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Un saluto dai paesi di domani

Posted By Comitato di Redazione On 1 luglio 2019 @ 00:08 In Cultura,Società | No Comments

 

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Armungia (ph. S. Mizzotti)

di Barbara e Tommaso Lussu

Ulassai (Ogliastra, east coast Sardinia), 2 Giugno 2019.

La grande piazza Barigau nella parte alta del paese è piena di camper, tende e ragazzi venuti da ogni parte d’Europa. Una fune collega due tacchi di roccia che sovrastano il paese: 480 metri di lunghezza a 160 metri di altezza. Nel vuoto. Non è una semplice fune, ma una strackline, una fettuccia larga 5cm su cui camminano arrampicatori e freeclimbers. Lo spettacolo è mozzafiato, ci ricorda la camminata libera, senza protezioni di Philippe Petit, funambolo francese che negli anni ’80 organizzò con lo scrupolo di una rapina perfetta una esibizione illegale: una camminata libera in cielo di oltre un’ora fra le torri gemelle di New York.

Nei fili “camminati” di Ulassai che univano le montagne abbiamo anche visto la migliore, non dichiarata e forse inconsapevole, reinterpretazione e attualizzazione del “legare i fili alla montagna” dell’artista Maria Lai, per noi tessitori a mano che rifuggiamo dalle retoriche vuote e oggi diffuse sui “fili di Maria”.

Questo di Ulassai non è il resoconto di una bella giornata, ma è la storia di Sophie e Pietro, che da Anversa qualche anno fa hanno deciso di andare a vivere con i figli piccoli in Ogliastra, dove hanno comprato casa e avviato un’attività fatta di turismo attivo, microricettività, yoga, e il festival internazionale “Climbing Ulassai”.

Una storia – per noi che viviamo in un piccolo paese e condividiamo con voi riflessioni, pratiche e strategie per la rinascita dei piccoli paesi – che ha una forte valenza: non si tratta di una “ritornanza” nella comunità di origine, ma di una scelta di un luogo, una scelta di appartenenza alla montagna.

Sceglier di “appartenere” è per noi più significativo, perché annulla le implicazioni identitarie, genealogiche, di popolo, di comunità originaria.

È la nostra idea dei paesi di domani: comunità aperte, integrate, meticce.

È certamente difficile in una fase storica in cui il Ministro degli Interni criminalizza gli Sprar, Riace e i volontari del mare. Ed è ancora più difficile quando i tuoi compaesani condividono il populismo e il socialfascismo del Ministro.

Riace oggi è una questione politica; per noi è stato sempre un modello culturale il lavoro sulla contaminazione e recupero dei saperi tradizionali a Riace (la lavorazione della fibra vegetale ad uso tessile, in particolare della ginestra, fatta con i migranti turchi e curdi). Il nostro pane quotidiano è un sapere tradizionale, la tessitura a mano, e in questi anni abbiamo osservato che la cultura materiale è un sistema aperto, dinamico, in continua evoluzione. La salvaguardia di un sapere non serve a nulla se non c’è trasmissione. Non c’è tradizione senza trasmissione, e non c’è cultura senza elaborazione, traduzione, contaminazione.

“Un saluto dai paesi di domani” è lo spettacolo di lettura e musica di Gerardo Ferrara che quest’anno proponiamo ad Armungia nelle giornate di giugno. Dedicato a Riace.

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Armungia (ph. S. Mizzotti)

“Un Caffè ad Armungia” 2019 è un festival “longitudinale”: spazi e tempi diffusi fra la primavera e l’autunno, con momenti di discussione e socialità, esperienze.

Durante l’edizione di “Un Caffè ad Armungia” del 2018 si sono incontrate, per la terza volta, diverse esperienze innovative in corso nel territorio nazionale riunite nella Rete dei piccoli paesi.

L’idea per “Un caffè ad Armungia, 2019” è dare continuità al lavoro sulla resistenza allo spopolamento attraverso la valorizzazione del patrimonio culturale, materiale e immateriale:

- esprimere delle “soprintendenze dal basso”;

- sviluppare ed approfondire un dibattito sulle strategie utili per la crescita e lo sviluppo dei piccoli paesi;

- promuovere con la pratica attività e momenti di incontro.

Le giornate si configurano quindi come un invito alla frequentazione del territorio, con l’obiettivo di riappropriazione di una “coscienza di luogo” e di una consapevolezza ICH (Intangible cultural heritage).

L’idea di un “festival diffuso” nel tempo e nello spazio significa “allargare la platea” dei fruitori, favorire la promozione di un territorio e del suo patrimonio attraverso una diversità di iniziative, dal seminario teorico alle attività pratiche.

Per dare corpo a quello che abbiamo teorizzato nelle edizioni passate: che saperi tradizionali, agrobiodiversità, patrimonio immateriale, ambiente e turismo lento (attivo, consapevole e sostenibile) possano essere dei microsettori produttivi in grado di generare reddito.

Nel calendario di quest’anno abbiamo tre iniziative sull’agrobiodiversità: pranzi e degustazioni con la cooperativa agricola di S. Nicolò Gerrei in cui cerchiamo di promuovere l’idea (e la pratica) che anche in agricoltura la mescolanza, in questo caso delle sementi, e il progressivo adattamento a nuove nicchie ecologiche debbano essere affiancati alla pura salvaguardia delle varietà autoctone.

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Armungia (ph. S. Mizzotti)

Le giornate del 15-16 giugno ad Armungia mettono al centro due importanti lavori che stanno girando l’Italia nelle ultime settimane: il libro Riabitare l’Italia e il film Vado verso dove vengo. Ma anche un workshop sul turismo esperienziale, la presentazione di un romanzo e molta socialità. Un festival volutamente leggero, fatto di piccoli numeri e tempi lenti, dove l’incontro e il confronto fra persone che si sentono di appartenere ad una medesima comunità di eredità trasversale sono prioritari.

Fabrizio Barca riporta il dato secondo cui le 172 aree della “strategia”, che definisce “in trappola”, non hanno invertito l’andamento dell’abbandono demografico. e parla di “alleanze” come strategia unica possibile. Condividiamo e sosteniamo l’idea della “rete” (parola abusata anche nei contesti più istituzionali, mentre la categoria “alleanza” ci ricorda un po’ il gioco Risiko).

Parliamo di relazioni, identità di visione per un territorio, coscienti del fatto che a volte serve maggiormente condividere le frustrazioni, le paure, i dubbi.

Non siamo eroi né missionari. Non vogliamo essere “in trappola” né assistere all’impossibilità di fare delle scelte. Perché questo significa vivere in un piccolo paese: non poter sceglier il tuo medico, la tua scuola (ammesso che ce ne sia). Ma soprattutto non siamo qui perché vogliamo difendere il Nostro paese o la Nostra comunità originaria (rivendichiamo certo la storia della nostra famiglia in quanto memoria storica collettiva della Sinistra del ‘900).

Ora viviamo qui. Domani potremmo decidere di vivere altrove, ma cercheremo sempre di guadagnarci da vivere puntando su saperi tradizionali, agrobiodiversità, ambiente.

È una scelta, o meglio un progetto di vita, oggettivamente e soggettivamente anticapitalista.

Certo, ieri la nostra utopia era l’internazionale futura umanità. Oggi, ahimè, sembra utopia far avanzare e rendere sostenibile la vita in una piccola comunità nella periferia dell’Europa occidentale.

Dialoghi Mediterranei, n. 38, luglio 2019
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Tommaso Lussu, cresce a Roma dove frequenta il liceo classico e si laurea in Archeologia preistorica nel 1999 a La Sapienza. Lavora per i Beni Culturali nell’ambito del restauro di opere manufatti e artistici, progetti europei di ricerca e con società di indagini territoriali ed archeologiche.Dal 2008 risiede in Sardegna, ad Armungia, dove si dedica al recupero della tessitura tradizionale e al progetto del laboratorio di Casa Lussu. Prosegue la sua formazione in ambito tessile studiando con altre tessitrici e designer. Nel 2014 fonda, insieme a Barbara Cardia, l’Associazione Casa Lussu.
Barbara Lussu, conduce e coordina insieme a Tommaso le attività di tessitura dal 2009, avendo ereditato dalla nonna un antico telaio. La curiosità e la passione li spingono a ricercare, approfondire e continuare la loro formazione con altri tessitori e designers.

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