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Società liquida e nuove solitudini

Posted By Comitato di Redazione On 1 marzo 2018 @ 00:30 In Cultura,Società | No Comments

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Interior, V. Hammershoi, 1910

di Simona Scotti

La perdita di traiettorie certe, lo sfumare dei confini territoriali, l’accorciamento delle distanze spazio-temporali insito nella globalizzazione, sono tratti di quella “liquidità” che connota la realtà contemporanea, caratterizzandola con tratti ambivalenti. L’ampliamento delle possibilità, da risorsa e opportunità, può tradursi rapidamente, relativizzando contesti e situazioni, in una ’condanna’ all’isolamento, all’alienazione, alla solitudine.

’Solitudine’ può essere semplicemente una parola, oppure una dimensione esistenziale, propria o altrui, vissuta direttamente o indirettamente; può essere una condizione imposta o cercata, qualcosa di piacevole o spiacevole, struggente o, al contrario, dolorosa; una dimensione in cui si trova ispirazione o la condizione da cui si può sviluppare un’immensa disperazione. È, forse, una delle caratteristiche fondanti della vita di ogni individuo; una condizione che si cerca di superare intessendo relazioni, condividendo esperienze, creando legami. Socialmente, dunque il termine solitudine acquista un significato particolare, un’accezione negativa perché sposta l’individuo al di fuori del gruppo, in una condizione di separatezza, di distanza, finanche di disuguaglianza.

Liquidità, mobilità, alterità

C’è una cosa che più delle altre caratterizza la modernità, sostiene Baumann, un tratto che ne fa la differenza: il mutato rapporto tra spazio e tempo che, disgiunti tra loro e dall’esperienza della vita quotidiana, diventano teorizzabili come categorie distinte e indipendenti di strategia e di azione. «Il tempo acquisisce una storia allorché la velocità di movimento nello spazio (a differenza dello spazio stesso che non è flessibile, non può essere dilatato, né si contrae) diventa una questione di ingegno, immaginazione e risorse umane»[1]. Passato il periodo solido della modernità, quello in cui la nozione di cittadinanza andava di pari passo con quella di insediamento, la società contemporanea si offre come un qualcosa di ‘fluido’, ‘liquido’: è  la società degli individui [2] più che dei cittadini, è il contesto in cui la cittadinanza diventa, più che un dato di fatto, «un’idea strategicamente importante» [3] ovvero una prospettiva cosmopolita che prevede l’assegnazione di diritti individuali ad ogni cittadino come ‘cittadino del mondo’.

Questo lo scenario. Quali, invece, le reali opportunità? La fluidità amalgama o divide? Qualche anno fa, a Lampedusa fu costruita una porta, su un lembo estremo di un’isola, scenario di continue migrazioni nel Mediterraneo. Un monumento tristemente noto per le tanti morti avvenute in questo mare, che costituisce un simbolo di apertura, ma, al contempo, rappresenta anche un ostacolo. Una porta è, infatti, un luogo da cui si può entrare, ma può divenire anche una barriera escludente, un mezzo preposto a realizzare una selettività nel passaggio. È un elemento solido che si oppone a quella massa liquida che, proprio per la sua incomprimibilità, continua a premere, a rivendicare partecipazione e condivisione. Scriveva Bauman:

«I fluidi viaggiano con estrema facilità. Essi “scorrono”, “traboccano”, “si spargono”, “filtrano”, “tracimano”, “colano”, gocciolano”, “trapelano”; a differenza dei solidi non sono facili da fermare: possono aggirare gli ostacoli, scavalcarli, o ancora infiltrarvisi. Dall’incontro con i corpi solidi escono immutati, laddove questi ultimi, laddove restino tali, non sono più gli stessi, diventano umidi e bagnati [4].

La globalizzazione ha dotato tutto e tutti di liquidità; una liquidità pervasiva e ineluttabile, nonostante gli ostacoli che alcuni trovano più numerosi di altri alla propria mobilità. In un mondo dove la mobilità è risorsa, l’impedimento della stessa è fattore discriminante, è un ribadire un’asimmetria nei rapporti tra chi si sente fautore, artefice, creatore di quella rivoluzione tecnologica che è aspetto caratterizzante della globalizzazione e coloro che da tutto questo sono esclusi.

Il confronto con l’altro, il ‘diverso’ viene evitato, viene escluso a priori dalla ‘relazione’ e per ciò stesso è costretto a restare estraneo, straniero, soggetto a facili stereotipizzazioni. Segregare qualcuno nello spazio e confinarlo con la forza è stato, nei secoli, un modo quasi viscerale, istintivo di reagire alla diversità, di escluderla. Segregare qualcuno nello spazio significava soprattutto vietare o sospendere le comunicazioni con lui e, quindi, perpetuare con la forza la sua condizione di estraneo. Separazione come estraneazione, dove estraneare serve a ridurre e comprimere la visibilità dell’altro [5].

L’esplosione delle barriere culturali come aspetto-causa-conseguenza della globalizzazione viene percepita come minaccia alle identità storiche e provoca un’accentuazione della relatività e della contingenza. Nel selezionare chi potrà passare da una ‘porta’ si fanno, allora precise distinzioni. Ricoeur [6] analizza la condizione di straniero, in relazione al dovere di ospitalità, articolandola in tre situazioni, classificate dallo stesso autore in un ‘ordine tragico’ crescente: il visitatore gradito, l’immigrato, il profugo, ossia il rifugiato, il richiedente asilo che auspica di essere accolto.

Raramente ci soffermiamo a pensare al nostro essere stranieri per gli altri; quasi mai vogliamo sentirci parte di un’unica famiglia umana. L’ambiguità della globalizzazione consiste proprio nell’accentuare, da un lato la liquidità, dall’altro la paura di affrontarla. Paradossalmente la globalizzazione, oltre le spinte in avanti che sembra proporre, rivalorizza quell’aspetto primordiale di una natura comune che preme, oltre le differenze, le divisioni, le segregazioni, per ribadire l’uguaglianza fra gli esseri umani in quanto tali.

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Giovane uomo alla finestra, G. Callebotte, 1875

Essere dentro, essere fuori. Cittadinanze, disuguaglianze e nuove solitudini

Essere dentro o essere fuori da un gruppo vuol dire appartenere o non appartenere, vuol dire essere uguale o diverso, potersi identificare in una cornice di riferimento o sentirsene escluso, significa, in relazione a un contesto, avere diritti o non averli, essere o non essere ‘cittadino’. La questione così impostata richiama il concetto di cittadinanza; a partire dalle disuguaglianze che possono sfociare in nuove forme di solitudine, si approda ad una riflessione sulle ‘nuove cittadinanze’.

Cosa significa essere cittadino oggi? La definizione classica del termine cittadino non fornisce più il supporto necessario a questo ragionamento. Occorre agganciarsi a definizioni più ampie, più inclusive rispetto a realtà nuove che allargano l’orizzonte di significato di parole un tempo ben definite nel loro significato circoscritto a tempi, luoghi, circostanze ben precise. E allora, più che parlare di termini precisi, diventa semmai più interessante discutere di tali parole in termini qualitativi e quantitativi. La domanda allora diventa: come e quanto si può essere cittadini oggi in determinati contesti?

Come già aveva fatto notare Giovanna Zincone [7], il pacchetto di benefici che conseguono all’ammissione ad un sistema politico, in realtà, non raggiunge tutt’ora alcune fasce di popolazione presenti sul territorio. Analizzando il caso particolare delle donne e degli immigrati si nota che la deviazione dalla condizione ugualitaria dei cittadini non si pone soltanto in termini di dentro/fuori, vale a dire dell’essere/non essere detentori dei diritti della cittadinanza politica, ma in termini di qualità e di quantità dei diritti stessi. Ovvero, la fascia del cosiddetto “fuori” rispetto alla piena appartenenza è continuamente ridefinita anche da fenomeni di emarginazione interna. Vi è dunque una ridefinizione del “fuori” che comporta una parallela ridefinizione dei diritti per gli “interni” della cittadinanza politica. Tale ridefinizione di un “fuori” entro i confini di uno Stato, è imposta a maggior ragione dalle conseguenze dei fenomeni migratori e da tutto ciò che si può definire “inclusione imperfetta o incompiuta”.

Che ruolo gioca la diversità nel qualificare in senso positivo o negativo la cittadinanza, ossia la possibilità di accedere a determinati diritti oltre a quella di poter espletare con facilità determinati doveri. Qui entrano in gioco variabili di vario tipo: il genere, la provenienza, la sensibilità religiosa, l’inclinazione sessuale, l’appartenenza politica…e ancora, il ceto, il censo…tutte condizioni che determinano “l’essere dentro o l’essere fuori” dalla fruizione di diritti e dall’espletamento di doveri connessi a contesti precisi e socialmente determinati.

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Donna alla finestra, D. F. Caspar, 1822

Disuguaglianza ‘liquida’

La complessità del contesto sociale in cui viviamo e la liquidità [8] che lo caratterizza comporta un continuo ridefinirsi delle disuguaglianze concepite come ‘disparità oggettive’ e una conseguente deviazione egualitaria dai diritti di cittadinanza. La cittadinanza, nella sua definizione giuridico-politica classica, corrisponde a un vincolo di appartenenza a uno Stato (o anche al Comune), richiesto e documentato per il godimento di diritti e l’assoggettamento a particolari oneri [9]. Le considerazioni fatte nel paragrafo precedente rendono questo concetto molto più complesso così come assai relativa diviene la distinzione fra un ’dentro’ e un ’fuori’ rispetto alla cittadinanza, demarcazione che, come ci ricorda Giovanna Zincone, si definisce più in termini di qualità e quantità dei diritti goduti che non nell’essere o meno detentori della cittadinanza stessa. Tra diritti e oneri possono evidenziarsi situazioni di non equilibrio: esistono ancora molte fasce deboli che devono costantemente lottare per cercare di raggiungerlo.

Il concetto di inclusione imperfetta o incompiuta richiama, dunque, direttamente ad una riflessione su quei meccanismi sociali che portano alla creazione di disuguaglianze e al conseguente formarsi di gruppi minoritari deboli. Le disuguaglianze sono sociologicamente definite come «disparità oggettive e sistematiche nelle possibilità di influenzare i comportamenti altrui e nelle condizioni materiali e immateriali della vita» [10]. Esse prendono corpo nei processi di valutazione sociale a partire dalle differenze e diventano tali dal momento in cui vengono tradotte in termini di vantaggi o svantaggi rispetto a una scala di valutazione [11].

La diseguaglianza è, dunque, un concetto relazionale, risultato di un confronto e di una valutazione tra gruppi. Un esempio emblematico è la distinzione uomo/donna, caratteristica naturale di per sé non ordinabile in una scala di importanza che, invece, a livello sociale, acquisisce attribuzioni di valore e quindi un trattamento differenziale. Così una differenza legata al sesso si trasforma in una disuguaglianza sociale legata al genere [12].

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Il vaso di Pandora, Magritte, 1951

Cittadinanza. Un concetto in evoluzione

I dati da cui muove l’attuale dibattito politologico, sociologico e giuspubblicistico segnalano da un lato il tramonto della tradizionale nozione politico-giuridica di cittadinanza, legata alla dimensione territoriale dello Stato moderno, dall’altro l’emergere di una insospettata valenza simbolica della cittadinanza come veicolo di affermazione di un programma di emancipazione dell’individuo di fronte alle nuove forme di oppressione e discriminazione sociale. Viene, cioè, rivalorizzata in sede teorica l’idea di cittadinanza intesa come simbolo dell’integrazione politica in senso moderno, come vincolo costitutivo dell’intera comunità politica attorno ad un nucleo di valori fondativi generalmente condiviso [13].

Nonostante una iniziale connotazione universalistica [14], il concetto di cittadinanza negli ultimi due secoli si accompagna all’idea e all’affermazione storica dello Stato-nazione. Significativi cambiamenti si sono evidenziati già a partire dal secondo dopoguerra con l’adozione di una serie di trattati a ratifica internazionale [15], successivamente il passaggio dal modello di Stato liberale a quello di Stato sociale, propriamente di Welfare State, ispirato a solidarietà, secondo il vincolo che lega obbiettivamente la possibilità di erogare i servizi all’andamento del mercato, ha inciso profondamente nei contenuti della cittadinanza. Negli anni ’70 T. H. Marshall individua proprio nella garanzia dei diritti sociali [16] e nella loro estensione a fasce sempre più numerose di cittadini le nuove frontiere della cittadinanza. Anche l’immigrazione, come fenomeno relativamente recente per il nostro Paese, si connota come fattore rilevante nel dibattito sulla ridefinizione della nozione di cittadinanza. La poderosa identità storico-culturale del continente europeo si trova, infatti, a confrontarsi con costumi e tradizioni diverse, talvolta dotate di consistente spirito affermativo.

Infine, ma non ultimo, tra gli elementi che evidenziano un progressivo  superamento del tradizionale concetto di cittadinanza legato a ordinamenti, valori, confini dello Stato nazionale, non può non essere annoverato il processo di unificazione europea, ed in particolare l’istituzione della ‘cittadinanza europea’ [17].

La consapevolezza di questa complessità, insieme alla progressiva estensione e moltiplicazione dei diritti che caratterizza il nostro tempo, contribuiscono contemporaneamente allo slittamento dell’accezione tradizionale di cittadinanza anche verso modelli di ‘cittadinanza ideale’, ovvero verso una prospettiva cosmopolita che prevede l’assegnazione di diritti individuali ad ogni cittadino del mondo.

Alcuni fattori rendono tuttavia lacunoso il modello “strategico” di una cittadinanza fondata su diritti individuali universalmente definiti e assegnati. Paolo Cavana mette in evidenza l’estremo individualismo dottrinale cui il modello è ispirato, che sembra comportare l’erosione dei valori comuni che dovrebbero sorreggere ogni comunità politica [18].

Le politiche statuali di ‘accomodamento’, mirate ad un incontro paritario tra comunità minoritarie e società nel suo complesso non sempre hanno esiti positivi: le frizioni che si evidenziano tra il sostegno da accordare alla differenza e la giustizia da rendere a tutti i membri di un gruppo minoritario, in particolare ai suoi soggetti più deboli, spingono il dibattito multiculturale verso una proposta di cittadinanza differenziata. La cittadinanza di genere, ad esempio, si impone proprio in questo contesto come vera opportunità per valorizzare diritti di una diversità che non deve assolutamente trasformarsi in disuguaglianza.

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Donna alla finestra, Fritz von Ude, 1848

Essere soli in mezzo agli altri. Una tendenza da invertire

In una realtà caratterizzata da soggettivizzazione e deistituzionalizzazione è facile perdere il contatto con gli altri; le continue sollecitazioni cui è sottoposto l’uomo contemporaneo rendono talvolta difficile mantenere una integrità identitaria propria. L’uomo è sottoposto costantemente a stimoli diversi, a definizioni ‘altre’, talvolta ‘rivali’, della realtà che creano ansie, incertezze, distanziamento finanche da se stessi [19]. Nell’inseguire costantemente modelli proposti dal mercato, anche l’identità si mercifica, diviene oggetto di ‘consumo’. La perdita di senso che ne consegue crea allontanamento da se stessi e dagli altri. Difficile riconoscersi in qualcosa lontano dalle proprie cornici di riferimento. L’economia neoliberale sembra aver condotto alla cultura dello scarto dove tutto può essere comprato, buttato, sostituito, anche l’essere umano. Come scrive Bauman

«La “popolazione in esubero” non è che una delle tante varietà di rifiuti umani. […] Non essendo che un’attività secondaria del progresso economico, la produzione di rifiuti umani ha tutte le caratteristiche di una questione impersonale, puramente tecnica. Gli attori principali del dramma sono le “condizioni di scambio”, la “domanda di mercato”, le “pressioni concorrenziali”, i requisiti di “produttività” o di “efficienza”, e tutti quanti coprono o negano esplicitamente ogni nesso con le intenzioni, la volontà, le decisioni e le iniziative di esseri umani reali, dotati di nome e indirizzo» [20].

Muoversi in un mondo spersonalizzato, senza un progetto comune crea distanze fra gli attori in gioco, ognuno impegnato a raggiungere un suo personale tornaconto. Il disastro ecologico cui stiamo assistendo è uno dei risultati di questo atteggiamento. Interessi economici che negano la necessità di rivedere parametri di utilizzazione delle risorse planetarie in ottica altruistica e lungimirante, negano la possibilità di lasciare in eredità alle future generazioni un mondo in cui trovare le risorse necessarie alla continuazione della vita.

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Interior, V. Hannershoi, 1910

Occorrerà, dunque ripartire dalla valorizzazione delle opportunità che la liquidità può offrire per rifondare quei valori che, a partire dalle micro-esperienze, possano tornare a colorare di senso la vita degli individui. Afferrare, nello scorrere delle esperienze, gli elementi che possano vitalizzare i rapporti tra gli individui, creare le basi per realizzare un progetto comune. L’accorciamento spazio-temporale deve essere colto come un’opportunità per creare legami, per accorciare distanze, per abbattere barriere e muri ideologici, concepire l’altro come una risorsa.

L’idea ‘strategicamente importante’ di una cittadinanza in chiave planetaria diverrebbe antidoto ai disvalori socialmente dominanti e presupposto alla ridefinizione delle solitudini in nuove socialità. Liquidità come plasticità, dunque, come disponibilità a rinunciare ad atteggiamenti rigidi per cogliere nel volto dell’altro [21], sempre diverso dal nostro, un contributo all’arricchimento dell’esperienza di ogni uomo in quanto tale.

Dialoghi Mediterranei, n.30, marzo 2018
Note
[1] Z.Bauman, Modernità liquida, Laterza, Roma-Bari, 2008: XV.
[2] Cfr. N. Elias, La società degli individui, Il Mulino, Bologna, 1990.
[3] D. Zolo, La strategia della cittadinanza in D. Zolo (a cura di), La cittadinanza. Appartenenza, identità, diritti, Laterza, Roma-Bari, 1994: 3.
[4] Z. Bauman (2008), cit.: VII.
[5] Cfr. Z. Bauman, Dentro la globalizzazione. Le conseguenze sulle persone, Laterza, Roma-Bari, 2001: 116-117.
[6] P. Ricoeur, La condizione di straniero. Punti fermi per l’accoglienza, in “Vita e Pensiero”, n. 5, 2008: 45-57.
[7] Cfr. G. Zincone, Da sudditi a cittadini, Il Mulino, Bologna, 1992: 9, 10.
[8] Cfr. Z. Bauman, Modernità liquida, Laterza, Roma-Bari, 2008.
[9 Cfr. Devoto-Oli, Dizionario della lingua italiana, Le Monnier, Firenze, 2000.
[10] A. Schizzerotto (a cura di), Vite ineguali. Disuguaglianze e corsi di vita nell’Italia contemporanea, Il Mulino Bologna, 2002: 23.
[11] Cfr. R. Girod, Le ineguaglianze sociali, Armando, Roma, 1987: 8.
[12] La diversità è associata a caratteristiche qualitative non ordinabili (es. il sesso), la differenza si riferisce, invece, a caratteristiche aventi natura quantitativa (es. il reddito) e, quindi, ordinabile. In base a questo criterio le disuguaglianze più vistose e ‘ingiuste’ sono proprio quelle che derivano dalle diversità che per la loro natura qualitativa non sono direttamente ordinabili in base ad un criterio di maggiore/minore. Cfr. P. Ceri, Diversità e differenze sociali. Considerazioni sulla disuguaglianza, in «Teoria politica», I, n.2.
[13] Cfr. P. Donati, La cittadinanza societaria, Laterza, Roma-Bari, 1993.
[14] La Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789 assegnava all’idea di cittadinanza una connotazione che superava i confini nazionali
[15]  Gli orrori frutto di esasperati nazionalismi avevano stimolato nei singoli Stati la consapevolezza di un necessario depotenziamento della tradizionale contrapposizione tra cittadino e straniero, generatasi nella costruzione dello stato liberale e tutt’ora presente. La Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo e del cittadino è del 1948.
[16] Si tratta di quel pacchetto di diritti ad un tempo civili, politici ed economici che per lui erano “cittadinanza” piena.
[17 La stessa tutela di un comune patrimonio di diritti fondamentali di cui è titolare ogni singolo cittadino europeo e che contribuisce al progressivo indebolimento dello status civitatis, provoca, al contempo, una accentuazione nel divario tra cittadini dell’Unione ed extracomunitari. Rimane, inoltre, nella potestà legislativa di ogni singolo Stato, la competenza nel determinare i criteri di acquisizione o perdita della cittadinanza nazionale cui è collegato il godimento dei diritti sanciti dall’ordinamento comunitario.
[18] Cfr. P. Cavana, Nuove dimensioni della cittadinanza e pluralismo religioso. Premesse per uno studio,  in G. Dalla Torre, F. D’Agostino (a cura di), La cittadinanza. Problemi e dinamiche in una società pluralistica, Giappichelli, Torino, 2000: 59-150.
[19] Sono «[…] disturbi distintamente diversi, dunque nuovi: si potrebbe dire malattie e afflizioni “specificamente liquido-moderne”», Z. Bauman, Vite di scarto, Laterza, Roma-Bari, 2005: 14.
[20] Ivi: 51,52.
[21] Levinas E., Etica e infnito. Il volto dell’altro come alterità etica e traccia dll’infinito, Città Nuova Editrice, Roma, 1984.
Riferimenti bibliografici
Bauman Z., Dentro la globalizzazione. Le conseguenze sulle persone, Laterza, Roma-Bari, 2001,
Bauman Z., Vite di scarto, Laterza, Roma-Bari, 2005
Bauman Z., Modernità liquida,Laterza, Roma-Bari, 2008
Bellieni C.V., La cultura dello scarto e la sfida della solidarietà, Paoline Editoriale libri, Milano 2014
Cavana P., Nuove dimensioni della cittadinanza e pluralismo religioso. Premesse per uno studio,  in G. Dalla Torre, F. D’Agostino F., (a cura di), La cittadinanza. Problemi e dinamiche in una società pluralistica, Giappichelli, Torino, 2000: 59-150.
Costa P., Cittadinanza, Laterza, Roma-Bari, 2013
D’Agostino F., (a cura di), La cittadinanza. Problemi e dinamiche in una società pluralistica, Giappichelli, Torino, 2000: 59-150.
Devoto-Oli, Dizionario della lingua italiana, Le Monnier, Firenze, 2000.
Donati P., La cittadinanza societaria, Laterza, Roma-Bari, 1993.
Elias N., La società degli individui, Il Mulino, Bologna, 1990.
Girod R., Le ineguaglianze sociali, Armando, Roma, 1987.
Levinas E., Etica e infnito. Il volto dell’altro come alterità etica e traccia dll’infinito, Città Nuova Editrice, Roma, 1984.
Ricoeur P., La condizione di straniero. Punti fermi per l’accoglienza, in “Vita e Pensiero”, n. 5, 2008: 45-57.
Schizzerotto A., (a cura di), Vite ineguali. Disuguaglianze e corsi di vita nell’Italia contemporanea, Il Mulino Bologna, 2002.
Zincone G., Da sudditi a cittadini, Il Mulino, Bologna, 1992.
Zolo D., (a cura di) La cittadinanza. Appartenenza, identità, diritti, Laterza, Roma-Bari, 1994.
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Simona Scotti, Phd in Qualità della Formazione, è cultrice della materia in Sociologia dei processi culturali e comunicativi presso il Dipartimento di Scienze politiche e sociali dell’Università degli Studi di Firenze. È caporedattore di Religioni e Società. Rivista di Scienze sociali della religione, membro di ASFeR e CISReCO per l’organizzazione della Summer School on Religions in Europe di San Gimignano. È Segretaria nazionale della Sezione AIS di Sociologia della Religione. Attualmente impegnata in ricerche nazionali (Giubileo della misericordia) e internazionali (Lived Religion), è autrice di varie pubblicazioni tra le quali A modo mio. Profili del cattolicesimo nel Mugello contemporaneo (FrancoAngeli 2002). In uscita, il volume Viaggi alla ricerca di senso nel tempo della globalizzazione. Logiche trasformative e conversioni (FrancoAngeli 2018).

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