Dare voce ai dimenticati, a chi, come parte di una trama invisibile, sopravvive di stenti nei borghi e nelle periferie abbandonate delle grandi metropoli, ai margini dei sistemi di produzione. Sono barboni e prostitute, facchini e posteggiatori abusivi, spesso migranti scampati alle stragi in mare del Mediterraneo: gente che vive così, occasionalmente, alla giornata, di piccoli furti o di elemosina, a volte spostando i pacchi dei grandi magazzini, o scavando le fosse nei cimiteri.
Un sottoproletariato urbano che richiama subito lo sguardo e l’attenzione di Pier Paolo Pasolini verso gli ultimi del Pigneto o di Centocelle, gli stessi che rivivono in Accattone o in Ragazzi di vita, rivelando, pur nel degrado delle loro esistenze, una carica umana inaspettata. Proprio là «dove credi che la città finisca e dove invece ricomincia» e dove «nei rifiuti del mondo nasce un nuovo mondo» (Pasolini 1961), il poeta friulano riusciva a cogliere una purezza innocente, per certi versi simile a quella delle sue campagne d’origine, simile perfino nella diversità, accomunate dal fatto di essere rimaste fuori dalla grande mutazione antropologica della società dei consumi.
La poetica di Pasolini, le sue riflessioni, la sua sensibilità controcorrente hanno sempre accompagnato tutta l’opera artistica e letteraria di Ascanio Celestini, antropologo di formazione e narratore, autore di molti spettacoli teatrali, tre dei quali Laika (2015), Pueblo (2017) e Rumba (2021), sono ora riuniti in un volume pubblicato di recente da Einaudi dal titolo Poveri Cristi: sono gli umili, i piccoli, i deboli, i colpevoli, i sudditi, gli infimi e i derelitti, come li definiva Pasolini in una bellissima poesia dal titolo Profezia, ora in Alì dagli occhi azzurri (1962).
C’è la prostituta finita per strada in seguito ad una delusione amorosa, e Domenica la barbona che si ciba dei prodotti scaduti del supermercato, c’è Said che ha attraversato il deserto riuscendo a salvarsi dai naufragi e ora è vittima del videopoker e delle slot machine, lo zingaro di otto anni che non va a scuola e resta tutto il giorno immobile a fumare sigarette, l’ubriacone che dorme nel parcheggio dove bivacca bevendo sambuca, c’è la donna con la testa “impicciata”, colpita da alzheimer, e Joseph il seppellitore… Tutto si svolge lì in quel piazzale dove non succede niente e dove il tempo sembra essersi fermato, ma nel quale ogni giorno si scontano la fatica e l’umiliazione del lavoro, la rabbia e la solidarietà umana di chi non ha nulla da perdere. Tutto resta lì ai confini di un mondo sommerso che non è visibile a nessuno e di cui a nessuno importa niente ma che diventa notizia sulla stampa solo in occasione di qualche crimine per poi cadere nuovamente nell’oblio.
Ma è proprio questo il proposito di Celestini: raccontare l’ordinarietà del quotidiano, raccontare le vite anonime e insignificanti di chi ogni giorno affronta il dramma della sopravvivenza, superandolo quasi per miracolo, per un prodigio.
I personaggi delle sue storie, ambientate a Quadraro, un quartiere della zona sudorientale di Roma, sono tutti di pasoliniana memoria e, come tali, non hanno alcun rapporto con ciò che sta in alto: né col potere politico, economico, militare o religioso, né con le vette della cultura e della scienza. Nessuna aspirazione quindi, nessun sogno, nessuna prospettiva. Nessuna voglia di migliorarsi, solo rassegnazione. Ma forse è proprio questa condizione da ultimi, che un giorno li porterà ad essere primi, secondo la parabola di Gesù. “Cristo, infatti, non è sceso dal cielo, ma è salito dalla terra”. Sono parole dell’autore.
Quello del narratore non fa parte soltanto di un progetto artistico, ma riguarda una scelta di vita. La sua idea è quella di raccontare le storie dei mendicanti, che ogni giorno sbarcano il lunario non si sa come e di riuscire a trovare le parole giuste per chi non possiede neanche una lingua per raccontarsi. Da antropologo adotta la tecnica della ricerca sul campo nel quartiere dove è nato e cresciuto, registra e raccoglie le storie di vita degli emarginati, le riascolta, trascrive le interviste e le ricompone adottando la loro lingua. Tutto questo lavoro di indagine e studio si traduce in una performance teatrale in forma di monologo rivolto ad un ipotetico ascoltatore, Pietro, che, nella realtà del sipario è il musicista Gianluca Casadei. Da questa interazione tra musica e parole, nasce lo spettacolo per il pubblico, sullo sfondo di una scenografia ridotta all’essenziale dove gli unici arredi sono le casse di bottiglie assemblate l’una sull’altra.
La cosa sorprendente è che nella trasposizione dall’oralità alla scrittura del libro, l’opera di Ascanio Celestini conserva la sua musicalità, la freschezza e la vivacità di una lingua che rimane essenzialmente un parlato. È una lingua nuova, comprensibile a tutti, quella che Celestini trascrive dalle sue interviste ed è la lingua dei suoi informatori.
Figlio di un restauratore di mobili, Ascanio prosegue l’opera del padre restaurando le vite dei suoi soggetti privilegiati e riaffermandone così la loro dignità. Rende note esistenze altrimenti anonime e fa sì che anche i poveri entrino a far parte della Storia così come era stato, quasi due secoli fa, per il ciclo dei vinti di Giovanni Verga.
In definitiva quella del nostro autore è una missione: raccontare le storie di chi non sa raccontarle. È questo il compito dello scrittore o del regista, scrivere la storia di tutti, non soltanto dei vincitori. L’antropologo che si accosta agli altri per ricomporre, nel racconto, la loro identità, sa che il suo lavoro è in fondo un’operazione di contaminazione culturale, fra l’autore e il barbone eritreo, fra il musicista e il becchino del cimitero di Lampedusa, in quel piazzale a ridosso del supermercato, dove i facchini trasportano i pacchi senza conoscerne il contenuto, e i mendicanti si alimentano dei cibi scaduti, dove chi ha la fortuna di avere un tetto sulla testa vive, insieme ad altri, in un monolocale di 35 mq.
La pubblicazione di Poveri Cristi diviene allora un atto di denuncia politica contro la società attuale, fondata esclusivamente su valori materiali, del denaro e del potere. Un trumpismo dilagante che, col suo individualismo sfrenato ci sta conducendo lentamente alla rovina.
Con Pasolini, Ascanio Celestini ci mostra un’altra via da seguire, un’inversione di tendenza che fa appello alla parola del Vangelo, alla parabola esistenziale di Cristo sulla terra, ultimo fra gli ultimi. Richiama in più occasioni le parole di Matteo quando per primi apre le porte del regno dei cieli ai peccatori e alle prostitute (21,28-32), o i passi di Giacomo nei protovangeli quando attacca i ricchi dicendo che l’oro che posseggono verrà mangiato dalla ruggine insieme alle loro carni (5,2-3).
Non è un caso infine che l’ultimo spettacolo presente nel volume, Rumba, rechi come sottotitolo “l’asino e il bue del presepe di San Francesco nel parcheggio del supermercato” dove immagina il poverello d’Assisi fra i barboni del piazzale, pronto ad allestire la sua Natività. Un modello da tenere sempre presente in questi tempi oscuri dominati da venti di guerra: San Francesco è stato un uomo controcorrente, perché pur essendo ricco, scelse non solo di essere povero, ma di farsi servo dei poveri. Un cavaliere che non volle più fare la guerra e che da frate, si recò in Terra Santa per predicare la pace e la fratellanza.
Le storie di Ascanio Celestini e dei suoi eroi ci invitano a ripensare l’umanità in termini solidali e non di aggressione e sopraffazione dei forti sui deboli per il dominio. Forse siamo ancora in tempo per intraprendere scelte diverse, ma in ogni caso questo libro suona oggi come un grido d’allarme.
Dialoghi Mediterranei, n. 73, maggio 2025
Riferimenti bibliografici
Celestini Ascanio, 2025 Poveri Cristi, Torino, Einaudi
Pasolini, Pier Paolo, 1961 La religione del mio tempo, Milano, Garzanti
1975 Scritti corsari, Milano, Garzanti
2022 Alì dagli occhi azzurri (1961), Milano, Garzanti.
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Orietta Sorgi, etnoantropologa, ha lavorato presso il Centro Regionale per il catalogo e la documentazione dei beni culturali, quale responsabile degli archivi sonori, audiovisivi, cartografici e fotogrammetrici. Dal 2003 al 2011 ha insegnato presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Palermo nel corso di laurea in Beni Demoetnoantropologici. Tra le sue recenti pubblicazioni la cura dei volumi: Mercati storici siciliani (2006); Sul filo del racconto. Gaspare Canino e Natale Meli nelle collezioni del Museo internazionale delle marionette Antonio Pasqualino (2011); Gibellina e il Museo delle trame mediterranee (2015); La canzone siciliana a Palermo. Un’identità perduta (2015); Sicilia rurale. Memoria di una terra antica, con Salvatore Silvano Nigro (2017).
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