Stampa Articolo

Tra i vicoli del Ràbato nell’antico quartiere arabo di Agrigento

Agrigento (ph. Annachiara Oliva)

Agrigento, Ràbato, via Garibaldi (ph. Annachiara Oliva)

di Annachiara Oliva 

ومن يك أَبقى قلبه رسم منزل تمنى له بالجسم أَو به آئب”"

Chi partendo ha lasciato il cuore in quella terra con il corpo desidera tornare

(Ibn Ḥamdīs, “Pazienza fu la mia corazza”) 

Siamo figli di chi ha dominato, mezzi cattolici e mezzi musulmani

(“92100”, Tinturia, 2009)

Quante volte noi siciliani avremo sentito parlare dei famosi “saracini”? [1] Quante volte avremo pronunciato quotidianamente la parola miskìnu? [2] Sicuramente moltissime, ma quanti di noi sono a conoscenza dell’effettiva derivazione di questi termini? Ebbene entrambi hanno un’origine araba e gli arabismi sono proprio uno dei tratti distintivi dell’eredità degli Arabi di Sicilia, ovvero gli antenati di quegli stessi uomini e donne che oggi ci ostiniamo a respingere allontanandoli dalle nostre coste, quando in realtà sono i nostri fratelli più intimi, quelli più simili a noi, ancor più degli stessi italiani.

Cosa sarebbero la lingua, la cultura e l’identità siciliana senza gli Arabi? Assolutamente nulla, poiché la Sicilia è essa stessa figlia del Mediterraneo. L’impronta araba, nell’Isola, si evince in particolar modo dai nomi di luogo, cioè i toponimi, gli elementi linguistici che maggiormente riflettono nel loro scheletro etimologico i tratti della realtà sociolinguistica che li ha creati. È proprio questo il caso della mia città, Agrigento, dove è facile imbattersi in numerosi realia [3] di origine araba, che rappresentano dei preziosi indicatori della massiccia opera di arabizzazione intrapresa dagli Arabi nel corso della loro permanenza in Sicilia, della durata di circa due secoli e mezzo (XI-XII sec.).

Difatti, durante l’epoca medievale la regione appariva divisa in tre aree geografiche ben distinte, per configurazione linguistica, politica e amministrativa; in particolare, il lembo occidentale dell’isola, corrispondente alle attuali province di Palermo, Trapani e Agrigento era denominato Vallo di Mazara e si configurava come un’area fortemente arabizzata, poiché fu la zona nella quale i conquistatori scelsero di porre lunga dimora a favore del mantenimento dell’identità arabo-musulmana e della struttura linguistica semitica [4]. Per tale ragione, ciascuna di queste province si configurò ben presto come uno spazio ibrido all’interno del quale il plurisecolare sentimento di tolleranza e convivenza pacifica tra genti arabe alloctone e popolazione siciliana autoctona stenta ancora oggi a dissolversi. In particolare, ognuna delle tre città conserva un copioso bagaglio di voci arabe che attingono principalmente alla geo toponomastica e designano numerosi centri minori [5], le cui denominazioni sono in buona parte dialettali, tramandate essenzialmente in forma orale e non registrate nelle fonti documentarie.

Più precisamente, nel caso di Agrigento, chiunque si appresti a contemplare le bellezze architettoniche e paesaggistiche che solo un centro dall’identità culturalmente stratificata e complessa come essa può offrire, si renderà facilmente conto di come il percorso attraverso i vicoli, le viuzze strette, le numerose salite e i diversi livelli sui quali si erge il suo centro storico ricordi, nell’immaginario comune, l’assetto urbanistico delle vicine Tunisi e Tangeri o di altre cittadine arabe affacciate sulla costa mediterranea.

Pianta planimetrica dell’odierna Agrigento. Focus sull’area esterna alle mura cittadine, cerchiata in rosso e raffigurata in colore grigio, corrispondente all’antico quartiere arabo del ràbato. (Questa tavola l’ho prelevata da vecchi documenti ritrovati in famiglia, quindi non saprei risalire alla fonte bibliografica originaria)

Pianta planimetrica dell’odierna Agrigento. Focus sull’area esterna alle mura cittadine, cerchiata in rosso e raffigurata in colore grigio, corrispondente all’antico quartiere arabo del ràbato.

Agrigento è l’antica Akragas greca che nell’anno 829 d.C. cadde nelle mani dei conquistatori arabo-musulmani e imazighen [6], i quali la ribattezzarono Kerkent e la dichiararono essere una delle roccaforti del loro potente emirato siciliano. A testimonianza di ciò, dalla consultazione delle mappe locali  toponomastiche risalenti all’epoca medievale emerge il profilo di una città posta su di un’altura collinare e suddivisa in due aree ben distinte, per posizione e funzione: ḥiṣn e rabaḍ. Il primo termine significa “fortezza, roccaforte” e corrisponde alla zona interna della città, circondata dalle mura difensive. Al suo interno sorgeva il cosiddetto “castello arabo”, ovvero il forte che i conquistatori eressero nel X secolo come torre di controllo della città dall’alto. Sebbene le fonti riguardo quest’edificio siano rare, è possibile affermare che non si trattasse di una struttura imponente, poiché la sua forma richiama quella di una semplice torre quadrangolare circondata da un massiccio muro di cinta adibito alla difesa dell’ambiente interno.

Per ciò che concerne il rabaḍ, è un antico agglomerato urbano che sorge nella parte occidentale di Agrigento, all’esterno delle mura cittadine. A dire del grande glottologo siciliano Girolamo Caracausi, il termine in lingua araba indica un sobborgo extramuraneo adibito ad una doppia funzione, residenziale e commerciale, motivo per cui generalmente è un’area che ospita vasti agglomerati di mercati ove vendesi merce di ogni genere. In particolare, Giovan Battista Pellegrini, il noto arabista siciliano, al momento di avanzare una riflessione filologica circa l’origine del termine afferma che non è da escludersi una contaminazione con la parola dialettale tunisina rabaṭ che significa proprio sobborgo/quartiere suburbano [7]. Il toponimo nella sua variante italiana è attestato, invece, per la prima volta nel tabulario di Santa Maria del Bosco risalente all’anno 1290, in cui si legge «in Rabbato ipsius terre» [8]. Oltretutto, a prova dell’effettiva derivazione araba del sobborgo, è utile precisare come non sia mai stata rinvenuta alcuna testimonianza scritta risalente all’epoca greca, romana o bizantina contenente riferimenti espliciti a tale elemento urbanistico.

Agrigento, Ràbato, via Garibaldi (ph. Annachiara Oliva)

Agrigento, Ràbato, via Garibaldi (ph. Annachiara Oliva)

Il Ràbato di Agrigento è a pianta ortogonale e occupa uno spazio molto esteso corrispondente approssimativamente all’area che si sviluppa dall’attuale quartiere dell’Addolorata fino alla contrada Tre Pietre, al tempo anch’essa abitata da genti arabe, ma oggi dismesso. L’assetto originario del sobborgo, ricalcato sul modello dei villaggi montuosi nordafricani, si è mantenuto in larga parte inalterato ed è così strutturato: strade principali (in arabo “šāriʿ”) sulle quali si innestano molteplici vie secondarie (in arabo “darbi”) dalle quali, a loro volta, si diramano strade strette, passaggi tortuosi e viuzze nascoste che conducono ad abitazioni costruite in malta di gesso o a cortiletti privati. Quest’angusta trama urbana è, oggi come allora, percorribile preferibilmente a piedi o a dorso di animali da traino. Il tragitto consiste in un doppio sistema di corridoi viari, organizzati in strade spianate rettilinee e vicoletti a gradoni disposti in pendenza.

Attualmente, è possibile perlustrare l’antico quartiere arabo seguendo un tracciato che ne delinea il percorso passando dalla cattedrale di San Gerlando fino a toccare via Garibaldi; quest’ultima era la šāriʿ centrale del Ràbato, ossia la principale porta d’accesso al sobborgo, lungo la quale sorgevano i mercati e le botteghe artigiane. L’interno del quartiere, dal canto suo, ospita le dimore private, che sono delle vere e proprie grotte scavate nella calcarenite [9], ricoperte da pietre assemblate con malta di gesso così da essere più sicure e in grado di resistere al corso del tempo e all’impatto degli agenti atmosferici. Più precisamente, gli agglomerati urbani si aggregano intorno a cortili disposti ad altezze diverse e uniti tra loro tramite un sistema di scale.

La funzione del sobborgo è essenzialmente residenziale, poiché è in città, ossia all’interno delle mura fortificate, che si svolge la vita sociale, economica e commerciale agrigentina. Le case del Ràbato sono tutt’ora abitate ed osservabili nella loro struttura esterna perché, nonostante il corso del tempo, non sono mai state sottoposte a particolari opere di manutenzione volte a sconvolgere il loro assetto originario e, di conseguenza, preservano, pur nel loro degrado, la loro configurazione araba costitutiva: piccole case (monolocali o bilocali) con cortiletti esterni, dislocate ai lati di vicoli stretti e raggiungibili solamente servendosi di lunghe scalinate a gradoni che si sviluppano verticalmente. A differenza di ciò che potrebbe pensarsi, all’interno del sobborgo l’impronta culturale araba è ancora presente e perfettamente riconoscibile; ad esempio, basti pensare alla denominazione dialettale con la quale gli stessi agrigentini si riferiscono ad esso, mantenutosi pressocché inalterata nel passaggio dall’arabo all’italiano nonché un esempio di arabismo siciliano: rabatè o, semplicemente, ràbato.

Ma il richiamo all’autentica vocazione araba di Agrigento non è limitato a questa precisa area della città, bensì continua a permeare ogni angolo e vicolo del centro storico e perfino la toponomastica orale locale offre numerosi esempi di terminologie riconducibili ad un superstrato arabo. Ad esempio, la zona adiacente al Ràbato e denominato in gergo Bibbirrìa deriva il suo nome dall’arabo “bāb ar-rīḥ” che letteralmente significa “la porta del vento”, ad indicare una delle nove porte d’ingresso nella città edificate in epoca medievale, alcune delle quali continuano ad esistere, seppur inutilizzate [10]. Più specificatamente, questa porta conduceva ad una strada extraurbana oltre la quale vi era una vasta distesa di terreno edificabile corrispondente all’area dell’attuale via Plebis Rea, ovvero la zona che ospitò i primi insediamenti urbani di Agrigento. Questa porta rappresentava per gli Arabi uno sbocco commerciale strategico, dato che da essa si dirama un lungo stradone che collega il Ràbato con Porto Empedocle, un importante scalo marittimo per l’ingresso in Sicilia di navi e merci provenienti dalle regioni del bacino del Mediterraneo.

Un ulteriore esempio significativo è la via Bac Bac, che ha origine nella piazza della Bibbirrìa e conduce fino a Piazza Lena, per poi fare ingresso in via Atenea. Il toponimo è certamente arabo, ma circa il suo significato non vi è certezza, trattandosi di un morfema onomatopeico che potrebbe evocare il rumore delle ruote dei carri trainati dai muli; questi, un tempo ampiamente utilizzati per il trasporto delle merci, erano i mezzi prediletti per percorrere i vicoli stretti e tortuosi del centro storico agrigentino. Ad ogni modo, nonostante questa sia la versione più attendibile, resta comunque un’ipotesi poiché nel corso degli anni studiosi e linguisti hanno elaborato diverse interpretazioni del termine, senza tuttavia giungere ad una traduzione effettiva e pienamente attendibile.

Agrigento, Ràbato, via Garibaldi (ph. Annachiara Oliva)

Agrigento, Ràbato, via Garibaldi (ph. Annachiara Oliva)

In tal senso, numerosi toponimi non sono altro che arabismi e, pertanto, dei potenti rivelatori dell’autentico sostrato storico-culturale agrigentino, soprattutto se rintracciabili nelle aree della città di fondazione araba. Anche l’assetto architettonico degli edifici e delle dimore private del Ràbato è particolarmente evocativo, ricalcando il profilo delle case e dei cortili che si è soliti osservare nelle cittadine rurali nordafricane, quasi fossero una fotografia di esse. Come le strutture abitative di certi villaggi arabi, ancora oggi le dimore del sobborgo siciliano sono sovrastate da tetti piani e si affacciano su cortili che continuano ad essere fruibili, ma soprattutto costituiscono una parte integrante dell’abitazione, così come lo erano al tempo degli Arabi di Sicilia, la cui impronta riemerge soprattutto nelle consuetudini delle donne agrigentine, a loro volta depositarie dell’eredità delle signore arabe in fatto di custodia dell’ambiente domestico. Ad esempio, è pratica comune delle anziane che da generazioni abitano le case del sobborgo stendere i vestiti nei cortili, all’aria aperta, servendosi di robusti fili di metallo o di cotone agganciati alle estremità di uno o più balconi e rivolti in direzione del sole. Quest’abitudine, che in altre parti d’Italia potrebbe risultare arcaica e desueta, è una perfetta riproduzione della pratica diffusa nelle regioni arabe mediterranee di servirsi degli ampi tetti piani delle abitazioni per stendere i vestiti.

Ciò che rende tale parallelismo ancor più eccezionale è il mistero celato da questa antica usanza che, nonostante l’avvento delle moderne tecniche di lavaggio, in Sicilia particolarmente si è mantenuta inalterata e fedele alle origini. Ma dalle vicine signore marocchine e tunisine le donne agrigentine non hanno ereditato esclusivamente abitudini domestiche, bensì anche l’attitudine di essere padrone della dimora familiare e custodi dell’intimità racchiusa in essa. Ciascuna di queste consuetudini è, pertanto, un vivido indicatore della vitalità della memoria in Sicilia e del valore dell’influenza culturale reciproca tra i popoli.

Agrigento, Ràbato, via Garibaldi (ph. Annachiara Oliva)

Agrigento, Ràbato, cortile Zuppardo (ph. Annachiara Oliva)

Accanto alla figura femminile, le tracce dell’impronta araba ad Agrigento sono riconoscibili anche nelle opere architettoniche realizzate per mano delle abili maestranze arabe che tra il IX e il X secolo hanno modellato il profilo delle case del centro storico, la maggior parte delle quali versano oggi in uno stato rovinoso, sono dismesse o hanno assunto forme e funzioni diverse rispetto a quelle per le quali anticamente sono state progettate. L’esempio più lampante è il castello arabo, che attualmente versa in pessime condizioni, ma di cui è ancora possibile osservare una porzione della struttura architettonica originaria, in particolare un’ala con la sua facciata accuratamente scolpita. Da tempo, l’edificio è stato convertito in una centrale dell’ex società idrica “Girgenti acque”, la quale fino a pochi anni fa gestiva il monopolio del servizio idrico provinciale. La scelta di tramutare il castello in una centrale idrica, in realtà, non è per niente casuale, in quanto questo luogo si ergeva nella parte superiore della città, lontano dai centri abitati e, di conseguenza, una tale posizione favorisce il corretto approvvigionamento idrico per ogni area della città, oltre a far sì che l’acqua mantenga la sua naturale freschezza e purezza.

Agrigento, Ràbato, via Santa Croce (ph. Annachiara Oliva)

Agrigento, Ràbato, via Santa Croce (ph. Annachiara Oliva)

In sintesi, il centro storico di Agrigento e, soprattutto, il Ràbato rappresentano una sorta di microcosmo all’interno del quale il tempo ha conservato tracce esemplari del passato; una zona che suscita emozioni e suggestioni nel visitatore stimolando nella sua immaginazione scenari di vita quotidiana antica e contemporanea strettamente connessi tra loro da quei vicoli e da quei cortili nascosti, entro i quali è ancora possibile chiudere gli occhi e udire il vociferare della gente del posto, che si esprime in un dialetto vivace, con un tono di voce spiccato, una sorta di parlata singolare che racchiude nel profondo una storia ricca di commistioni linguistico-culturali, quasi fosse un codice all’interno del quale ogni parola è metà araba e metà siciliana.

Ecco, quindi, come in Sicilia, e ad Agrigento più che mai, il valore della memoria diventa centrale, essendo un potente rivelatore di ciò che siamo stati e che continuiamo ad essere, tanto arabi quanto siciliani. Il centro storico agrigentino, con le sue case diroccate e quell’auge apparentemente cupa e fatiscente parla ai cittadini di oggi interrogandoli sul valore del passato e sensibilizzandoli ad intraprendere un percorso di riscoperta dell’autenticità delle loro origini, rivelatosi essere più arabe che europee. 

Dialoghi Mediterranei, n. 73, maggio 2025 
Note
[1] Il termine dialettale siciliano indica i cosiddetti “Saraceni”, ovvero i conquistatori arabi che nel corso del IX secolo hanno fatto ingresso in Sicilia e in altre regioni dell’Europa meridionale.
[2] Termine vezzeggiativo dialettale siciliano che significa “poverino” e si è mantenuto inalterato dal passaggio dall’arabo all’italiano; difatti, anche in lingua araba la parola presenta il medesimo significante e significato.
[3] Termine latino utilizzato nel linguaggio toponomastico per indicare i sostantivi con i quali ci si riferisce ad oggetti concreti (casali, abitati, poderi), elementi naturali e geografici (fiumi, bacini, fontane, monti, caratteristiche del suolo), nomi di stirpi e tribù notabili. Cfr. Pellegrini G. B., Ricerche sugli arabismi italiani con particolare riguardo alla Sicilia, Centro di studi filologici e linguistici siciliani, Palermo 1989: 26; Pizzoli L., “Italiano e arabo”, in La lingua nella storia d’Italia, Serianni L. (a cura), Società Dante Alighieri, Roma 2001: 637.
[4] Cfr. Pellegrini G. B., Gli arabismi nelle lingue neolatine con speciale riguardo all’Italia, 2 voll., Paideia, Brescia 1972: 43.
[5] La dicitura fa riferimento ai nomi di luogo inglobati nella categoria della micro-toponomastica, ovvero il ramo della toponomastica che si occupa di piazze, vicoli, vie, contrade e piccoli insediamenti abitativi (quartieri, frazioni, borghi, villaggi).
[6]   Termine che in lingua amazigh denota gli abitanti delle aree settentrionali e montuose delle regioni africane di Marocco, Tunisia, Algeria e Libia. Erroneamente, questi popoli vengono definiti nelle lingue europee con l’accezione dispregiativa “berberi” e la loro lingua “berbero”.
[7] Caracausi G., Arabismi medievali di Sicilia, Centro di Studi filologici e linguistici siciliani, Palermo 1983: 308-309.
[8] Ferlisi C., Il breviario dei Carmelitani di Sutera, Officina di Studi Medievali, Palermo 2004: 68.
[9] Trattasi di una roccia sedimentaria appartenente alla categoria dei tufi.
[10] A tal riguardo, è importante sottolineare l’esistenza, in epoca medievale, della cosiddetta “Contrada Balatizzo”, un’area dal nome di origine araba, posta a Sud del Ràbato. La contrada, oggi non più esistente, era un punto d’accesso al sobborgo per coloro che provenivano dalla parte meridionale di Agrigento. Oltre a ciò, era una zona della città abitata principalmente da Arabi e il suo impianto urbanistico ricalcava quello del Ràbato. 
Riferimenti bibliografici 
Caracausi G., Arabismi medievali di Sicilia, Centro di studi filologici e linguistici siciliani, Palermo 1983.
Ferlisi C., Il breviario dei Carmelitani di Sutera, Officina di Studi Medievali, Palermo 2004.
Pellegrini G. B., Ricerche sugli arabismi italiani con particolare riguardo alla Sicilia, Centro di studi filologici e linguistici siciliani, Palermo 1989.
Pizzoli L., “Italiano e arabo”, in La lingua nella storia d’Italia, Serianni L. (a cura), Società Dante Alighieri, Roma 2001: 637 sgg. 
Sitografia
https://ags.inteagis.it/arcgis/rest/services/Agrigento/Toponomastica/MapServer
http://www.comune.agrigento.sitr.it/a089/gfmaplet/jml//
https://www.tuttocitta.it/mappa-search/Agrigento%20(AG)%20Via%20Santa%20Croce?cx=13.57148&cy=37.31288&cxp=13.57148&cyp=37.31288&z=17
https://www.agrigentoierieoggi.it/guida-di-agrigento-il-rabato-quartiere-arabo/
__________________________________________________________________________________ 
Annachiara Oliva, studia l’arabo da undici anni circa. Nell’anno accademico 2020-2021 ha conseguito la laurea triennale in “Lingue e letterature straniere moderne” L-36 presso l’Università degli Studi di Bergamo, dove ha studiato la lingua spagnola e araba. Ha frequentato un corso di laurea magistrale in “Lingue e culture dell’Asia e dell’Africa” LM-36 presso l’Università di Napoli “L’Orientale”. Ha conseguito la laurea magistrale con una sua tesi sulla letteratura di viaggio araba riguardante la Sicilia prodotta in epoca contemporanea da scrittori-viaggiatori originari di alcune regioni del Levante arabo (Siria, Libano, Giordania, Egitto, Palestina). Il settore di studi di suo interesse è l’arabistica siciliana, con particolare riferimento all’area della Sicilia occidentale (Palermo, Trapani e Agrigento) e alla branca della toponomastica orale.

______________________________________________________________

Print Friendly and PDF
Questa voce è stata pubblicata in Cultura, Società. Contrassegna il permalink.

Lascia un Commento

L'indirizzo email non verrà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

È possibile utilizzare questi tag ed attributi XHTML: <a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <strike> <strong>