Perché la politica non è tutto. Parlare di Dio in un mondo minacciato, Queriniana, Brescia 1987.
[2] Personalmente ritengo che sia molto meglio esercitarla, ma rispetto il punto di vista di amici autorevoli che da anni si tengono lontani dai partiti, dai sindacati e dalle urne elettorali. Ciò che mi sembrerebbe inoppugnabile è che ogni astensione da occasioni elettorali anche minime è, inevitabilmente, una delega agli altri che non si astengono: poiché non ho ragioni per supporre che essi voteranno per il meglio, preferisco non rinunziare a votare per il meno peggio.
[3] Sulla mistica come “conoscenza silenziosa” sperimentata dentro e fuori i recinti confessionali cfr. l’impegnativo, ma pionieristico, M. Corbí, Verso una spiritualità laica. Senza credenze, senza religioni, senza divinità, Il pozzo di Giacobbe, Trapani2023.
[4] B. Iacopini, Etty Hillesum. Vivere e respirare con l’anima, Gabrielli editori, S. Pietro In Cariano 2024: 112.
[5] Ho proposto una distinzione semantica fra “spiritualità laica”, “religiosità” e “religione” nel mio O religione o atesimo? La spiritualità ‘laica’ come fondamento comune, Algra Editore, Valverde 2021.
[6] I. Calvino, Le città invisibili, Mondadori, Milano 2011: 164.
[7] La tradizione induista in cui Gandhi era immerso sin dalla nascita non è certo viziata da eccessi pragmatici, da attivismo ‘orizzontale’. Eppure la “Grande Anima”, dedito giornalmente a lunghe e intense meditazioni, ha dedicato pagine e pagine alle tecniche migliorative da insegnare ai contadini e agli allevatori, soffermandosi sul riciclo degli escrementi umani e bovini, nella convinzione esplicita di non riuscire «a immaginare un miglior atto di culto verso Dio del fatto di lavorare, nel Suo nome, per i poveri facendo il loro stesso lavoro» (La stoffa Khadi e la filatura in M. K. Gandhi, Villaggio e autonomia. La nonviolenza come potere del popolo, Libreria Editrice Fiorentina, Firenze 1982: 109). E poco più oltre: «Finché la ruota per filare non gira a pieno ritmo, qualsiasi altra cosa mi appare noiosa e senza vita. Perché io vedo il mio Dio danzare in ogni filo» (ivi: 118).
[8] Una buona sintesi di alcuni tentativi teorico-pratici di sinergia fra mistica e politica in F. Battistutta,  Misticopolitica. Orizzonti della spiritualità post-religiosa, Effigi Edizioni, Arcidosso 2022.

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Augusto Cavadi, già docente presso vari Licei siciliani, co-dirige insieme alla moglie Adriana Saieva la “Casa dell’equità e della bellezza” di Palermo. Collabora stabilmente con il sito http://www.zerozeronews.it/. I suoi scritti riguardano la filosofia, la pedagogia, la politica (con particolare attenzione al fenomeno mafioso), nonché la religione. Tra le ultime sue pubblicazioni: La mafia desnuda – L’esperienza della Scuola di formazione etico-politica “Giovanni Falcone” (Di Girolamo, 2017); Peppino Impastato martire civile. Contro la mafia e contro i mafiosi (Di Girolamo, 2018), Dio visto da Sud. La Sicilia crocevia di religioni e agnosticismi (Spazio Cultura Edizioni, 2020); La filosofia come terapia dell’anima. Lineamenti essenziali di spiritualità filosofica (Diogene Multimedia, 2019); Voglio una vita spregiudicata. La spiritualità di chi crede di non averne alcuna (Diogene Multimedia 2020); Tremila anni di saggezza. La spiritualità nella storia della filosofia (Diogene Multimedia 2020); O religione o ateismo? La spiritualità “laica” come fondamento comune (Algra 2021).

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