«Il mare è uno degli elementi naturali che William Shakespeare adopera più spesso, sia come scenario […] che come allegoria della vita e delle passioni umane». Da qui prende le mosse Luigi Giannitrapani, cultore di letteratura inglese e appassionato di mare, per ricucire le fila di una indagine che ha un unico tema: il mare in rapporto con la drammaturgia di Shakespeare che di mare, in verità, era davvero poco esperto.
Giannitrapani ha pubblicato nei mesi scorsi il suo ultimo saggio dal titolo Shakespeare e il richiamo del mare (Serel International – Stefano Termanini editore). Non ha titolato “Shakespeare e il mare” che avrebbe avuto un impatto più immediato ma vi ha aggiunto “il richiamo” per addentrarsi meglio e spaziare in campi ancora poco esplorati dagli studiosi e dagli esperti della poetica del grande drammaturgo inglese.
Il risultato è un lavoro corposo e molto attento che ha presupposto una lunga e laboriosa ricerca e rilettura delle opere di Shakespeare che Giannitrapani studia con passione autentica ormai da oltre trent’anni; tanto che il suo febbrile lavoro di studio e di analisi sui testi, che tante e tante volte lo ha condotto a Londra e nei luoghi narrati da Shakespeare, si è sostanziato e si sostanzia in una accorata ricerca molto utile per chi voglia approfondire, anche a livello universitario, le opere del drammaturgo di Stratford-upon-Avon.
Perché il mare? Non solo per rispondere alla domanda su cosa avrebbe potuto legare il mare a William Shakespeare, nato in una piccola cittadina della contea di Warwickshire, regione agricola e definita come il cuore dell’Inghilterra rinascimentale, ma perché lo stesso autore ha nutrito sin dall’adolescenza una viscerale passione per il mare che lo ha condotto anche a coraggiose scelte di vita.
Luigi Giannitrapani è nato a Trapani, subito dopo le scuole è entrato nell’Accademia Navale di Livorno e grazie alle sue abilità sportive ha fatto parte della squadra di vela agonistica della Marina Militare e partecipato a innumerevoli regate. Imbarcato per circa un anno nell’Amerigo Vespucci ha conosciuto i mari di tutto il mondo. Poi, virando rotta, ha iniziato una seconda vita, come ama dire, e lavorato, con la laurea di ingegnere, come dirigente industriale in America, in Francia e in Germania fino a rientrare in Italia e trasferirsi prima a Milano e infine a Genova, eletta sua patria d’adozione, dove vive con la moglie. «Genova perché è una città di mare – dice – e io mi sono accorto che non posso restare troppo a lungo lontano dal mare». A Genova ha acquistato una barca a vela dove ha vissuto per qualche tempo con la famiglia. Ma, dopo la nascita di tre figli, è ritornato a vivere sulla terraferma in un quartiere arioso ed elegante di Genova da cui su scorge il mare.
Due amori in un solo saggio, dunque. Lo studio assiduo della letteratura inglese, la partecipazione a corsi e seminari nelle Università di Oxford e Cambridge e poi in Liguria la sua attività di conferenziere su Shakespeare, gli consentono di non abbandonare mai la sua seconda passione; l’attività di velista, dopo la vendita della sua ultima barca, era ormai (ahimè!) dietro le spalle.
L’idea che Shakespeare avesse conosciuto l’Italia e con il Paese anche il mare è stata sostenuta da alcuni studiosi; nella sua drammaturgia, d’altra parte, l’Italia è citata più di ogni altra nazione tanto da far dire a qualcuno che vi avrebbe, seppur brevemente, soggiornato. Ma, scrive Giannitrapani, questa ipotesi deve essere allontanata perché priva di fondamento scientifico «come dimostrato dai numerosi errori e omissioni che Shakespeare commette sulla geografia del Paese».
È vero invece, osserva l’autore nella prefazione al libro, che la geografia italiana è per il drammaturgo inglese “una geografia poetica”, più evocativa che reale. E il mare, di cui tutta la sua opera è disseminata, come sfondo, come allegoria, scenografia, è alla stessa stregua delle passioni umane «imprevedibile, mutevole, mai si può essere certi di averlo sotto controllo». Ecco perché Giannitrapani dimostra che non c’è Shakespeare senza il mare… o senza il suo richiamo. La parola mare – fa notare ancora l’autore – viene usata nei drammi anche quando non v’è bisogno e con il mare anche i suoi annessi e connessi sono sempre presenti a impreziosire le opere: onde, tempeste, oceani, marinai, navi e maree, venti e via dicendo.
Il saggio di Giannitrapani indaga allora il perché e il come si sostanzia questo strettissimo legame soprattutto se Shakespeare il mare non lo aveva (forse) neppure conosciuto, essendo nato in un territorio agricolo e contadino. Pur non escludendo tuttavia che abbia navigato per brevi tratte – come passeggero e non come membro dell’equipaggio – l’autore rileva che tutti gli errori che Shakespeare commette sulla geografia fisica sono errori che un vero marinaio non avrebbe mai potuto fare.
Nel 1964 Alexandre F. Falconer, ex ufficiale della Royal Navy, aveva scritto un approfondito libro sul tema che analizzava con puntiglio i termini “marini” utilizzati nei drammi dell’autore inglese; Giannitrapani invece ha voluto allargare il campo di ricerca e con una puntualità quasi maniacale, passo dopo passo, è approdato al significato allegorico del mare contenuto in quasi tutte le opere. Il mare scenario fisico (ne La Tempesta, nei naufragi della Commedia degli Errori, nel Racconto d’inverno e altri) e il mare allegoria di passioni, come una sorta di evocazione che si rincorre e permea i testi dei drammi, un “richiamo” appunto.
Ma “l’utilizzo” del mare non è una passione riconducibile solo a Shakespeare, fa parte di un interesse letterario che ha accompagnato molti scrittori anche a lui coevi. Tuttavia, dice Giannitrapani, per il drammaturgo inglese l’inserimento quasi ossessivo degli ambienti marini potrebbe essere frutto per lo più dei racconti ascoltati nelle taverne che frequentava – e tra queste cita “La Taverna delle Sirene” – storie che lo affascinavano e alimentavano la sua fantasia di acuto osservatore e assimilatore di fatti e narrazioni.
«Il mare era un mondo altro dove si conduceva una vita molto differente da quella di Londra, il mare quindi come visione di un mondo diverso, mai sperimentato direttamente ma soltanto immaginato con la fantasia del poeta che lo inserì nel suo spazio immaginario in cui egli conservava e raccontava il fantastico e il meraviglioso».
I riferimenti di Giannitrapani sull’argomento non sono solo estrapolazioni di parole e brani di testi ma si intersecano con il pensiero di altri scrittori e poeti, con argomentazioni e citazioni di classici che spiegano per esempio l’allegoria, le similitudini, le origini e l’uso delle parole.
Un esempio citato. Nel dramma storico Il re Giovanni, il re in punto di morte dice a un suo congiunto: «Ah cugino/giungi in tempo/per chiudere le mie palpebre/il paranco del mio cuore è rotto e arso/e tutte le sartie su cui la mia vita dovrebbe veleggiare si sono ridotte ad un solo cavo,/spesso come un capello». Tante espressioni “marine”, legate al mare in così pochi versi. «Il paranco è paragonato al cuore – scrive Giannitrapani – le cui pulsazioni alimentano il flusso di sangue che tiene in vita. Un’altra splendida e appropriata allegoria».
Un’ultima notazione. È del mare Mediterraneo che Shakespeare parla, come elemento fisico e come allegoria e Giannitrapani per dare compiutezza alla sua opera rivolta a “dilettanti” che Shakespeare conoscono superficialmente, offre anche cenni alle trame delle opere esaminate «per aiutare così quei lettori che non dovessero conoscerla o che, pur avendola letta, non la ricordano al meglio per comprenderla».
Dialoghi Mediterranei, n. 69, settembre 2024
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Mariza D’Anna, giornalista professionista, lavora al giornale “La Sicilia”. Per anni responsabile della redazione di Trapani, coordina le pagine di cronaca e si occupa di cultura e spettacoli. Ha collaborato con la Rai e altre testate nazionali. Ha vissuto a Tripoli fino al 1970, poi a Roma e Genova dove si è laureata in Giurisprudenza e ha esercitato la professione di avvocato e di insegnante. Ha scritto i romanzi Specchi (Nulla Die), Il ricordo che se ne ha (Margana) e La casa di Shara Band Ong. Tripoli (Margana 2021), memorie familiari ambientate in Libia.
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