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Se si scrive al papa, se si scrive a un quotidiano

Posted By Comitato di Redazione On 1 gennaio 2020 @ 01:05 In Cultura,Società | No Comments

blog-e-content-825x510di Maria Immacolata Macioti

Scrivere a qualcuno, con carta e penna, prima ancora che con e.mail o invece di mettersi in contatto attraverso messaggi telefonici, sembra essere, ancora oggi, una scelta diffusa e condivisa, più utilizzata di quanto in genere non si creda. Si scrive a un possibile, desiderato interlocutore. La speranza è, evidentemente, quella di ricevere una risposta. Una risposta personale, non da lettera commerciale stereotipata. Gli studenti universitari, ad esempio, possono scrivere a un professore di cui vorrebbero l’attenzione, la stima. Una tesi, magari. In certi casi, possono scrivere per contestare un voto, una data di esame, per illustrare difficoltà circa l’orario delle lezioni o nel migliore dei casi possono chiedere spiegazioni su un passaggio ritenuto difficile di un testo, Potrebbero anche rifiutare un determinato testo di esame o una sua parte: ma questo è in genere più raro, poiché il docente potrebbe poi ricordare lo specifico nominativo, cassarlo.

Si può scrivere, certamente, a un conoscente, a un amico, a qualcuno o qualcuna con cui si vorrebbero maggiori rapporti.  Ma non sono tanto queste, le lettere che qui interessa prendere in esame. Quelle a cui penso sono lettere inviate a un soggetto con cui non si hanno rapporti diretti. Si sa della sua esistenza, del suo ruolo. Ma non vi è un legame diretto. Penso, ad esempio, a lettere scritte da un qualsiasi credente o anche da un non credente al pontefice, all’autorità suprema, quindi. Si sa benissimo chi è l’attuale pontefice ma non si hanno contatti diretti. Pure, si può volergli scrivere. Lettere giungono infatti, ogni giorno, in Vaticano, indirizzate all’attuale pontefice, Francesco. Lettere numerose. Se fosse mai possibile, sarebbe interessante fare un confronto con le lettere inviate a Giulietta: nonostante tutto, credo prevarrebbe papa Francesco, in quanto a quantità di missive a suo nome.

1Cosa vuol dire, un fatto del genere? Perché si scrive a un pontefice, al rappresentante di Dio in terra, se si tratta di credenti? Desiderio di comunicazione e di partecipazione, in primo luogo, mi sembra.  Un credente può voler intervenire in un dibattito aperto, corroborare pareri espressi, dare un proprio consenso rispetto alle linee di governo dei credenti.

O, al contrario, magari, potrebbero essere lettere di velato o aperto dissenso: la Fondazione Lepanto insegna. Penso alla Correctio filialis de haeresibus propagatis, datata il 16 luglio 2017, Festa della Madonna del Carmine. Un caso estremo, quest’ultimo, non usuale. Inizia così:

«Beatissimo Padre,
con profondo dolore, ma mossi dalla fedeltà a Nostro Signore Gesù Cristo, dall’amore alla Chiesa e al Papato, e dalla devozione filiale verso di Lei, siamo costretti a rivolgerLe una correzione a causa della propagazione di alcune eresie sviluppatesi per mezzo dell’esortazione apostolica Amoris laetitia e mediante altre parole, atti e omissioni di Vostra Santità».

In questo caso, la lettera è stata concepita come un vero e proprio testo di dissenso, da far conoscere in giro, in cui si esprime distanza da alcune posizioni, da alcuni insegnamenti pontifici.

Nella 2° di copertina è riportata una lunga spiegazione:

«La “Correctio filialis de haeresibus propagatis”, trasmessa privatamente a papa Francesco l’11 agosto 2017 e quindi pubblicata il 25 settembre con le firme di 62 teologi, filosofi, storici e pastori della Chiesa, ha avuto in tutto il mondo uno straordinario impatto. Il sito www.correctio-filialis.org ha ricevuto centinaia di migliaia di visite e il documento, nelle settimane successive alla sua pubblicazione, è stato sottoscritto da 250 studiosi e sacerdoti di tutte le nazionalità. Ad essi vanno aggiunti decine di migliaia di aderenti che hanno apposto la loro adesione sul sito ufficiale o su altri siti cattolici, che hanno sostenuto attivamente l’iniziativa quali onepeterfive.com, lifesitenews.com, katholisches.info. La ragione di questa eco mondiale è una sola: quando la verità si manifesta con chiarezza ha una sua forza intrinseca ed è destinata a diffondersi. Il principale nemico della verità non è l’errore, ma l’ambiguità. La causa della diffusione di errori ed eresie nella Chiesa non è dovuta alla forza di questi errori, ma al silenzio e alla complicità di chi dovrebbe difendere a viso aperto la verità del Vangelo. In un’epoca di ottenebramento delle coscienze, la Correctio filialis esprime il sensus fidei di una larga parte di cattolici che ricordano filialmente al loro Supremo Pastore che la salvezza delle anime è il loro massimo bene e che per nessuna ragione al mondo si può commettere il male o transigere con esso. Riportiamo, per i lettori di Lepanto, il testo integrale dello storico documento».

Il pontefice, ci è stato detto, non ha risposto. Come mai? Si possono ipotizzare alcune possibili spiegazioni, mi sembra. Una, formale: da tutte le parti si esortano gli scriventi a inviare lettere brevi. Qui con l’elenco dei firmatari siamo a 28 pagine; senza, a 22. Decisamente troppe, per un messaggio che si auspica breve e conciso. Così come si presenta, fuori da ogni norma, contrario a quanto viene auspicato, sembra un messaggio destinato al cestino.

Un’altra ipotesi potrebbe essere relativa alla pretesa, da parte di persone che pur si dichiarano, formalmente, figlie del pontefice, di correggerne gli insegnamenti. Hanno forse dimenticato come si dovrebbero comportare dei figli? Figli che prendono le distanze dal padre, che addirittura lo criticano, discutono ciò che lui dice, il mondo li ha sempre conosciuti, sopportati. Non certo lodati. Non certo osannati. Molti padri li hanno cacciati fuori di casa. Altri, più pazienti, hanno atteso che crescendo mettessero giudizio: vedremo quale sarà, in questo caso specifico, la reazione paterna. Per ora, si ha un silenzio eloquente.

Nel frattempo si apre, nell’ottobre 2019, in Roma, un difficile sinodo sull’Amazzonia, di cui hanno molto parlato i media. Perché un credente non potrebbe esprimere un proprio parere in merito? La gente scrive al papa, fa domande, esprime pareri. L’interlocutore evidentemente è impegnato con molteplici questioni dogmatiche, teologiche.  Nel caso di questo pontefice, si tratta di qualcuno che prende le parti dei più deboli: dei migranti. Interviene in merito, esorta il clero, i credenti, loda gli sforzi andati a buon fine, elogia i corridoi umanitari ecc. Non ha certo il tempo e la possibilità di rispondere in proprio a tutti coloro che a lui si rivolgono con una o più lettere.

Cosa fare? Anche se è impossibile che si risponda a ogni lettera, forse si potrà rispondere a qualcuna. E chi lo farà? Come saranno scelte queste lettere?  E ancora: scrivono anche non credenti? E dove giungono queste lettere? Cosa accade, al loro arrivo? Molte domande, interrogativi cui non è impossibile, come vedremo, avere risposte.

rv10935_articoloAl Pontefice

Faccio una minima ricerca in internet l’11 ottobre del 2019. Il 4 ottobre è stata celebrata in tutta Italia (e nella cristianità in genere) la festa di S. Francesco. Il pontefice porta lo stesso nome: ed ecco che emergono lettere di augurio. Scrive un corrispondente che ha lo stesso nome del Santo e del pontefice. Scrive un Angelo (umano) per ringraziare, avendo preso parte ad una udienza, e invoca una discesa dello Spirito Santo su «noi tutti», specialmente nei cuori di chi ha in sé oscurità. Angelo prega: «…fa che in loro si possa accendere una fiamma nei loro cuori e possa indicare la via della fede». Chiede la benedizione di Francesco sulla sua famiglia e specialmente su Daniele, figlio disabile. Chiude con auguri di buon onomastico.

Scrive un Antonio che auspica auto e moto elettriche «secondo l’ecologia del Signore». Spiega che vive in Brasile, invia la propria e.mail. Scrive Bruno, un cattolico che «giorno dopo giorno si deve ricredere», v. la storia delle crociate. E si chiede, e chiede al pontefice: perché non aiutare i migranti nel loro Paese di origine? Si potrebbero finanziare, propone, forse convinto che nessuno ci abbia mai pensato prima, pozzi di acqua, scuole, formazione, coltivazione di territori…

Scrive anche una Andreina, che prega il pontefice di prendere pubblica posizione sugli «affidamenti illeciti». E fa l’esempio di Bibbiana, a sostegno di famiglie e bambini «che hanno subìto gravi ingiustizie e patito indicibili sofferenze inflitte dalle istituzioni e da una moltitudine di falsi maestri».

E c’è anche un messaggio di Anna, amareggiata perché voleva entrare in una chiesa a Lecce per pregare e accendere un cero, e due persone le hanno chiesto un pagamento di 5 euro a testa. Loro, in tre, avrebbero dovuto pagare 15 euro. Si è mai visto un fatto del genere? si chiede Anna.

Ma come mai ho trovato queste lettere? Come si fa a scrivere a papa Francesco? In realtà è molto semplice trovare istruzioni precise e articolate in merito. Sono istruzioni che contemplano più punti. Un primo punto riguarda il modo con cui è opportuno rivolgersi al pontefice. Bisogna scrivergli, viene spiegato, mantenendo un tono rispettoso, parlando a lui come a Sua Santità o come Santo Padre. Chi ha scritto queste istruzioni deve essere consapevole dell’epoca in cui stiamo vivendo, delle tante improprietà di linguaggio oggi in uso. Non basta quindi chiarire che il tono deve essere rispettoso. Bisogna spiegare cosa si intende con questa esortazione, che è il secondo punto previsto e indicato:

«Per tutta la lettera dovresti essere rispettoso e gentile. Non devi scrivere in maniera forbita, ma dovresti usare il linguaggio che ci si aspetterebbe all’interno di una Chiesa Cattolica. Evita imprecisioni, un linguaggio da strada, dispregiativi e qualunque altra espressione poco cortese. Scrivi tutto ciò di cui hai bisogno o tutto ciò che vuoi dire, ma ricorda che il Papa è una persona molto occupata. Invece di perderti in sproloqui ed adulazioni, faresti meglio a arrivare al dunque una volta espletate le formalità basilari.»
Ad abundantiam, un’ultima indicazione: «SCARICA MODELLO»

Mi ricordo che un tempo esistevano manuali di buone maniere, cui teoricamente una persona incerta nei suoi comportamenti ma desiderosa di fare buona figura poteva fare ricorso, magari supplendo così a una educazione in merito insufficiente o inesistente. In mancanza di correnti strumenti analoghi, qualcuno in Vaticano deve avere ritenuto opportuno supplire in questo modo, sintetico ma sperabilmente efficace. E il terzo punto? Il terzo punto esorta, con un evidente grassetto, a concludere la lettera in maniera educata. E, dati i tempi, in cui imperversano maleducazione e volano anche nel Parlamento italiano parole improponibili, in cui i Ministri non si vergognano di usare espressioni respingenti, villane e razziste, questa esortazione viene chiarita, spiegata:

«Come cattolico, dovresti chiudere la lettera con una frase del tipo: “Ho l’onore di professarmi con profondo rispetto il servo più umile ed obbediente di Sua Santità” prima di scrivere il tuo nome. Se non sei cattolico puoi cambiare la chiusura con qualcosa tipo: “Con ogni migliore augurio a Sua Santità, cordialmente” seguito dalla tua firma. Qualcosa di semplice come “Con i migliori saluti. Cordialmente” e la tua firma dovrebbe andare altrettanto bene per un non cattolico che scrive al Papa. A prescindere dalle esatte parole che scegli, il livello di rispetto che dimostri dovrebbe essere, come minimo, lo stesso che dimostreresti a un’altra persona che ricopre un ruolo simile. Chi non segue gli insegnamenti cattolici o non condivide la posizione del Papa dovrebbe comunque riconoscere la sua autorità ed avvicinarsi in maniera rispettosa. Chi segue la Chiesa Cattolica dovrebbe dimostrare il rispetto dovuto alla guida della sua fede sulla terra.»

lettera1Vari i punti, a mio parere, interessanti, in tutto ciò. In primo luogo, come si è accennato, la consapevolezza del fatto che sia oggi necessario dare indicazioni del genere, ad evitare improprietà di linguaggio, scritture poco consone o inaccettabili. In secondo luogo mi colpisce, e immagino che anche altri l’abbiano notato, l’uso del tu. Ci si rivolge al potenziale scrittore non solo ritenendolo poco adatto ad esprimersi nel modo adeguato, se non guidato. Ma ci si rivolge a lui un po’ dall’alto, mi sembra, con il familiare uso del tu invece del più rispettoso ‘lei’, usuale di regola tra persone che non si conoscono, che non hanno familiarità reciproca.

Ma ancora un punto mi sembra interessante sottolineare: chi ha scritto queste istruzioni, qualcuno che sembra prendere un po’ le distanze da potenziali scriventi che vanno educati, istradati, nonostante tutto dimostra che i tempi sono cambiati anche per la Chiesa: scrive infatti accettando l’idea che possano esistere altre persone che ricoprono un ruolo simile a quello del pontefice. Questo mi sembra una involontaria rivelazione del fatto che si è accettato che esistano oggi al mondo altri responsabili religiosi, cristiani o meno, cui si deve pari rispetto: cosa impensabile, prima del Concilio Vaticano II. Una involontaria, implicita ammissione, ripeto. Certamente. Ma importante, significativa. Che rinvia al mutamento dei tempi, all’apertura del dialogo interreligioso. Ma forse sono io che voglio vedere in una piccola frase troppi significati. Anche questa parte si conclude con una esortazione: «Trova modello scarica ora».

Ma resta un punto da chiarire: il punto 4, che recita, in grassetto: Trova l’indirizzo del Vaticano.  Un fatto importante, ché non è accettabile che la lettera così elaborata vada eventualmente perduta. Indirizzi cui inviare una lettera per posta, per posta ‘tradizionale’? Bisogna scrivere sulla busta «Sua Santità, Papa Francesco/Palazzo Apostolico/00120, Città del Vaticano». A questo basilare indirizzo si aggiungono alcune note esplicative, la prima delle quali chiarisce che bisogna suddividere l’indirizzo andando a capo in corrispondenza con gli slash /.

 Ci possono essere variazioni:

«Sua Santità, Papa Francesco PP/Casa Santa Marta /01200 Città del Vaticano.
Sua Santità, Papa Francesco/Palazzo Apostolico/Città del Vaticano.
Non scrivere “Italia” nello spazio del Paese sulla busta. Il Vaticano è considerato uno Stato indipendente, completamente separato dall’Italia».

Non per nulla ci sono stati gli Accordi Lateranensi.

Un’ultima avvertenza, nel quinto punto: ci si può rivolgere all’Ufficio Stampa del Vaticano anche attraverso e.mail e fax, di cui viene data notizia. Perché all’Ufficio Stampa? Perché il pontefice non ha una propria e.mail, non ha un proprio numero di fax. Poi, alla fine, la corrispondenza gli verrà consegnata, viene detto. Ma il lettore percepisce il messaggio: risponde l’Ufficio Stampa. O forse, chi sa, qualcuno di buona volontà che ha fatto parte dell’Ufficio Stampa e che oggi è magari in pensione, con del tempo libero a disposizione. Il che ci porta a chiederci chi legga le altre lettere, quelle spedite per posta, vergate su carta, chiuse in una busta e affrancate. Chi se ne occupa? Perché è evidente che non può essere il pontefice: non farebbe altro.

4In realtà si può trovare anche questa indicazione: vi è un Ufficio Corrispondenza. Si è trattato, per anni, di quattro persone, con a capo Mons. Giuliano Gallorini [1]. Con lui, due signore e una Suor Anna. Relativamente poche persone, per una corrispondenza notoriamente voluminosa – una trentina di sacchi a settimana – che può anche trattare temi di poco conto ma può anche recare questioni gravi, per cui bisognerebbe comunque consultare il pontefice. E così si fa. Così ha fatto per anni mons. Gallorini. Così sembra faccia il suo successore, monsignor Cesare Burgazzi [2]. Ci si rivolge, in questi casi più ‘delicati’ ai segretari del pontefice, che a loro volta li proporranno a lui. Il pontefice poi, darà una propria indicazione per la risposta. A volte, laddove vi sia un numero di telefono, non sembra sia impossibile ricevere una sua telefonata.

Perché le persone scrivono, chiedono preghiere, inviano piccoli doni, quali una poesia, una sciarpa fatta magari con le proprie mani dalla stessa scrivente. Lettere, direi, che chiedono, come in genere fanno le lettere, una qualche risposta, un certo riconoscimento dell’autore. Non credo si scriva al pontefice solo per passare il tempo. Sembra che queste istanze comunicative oggi vengano, almeno in larga parte, accolte.

laparolalettoriilgiornale1-5maggio19800003A qualche rubrica giornalistica o televisiva

Non si scrive solo al papa, naturalmente. Gli italiani – e anche qualche non italiano – amano evidentemente scrivere. Chi può essere un soddisfacente interlocutore, qualcuno di significativo, della cui eventuale risposta vantarsi, magari mostrandola, sventolandola? Esistono nomi noti, per lo più direttori di giornali e giornalisti, che a loro volta ricevono lettere le più varie, un’ampia corrispondenza. Certamente, anche in questo caso non credo che a tutte le lettere che giungono si dia risposta. Le risposte, quelle che si ottengono, possono essere pubblicate. Più raramente, si può ricevere una risposta privata. Esistono giornali specializzati, per la corrispondenza? A me sembra che questo sia un fatto presente un po’ in tutti i quotidiani, oltre che nei settimanali. Comunque tra gli scriventi qualcuno vede appagato il suo desiderio.

Certamente, se al pontefice si scrive in genere riconoscendo in lui un importante punto di riferimento spirituale, attribuendogli capacità di dare indirizzi spirituali, a un noto o meno noto giornalista ci si riferisce attribuendogli in genere una certa conoscenza del mondo, delle cose terrene, oltre che della politica. E credo ci sia anche da tenere presente una distinzione tra giornalisti uomini e donne: a queste ancora oggi mi sembra si possa ipotizzare che ci si rivolga soprattutto per parlare di un compagno, di un marito, di possibili problemi di rapporto di coppia e simili. Meno di politica o di economia: la divisione di genere in questi casi sembra ancora funzionare.

Senza alcuna pretesa di ordine statistico vorrei dire che ho potuto sfogliare alcuni quotidiani in data 11 ottobre 2019, in particolare «la Repubblica» e il «Corriere della Sera». Sulle pagine dei quotidiani si trovano subito notizie su Erdogan e i curdi, sul ritiro delle truppe americane voluto dal presidente Trump. Sono giornate di tensioni e di allarmi.

augiasLa Repubblica

Su «la Repubblica» c’è una pagina, la p. 35, deputata alla corrispondenza. Ospita due diverse rubriche, cioè le ‘Lettere di Corrado Augias’ e ‘Invece Concita’.  In questa data, la prima e.mail ad Augias – entrambe le ipotesi, lettera o e,mail,  sono contemplate – dà il titolo: Perché il mafioso non è un delinquente comune. La e.mail è firmata, il tema di fondo è quello dell’ergastolo ostativo. Lunga e articolata la risposta. Più in basso nella stessa pagina, sempre sul lato di sinistra di chi legge, altre quattro missive, che non sappiamo se siano giunte via posta o per e.mail, tutte con i nomi dei mittenti. Una dice che non bisogna dare giudizi affrettati, basati su un primo impatto, sull’apparenza. La seconda, di una donna, si associa a chi protesta per la incomprensibilità di certi programmi o dialoghi televisivi, difficoltà dovuta in parte alla musica alta che distrae e frastorna, in parte alla pronuncia e inespressività di certi attori. Una terza affronta il difficile tema dello sterminio degli ebrei da un’ottica particolare: si chiede come mai i neofascisti/nazisti di ogni latitudine non si vantino ad alta voce di quanto hanno fatto: «in qualche fogna social sarebbero applauditi ancora più forte», conclude. La quarta riguarda i curdi, il fatto che la Turchia farà di tutto per evitare un Kurdistan indipendente. Sottolinea le difficoltà dell’Italia, produttrice di armi… Quindi, argomenti di attualità politica e sociale, quelli proposti dagli scriventi. La pubblicazione in questo caso, anche in mancanza di risposte, mi sembra possa fare ipotizzare un certo consenso di fondo della testata in genere e di Augias in particolare, circa i contenuti proposti.

concitaSulla destra, nella stessa pagina, la lettera a Concita De Gregorio: non è indicato se si tratti di una e.mail o di una lettera, ma data l’età della scrivente, 82 anni, la scelta epistolare scritta mi sembra più probabile. Mi sembra una lettera interessante, che potrebbe essere molto utile per qualche studioso della emigrazione italiana. In questo caso, il paese di approdo è stato il Brasile. Una donna che lì ha studiato architettura e urbanistica, che aveva preso la cittadinanza brasiliana. Poi, per motivi di famiglia, un rientro in Italia, a 62 anni. Un Paese, chiarisce, che l’ha delusa moltissimo, che non dà la cittadinanza a chi studia e lavora qui da anni, che c’è magari cresciuto. Ancora, scrive di essere scandalizzata per l’incapacità da parte del Parlamento a fare una legge decente sul fine-vita e l’ingerenza dei vescovi sul tema.

Nella Cronaca romana de «La Repubblica» trovo la rubrica: “Ditelo a Repubblica”, di Stefano Costantini, con una sua immagine. Chi gli scrive e quante lettere sono presenti? Una prima osservazione: in questo caso si sollecitano e.mail, non lettere scritte. Questo esclude in qualche modo chi non utilizza il computer, forse persone anziane, forse strati poveri, forse intellettuali che non ritengono di voler usare questo mezzo di comunicazione. In questo senso si potrebbe discutere se sia più o meno semplice scrivere a papa Francesco o a un quotidiano. Comunque le e.mail sono tre. In una si lamenta il traffico sulla Cristoforo Colombo, l’impossibilità di girare per Casal Palocco, il mancato intervento dei vigili urbani, pur presenti in una macchina. La risposta è uno scontato richiamo alle condizioni del traffico romano, una esortazione a non occupare l’incrocio e rispettare gli altri. La rapida risposta chiude con un richiamo alla questione dei vigili: «Il caso dei vigili in auto è un’altra storia.» Come interpretare la frase? Come uno vuole, direi. Forse, una leggera nota di biasimo, ma senza troppo impegno. Le altre due lettere, entrambe firmate, come la precedente, trattano una di una zona pulita da detenuti sotto la sorveglianza di agenti penitenziari, (chiude così: «In conclusione, un plauso ai detenuti volenterosi e un rimprovero per chi non pratica l’educazione civica»), l’altra di una fontana verso via della Moschea, fontana da cui raramente si vede cascare l’acqua. In cambio, si dice, cresce una folta vegetazione, cadono sui marciapiedi foglie che lì rimangono e diventano ‘compost’. Queste due lettere non hanno commenti.

Tutte e tre rinviano al degrado della città, un fatto che è ormai da tempo sotto gli occhi di tutti, ampiamente denunciato: non che si siano avute per questo migliori politiche a livello comunale per una città più vivibile e pulita. Temi quindi un po’ scontati ma, se si vuole, sociali. E possibilità concreta di una qualche risposta (una su tre), oltre alla visibilità, alla soddisfazione di avere scritto da bravi cittadini.

lettera-a-conti-corseraCorriere della Sera

Il CdS presenta due diverse pagine di corrispondenza. Una, posta a p. 9, riporta lettere o e. mail o fax (queste, le modalità previste), messaggi tutti indirizzati a Paolo Conti, relativi a Roma (Una città, mille domande). Sei in tutto, in questo caso. Uno, relativo al traffico romano, alle infrazioni quasi inevitabili, date le circostanze. Un’altra, in cui si evidenzia il fatto che vi è chi chatta mentre guida, con rischi vari. Un altro messaggio riguarda i «furbetti dell’immondizia», ed è vicina per tema ad un’altra che sempre tratta di «sporcizia, rifiuti e degrado: è quanto ci meritiamo»: un’affermazione perentoria che resta poco giustificata. Vi è anche una lettera o e. mail (più raro, immagino, oggi, un fax) riguardante la Garbatella, «gioiello da proteggere», con le sue abitazioni dei primi del ‘900, area abbandonata invece a graffiti, erbacce, cassonetti stracolmi.  L’unica lettera cui Paolo Conti in questo caso dà risposta riguarda il degrado del Giardino della Giustizia in via Luigi Schiavonetti. Ventisette querce secche, quelle già dedicate a magistrati uccisi dalla malavita. Una lettera di deplorazione naturalmente condivisibile, condivisa dal destinatario, che deplora una delle «grandi vergogne simboliche» di questa amministrazione.

Contenuti quindi piuttosto prevedibili e condivisi, quelli sul traffico impossibile, sul degrado della città. Il destinatario risponde al solo messaggio che apre orizzonti simbolici più ampi, chiamando in causa la giustizia, i magistrati uccisi.

dsrgifewsaavczrVi è poi un’altra pagina con messaggi indirizzati a “Lo dico al Corriere”, cui risponde Aldo Cazzullo. Anche qui, più lettere o e.mail, di cui una dà lo spunto per il titolo, Campagna povera, città ricca. La mappa della disunità europea. Il discorso parte da una cartina dell’Europa uscita il giorno 9, riportata in data 11. Una mappa a diversi colori, che dà conto delle forti diversità di situazioni all’interno della stessa Unione Europea, dell’esistenza di un’area centrale molto ricca (v. Germania, Austria, Nord Italia escludendo però il Piemonte), di contro a una periferia povera, v. il sud d’Italia, l’Andalusia, l’Estremadura, oltre alla quasi totalità dei Paesi dell’Est, per non dire di zone post industriali della GB. Le città, spiega Cazzullo, sono più ricche delle campagne, come è noto. Ma lui sottolinea un dato che forse non tutti conoscono, vale a dire che in genere le città votano a sinistra, laddove i populisti invece sembrano affondare le loro radici nella campagna, oltre che nelle periferie.

Altri messaggi sono pubblicati, ma senza risposta: uno in cui si elogia l’atteggiamento di Manuel Bortuzzo, il giovane colpito nelle gambe, che si è espresso con moderazione, di fronte alla ventilata ipotesi del fine pena; un Marco Garegnani spiega quanto costino, in un anno, le transazioni bancarie, l’uso delle carte di credito, un altro interlocutore scrive da Garbagnate Milanese per parlare di energia pulita, per auspicare un più diffuso uso di pannelli fotovoltaici. Un altro interlocutore si occupa e si preoccupa per la assistenza domiciliare agli anziani e su centri per le emergenze, con ricoveri di pochi giorni. La pagina riporta inoltre una fotografia al centro, in questo caso, un divieto di giocare a palla, foto di un lettore. E in basso, una lettera sul tema dell’incontro con un uomo amato, da parte di una Vittoria – viene annunciato che ogni venerdì verrà pubblicata una missiva in tema. Una lettera o e. mail, quest’ultima, che forse avrebbe potuto essere indirizzata a Giulietta. Ma è stata inviata invece al CdS,  per cui il lettore può vederla, ponderarla, trarne spunti di riflessione.

Di spalla poi uno scritto a sé, di Massimo Gaggi, su «USA, venti di crisi, costituzionale». E non è tutto: con i quotidiani escono, il venerdì, vari settimanali. E anche questi sembrano avere una certa attenzione agli scritti che vengono dai lettori, alla corrispondenza con loro.

unautentica-finzione-caso-studio-di-massimo-gramelliniI settimanali abbinati

Hanno rubriche di Lettere varie sia il «Venerdì di Repubblica» (Questioni di cuore, di Natalia Aspesi e Per posta, di Michele Serra) che 7 del Corriere della Sera (v. 7 di cuori, di Massimo Gramellini che 7 e mezzo, di Lilli Gruber. In entrambi i casi sono riportate le e.mail degli interlocutori).

Iniziamo da Massimo Gramellini.  Trovo interessante che per una volta sia un uomo il destinatario di lettere che hanno a che vedere con il cuore. Anche qui, tre lettere e una risposta: ma stavolta ampia, articolata.  E prima di tutto una nota redazionale, sormontata da un sette di cuori, sulla sinistra della prima delle due pagine dedicate, espressa per lungo, in rosso. Qui riportata invece, necessariamente, in orizzontale:

«Il 7 di cuori è la/carta che indica/la seconda/possibilità, /l’occasione che/si ripresenta, / l’opportunità di/portare a termine/ qualcosa rimasto /incompiuto. Per/noi è l’invito a/ ricominciare/a partire alla/ riscossa, / accettando e/ assecondando il/ cambiamento. In /quale direzione? / Con questa/ rubrica vogliamo/ aiutarvi a/sceglierla: scrivete/a…»

E segue l’indirizzo e.mail. Gramellini a questa lettera (a questa e.mail, in realtà) dà una ampia, articolata risposta, sotto il titolo “Francesca ragionevolmente irritata”. Frasi significative, di lei che scrive, di lui che risponde sono anch’esse proposte a sé, in rosso. Più brevi le altre due missive, date al lettore senza risposta da parte del destinatario. Una innovazione interessante, direi, quella di avere un uomo che risponde a messaggi che propongono temi intimistici. ‘Posta del cuore’, si sarebbe detto, un tempo.

gruberSubito dopo, la posta indirizzata a Lilli Gruber. Anche qui il rosso evidenzia righe che potrebbero altrimenti sfuggire a un lettore distratto. Il titolo, ben visibile data la grandezza dei caratteri, recita: «Greta va ascoltata. I sedicenni come lei devono poter votare». Un’affermazione, questa, evidentemente soggettiva e discutibile: ma qui porta come una verità indiscutibile. E un altro tratto interessante riguarda la sproporzione tra il testo della e.mail e quello della risposta. Si tratta di sette righe su metà pagina, da parte dello scrivente.  Sessantacinque righe su due colonne, la risposta della Gruber. Risposta a mio parere molto soggettiva, qui porta come si trattasse di verità sacrosante. Senza alcuna apparente preoccupazione per l’eccessiva esposizione mediatica di una ragazzina che non si sa come diventerà adulta, essendo stata privata di alcune possibilità basilari quali uno studio sistematico.

Anche «il Venerdì di Repubblica» si avvale di alcune rubriche di lettere. Una, ‘Questioni di cuore’, è affidata a una firma storica, quella di Natalia Aspesi; l’altra, ‘Per posta’ (ma sarà proprio così?) ad un nome anch’esso in campo da tempo, quello di Michele Serra.

schermata-2017-10-06-alle-11-17-12Quelle indirizzate alla Aspesi sono dichiaratamente e.mail. Tre, quelle pubblicate, due firmate e una no, a protezione, chiaramente, della scrivente, sotto il titolo: ‘Smettetela di contarci gli anni’, che si riferisce al primo messaggio. Gli altri due: ‘Peggio la violenza del sesso in TV’; il terzo: ‘Guai a cercare su google un vecchio amore’. A tutte e tre risponde la giornalista.  Che sa fare bene il proprio mestiere, che risponde con buon senso, ma anche con analisi a volte durette per chi ha scritto. Il tutto prende due pagine, su una delle quali è rappresentato su sfondo azzurro e verde un tronco grigio. Sopra, un cuore sanguinante tenuto lì fermo da un coltello. Una allegoria, mi sembra, rispondente ai contenuti delle lettere, legate spesso a temi amorosi. Meno alle risposte, razionali, di buon senso, con tratti in cui si hanno pennellate di humor.

venerdi280214Comunque anche Michele Serra prende due pagine, anche qui vedo che sopra all’apertura è riportata la e.mail, oltre all’indirizzo postale: siamo destinati a rimanere nel dubbio, circa le vie percorse per giungere a Michele Serra da parte degli scriventi. In questo caso sul numero dell’11 ottobre 2019, i messaggi pubblicati sono quattro: uno sul mondo del lavoro, cui Serra risponde in modo articolato ed ampio. Altri due riguardano il voto ai sedicenni (qui prevale una posizione critica in merito) e lo jus culturae, caldeggiato, riconosciuto come importante, con il Global compact. Serra sembra sulle stesse posizioni degli scriventi. Non è d’accordo, quindi, ma non è necessario esserlo, con Lilli Gruber. L’ultima lettera parla di un politico che falsifica la realtà, che esibisce come vittima di Bibbiano una bambina che è in realtà contesa dai genitori. Offre eventuale aiuto legale al titolare della rubrica per l’epiteto rivolto a un ex ministro. I messaggi sono tutti commentati.

Cosa vorrei sottolineare, a proposito di lettere e e.mail cui si è qui accennato? Direi che ancora ai nostri giorni, all’interno di società di massa sempre più allargate, di fronte a istanze di travalicamento di confini, permangono esigenze, abitudini diverse, legate alla ricerca di relazioni interindividuali ritenute importanti, significative. Se si scrive al papa, se si scrive a un nome noto dei media, ciò vuol forse sottendere il desiderio di comunicazione sì, ma anche di un particolare riconoscimento. Di una comunicazione interpersonale. Se scrivo e la mia lettera viene pubblicata, se invio una e.mail cui mi verrà pubblicamente risposto, in qualche modo emergo dall’anonimato. Avanzo considerazioni che sono state ritenute rilevanti da un personaggio pubblico. Se mi dovesse rispondere qualcuno a nome di papa Francesco, potrei certamente rallegrarmene con familiari e amici, magari riuscire a dare veste pubblica alla risposta.  La pubblicazione di una lettera è di per sé, credo, per chi l’ha scritta, un fatto a tutti gli effetti positivo, anche in mancanza di una risposta. È, mi sembra di poter dire, una fonte di soddisfazione e rassicurazione. Che può accrescersi, se la risposta esiste, è visibile, se la si può mostrare ad altri.

Interlocutori diversi, certamente, il pontefice o i giornalisti con rubriche su quotidiani e settimanali: ma con qualche possibile caratteristica in comune, paradossalmente. Intanto, sono tutti interlocutori realmente esistenti, di cui si può conoscere il pensiero, seguire certi pubblici comportamenti. Si sa, si può sapere dove vivono, come trascorrono il tempo, in buona parte, cosa pensano di certi temi e problemi: anche se questo è forse più vero, paradossalmente, per il papa che non per i giornalisti, per i comunicatori. Comunque, interlocutori concreti. Nulla a che vedere con una immaginaria Giulietta. Con un Dio lontano, da cui non è pensabile avere risposte scritte, condivisibili con amici e conoscenti, anche se si inviano lettere per lui a Gerusalemme.

Qui l’interlocutore è sì lontano ma esistente. Forse non risponderà lui in prima persona, ma risponderà comunque qualcuno da lui delegato, che a lui fa capo, nel caso del pontefice. Nel caso di quotidiani e settimanali, non sappiamo se viene risposto ad ogni missiva – cosa che non credo sia possibile – ma comunque si può correre questo rischio: se la lettera o la e.mail non verrà pubblicata, poco importa, poiché questo fatto increscioso non emergerà. Se invece vedrà la pubblicazione, se potrà emergere alla luce, si potrà avere la soddisfazione di additare pubblicazione e risposta ad amici e conoscenti. Nella società di massa, una piccola, importante, significativa relazione a due, interpersonale e significativa. Un’esigenza, sembra, ancora oggi molto sentita. Comprensibile.

Chi sa che qualche giovane studioso e qualche giovane studiosa non vorranno interessarsi in modo più sistematico a questi temi?

Dialoghi Mediterranei, n. 41, gennaio 2020
 Note
[1] Mons. Gallorini, classe 1944, sacerdote dal 1967, toscano di nascita, ha fatto parte della diocesi di Siena- Colle Val d’Elsa- Montalcino; è stato poi in servizio alla Segreteria di Stato, Capo Uff. 1° sezione V. In News Cattoliche Quotidiano di informazione on line, 30 gennaio 2014, il pezzo in merito del direttore Franco Mariani.
[2] Canonista, mons. Cesare Burgazzi, classe 1958, ha lavorato per circa venti anni presso la Segreteria di Stato. Era stato nominato da Benedetto XVI capo ufficio della sezione per gli Affari Generali, con particolare riferimento alle onorificenze: carica che tutt’ora mantiene. Le sue risposte sono a volte pubblicate da qualche testata; altre volte, rese note dai destinatari.

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Maria Immacolata Macioti, già professore ordinario di Sociologia dei processi culturali, ha insegnato nella facoltà di Scienze politiche, sociologia, comunicazione della Sapienza di Roma. Ha diretto il master Immigrati e rifugiati e ha coordinato per vari anni il Dottorato in Teoria e ricerca sociale. È stata vicepresidente dell’Ateneo Federato delle Scienze Umane, delle Arti e dell’Ambiente. È coordinatrice scientifica della rivista “La critica sociologica”  e autrice di numerosissime pubblicazioni. Tra le più recenti si segnalano: Il fascino del carisma. Alla ricerca di una spiritualità perduta (2009); L’esperienza migratoria. Immigrati e rifugiati in Italia (con E. Pugliese, nuova edizione 2010); L’Armenia, gli Armeni cento anni dopo (2015), Miti e magie delle erbe (2019).

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