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Ripensare l’architettura del vivere con Frank Lloyd Wright
Posted By Comitato di Redazione On 1 gennaio 2021 @ 02:21 In Cultura,Letture | No Comments
«Andando in giro ho osservato costruzioni e costruzioni in tutto il Paese. E ogni volta che una casa colpiva la mia fantasia venivo a sapere che era stata fatta da lui» [1]. “Lui” è Howard Roark, giovane e talentuoso architetto, deciso a rinunciare a fama e carriera pur di non scendere mai a compromessi con i suoi ideali. È un uomo integro e fedele a sé stesso, che lotta contro i pregiudizi e contro le convenzioni. E lo fa soprattutto con la sua rivoluzionaria architettura. Roark è il protagonista del libro di Ayn Rand The Fountainhead pubblicato negli Stati Uniti nel 1943. Leggendo il volume non si può fare a meno di essere attratti da quest’uomo così fuori dagli schemi e dal carisma magnetico. Difficile staccarsi da un personaggio simile senza provare il desiderio di possedere il suo fascino. La sua figura pervade l’intero romanzo e continua anche dopo aver letto l’ultima pagina.
Ancora oggi il libro resta tra i più amati in America, un libro di culto, un romanzo senza tempo. La trasposizione cinematografica, in cui Roark veniva interpretato da un seducente Gary Cooper, è del 1949 quando il volume contava già mezzo milione di copie vendute. Nonostante il successo del libro, il film non fu apprezzato dal pubblico né dalla critica. Tuttavia, nel corso degli anni vari registi, tra cui Michael Cimino, Oliver Stone, Zack Snyder, affascinati ancora dal romanzo hanno dichiarato l’interesse ad un nuovo adattamento cinematografico.
In Italia, è stato pubblicato nella sua prima edizione nel 1946 con il titolo La Fonte Meravigliosa [2]. La copertina dell’edizione italiana del 1996 [3], colpisce immediatamente per l’iconica immagine de La casa sulla cascata di Frank Lloyd Wright [4]. Quel “lui”, l’Howard Roark del libro della Rand, altri non è, infatti, che il famoso architetto americano. O meglio, è a lui che la scrittrice si è ispirata portando nel romanzo la figura di un architetto che inaugurava un modo rivoluzionario di concepire e approcciarsi all’architettura. E non solo all’architettura.
Come il protagonista del libro della Rand, Wright non conseguì mai la laurea in architettura. Eppure è ancor oggi considerato uno dei maestri dell’architettura del ventesimo secolo, nonché il fondatore dell’architettura moderna. Per molti è ancora oggi “il più grande architetto americano di tutti i tempi”. Nel 1991 da un sondaggio realizzato dall’American Institute of Architects, emergeva come Frank Lloyd Wright fosse considerato un vero visionario. Intraprese la sua carriera nella città di Chicago nel 1893, partecipando alla sua ricostruzione dopo il Big Fire del 1871 [5], ma viaggerà e lascerà la sua preziosa testimonianza in tutti gli Stati Uniti d’America. I suoi insegnamenti restano validi e sono tuttora fonte di ispirazione in tutto il mondo.
Credeva fortemente e senza riserve nella potenza della relazione tra l’edificio e i suoi abitanti, sostenendo che l’architettura fosse la «Madre di tutte le arti». Era solito affermare che «Senza architettura, la nostra civiltà non ha anima». E in effetti, il suo approccio di stretta relazione fra l’architettura, l’arte e la natura, era tale da fargli dichiarare:
E in effetti, Wright era profondamente legato alla cultura americana romantica e vitalistica di fine ‘800, di cui accoglie l’esigenza di un rapporto immediato e diretto con la natura, oltre ad uno slancio verso frontiere sempre nuove da oltrepassare. La ricerca architettonica di Frank Lloyd Wright si è basata soprattutto sul concetto che spazio e natura circostante sono in stretta connessione, in un dialogo costante e che si rinnova continuamente con il mutare del contesto circostante. Costruzione e natura diventano nella sua formulazione teorica, un tutt’uno:
Da qui nasce l’idea di architettura organica, di fatto divenuta una branca dell’architettura moderna, che accompagnerà Wright in tutta la sua produzione. Un’architettura basata su questa base teorica trainante, si pone a distanza dalla mera ricerca estetica o del semplice gusto superficiale. È un’architettura che promuove un’armonia tra l’uomo e la natura, la creazione di un nuovo sistema in equilibrio tra ambiente costruito e ambiente naturale attraverso l’integrazione dei vari elementi artificiali propri dell’uomo.
L’aggettivo “organico” nella riflessione architettonica risale all’inizio del Novecento, ma è sicuramente con Frank Lloyd Wright che questo pensiero prende forma definendone caratteristiche e base teorica. E soprattutto ad applicarle sistematicamente nella realizzazione dei suoi progetti. Wright utilizza il termine organico per la prima volta nel 1908, poi in un famoso articolo del 1914 per Architectural Record, e ancora nel libro Organic Architecture [8], pubblicato nel 1939, come trascrizione di quattro conferenze tenute nello stesso anno al RIBA – Royal Institute of British Architects di Londra. In Italia è Bruno Zevi [9] nel suo libro in Verso l’architettura organica [10] che riprende la filosofia di Wright, ridisegnando in un saggio lo sviluppo del pensiero architettonico negli ultimi cinquant’anni.
La Fallingwater House [11], a noi nota come La Casa sulla cascata, è la testimonianza più esemplare e significativa di “architettura organica”, dove la relazione con il paesaggio diventa anche compenetrazione fisica tra l’edificio e la cascata su cui sorge:
A partire dal concetto di architettura organica occorre recuperare il senso di società organica intesa anche come volano dell’immaginario, di narrazioni, di possibilità di realizzare i propri progetti, di promuovere il rapporto con la natura, di generare emozioni e sorprese. La società organica dovrebbe essere indipendente da ogni imposizione esterna contrastante con la natura dell’uomo. Occorre recuperare la capacità di educare alla vita e alla bellezza dello spazio intorno a noi.
La recente consapevolezza della nostra fragilità legata alla pandemia da Covid-19, ci porta ad un continuo ripensamento delle basi su cui si sviluppa l’intera nostra vita. Non si può uscire da un periodo storico come quello che stiamo vivendo voltando semplicemente le spalle a quanto accaduto. Non è possibile liberarci dalle vibrazioni provate nel corso della lunga solitudine. Non si può soprattutto perché quello che ci è accaduto ci ha aperto gli occhi sulle conseguenze della distruzione progressiva delle risorse naturali del pianeta a seguito del surriscaldamento e delle sue conseguenze climatiche, della riduzione del patrimonio forestale e con esso dell’habitat naturale di molte specie animali con i relativi microorganismi, della riduzione progressiva della biodiversità, dell’inquinamento delle acque e dei terreni. Secondo studi di carattere biologico, biomedico e biosociale, le emergenze virali di oggi sono il portato di un innaturale predominio della specie umana sul resto delle forme viventi e di uno sconvolgimento degli equilibri del pianeta [13].
Rileggere Wright potrebbe essere di grande utilità. Nelle sue parole, si ritrova la forza dirompente di una naturale trasposizione dall’architettura alla società nella sua interezza:
E ancora, il richiamo ad una rilettura dello spazio che ci circonda e di ciò che tale spazio accoglie:
La speranza per tutti è, dunque, quella che muove da una riflessione collettiva e condivisa per una nuova arte del vivere in grado di farci ritrovare la giusta misura di abitare il nostro tempo.
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