di Antonina Ferruzza Marchetta
Premessa
L’esperienza che andrò a illustrare si inserisce in una prospettiva di embodied education, ovvero un intervento ove l’apprendimento coinvolge l’intera persona nella sua unità di corpo, emozioni e pensiero. Il laboratorio di danzamovimento terapia, rivolto a studentesse del terzo anno del corso di laurea in Scienze dell’Educazione Primaria, realizzato presso L’Università degli Studi di Palermo, ha voluto offrire un contesto didattico non convenzionale in cui il corpo potesse emergere come luogo di conoscenza, relazione e trasformazione.
Tale intervento – svolto tra i mesi di marzo e maggio del 2024 – ha coinciso col tirocinio curriculare del Master di Artiterapie Espressive, tenuto presso L’Università Cattolica di Milano. La decisione di effettuarlo in un contesto universitario è nata dall’unione di molteplici motivazioni personali: in primis l’amore per i contesti formativi, la passione per la danzaterapia — disciplina dalle radici antiche ma dalla recente teorizzazione — e la convinzione della necessità di superare il dualismo mente-corpo, ancora molto presente nell’ambito educativo. Fondamentali sono stati gli studi di Daniel Stern [1] e quelli di Ammaniti e Gallese [2], che hanno contribuito a una nuova consapevolezza del ruolo corporeo nella mente umana. L’incontro con la professoressa Elena Mignosi Associata di Pedagogia Generale – oltre che psicologa e danzaterapeuta – dell’Università di Palermo ha offerto l’occasione concreta per realizzare questi aneliti, attraverso un’esperienza che ha unito l’osservazione delle lezioni in aula, a laboratori pratici, momenti di confronto e supervisione, favorendo così una profonda crescita sia professionale che personale.
Embodied Learning e contesti educativi
In un sistema educativo dove ancora prevale la centralità della parola e della dimensione logico-razionale, il movimento, il gesto, il ritmo e l’ascolto sensoriale diventano linguaggi alternativi attraverso cui esplorare la propria identità personale e professionale.
La danzaterapia, in questo senso, si è rivelata un canale privilegiato per promuovere forme di consapevolezza che solitamente non trovano spazio nei corsi accademici tradizionali: consapevolezza del proprio corpo, delle emozioni, dei limiti e delle potenzialità, nonché della relazione con gli altri.
«Lakoff and Johnson (1999) have proposed a perspective of embodiment through bodily activities and experiences grounded in conceptual systems. Phenomenological embodiment and neural embodiment are delineated as two significant forms of embodiment stemming from several key concepts of cognitive science: the reason is connected to our bodies (through perception, movement, manipulation) brains, and environmental interactions and experiences to give ‘our sense of what is real’; and because our conceptual systems are rooted in bodily capacities and experience in-habitated in our environment, the mind is embodied in a common way that draws meaning ‘grounded in and through our bodies’ » [3].
Per chi si prepara ad assumere un ruolo educativo con bambini nella fascia 0-3 anni, saper abitare consapevolmente il proprio corpo e utilizzare modalità comunicative non verbali non è un elemento secondario, ma un vero e proprio prerequisito professionale. I bambini molto piccoli comunicano infatti primariamente attraverso il corpo e gli stati affettivi: solo un’educatrice che ha sviluppato un’adeguata sintonizzazione somatica potrà offrire un contesto relazionale accogliente, empatico e realmente responsivo.
«In questo dialogo tra corpi, proprio perché riguarda questioni vitali per il bambino, si esprime la sua ‘voce’ più intima, quella che parla in maniera più autentica dei suoi vissuti più profondi, delle sue difficoltà ma anche della sua tensione vitale verso il mondo. D’altra parte è soprattutto in questo dialogo tra corpi che la ‘voce’ del bambino rischia di non trovare ascolto, anzi di essere ricacciata indietro da un adulto disattento perché più sintonizzato sulle comunicazioni verbali, o perché in difficoltà nell’entrare in rapporto comunicativo tra corpi. […] Se manca questa sensibilità, il messaggio educativo valorizzante (“ti ascolto perché per me sei prezioso“) rischia di non essere veicolato, proprio là dove, con il bambino piccolissimo, ha più possibilità di esprimersi cioè nella ‘cura’ con cui ci si rapporta al corpo infantile nella misura in cui quel corpo ‘è’ il bambino» [4].
In quest’ottica, il laboratorio ha promosso un apprendimento situato e incarnato, che ha integrato conoscenze teoriche e pratiche, in linea con la pedagogia esperienziale e con i più recenti contributi delle neuroscienze affettive e dell’educazione somatica. La narrazione che segue descriverà dettagliatamente la prima sessione, quale situazione esemplare – con un fine divulgativo – per raccontare l’interno sviluppo del percorso.
L’esperienza laboratoriale: “Educarsi al movimento per educare”
Il laboratorio di danzamovimento terapia “Educarsi al movimento per educare i quattro elementi per esplorare il sé corporeo” è stato congegnato appositamente quale workshop intensivo per approfondire la dimensione dell’educazione somatica, al fine di sviluppare una sensibilità relazionale di tipo corporeo con i bambini, futura utenza delle educatrici a cui si rivolgeva il percorso. Nonostante il carattere tendenzialmente pratico, ognuna delle cinque giornate di formazione ha previsto anche momenti di carattere maggiormente teorico e riflessivo, aventi l’obiettivo di creare una cornice concettuale che favorisse l’interiorizzazione degli esercizi praticati. L’articolazione del laboratorio è stata incentrata sull’argomento dei quattro elementi della tradizione Occidentale [5] – terra, acqua, aria e fuoco – concepiti in quanto spunti analogici attraverso i quali articolare diverse tipologie di movimento, connesse a diversi temperamenti caratteriali. Tali elementi sono stati poi collegati a nove soft skills, da me selezionate, per favorire l’associazione degli esercizi allo sviluppo di specifiche competenze, utili sia per la propria evoluzione personale sia per la professione di educatrici di nido.
Cos’è la Danzamovimento Terapia: pratiche e strategie
Durante la prima ora è stata presentata la disciplina della DMT dal punto di vista storico, tramite delle slides. Volendo proporre un excursus dei contenuti proposti, si è partiti dalla matrice sciamanica e tribale della danza, quale pratica connessa a livello ‘primitivo’ con l’idea di strumento in grado di favorire la coesione del gruppo, la canalizzazione delle energie individuali verso un principio divino superiore e l’esorcizzazione dei malesseri psicofisici che attanagliavano l’essere umano. Grande spazio è stato rivolto all’analisi della figura del ‘guaritore ferito’, assimilabile mitologicamente alla figura del centauro Chirone, colui che in virtù dell’avere esperito e – successivamente – trasmutato in segno positivo un profondo stato di malessere possiede le qualità necessarie ad ‘iniziare’ la comunità a un processo di connessione con il proprio sé tramite l’esecuzione di movimenti concatenati e ritmici, aventi la finalità di allineare il piano fisico con quello psichico, rilasciando lo stato di tensione muscolare e mentale. Il facilitatore di tale processo è stato inoltre relazionato alla figura del Senex, di cui ha parlato esaustivamente Jung [6], tratteggiato in qualità di archetipo della psiche legato ai riti di passaggio, in particolare alla metabolizzazione di vicissitudini esistenziali complesse. Dopo questa introduzione si è passati alla definizione della danzaterapia, vista come fusione delle teorie psicanalitiche con la danza moderna. Si è fatto in particolare riferimento alla presentazione dell’Apid della DMT:
«È una modalità specifica di trattamento di una pluralità di patologie psichiche, somatiche, relazionali, ma anche una suggestiva possibilità di ricerca di benessere ed evoluzione personale. […] È quindi una disciplina specifica, orientata a promuovere l’integrazione fisica, emotiva, cognitiva e relazionale, la maturità espressiva, affettiva e psicosociale e la qualità di vita della persona» [7].
Tale citazione sottolinea quindi il carattere terapeutico ed espressivo della disciplina, sganciata da finalità strettamente performative. L’aspetto coreutico emerge, collateralmente, quale derivato di un’immersione profonda nella dinamica del movimento. Ma ciò che si staglia quale elemento fondamentale è la centralità del setting, inteso come luogo, extra-ordinario, deputato ad una espressività libera, scevra da pregiudizi, orientata all’esplorazione intima del sé attraverso la gestualità, piuttosto che all’esibizione di particolari competenze tecniche. Il danzatore Rudolf Laban approfondì tale concetto, aggiungendo come il movimento portasse istanze occulte, inconsce – appartenenti trasversalmente e diacronicamente all’essere umano – le quali vengono esplicitate esternamente, tramite improvvisazioni collettive, in chiave simbolica.
A livello scientifico vi sono contributi di diversi studiosi, operanti tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo, che hanno posto le basi per la nascita di tale tecnica, quali i contributi di Margaret Mahler, che ha proposto una griglia di correlazione tra fenomeni intrapsichici e fenomeni corporei. In questo periodo si andavano diffondendo infatti in ambito psichiatrico i termini di ‘schema corporeo’ (immagine inconscia) e ‘immagine corporea’ (rappresentazione conscia). Tali definizioni vengono approfondite nella seconda metà del ‘900 da Schilder che enfatizza il ruolo dinamico dell’immagine corporea, frutto dell’incrocio tra gli apporti sensitivi e della percezione mentale della nostra tridimensionalità, la quale è passibile di numerose trasformazioni, in quanto sottoposta a continui processi di strutturazione, de-strutturazione e ristrutturazione, facilitati dalla pratica della DMT, e condizionati dal contesto sociale.
Un altro studioso che occorre citare, per la capitale importanza del suo approccio, fu Wilhelm Reich, il quale contribuì a portare in psicoterapia una nuova teoria che poneva sullo stesso livello funzionale la matrice psichica e corporea. Per lui il corpo diventava strumento privilegiato per fare emergere vissuti, emozioni, sensazioni, annidati in una memoria antica del soggetto, il quale poteva finalmente far affiorare vissuti preverbali, conservati in specifici distretti del corpo. Ma la chiave di volta nella strutturazione teorico-pratica della disciplina è data dalla pratica di alcune danzatrici chiamate a occuparsi di pazienti afflitti da traumi di guerra – tra cui il famoso shell shock – per favorirne il recupero di un nuovo equilibrio psicologico e la risocializzazione. Mi riferisco, in tal senso, a Marian Chance, madrina della DMT la quale operò presso l’ospedale di Washington, creando delle sessioni basate sui principi del rispecchiamento empatico e il dialogo motorio, grazie alla realizzazione di setting sicuri e accoglienti nei quali i partecipanti potevano permettersi di allentare le proprie difese e fare emergere il proprio vissuto più recondito. Infatti come narra lei stessa:
«I suoi movimenti significati, sebbene strani, diventano accettabili agli altri quando ci si pone in relazione, sulla base delle emozioni espresse, attraverso l’azione della danza. Mano mano che i sentimenti di isolamento ed il timore di una possibile incomprensione si riducono, metterà da parte le espressioni autistiche e migliorerà in modo da entrare ed interagire nel gruppo» [8].
Il culmine del suo lavoro si sostanziò, infine, nella creazione nel 1966 dell’American Dance Therapy Association (ADTA) tutt’ora attiva e prolifica. Trudi Schoop è il secondo personaggio di spicco nel percorso di autonomizzazione della disciplina. Provenendo da una formazione artistica, iniziò a lavorare con pazienti psicotici, ai quali faceva vivere delle forti esperienze basate sulla liberazione dei contenuti ansiogeni, angosciosi e ossessivi, grazie al ricorso degli elementi ancora sani, non intaccati dalla patologia, i quali erano in grado di promuovere percorsi creativi e risolutivi nei pazienti. I movimenti disfunzionali, grazie alle risorse dei pazienti, potevano così trasformarsi in senso positivo. Infatti «la creatività è il lato sano della personalità umana, la terapia con l’arte è efficace perché, invece di accanirsi sui nuclei patologici, valorizza gli aspetti ancora integri e vitali presenti nell’individuo» [9].
Infine, vale la pena di citare il lavoro di Mary Stak Whitehouse, creatrice della tecnica del movimento autentico, applicando l’immaginazione attiva Junghiana al movimento. Le basi di questa tecnica affondano sull’idea che le sensazioni inconsce abbiano un ruolo cardine nel processo di trasformazione della personalità. Anziché dirigere il movimento volontaristicamente ci si affida per ciò alle intuizioni introverse, derubricate come un processo di ‘essere mossi’ dall’esterno per poi tornare ad analizzare ciò che si è compiuto. In questo articolato processo giocano un ruolo fondamentale gli slittamenti da un piano di coscienza ad un altro, nonché il lavoro per mezzo delle emozioni, intese quali fondamento della psiche e collante tra di essa e la dimensione corporea.
Successivamente si è passati ad approfondire il primo elemento – quello della terra – sul quale era imperniata la prima giornata di lavoro. Secondo la medicina Galenica e Ippocratica l’elemento terra deriva dall’unione degli elementali freddo e secco, i quali danno vita al temperamento melanconico, associato all’umore della melanconia. Tale carattere è contraddistinto da uno spiccato pragmatismo, una valorizzazione per tutto ciò che attiene alla realtà delle cose materiali, legate alla fisiologia – sonno, cibo, riparo domestico. Per tale motivo la facoltà della ragione viene maggiormente praticata a detrimento della sfera della fantasia e della dissertazione intellettuale. L’individuo legato alla terra è inoltre molto routinario, fedele al mondo delle forme e dei confini dettati dalla materia: la legge del giusto mezzo regna sovrana nel suo universo di morigeratezza e ricerca dell’equilibrio sul piano fisico, grazie anche all’esercizio della prudenza, della riflessività e della costanza. Uno squilibrio dell’elemento terra di carattere positivo può, di conseguenza, indurre a sviluppare una mentalità ristretta, una propensione verso il raggiungimento di uno status quo, un’assenza di slancio creativo e vitalistico, sacrificato all’insegna di un’esistenza improntata monotematicamente su un lavoro o un’attività specifica alla quale devolvere tutta la propria forza ed efficienza. Per converso, uno squilibrio in negativo, può condurre ad una mancata sintonia con le proprie esigenze organiche e sensoriali, e a portare l’energia unicamente sul versante mentale e speculativo, investendo le proprie risorse su percorsi spirituali o disperdendosi nel mondo della fantasia, arrivando anche a vivere in modo disadattato e disancorato dalla realtà.
Conclusa questa parte di dissertazione teorica, si è passati al lavoro corporeo vero e proprio. Dopo una presentazione a cerchio nella quale veniva abbinata alla declamazione del proprio nome un passo/gesto che poi veniva ripetuto a coro dal gruppo, si è iniziato un breve riscaldamento. Nonostante il suo carattere funzionale, il riscaldamento costituisce già di per sé una forma di lavoro introspettivo, in quanto si focalizza sin dagli albori sulla sperimentazione del contatto con sé stessi mediato da una manipolazione degli arti e del tronco ora di tipo percussivo (orientata a percepire le ossa, e dunque l’elemento terra), ora di tipo muscolare (rivolto a sentire le catene muscolari e dunque l’elemento fuoco), ora con un andamento di scotolamento (tipico della dinamica dell’aria). È seguita una parte di estensione e flessione dei vari distretti – stretching – partendo dalla testa, le braccia, il torace, il busto, il bacino, le gambe e i piedi, con vari esercizi specifici. Infine si è iniziato a praticare il carattere ‘terrestre’ mediante un esercizio di immaginazione guidata sulla scorta dell’immedesimazione nell’oggetto dell’albero, il quale dalle radici porta la forza vitale verso l’altro e produce delle gemmazioni dai suoi rami, guidati dalla forza della luce.
Il secondo esercizio ha previsto la riproposizione di una danza rituale a cerchio basata sul battito dei piedi a terra, mentre si teneva la mano delle compagne. Il lavoro era orientato a favorire la coesione del gruppo, a stimolare una connessione viscerale con la terra, e a sapere andare a tempo pur variando i pattern ritmici. Nello specifico tale esercizio è stato mutuato dall’orientamento alla DMT dell’expression primitif incentrato sul senso di radicamento e di grounding, quale premessa per accostarsi allo spirito della trascendenza. Per prendere dimestichezza anche con la dimensione spaziale, sin dal primo appuntamento, si sono sperimentate delle dinamiche di camminata libera nell’ambiente esterno, le quali si configuravano via via con stimoli diversi: ‘sulle punte dei piedi’, ‘sulle punte dei talloni’, ‘con i piedi pesanti’, ‘sciando’, ‘accasciati verso il basso’, ‘protesi verso l’alto’, etc… Entrando invece nel cuore dell’elemento e delle soft skills ad esso associate sono stati eseguiti due esercizi: il primo chiamato del ‘burattino e del burattinaio’, il secondo detto ‘dell’immedesimazione nelle architetture’. Durante il primo, le partecipanti, disposte a coppie, dovevano alternarsi nell’agire la figura di un ipotetico burattinaio che manipola il burattino, disponendolo – tramite fili immaginari o il tocco lieve – in posizioni via via diverse. Questa tecnica mirava a sondare la competenza della resilienza, in quanto l’essere manipolati da un soggetto esterno può indurre delle sensazioni di impotenza e fragilità, soprattutto legate al periodo infantile.
Il modo in cui il conduttore dell’esercizio ha gestito i movimenti della compagna, con delicatezza, sicurezza, o viceversa bruschezza o incertezza, hanno fornito informazioni su come il soggetto si orienti rispetto al tema della responsabilità. Mentre le risonanze dei soggetti manipolati hanno suggerito spunti creativi su come viene vissuto il rapporto con l’altro, quando è l’altro ad avere la responsabilità di noi stessi, ma soprattutto su come relazionarsi in una situazione nella quale non si ha controllo sugli eventi. Nel secondo esercizio è stata sperimentata la skill del problem solving – aspetto fortemente legato al pragmatismo della terra – in prima battuta tramite l’osservazione di dieci immagini raffiguranti architetture contemporanee e storiche, aventi forme molto diversificate tra loro, tra le quali le partecipanti erano invitate a sceglierne una di loro maggiore gradimento. In seconda battuta è stato chiesto loro di improvvisare una danza che rappresentasse il monumento prescelto, e poi – a coppie – di creare una terza architettura intrecciando la propria improvvisazione con quella di una compagna. Il risultato di tale esercizio voleva spronare le allieve a esperire, da un lato, la difficoltà nell’incarnare una struttura che di per sé è rigida e poco flessibile, e dall’altro a far dialogare la propria forma con quella dell’altro. L’effetto è stato dunque un processo di negoziazione di attributi e qualità di movimento diverse, aspetto cardine del processo di problem solving. La giornata si è conclusa con un cerchio finale di condivisione delle proprie impressioni riguardo gli esercizi effettuati, delle emozioni elicitate da questi ultimi e dalle riflessioni conseguenti.
Conclusioni
La danzamovimento terapia, nelle sue applicazioni educative, si propone come uno strumento privilegiato per promuovere l’espressione individuale, la regolazione affettiva e la costruzione di un’identità relazionale positiva. Come sottolineato dall’APID, la DMT non persegue scopi performativi, ma mette in luce la funzione simbolica del gesto e la sua capacità di narrare, trasformare ed elaborare esperienze interiori, anche pre-verbali. Questo approccio risulta particolarmente efficace nella relazione educativa, dove la comunicazione passa primariamente attraverso il corpo.
L’esperienza di tirocinio presso l’Università di Palermo ha rappresentato un’opportunità di sperimentazione didattica innovativa, fondata sull’integrazione corpo-mente. La scelta di operare nel contesto universitario nasce da una vocazione per l’insegnamento e dal profondo convincimento che le artiterapie – e in particolare la danzamovimento terapia – possano rappresentare strumenti fondamentali per umanizzare e arricchire la formazione degli educatori, contribuendo a costruire ambienti di apprendimento più consapevoli, empatici e integrati.
Dialoghi Mediterranei, n. 73, maggio 2025
Note
[1] Stern D.N., Le forme vitali, L’esperienza dinamica in psicologia, nell’arte, in psicologia e nello sviluppo, Raffaello Cortina Editore, Milano 2011.
[2] Ammaniti M., Gallese V., La nascita dell’intersoggettività, Lo sviluppo del sé tra psicodinamica e neurobiologia, Raffaello Cortina, Milano 2014.
[3] Freiler T., J., Bridging traditional boundaries of knowing: revaluing mind/body connections through experiences of embodiment, A Thesis in Adult Education, Pennsylvania State University, 2007.[4]Bondioli A, Savio D., Educare l’infanzia, Temi chiave per i servizi 0-6, Carocci Editore, Roma 2018: 81.
[5] Arroyo S., L’astrologia e i quattro elementi, L’influsso dell’energia cosmica sul significato dei pianeti e dei segni, Astrolabio, Roma 1988.
[6] Jung C.G., L’analisi dei sogni, Gli archetipi dell’inconscio, La sincronicità, Bollati Boringhieri, Torino 2011.
[7] Pagnoncelli G., Sanna M., a cura di Confalonieri E., Artiterapie: Teorie, Metodi e Strumenti, Franco Angeli, Milano 2021.
[8]Chace M., Dance as an Adjunctive Therapy with Hospitalized Mental Patients, Bullettin of Menninger Clinic, 17, 1953: 219-225.
[9] Shoop T., Won’t You Join the Dance? Dancer’s Essay into the Treatment of Psychosis, Mayfield Publishing Co, USA, 1974.
Riferimenti bibliografici
Ammaniti M., Gallese V., La nascita dell’intersoggettività, Lo sviluppo del sé tra psicodinamica e neurobiologia, Raffaello Cortina, Milano 2014.
Arroyo S., L’astrologia e i quattro elementi, L’influsso dell’energia cosmica sul significato dei pianeti e dei segni, Astrolabio, Roma 1988.
Bondioli A, Savio D., Educare l’infanzia, Temi chiave per i servizi 0-6, Carocci Editore, Roma 2018.
Chace M., Dance as an Adjunctive Therapy with Hospitalized Mental Patients, Bullettin of Menninger Clinic, 17, 1953: 219-225.
Freiler T., J., Bridging traditional boundaries of knowing: revaluing mind/body connections through experiences of embodiment, A Thesis in Adult Education, Pennsylvania State University, 2007.
Jung C.G., L’analisi dei sogni, Gli archetipi dell’inconscio, La sincronicità, Bollati Boringhieri, Torino 2011.
Pagnoncelli G., Sanna M., a cura di Confalonieri E., Artiterapie: Teorie, Metodi e Strumenti, Franco Angeli, Milano 2021.
Shoop T., Won’t You Join the Dance? Dancer’s Essay into the Treatment of Psychosis, Mayfield Publishing Co, USA, 1974.
Stern D.N., Le forme vitali, L’esperienza dinamica in psicologia, nell’arte, in psicologia e nello sviluppo, Raffaello Cortina Editore, Milano 2011.
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Antonina E. Ferruzza Marchetta, dottoressa in Lettere Moderne, presso l’Università di Bologna, laureanda alla magistrale in Psicologia Clinica dell’Infanzia e dell’Adolescenza e al Master di ArtiTerapie e Terapie Espressive – con specializzazione in danzaterapia – alla Cattolica di Milano. I suoi interessi culturali si incentrano sul rapporto tra linguaggio, psiche e corporeità, declinati attraverso diverse discipline di matrice artistica. È practitioner del Metodo Feldekrais (somatica), insegnante e danzatrice di un derivato contemporaneo della bellydance, e ha collaborato con la rivista Balarm.
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