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Tra antiche appartenenze e rinnovate speranze: il lavoro di Frank Cancian a Lacedonia negli anni Cinquanta


1-copertinail centro in periferia

di Francesco Faeta

In any case, like the linguist who returns from the field and declares that the language studied has non phonemes, the social scientist who finds no norms, except one based on a crude model of economic man, must be sent back for another long look before his conclusions are accepted.

Frank Cancian

Frank Cancian [1], al cui lavoro da qualche tempo dedico attenzione (Faeta, 2019; 2020a; 2020b), è un importante antropologo statunitense, di ascendenze italiane, oggi ancora attivo benché retired. Nato nel 1935, laureatosi nel 1956 presso la Wesleyan University di Middletown (Connecticut), ha conseguito il dottorato in Antropologia Sociale ad Harvard nel 1963, ed è stato docente, tra l’altro, presso l’Università di Irvine in California (UCI), dove ha terminato la sua carriera. Carriera iniziata, appena acquisita la laurea, con un fieldwork nel Mezzogiorno italiano, svolto nel 1957, da gennaio a giugno, a Lacedonia, in provincia di Avellino, con il sostegno di una borsa di studio Fulbright. Il suo lavoro di ricerca in Italia, di cui egli ha parzialmente reso conto in un impegnativo saggio del 1960 [2], incentrato su una rivisitazione critica, alla luce delle sue esperienze di terreno, del notissimo volume di Edward Banfield relativo al familismo amorale [3], s’inseriva in un vasto e complesso movimento di studio della parte meridionale e insulare della Penisola, condotto dall’immediato dopoguerra agli anni Sessanta (e oltre) da numerosissimi studiosi di scienze sociali, italiani e stranieri; e tra questi ultimi, particolarmente, americani.

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Anonimo, Frank Cancian nella sua casa di Irvine, 2018 (per la cortesia di Frank Cancian)

A volte, nei confronti degli studiosi venuti da fuori, vi furono forti malintesi e aspre polemiche, mentre alcuni di loro furono (sbrigativamente) accusati di essere al soldo di organismi investigativi occidentali, e segnatamente nord-americani, interessati ad acquisire conoscenze circa la realtà sociale italiana, in funzione anticomunista [4]. Il clima della guerra fredda, da un lato, l’egemonia culturale della sinistra marxista e la sua diffidenza per le scienze sociali, unitamente all’imprinting neorealista delle rappresentazioni del mondo popolare italiano, non facilitarono certamente il dialogo, la comprensione, la collaborazione. Le infastidite prese di posizione di Ernesto de Martino contro gli “americani” hanno fatto scuola da noi e hanno contribuito a creare un persistente disinteresse, quando non una supponente rimozione, per un lavoro di ricerca vasto, complesso, certamente contraddittorio e politicamente non coincidente con i disegni del maggior partito progressista italiano, ma rilevante.

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F. Cancian, 1957 (per la cortesia del Museo Antropologico Visivo Irpino)

La permanenza e la ricerca di Cancian a Lacedonia s’inserisce nel processo di attenzione al nostro Paese che, sulla scorta dell’arretratezza sociale, del bisogno di sperimentare ipotesi riformistiche, dei vorticosi processi di trasformazione e di insubordinazione, dell’iconica rappresentazione neorealistica, appariva diffusa nella comunità internazionale degli studiosi. Il giovane studente, inoltre, personalmente sentiva come importanti le sue origini italiane e, già nel corso dei suoi studi di graduation aveva avuto significative esperienze di approccio alla cultura nazionale.

Il cospicuo capitale di studi e ricerche elaborato in quegli anni, sia sul versante italiano che straniero, è stato spesso accompagnato da una produzione audiovisiva di grande interesse, fatta di fotografie, registrazioni audio su nastro, film: basti pensare, sul versante italiano, a quanti lavorarono con Ernesto de Martino o intorno alle sue ipotesi teoriche, quali Arturo Zavattini, Franco Pinna, Ando Gilardi, Diego Carpitella, Tullio Seppilli, Annabella Rossi, Luigi Di Gianni, Cecilia Mangini, Lino Dal Fra, Giuseppe Ferrara, Gianfranco Mingozzi. Basti pensare, sul versante straniero, oltre a Cancian, ad Alan Lomax, Holger Rasmussen, Andreas Fridolin Weis Bentzon, Jean e Peter Schneider, John Davis, Friedrick G. Friedmann, studiosi che usarono a volte la macchina fotografica e la cinepresa, producendo un’interessante documentazione, quasi del tutto sconosciuta nel nostro Paese. Un lavoro, questo, che si affiancava a quello dei tantissimi fotografi stranieri concerned che in quegli anni frequentavano l’Italia, da Paul Strand, su cui brevemente tornerò, a Henri Cartier-Bresson, da Milton Gender a Marjory Collins, da David (Chim) Seymour a Ester Bubley e Dan Weiner, da Werner Bischof a Sheldon M. Machlin e Wolfgang Suschitzky, per non ricordarne che alcuni.

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Anonimo, Fank Cancian con un suo interlocutore privilegiato e sua moglie a Naching- Zinacantàn Mexico, 2012 (per la cortesia di Frank Cancian)

Il caso di Cancian appare di estremo interesse perché, a partire dall’esperienza italiana, lo studioso si è andato qualificando sempre più, nel corso della sua carriera, oltre che come antropologo, come fotografo e cineasta, realizzando immagini relative ai suoi terreni di ricerca, soprattutto in America Latina e particolarmente in Messico, sede elettiva del suo impegno scientifico maturo [5]. Si tratta, dunque, di una di quelle (poche) figure che, offrendo un contributo rilevante alla vicenda della fotografia sociale, hanno riassunto nella medesima persona i due ruoli di studioso e operatore visivo, con un apporto critico interessante, che s’inserisce in uno dei nodi più dibattuti della problematica scientifica dell’etnografia e dell’antropologia contemporanea.       

«Sono un fotografo documentarista – scrive Cancian in una sua breve nota di autopresentazione – con un punto di vista. Preferisco le cose ordinarie, cose che non sono ufficialmente importanti. Durante la registrazione del mondo quotidiano cerco spesso l’esotico in situazioni ordinarie e l’ordinario in ciò che molte persone vedono come esotico. […] La mia passione per la fotografia è iniziata da adolescente alla fine degli anni Quaranta. Negli anni successivi [però] il mio lavoro come professore di antropologia socioculturale ha spesso finito per prendere il posto della fotografia per mesi, a volte per anni»[6].

Al suo arrivo in Italia, Cancian fu indirizzato verso il Mezzogiorno, e verso Lacedonia, da Tullio Tentori, che il giovane studioso andò a trovare, conoscendo le sue intense e complesse relazioni con il mondo scientifico statunitense, presso il Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari, all’EUR, di cui era, all’epoca, direttore. Tentori, forte anche della sua esperienza sul terreno accanto a Friedmann nella, assai nota, inchiesta su Matera, si adoperava in modo fattivo nel senso di comprendere le ragioni degli studiosi stranieri che venivano nel nostro Paese e di facilitare i contatti e gli scambi [7]. Così fu per il giovanissimo studioso.

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Dal taccuino di Cancian: “5/7/57 Friday 7 AM. At 5 30 this morning I was sitting on a hillock listening a woman talking about her son in Australia and mentioned her son in Turin. She cried and she talked: Non trovo pace più”

Il quale, giunto a Lacedonia, accanto al suo impegno di studio (qual è testimoniato, tra l’altro, dai suoi taccuini di ricerca, un cui piccolo brano è qui riprodotto) [8]  e con un’attenzione critica certamente non minore, iniziò a fotografare sistematicamente la vita culturale e sociale locale, lasciandocene un ritratto etnografico di grande pregnanza e nitore, realizzando un’inchiesta di comunità che mostra un piglio critico assai definito e che appare caratterizzata da una profonda empatia per il luogo e i suoi abitanti [9]; empatia che ricorda, per qualche verso, quella con cui, l’altrettanto giovane, Pierre Bourdieu affrontò le sue campagne fotografiche in Algeria e nel Béarn.

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F. Cancian, Italia, 2015 (per la cortesia di Frank Cancian)

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F. Cancian, Italia, 2015 (per la cortesia di Frank Cancian)

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F. Cancian, Italia, 2105 (per la cortesia di Frank Cancian)

La curiosità fotografica di Cancian, sia qui detto per inciso (ma sull’argomento dovrò tornare quanto prima), continuerà a esercitarsi sull’Italia in tutte quelle circostanze, non frequenti invero, in cui egli vi è tornato, come testimoniano le fotografie, da noi inedite, qui riprodotte per sua gentile concessione.

Del paese, per tornare a Lacedonia, viene tracciato un ritratto a tutto tondo, con attenzione alle dinamiche degli spazi sociali (pubblici e privati), alle relazioni interpersonali, ai modelli di comportamento, all’ambiente paesano e al paesaggio agrario, alle abitazioni, alla scuola e al lavoro, alle occasioni rituali e festive; ai singoli attori sociali infine, descritti con straordinaria capacità introspettiva (per un piccolissimo saggio di questo lavoro, si vedano le immagini qui riprodotte). 

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F. Cancian, Lacedonia, 1957 (per la cortesia del Museo Antropologico Visivo Irpino

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F. Cancian, Lacedonia, 1957 (per la cortesia del Museo Antropologico Visivo Irpino)

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F. Cancian, Lacedonia, 1957 (per la cortesia del Museo Antropologico Visivo irpino)

Si può dire che l’affresco composto da Cancian appare unico nel panorama culturale coevo; è, assieme, una monografia antropologica, benché in nuce e suscettibile di ulteriori approfondimenti e uno studio fotografico di comunità che, nello stretto campo delle scienze sociali, non ha eguali. Soltanto nel contesto di una più vasta fotografia sociale, troviamo qualcosa che può essere paragonato al lavoro di Cancian, se pensiamo a quanto realizzato da Strand, con la stretta collaborazione di Cesare Zavattini, a Luzzara, in provincia di Reggio Emilia, nel 1955 (Zavattini, Strand, 1955).

E la descrizione fotografica di Cancian, saldamente ancorata alle ragioni della fotografia sociale americana, nitida e rigorosa nel suo realismo critico, si apre in direzioni sperimentali per l’epoca pionieristiche, con un uso frequente della sequenza spazio-temporale adoperata come misuratore del comportamento umano, dei dittici e dei ritratti in più fotogrammi; con una frequente e consapevole intrusione dell’autore nel campo stesso della rappresentazione.

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Anonimo, Franck Cancian e un interlocutore privilegiato, Lacedonia, 1957 (per la cortesia del Museo Antropologico Visivo Irpino)

Le fotografie in bianco e nero realizzate a Lacedonia furono complessivamente 1801, tutte scattate con due Nikon S 2, munite di ottiche da 35, 50 e 85 mm. su pellicole Kodak (Plus X 125 Asa e Tri X 400 Asa); esse sono state  donate dall’antropologo al MAVI; il lascito comprende i negativi corredati da provino analogico, unitamente alle riproduzioni digitali, curate dall’autore stesso, e a materiali di contorno relativi alla ricerca di terreno. Un tessera importante, per concludere, per comporre il variegato mosaico della ricerca sociale (antropologica ed etnografica) nel nostro Paese e per comprendere la realtà profonda degli abitati del Sud interno, in bilico tra passato e presente, tra antiche appartenenze e rinnovate speranze. 

Dialoghi Mediterranei, n. 46, novembre 2020
Note
[1] Il Museo delle Civiltà (MuCiv) di Roma e l’Istituto Centrale per il Patrimonio Immateriale (ICPI) del MiBACT, con il patrocinio della Società Italiana di Antropologia Culturale (SIAC), della Società Italiana per lo Studio della Fotografia (SISF), della U.S.-Italy Fulbright Commission, del Dipartimento di Scienze Politiche dell’Università degli Studi Roma 3, della Fondazione “Un paese” di Luzzara (RE), del Museo Etnografico di Morigerati (SA), hanno organizzato la mostra Un paese del Mezzogiorno italiano. Lacedonia (1957) nelle fotografie di Frank Cancian/ A Town in Southern Italy. Lacedonia (1957) in Frank Cancian’s photographs, curata da Francesco Faeta
La mostra si è inaugurata a Roma, nella sede del Museo all’EUR, giovedì 8 ottobre 2020 e resterà aperta al pubblico dal 10 ottobre al 10 gennaio 2021. Sono esposte oltre cento fotografie in bianco e nero di grande formato, stampate da negativo originale su carta baritata, più materiali di corredo (fogli provino, copie degli appunti dal terreno di ricerca, fotografie dell’Autore, edizioni originali dei suoi libri fotografici e di studio, sue video-interviste). All’esposizione si accompagna un volume che, oltre i materiali di corredo sopra ricordati, riproduce in bicromia centosessantacinque fotografie, accompagnate da saggi tesi a illustrarne, nel loro complesso, dal punto di vista antropologico ed etnografico, storico-sociale e storico-fotografico, la rilevanza; volume edito per i tipi di Postcart (Roma, 2020), in doppia tiratura, con testi in italiano e in inglese.
Il mio saggio introduttivo, in particolare, ricostruisce in dettaglio, sullo sfondo della congerie culturale e scientifica dell’Italia e del Mezzogiorno nel secondo Dopoguerra, l’itinerario formativo dello studioso, la sua carriera come antropologo e fotografo, il suo lavoro di terreno nel paese, documentato attraverso le immagini e i taccuini di ricerca, il profilo del suo reportage.
Il complesso dell’iniziativa si avvale della collaborazione dell’Amministrazione Comunale e delle associazioni di rappresentanza territoriale di Lacedonia, dal Museo Antropologico Visuale Irpino (MAVI), alla Pro Loco “Gino Chicone”, oltre che del contributo dell’Associazione Culturale “La Pilart”, ponendosi come modello esemplare di cooperazione tra dimensione e musei locali e istanze nazionali.
[2] Si veda Cancian, 1960; trad. it. in “Bollettino delle Scienze Sociali”, mag.-giu. 1961: 258-277; una traduzione italiana parziale del saggio è stata poi pubblicata in appendice a Banfield, 1976: 207-2013.
[3] Banfield, 1958.  Non è possibile, in questa sede, dar conto del complesso e ampio dibattito che le tesi di Banfield alimentarono. Mi limito a ricordare, sinteticamente, gli interventi raccolti da Domenico De Masi nella edizione del volume (la seconda in Italia), ricordata nella nota precedente (oltre a Cancian, G. A. Marselli, A. J. Wichers, A. Pizzorno, S. F. Silverman, N. S. Peabody, J. Davis, J. Galtung, A. Colombis) e, per la sua rappresentatività del punto di vista degli antropologi italiani studiosi del Mezzogiorno, quello di L. M. Lombardi Satriani (Lombardi Satriani, 1974: 60-75). Un più recente contributo controcorrente rispetto al diffuso favore che le tesi di Banfield hanno riscosso nel contesto anglosassone, ha fornito Michael Herzfeld, in un’intervista concessa a Marino Niola, apparsa su “la Repubblica”. Cfr. Herzfeld, 2014. Herzfeld riassume, in quell’occasione, posizioni da lui più articolatamente espresse in sede scientifica. Si vedano Herzfeld, 2008, particolarmente: 76-79; 2015; 2018.
[4] Sul profilo del lavoro degli studiosi stranieri nel Mezzogiorno si vedano, introduttivamente, Douglas, 1975; Minicuci, 2003. Con più specifica attenzione agli USA, e limitatamente agli inizi degli anni Sessanta, si veda Moss, 1961.
[5] Si vedano, indicativamente, Cancian, 1974; 2006.
[6] www.frankcancian.net; ultima consultazione, 21 novembre 2019; traduzione mia.
[7] In una documentazione bibliografica e archivistica assai ampia, rinvio in questa sede soltanto a Tentori, 2004.
[8] Si veda archivio del Museo Antropologico Visivo Irpino (MAVI), Lacedonia, Appunti Cancian.
[9] Per un primo saggio di tale lavoro, si veda Cancian 2017.
Riferimenti bibliografici
Banfield E. C. 1958, The Moral Basis of a Backward Society, Glencoe (ILL.), The Free Press
1976, Le basi morali di una società arretrata, Bologna, il Mulino
Cancian F. 1960, The Southern Italian Peasant: Word View and Political Behavior, in “Anthropological Quarterly”, 34, 1: 1-18
1974,  Another Place: Photos of a Maya Community, Scrimshaw Press, 1974
2006, Orange County Housecleaners, University of New Mexico Press
2017, Lacedonia. Un paese italiano, 1957, Delta 3 Edizioni, senza indicazione di luogo e di data (ma Lacedonia)
Douglas W. A., Issues in the Study of South Italy, in “Current Anthropology”, 16, 4, 1975: 620-625
Faeta F. 2019, Frank Cancian e Lacedonia, in “Voci – Annuario di Scienze Umane diretto da Luigi M. Lombardi Satriani”, XVI: 308-312
2020a Faeta F., Un paese del Mezzogiorno italiano. Lacedonia (1957) nelle fotografie di Frank Cancian (a cura di), Roma, Postacart
2020b, A Town in Southern Italy. Lacedonia (1957) in Frank Cancian’s Photographs (edited by), Roma, Postcart
Herzfeld M. 2008, Evicted from the Eternity. The Restructuring of Modern Rome, Chicago, The University of Chicago Press
2014, Il familismo è morale, il Sud non se ne vergogni, intervista a M. Niola, in “la Repubblica”, 5 agosto
2015, Heritage and corruption: the two faces of the nation-state, in “International Journal of Heritage Studies”, 21, 6: 531-544
2018, Corruption as Political Incest. Temporalities of Sin and Redemption, in T. Thelen, E. Alber (eds.), Reconnecting State and Kingship, Philadelphia, University of Pennsylvania Press: 39-59
Lombardi Satriani L. M., Antropologia culturale e analisi della cultura subalterna, Rimini, Guaraldi, 1974
Minicuci M., Antropologi e Mezzogiorno, in “Meridiana”, Mezzogiorno in idea, 47-48, 2003: 139-174
Moss L. W., Ricerche socio-culturali di studiosi americani, in “Bollettino delle ricerche sociali”, 1, 6, 1961: 502-518
Tentori T., Il pensiero è come il vento. Storia di un antropologo, Roma, Edizioni Studium, 2004
Zavattini C., Strand P., Un paese, Torino, Einaudi, 1955
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Francesco Faeta, professore di Antropologia culturale, ha insegnato presso le Università della Calabria e di Messina; insegna ora presso la Scuola di Specializzazione per i Beni Culturali DEA dell’Università “La Sapienza” di Roma. Docente Erasmus nelle Università di Valladolid e de’ A Curuña, è stato Direttore di Studi invitato all’École Pratique des Hautes Études di Parigi, nel 2004, fellow e associate researcher dell’Italian Academy for Advanced Studies in America presso la Columbia University, nel 2012. Ha effettuato ricerche in ambito europeo, con particolare riferimento al Sud d’Italia. Fa parte dei comitati scientifici di riviste italiane e straniere e dirige, per Franco Angeli, la collana Imagines. Studi visuali e pratiche della rappresentazione. Tra le sue ultime pubblicazioni Le ragioni dello sguardo. Pratiche dell’osservazione, della rappresentazione e della memoria, Torino, Bollati-Boringhieri, 2011; Fiestas, imágenes, poderes. Una antropología de las representaciones, Vitoria Gasteiz-Buenos Aires, Sans Soleil Ediciones, 2016; La passione secondo Cerveno, Milano, Ledizioni, 2019; Il nascosto carattere politico. Fotografie e culture nazionali nel secolo Ventesimo, Milano, Franco Angeli, 2019.

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