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Un “archivio vivente” per una comunità che vuol farsi educante

 

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Roma, Aula Istituto Uruguay

di Anna Maria Calore

«I bambini che giocano sulla piazza nonostante arrivi il buio, le sole creature sulla terra a impegnarsi per non far finire il giorno» (Fabrizio Caramagna – aforisticamente.com)

Tutto è iniziato dall’ aforisma riportato sotto il titolo, aforisma caduto sotto il mio sguardo mentre cercavo una immagine mentale per descrivere l’esperienza educativa, effettuata a titolo volontario, che mi ha portato, in un Municipio della periferia romana che si stende oltre il Raccordo Anulare della Città, lungo ed intorno all’asse di una delle più antiche vie consolari: la Via Salaria che, partendo da Roma e attraversando la Sabina, raggiungeva poi le saline dell’Adriatico.

In questa località, in gran parte zona di recente edilizia abitativa e nella quale si trova uno dei più grandi Centri Commerciali della Capitale (Porta di Roma), meta di intere famiglie nei fine settimana, situano anche i nove plessi di un Istituto Scolastico Comprensivo (I. C. Uruguay). Nei nove plessi vanno a scuola bambini e ragazzi, dai più piccini che frequentano la scuola materna, sino a ragazzi delle medie. Ho avuto la fortuna di poter entrare in contatto con i bambini e i ragazzi, attraverso degli incontri di una mattinata, con l’obiettivo di renderli consapevoli del fatto che ciascuno di loro, che già ne sia cosciente o che non lo sappia ancora, possiede almeno un talento da riconoscere, nutrire e difendere.

In questi incontri ho potuto comprendere, nel loro sguardo, oltre alla freschezza e l’innocenza, anche la capacità ancora intatta di poter guardare al futuro con speranza e fiducia, grazie anche al lavoro svolto con passione dai loro insegnanti, capaci di supportare i ragazzi e le loro famiglie, nel difficile compito della crescita in una società sempre più complessa e ora anche più difficile a causa delle restrizioni dovute alla pandemia di coronavirus.

Un esempio per tutti, della sensibilità degli insegnanti dell’I.C. Uruguay, riguarda le iniziative annuali all’interno del plesso “Lea Garofalo”. Un plesso dell’estrema periferia, in una zona chiamata “Cinquina” dove, tra gli appezzamenti di terreno coltivato nei quali è possibile ancora vedere pascolare le pecore, sono stati costruiti, nel tempo, nuclei di abitazioni civili di edilizia popolare che si alternano a strutture private familiari di non più di due piani, tipiche delle borgate romane.

Ebbene, ogni anno, poco prima delle festività natalizie, genitori, nonni, insegnanti e bambini, riescono a costruire un evento nel quale ciascuno apporta un contributo. Chi cuce i costumi per i bambini, chi i fondali delle scene dell’interpretazione multietnica del forno per cuocere il pane, o del pozzo dal quale raccogliere l’acqua, oppure della stalla o ancora del laboratorio di falegnameria e della bottega del ciabattino. Sopra ognuna di queste rappresentazioni di attività umane le insegne sono scritte in italiano, in arabo ed in ebraico. L’occasione è quella del Natale, che facilita gli insegnanti nel compito di educare i bambini alla tolleranza, al rispetto ed all’accettazione di culture sociali e religiose diverse dalla propria.

Nel contesto di questo Istituto Comprensivo, che personalmente considero dopo una lunga collaborazione decennale, «educativamente privilegiato sia per i bambini che per gli adulti», mi è stato possibile incontrare (e parliamo solo degli ultimi due anni) oltre 200 bambini, più di 70 insegnanti e di 120 genitori, rispettivamente in aula (i bambini) e in laboratori pomeridiani di restituzione (i genitori).

Nonostante le difficoltà organizzative  di molti dei genitori dei ragazzi incontrati, almeno uno di loro (oppure un nonno) ha partecipato al laboratorio di restituzione nel quale, nel rispetto della privacy dei ragazzi, è stato possibile raccontare l’esperienza della loro scoperta degli “indizi” che possono portare alla luce uno o più talenti posseduti, del rispetto per ogni talentuosità e del diritto di ogni bambino di sviluppare il proprio talento per diventare una persona realizzata e quindi felice.

Ma torniamo all’aforisma del quale ho parlato all’inizio di questo testo, perché leggere un aforisma per caso e sentirlo risuonare internamente, significa riscoprire come la ricerca di un senso così complesso, per il quale non è semplice trovare le parole adeguate ad esporlo in modo compiuto, può comunque essere espresso attraverso l’evocazione di immagini mentali che, a loro volta, possono svilupparsi in parole e poter essere pronunciate. Questo perché, alcune parole, sono di per sé evocative di immagini mentali legate all’inconscio collettivo, in quanto capaci di dare senso, da secoli, a chi le pronuncia, a chi le ascolta e a chi le scrive. Tutto ciò contribuisce ad arricchire la cultura umana, lasciando in essa quella traccia evocativa capace di creare emozioni nella storia, nell’arte e nei racconti sia orali che scritti.

Una metafora – scritta, letta o narrata – diventa allora uno dei modi per “illuminare” il pensiero e – come giustamente afferma lo scrittore ed aforista Fabrizio Caramagna – «Se fotografare significa scrivere la luce, io fotografo le parole, cerco di inserire la luce (…). Quando scrivo cerco di descrivere non solo la luce, ma anche l’invisibile». Ecco perché sono convinta sostenitrice della forza contenuta in un aforisma: perché sa dare voce e vita ai colori di una immagine mentale che giaceva dentro di noi in attesa di accendersi in significanza. L’aforisma in cui mi sono felicemente imbattuta era semplice quanto pervasivo: «I bambini che giocano sulla piazza nonostante arrivi il buio, le sole creature sulla terra a impegnarsi per non far finire il giorno»

In tempi di Coronavirus, tempi di rischi reali ma anche di paure ancestrali, fobie ed insicurezza per l’avvenire, l’immagine dei bambini “impegnati a non far finire il giorno” per non permettere al buio della notte, con i sui brutti sogni e i reali scenari di realtà legati a malattia, oscurità e timori … non può che diventare emblematica nella situazione in cui ci troviamo, e si trova la scuola italiana, in tempo di pandemia. In questo scenario non è possibile lasciare che solo la creatività, la gioia di vivere e l’innocenza dei bambini bastino a fermare il buio che avanza con il suo carico di incognite amplificato dai mass media, che giustamente ma spesso in modo compulsivo, ci aggiornano continuamente e in diretta sui numeri delle persone risultate positive, del numero dei tamponi eseguiti, dei ricoverati in terapia intensiva e del numero delle persone morte.

Tornando alle iniziative in aula e ai laboratori su “Talento/Talenti” organizzati presso l’Istituto scolastico “Uruguay”, nei lunghi anni di collaborazione volontaria per cercare di portare alla luce talenti non ancora emersi attraverso la percezione, da parte di ogni singolo bambino e dei loro genitori, della “unicità” potenziale di ogni persona/bambino e il suo diritto di diventare un adulto consapevole di possedere e poter esprimere appieno la propria talentuosità, penso anche che sia necessario mettere a fuoco la necessità di affrontare e contrastare il “rischio di povertà educativa”  che non si identifica automaticamente nella “povertà economica” ma che può diventare concausa di quest’ultima. Perché non poter far liberamente fiorire il proprio talento o vivere in famiglie e contesti sociali che non rispettano le naturali inclinazioni di bambini e ragazzi e non li aiutano a nutrirle per cercare di realizzarle, portano inevitabilmente gravi conseguenze nello sviluppo psicologicamente armonico e nell’apprendimento dei ragazzi che entrano, di fatto, nel rischio di finire in un circolo vizioso di povertà personale ed economica.

Il concetto di “povertà educativa” viene utilizzato per indicare l’impossibilità per i minori di «apprendere, sperimentare, sviluppare e far fiorire liberamente capacità, talenti e aspirazioni». In Italia, la povertà educativa priva milioni di bambini del diritto di crescere seguendo i propri sogni e le proprie potenzialità. Povertà educativa può significare anche e spesso, l’impossibilità per i ragazzi nel periodo più delicato del loro accrescimento, di accedere a servizi come il sostegno allo studio, i laboratori artistici e musicali, la promozione della lettura anche con biblioteche all’interno della scuola, il poter visitare musei o andare a teatro, libero accesso ai nuovi strumenti tecnologici, o di fruire appieno al diritto di giocare e poter effettuare attività motorie.

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Roma, Aula Istituto Uruguay

La povertà economica e la povertà educativa sono due fenomeni che si alimentano reciprocamente e si trasmettono nelle famiglie, dai genitori ai figli, poiché spesso la povertà educativa è causa e conseguenza della povertà economica, come pure l’inverso. Da una ricerca effettuata da Save the Children  [1]  l’Italia è stata definito un Paese “vietato ai minori” perché, mentre il numero dei bambini in povertà assoluta è triplicato negli ultimi dieci anni (oltre 1.200.000 i bambini che vivono in povertà assoluta, senza beni indispensabili per condurre una vita accettabile), la spesa pubblica a loro destinata continua a rappresentare una quota marginale degli investimenti. A causa di difficili condizioni economiche, infatti, troppi bambini e ragazzi non hanno le stesse opportunità dei loro coetanei in situazioni economiche migliori.

La povertà educativa è una povertà difficile da vedere e che nessuno denuncia, ma che agisce sulla capacità di ciascun ragazzo di scoprirsi e coltivare le proprie inclinazioni e il proprio talento. E, sempre analizzando i dati riportati nella ricerca di Save the Children, ci si rende conto di come la povertà economica sia un fattore che può portare alla povertà educativa e viceversa. La conseguenza è che in Italia un minore su sette lascia prematuramente gli studi, quasi la metà dei bambini e adolescenti non ha mai letto un libro, quasi uno su cinque non fa sport. Bambini e adolescenti, in tutto il Paese, privati delle opportunità educative e dei luoghi dove svolgere attività artistiche, culturali e ricreative che potrebbero diversamente raddoppiare le possibilità di migliorare le proprie competenze e costruirsi un futuro migliore.

Inoltre, a causa della pandemia di Coronavirus milioni di bambini e ragazzi, in Italia e nel resto del mondo, rischiano di diventare più poveri e vulnerabili. Il nuovo rapporto di Save the Children (ottobre 2020) traccia un quadro dell’impatto del Covid-19 sui più giovani, da cui emergono conseguenze pesantissime sulla vita e sul futuro delle nuove generazioni, private di beni e opportunità essenziali durante il periodo più delicato della loro crescita. Secondo quanto evidenziato dal rapporto di Alleanza per l’Infanzia [2], dal titolo “Proteggiamo i bambini ad ogni costo”, in Italia il confinamento imposto nei mesi scorsi ha mostrato il lato più duro dell’impatto socioeconomico della crisi sanitaria. In base a una ricerca condotta nel mese di aprile 2020, si evince che più di quattro famiglie su dieci (46,7%) con bambini tra gli otto e i diciassette anni, nel nostro Paese, hanno visto ridursi le risorse economiche a causa del coronavirus; il 44,7% ha dovuto tagliare le spese alimentari, mentre una su tre (32,7%) ha dovuto rimandare il pagamento delle bollette (37,1% al Sud, e 43,8% nelle Isole) e una su quattro (26,3%) anche quello dell’affitto o del mutuo.

Nel resto del mondo già prima dell’esplosione della pandemia 586 milioni di bambini vivevano in famiglie con situazione di povertà: un numero che per effetto della crisi dovuta al Covid-19 potrebbe aumentare di 150 milioni, portando così a oltre 700 milioni i minorenni in povertà; vale a dire circa uno su tre al mondo. Solo nell’Africa subsahariana tra i ventidue ed i trentatre milioni di bambini ed adolescenti in più potrebbero essere spinti verso la povertà estrema. Ai rischi per la salute e per la vita dei ragazzi minorenni, si aggiungono quelli legati alla chiusura delle scuole e all’aumento della povertà educativa.

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Roma, Aula Istituto Uruguay

Covid-19 e bambini: il rischio della povertà educativa

Molte Nazioni in corso di pandemia hanno deciso di chiudere le scuole. Questa è apparentemente una misura di buon senso, come parte di una politica di distanziamento fisico per abbassare il tasso di trasmissione del virus. Da un articolo apparso sul quotidiano “il Messaggero/Scuola” del 25 gennaio 2021 [3] l’UNESCO ha stimato che almeno centotrentotto Paesi siano ricorsi alla chiusura delle scuole a livello nazionale e diversi altri abbiano attivato chiusure a livello regionale o locale. Con oltre il 90% degli studenti a livello mondiale (più di 1,5 miliardi di giovani) al momento fuori dal contesto educativo, risulta chiaro che la maggior minaccia da Covid-19 per i bambini e adolescenti non è di certo quella strettamente clinica.

Sebbene il dibattito scientifico sia ancora in corso riguardo la reale efficacia della chiusura delle scuole sulla trasmissione del virus, resta innegabile il fatto che, se le scuole restano chiuse per un lungo periodo di tempo, si possono avere conseguenze sociali e di salute dannose per quei bambini che vivono in condizioni di povertà. Inoltre è da considerare che le esistenti diseguaglianze sociali sono destinate ad aumentare. Inevitabilmente, la chiusura delle scuole colpirà in maniera più forte i bambini più poveri.  Per molti studenti che vivono in povertà, infatti, le scuole non sono solo un posto in cui imparare, ma anche un posto dove c’è una possibilità di mangiare, di avere libri di testo ed incontrare altri bambini. Quindi, i minori provenienti da ceti sociali più bassi, è molto probabile che possano trovarsi in difficoltà per riuscire ad effettuare i compiti richiesti e più ancora seguire i corsi online proprio a causa delle loro precarie condizioni domestiche.

In Italia hanno interrotto la scuola 9.040.000 bambini e ragazzi e oltre un milione di bimbi la fruizione di nidi e servizi educativi della prima infanzia. Inoltre, la didattica a distanza non ha raggiunto tutti i bambini e ragazzi. Secondo il Ministero dell’Istruzione, infatti, mancano all’appello oltre cinquecentomila studenti, il 6% della popolazione scolastica: sono soprattutto studenti che vivono in famiglie con maggiori difficoltà socio-economiche e culturali. Oltre alle sfide educazionali, le famiglie più disagiate dovranno fare i conti anche con la recessione economica che seguirà a questa pandemia e che aumenterà il livello di povertà di bambini già disagiati, con conseguenze dannose a lungo termine anche sugli obiettivi di apprendimento. Dal canto loro, gli insegnanti si troveranno a dover affrontare le problematiche legate al rientro scolastico a pieno regime, ovvero a cercare di garantire una continuità educativa tra due modi diversi di fare didattica (in presenza ed a distanza).

Un editoriale pubblicato sulla rivista on line www.medicobambino.com [4] richiama l’attenzione su quello che potrebbe verificarsi con la chiusura delle scuole. Durante l’epidemia Ebola nell’Ovest dell’Africa, con le scuole chiuse si sono evidenziati picchi di utilizzo di manodopera adolescenziale, incuria, abusi sessuali e molti bambini non sono mai tornati a scuola. Con questo possibile scenario, diventa imperativo tener conto dei risvolti della sospensione delle attività scolastiche, e cercare di trovare soluzioni educative quali contromisure ai rischi per il benessere fisico e mentale di bambini e adolescenti, che non possono recarsi a scuola. Inoltre, durante l’adolescenza i giovani iniziano a dare la priorità ad altri legami oltre a quello con i genitori e l’interruzione di questi rapporti può mettere alla prova il loro benessere complessivo.

Perché i ragazzi di oggi, uomini e donne di domani, possano raggiungere il tipo di maturità che permetta loro di percepirsi come attori trasformativi della propria comunità scolastica e di vita, è necessario, allora, che gli attori sociali di un territorio siano in grado di riconoscere le proprie ed altrui competenze e di saper interagire tra di loro facendosi carico di un processo educativo condiviso che può farsi “Comunità Educante” a sostegno della Scuola e delle famiglie. Ed è stato per questo, tornando al territorio del Municipio Roma 3, che è nata l’idea dell’Archivio Vivente delle Buone Pratiche Educative all’interno del Plesso Gino Bartali (I. C. Uruguay) quale “modello” capace di iniziare il dialogo tra le diverse opportunità educative presenti nel Municipio Roma tre, la scuola e le classi dei ragazzi che la scuola frequentano. Perché per condividere bisogna conoscere, per conoscere bisogna saper entrare in contatto con entità diverse dalla propria, iniziando dalle più vicine, con atteggiamento di curiosità, umiltà e rispetto, proponendo un contenitore comune (sia cartaceo che informatico) nel quale collocare le proprie ed altrui «buone pratiche». Perché possano essere visionate, condivise e magari migliorate. Tutto questo può portare alla costruzione di una “Comunità Educante Territoriale” a sostegno delle famiglie e della Scuola per il contrasto alla “Povertà Educativa”.

Anche perché conoscere ed interagire può creare altra nuova conoscenza, e la nuova conoscenza può creare relazioni efficaci e di qualità, basate su stima e reciprocità, rispetto e voglia di collaborare. Ed ancora, perché: il “benvivere” in un Territorio non dipende soltanto e non sempre dall’ambiente naturale, dal tipo di urbanistica abitativa ben programmata (ma troppo spesso poco realizzata), dalla ricchezza pro-capite delle famiglie e dai servizi pubblici esistenti (quando ci sono e se ci sono). La differenza la fa il senso di responsabilità sociale di chi ci vive, la coerenza tra il dire ed il fare delle istituzioni prossime e la coerenza di intenti di tutti coloro che dei bambini e degli adolescenti si occupano. Perché, quello che sembrerebbe utopia, è invece alla portata di tutte le persone di buona volontà, anche se abitano, vivono e lavorano in contesti metropolitani che sembrano ostacolare la percezione di “Comunità”, e che ignorano di essere, comunque nel bene e nel male, “Comunità Educante”.

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Roma, Aula Istituto Uruguay

All’idea dell’Archivio “Vivente” (perché continuamente implementato ed aggiornato), sia cartaceo che on line all’interno del Plesso Gino Bartali (I.C. Uruguay), ha fatto seguito, visto il perdurare dell’emergenza coronavirus e l’impossibilità di poter uscire insieme ai ragazzi per le visite nel territorio, l’idea di un “serius game” che porti, in modo giocoso e virtuale, le realtà esterne alla scuola all’interno della biblioteca scolastica (sede dell’Archivio Vivente). Con questo programma/applicazione, sotto forma di gioco e anche di immedesimazione di ruoli, i ragazzi possono conoscere le opportunità offerte dal territorio nel quale abitano, vivono e vanno a scuola, in grado di sostenerli nello sviluppo del loro personale talento.

Ma cosa ha di diverso un “serius game” dai normali giochi on line utilizzati dai ragazzi? I serious games si differenziano dalle altre tipologie di giochi per lo scopo che vogliono ottenere. Mentre la moltitudine di giochi per ragazzi e adulti presenti sul mercato hanno prettamente scopi di intrattenimento, i serious games tendono a mantenere in equilibrio le quote di intrattenimento e quelle di apprendimento ai fini educativi. Non appena sarà di nuovo possibile poter lavorare all’interno della scuola in presenza con i ragazzi, anche i ragazzi potranno essere coinvolti direttamente, in orario curriculare e per intere classi (magari anche insieme ai loro genitori) nella costruzione dell’Archivio Vivente sia cartaceo che on line, a cominciare da quelli che hanno un insegnante di sostegno.

Giocare all’archivio ed alla “comunità Educante” potrà permettere ai ragazzi di sviluppare quel senso critico necessario per imparare a delineare nuove progettualità (personali e collettive) tenendo conto delle esperienze effettuate e dei risultati raggiunti dalle entità territoriali e dai progetti di buone pratiche educative a favore dei cittadini più giovani, sperimentando il saper consultare informazioni ed esperienze attraverso l’analisi delle fonti (competenza fondamentale per comprendere la genesi della mole di informazioni che tutti riceviamo).

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Mia sorella Ofelia, di Bimago

Condivisione, comunità, alleanza, quindi, a contrasto del rischio di imbarbarimento delle relazioni sociali, sono termini che portano alla mente immagini positive per il bene comune nel quale è compreso, ovviamente, anche il nostro bene e il bene dei nostri ragazzi e ragazze, in un periodo nel quale tutta l’umanità sta vivendo, a causa di un codice virale capace di modificarsi repentinamente per continuare a sopravvivere, un periodo difficile dal quale bisogna uscire presto e nel miglior modo possibile, avendo comunque imparato qualcosa, un’esperienza che ha reso più evidenti, amplificandole, tutte le fragilità, vecchie e nuove, di tessuti sociali nei quali, sia le garanzie acquisite, che gli inevitabili gap da sanare, erano dati per conosciuti e, in gran parte, volendo e potendo, sanabili.

Ebbene, abbiamo imparato anche altro in questa durissima prova per l’umanità intera: quel “volendo e potendo sanare” deve diventare “volere per potere sanare” Perché, altrimenti, il prezzo da pagare, nel sopravvivere alla sfida odierna e a quelle future per l’umanità, potrebbe diventare troppo alto.

Dialoghi Mediterranei, n. 48, marzo 2021
Note
[1] Save the Children (Emergenza coronavirus: un milione di bambini in più rischiano di cadere in povertà assoluta www.Savethechildren.it aprile 2020)
[2] Alleanza per l’Infanzia è una rete nazionale di organizzazioni ed associazioni, (tra le quali anche Save the Children ed UNICEF) impegnate a diverso titolo, nell’ambito del proprio mandato, nella promozione e tutela dei diritti dei bambini e ragazzi e dei loro genitori, e che condividono la responsabilità e l’urgenza sia di sensibilizzare e fare pressione sulla politica, perché operi le riforme e le iniziative necessarie, sia di sollecitare e sostenere le imprese e le comunità locali, perché costruiscano ambienti più favorevoli ai bambini/e, ai ragazzi/e ai loro genitori), Alleanza per l’Infanzia -. (Mettere bambini e ragazzi al centro delle politiche per il superamento dell’emergenza coronavirus www.alleanzainfanzia.it comunicato 20.04.20)
[3] Quotidiano “Il Messaggero” inserto Scuola – del 25 gennaio 2021
[4] C. Guiducci, F. Marchetti. Covid-19 e bambini: il punto dalla letteratura 18.03.2020. Medico e Bambino 151-153  https://www.medicoebambino.com/.
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Annamaria Calore, docente in percorsi formativi “motivazionali” per adulti e consulente per diversi anni presso l’Università Civica di Nettuno (ove ha fatto parte del Consiglio di Amministrazione). Socia della Libera Università dell’Autobiografia di Anghiari (LUA), sul cui sito sono state postate diverse esperienze territoriali di raccolta di narrazioni e testimonianze sociali. Ha raccolto, trascritto e curato l’autobiografia “Amanda racconta Armanda” alla quale è stato riconosciuto un premio speciale nell’ambito del Concorso Internazionale POWOS (Storie di Mondi Possibili). È Presidente dell’Associazione di Volontariato “RaccontarsiRaccontando” (tutela della memoria individuale, sociale e collettiva, quale bene comune), e referente per il Dipartimento “Volontariato” e membro del Direttivo Nazionale ANRP (Associazione Nazionale Reduci Prigionia e loro familiari.

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