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Retoriche, ambiguità, potenzialità e utopie nel dialogo fra fedi religiose
Posted By Comitato di Redazione On 1 gennaio 2017 @ 01:23 In Cultura,Religioni | 2 Comments
Le argomentazioni qui proposte su questo delicato e attualissimo tema – non avendo io competenze di teologia – sono quelle di un comune cittadino che vive e analizza il suo tempo, osservandolo sotto l’inevitabile lente della deformazione professionale insita nell’ambito di ricerca in cui ha operato. Per limitare i miei inevitabili pregiudizi (nessuno ne è immune!), cercherò di fare come fece Giovanni Keplero nel suo Somnium (Kepler, 1984), quando, allo scopo di verificare la veridicità dell’ipotesi eliocentrica di Copernico, immaginò di osservare il cosmo e la Terra dalla superficie lunare, così da ampliare il suo campo di vista, limitando nello stesso tempo ogni coinvolgimento culturale ed emotivo, sempre foriero di giudizi preconcetti. Questo non vuol dire che l’analisi che farò sarà necessariamente obiettiva; se è vero, infatti, che dall’alto le cose si vedono più freddamente nella loro globalità e nelle loro interconnessioni, è anche vero che dall’alto si possono perdere dettagli importanti.
Per completezza, sempre per allontanare ogni presunzione di obiettività, aggiungo quanto ho già espresso in un precedente lavoro (Buccheri, 2016: 5), e cioè che ogni ragionamento, per quanto rigoroso, contiene sempre uno o più elementi non dimostrabili – elementi che sul piano formale possiamo assimilare a pregiudizi – e pertanto le sue conclusioni non possono mai portare verso verità assolute; lo stesso metodo scientifico può condurci a verità condivisibili solo nell’ambito delle nostre esperienze quotidiane, sempre che i fatti su cui sono basate siano verificabili sperimentalmente.
Possiamo di sicuro ritenere un fatto assodato la circostanza che la fede religiosa, la quale, secondo William James, «[…] consiste nel credere che esiste un ordine invisibile e che il nostro bene supremo è l’adattamento armonico ad esso. In questa convinzione e in questo adattamento consiste l’atteggiamento religioso dell’anima» (James, 1902), venga esercitata in ogni parte del mondo dalla stragrande maggioranza degli individui, al di là delle singole peculiarità dogmatiche e rituali. Nel concreto, è verosimile che taluni presupposti che stanno alla base di ogni specifico credo e le conseguenti modalità di esercizio dipendano in buona parte da usi e giudizi elaborati e condivisi nell’ambito di proprie tradizioni millenarie ereditate dalla società in cui si vive; tradizioni emerse, ad un certo stadio dell’evoluzione sociale di ogni popolo, dal carisma comunicativo di personaggi dalla enorme forza ideale, capaci cioè di trascinare grandi masse di popoli verso cambiamenti epocali che si sono poi consolidati nei secoli, permeando la cultura delle genti a venire e che tuttavia, con il tempo, hanno prodotto una grande varietà di frammentazioni, dalle più radicali alle più moderate, che inevitabilmente si riflettono sul dialogo reciproco.
Evoluzione ‘caotica’ dei Modelli Mentali di Realtà
Questa situazione di frammentazione non deve sorprendere: se è vero, infatti, che vivere nello stesso ambiente sociale implica la condivisione di usanze, tradizioni e modi di essere e di agire, è anche vero che ogni singolo essere umano, pur vivendo e operando nello stesso ambiente sociale, vive esperienze diverse nel corso della vita. Questo è un valido motivo per cui le sue valutazioni sulla realtà e sul senso della vita (come anche sull’esercizio della fede), pur avendo una base comune, non potranno mai essere del tutto identiche a quelle di un altro.
Nel suo La nouvelle alliance (Prigogine-Stengers, 1981), Ilya Prigogine (Premio Nobel 1977 per la chimica), osservò che la natura obbedisce sempre a un principio generale per il quale l’evoluzione temporale di tutti i fenomeni complessi avviene sempre attraverso la formazione e lo sviluppo di ordine per mezzo dell’autoorganizzazione, auspicando uno studio culturalmente unificato di tutti i fenomeni naturali, in qualsiasi ambito: scientifico, umanistico, economico, politico e sociale. La sfida fu colta in ambito sociale da Philip Johnson-Laird con i suoi studi sui cosiddetti Modelli Mentali di Realtà (Johnson-Laird, 1988) che già Kenneth Craik aveva descritto molti anni prima, anticipandone il concetto (Craik, 1943).
Il Mental Model of Reality (MMR) contiene la nostra visione globale del mondo, costituita dall’insieme delle valutazioni tratte dalle tante e disordinate esperienze vissute giorno dopo giorno e da tutti quegli aspetti legati alla coesistenza sociale (leggi, tradizioni, fede religiosa), interconnessi in un unico costrutto mentale atto ad interpretare la realtà e agire di conseguenza. Ogni visione individuale, tuttavia, oltre a tenere conto della enorme quantità di informazioni ricevute dall’esterno, comprende anche dati aggiuntivi non verificabili, acquisiti per intuizione o per credo (ideologico, religioso, politico, ecc…) e resi necessari per una visione quanto più organica possibile (anche se intrecciata da ambiguità e contraddizioni), in funzione delle necessità fisiche e psichiche individuali contingenti (Buccheri, 2005: 3-21).
Ogni singola visione è affetta da continue, temporanee, instabilità per effetto della interazione con gli altri individui della società e con l’ambiente esterno; instabilità che sottopongono l’MMR a continue modifiche, producendo variazioni che si ripercuotono anche sul confronto con gli MMR degli altri individui. A conferma dell’intuizione di Prigogine, il processo di interazione non è lineare e non è uguale per tutti, e presenta importanti analogie con i processi ‘caotici’ [1] per il fatto di incontrare di continuo dei punti di biforcazione che implicano scelte a cui rispondiamo in funzione del nostro stato (fisico, mentale, economico ecc.) contingente; scelte che, nell’evoluzione della propria visione, comportano di certo potenzialità ordinative future ma anche ambiguità, sia intrinseche che nel confronto reciproco, oltre che accomodanti retoriche e distanzianti utopie nei casi più estremi.
Il continuo confronto fra i modelli mentali dei singoli individui di ogni gruppo sociale fa comunque evolvere al suo interno un «modello sociale di realtà» (SMR, Social Model of Reality), una specifica visione collettiva del gruppo che, insieme ai SMR degli altri gruppi sociali, contribuisce, per esempio, alla definizione consensuale di metodologie di indagine nelle scienze e di regole di comunicazione (Hack-Battaglia-Buccheri, 2005: 164). La stabilizzazione di questi modelli è temporanea e soggetta, come per i singoli MMR, a continui punti di biforcazione (nuove scoperte, rivoluzioni, eventi eccezionali che coinvolgono l’intera comunità) evolvendosi mediante nuovi processi di auto-organizzazione verso modelli sociali più avanzati e comunque tendenti, con il tempo, a ridursi di numero per abbracciare un modello condiviso da una popolazione sempre più numerosa.
Un progetto nella materia vivente
La stessa specificità della materia vivente alimenta la frammentazione fra i singoli MMR. Come descritto in un altro mio precedente lavoro (Buccheri, 2016: 9), già ai primordi della vita, ancora nella fase di formazione della cellula vitale, emerge nel modo imprevisto e impredicibile – che ho definito cautelativamente ‘metafisico’ – il ‘progetto’ costituito dalla capacità di ‘informazione’ che acquista improvvisamente la materia inerte permettendo, con la formazione del DNA, la definizione e lo sviluppo programmato delle caratteristiche del vivente. Questa proprietà – l’essere dotati di un progetto, la teleonomia – è quella che, secondo Jacques Monod, costituisce la condizione necessaria per definire un sistema vivente, laddove la condizione sufficiente va ricercata nell’autore del progetto stesso, ovvero nelle forze esterne all’individuo che hanno forgiato il progetto o alla capacità di riproduzione dell’individuo (Monod, 1986: 22). Si tratta di una proprietà – il ‘progetto’ – che, se del tutto simile sul piano programmatico per tutti gli esseri viventi, si differenzia nettamente nel dettaglio quando si passa da un essere vivente all’altro, rendendo il ‘progetto’ di un individuo un ‘unicum’, mai identico a quello di un altro, che orienta quindi ognuno di noi ad affrontare le esperienze della vita in un modo unico e personale.
La varietà delle esperienze che ogni singolo individuo affronta nella vita (senza escludere gli interessi materiali e immateriali), gestite dal suo personale ‘progetto’, sono quindi la causa inevitabile delle differenze più o meno probanti che differenziano i modi di sentire e di valutare dei singoli individui; è necessario accettare tale inevitabilità non amplificandone il valore individuale se non si vuole ostacolare il dialogo fra persone, in particolare nel confronto fra fedi religiose.
Al di là della statistica: ortodossia e rivoluzioni
Per quanto riguarda in particolare il sentimento religioso, esso è contrassegnato, in definitiva, da un fenomeno negativo di frammentazione a varie scale dimensionali [2] emerso dalle differenze individuali, opposto a un positivo fattore di coesione all’interno di pochi gruppi molto numerosi, emerso dalla loro storia [3]. Fattore di coesione che può, però, trasformarsi in un pernicioso limite allo sviluppo di un dialogo costruttivo con le altre fedi se alla esistente varietà di giudizi e comportamenti sono posti limiti troppo stringenti di ortodossia, dovuti a pregiudizi derivati da carenza di conoscenza dell’altrui cultura religiosa o causati da rigide imposizioni dogmatiche. È sempre difficile contrastare usi e opinioni correnti, specie quando esse sono radicate da secoli in una comunità: chi osasse farlo, correrebbe il rischio di essere inviso o, al limite, perseguitato alla guisa di un ‘eretico’ [4] (come è successo tante volte nella storia) [5]; d’altra parte, se tenace e comunicativo, potrebbe riuscire ad evadere i limiti imposti dall’ortodossia, ricavarne consenso e favorire un allargamento delle conoscenze e dei conseguenti comportamenti. Per quanto riguarda gli eventi positivi di ‘eresia’, la storia ci parla spesso dell’improvvisa ascesa nel contesto sociale di personalità di grande carisma, carica morale e capacità comunicative che nella religione (come anche nella scienza e nel governo dei popoli), sfidando con dolore e con determinazione le limitazioni imposte dall’ortodossia imperante, sono riusciti a stabilire nuovi e rivoluzionari modelli di vita per lunghi periodi di tempo.
La rivoluzione compiuta da Gesù con la sua predicazione, supportata da una travolgente e limpida forza morale che gli fece superare sofferenze e umiliazioni indicibili, ha affascinato una grande moltitudine di persone; fascino che si mantiene ancora oggi pressoché inalterato dopo duemila anni (parliamo di oltre 2 miliardi di cristiani sui circa 7 miliardi di abitanti della Terra), e che è forse l’esempio più illuminante e sublime di questo processo di rifiuto dell’ortodossia dei costumi e delle idee sul prossimo, qualsiasi ne sia l’interpretazione che se ne possa dare da posizioni teologiche o secolari diverse.
Se si volesse guardare a questo fenomeno in termini di fredda analisi statistica da una prospettiva kepleriana, il fenomeno Gesù potrebbe apparire fuori dalla norma data la sua eccezionalità. Nondimeno, considerando i grandi numeri in gioco, caratterizzanti le parecchie decine di miliardi di persone che si sono succedute dagli inizi della civiltà umana ad oggi, la probabilità di un evento del genere non è necessariamente bassissima e, in ogni caso, la predicazione di Maometto, seicento anni dopo quella di Gesù, con la conseguente emersione di una nuova importante fede religiosa, ne è la prova. Né è improbabile che possa accadere ancora nel futuro nei riguardi delle nuove ortodossie di costume che si vanno via via stabilizzando, anche se a più elevati livelli di vita culturale e sociale, nelle diverse società umane.
In un interessante libro di Giorgio Montefoschi e Fiamma Nirenstein, vengono analizzati i rapporti fra le tre religioni monoteistiche attraverso l’intervista a tre loro rappresentanti – il domenicano Padre Claude Geffré, il rabbino David Rosen e il professore Mustafà Abu Sway –, ai quali sono indirizzati dei quesiti, alcuni qui riportati insieme alle risposte date (Montefoschi-Nirenstein, 2001: 178-189).
Alla domanda Quali sono le differenze teologiche fra le tre religioni monoteistiche? sono state date le seguenti risposte:
Senza entrare nel merito di queste affermazioni – che solo i teologi possono fare con competenza –, se guardiamo ad esse da una prospettiva kepleriana, possiamo solo dire che le differenze osservate possono essere attribuite a pure questioni di fede, derivanti da concezioni a priori, determinate dalla storia culturale e dalle tradizioni dei popoli da cui le tre religioni sono nate e in cui si sono sviluppate e fortificate da convinzioni personali, pur differenziandosi nel dettaglio dei riti e della pratica giornaliera.
Un secondo quesito sottoposto ai tre religiosi Perché gli scontri reciproci? riceve le seguenti risposte:
Se aggiungiamo le risposte alla domanda Quanto è importante per la sua religione convertire gli altri, evangelizzare?, si ha l’idea di come ognuna delle tre religioni si considera ‘più vera’ delle altre:
Non mancano, d’altra parte, giudizi accomodanti che riconducono i contrasti a caratteristiche umane legate a problematiche sociali, come anche all’avidità di potere, che aprono le porte a un tollerante dialogo:
Alla luce di queste valutazioni, non sembra peregrino affermare che un dialogo fra diverse fedi religiose (come, in generale, fra differenti opinioni in altri campi) che sia foriero di vera comprensione reciproca e quindi di possibilità di mediazione, sia solo possibile cercando di guardare profondamente dentro se stessi per capire quanto i dettagli della propria fede siano dipendenti da concetti a priori, magari legati alla cultura della comunità di appartenenza e pertanto legittimi e rispettabili sul piano dell’espressione del proprio sentimento religioso, ma difficilmente da considerare verità assolute.
Dal necessario efficace dialogo ad una possibile super religione
Cercherò di trarre qualche valutazione conclusiva da quanto espresso in precedenza – sempre dalla prospettiva di Keplero – con le cautele di chi sa che la storia dei popoli, per l’enorme numero di parametri in gioco, segue sempre vie caotiche e imprevedibili.
Indubbiamente, per un proficuo dialogo, un traguardo da raggiungere dovrebbe essere quello di una rispettosa e sincera tolleranza reciproca, dove ognuno possa conservare il diritto a rimanere ancorato con sicurezza alle proprie tradizioni senza forzare o reprimere le tradizioni altrui, così sradicando il radicalismo conflittuale, latente in special modo quando la convinzione sulla verità della propria fede viene amplificata da altri fattori contingenti (come questioni di potere, economiche, ideologiche o altro), sempre in agguato in ogni individuo e in ogni gruppo sociale.
Si tratta di un risultato molto difficile da raggiungere per le profonde modifiche di se stessi che esso implica in virtù di quanto espresso in precedenza sui MMR e che pertanto non sembra attuabile nel breve periodo e nelle attuali condizioni. Al contrario, ciò che può essere previsto nell’immediato – e che sembra già in atto costituendo motivo di pessimismo – è lo scontro fra gli SMR di gruppi sociali diversi, pressoché stabilizzati da secoli, scontro che porta all’esasperazione delle tante, piccole e grandi, differenze trovatesi a confronto improvvisamente e non sempre volutamente in luoghi dove si professano fedi diverse da quelle delle culture in cui si è vissuti.
Un elemento di ottimismo per una possibile efficace mediazione in un futuro sperabilmente non troppo remoto – ma sicuramente al di là del tempo di una breve vita umana – può, tuttavia, essere tratto dalla considerazione che, come già espresso prima, gli SMR sono stabili solo temporaneamente e, per quanto con lentezza, vanno via via evolvendosi sulla base di fenomeni occasionali che, sfuggendo alla statistica della ‘normalità’, permettono di superare le ortodossie imperanti per avanzare verso una maggiore uniformità di giudizi e di costumi; equilibrio a cui tende inevitabilmente la continua interazione fra genti originarie di culture e di fedi diverse che per lunghi periodi di tempo abitino ambienti omogenei e usufruiscano di uguali strumenti nella vita quotidiana.
Nell’articolo di Marco Ventura, che è alla base delle valutazioni di questo come di altri interventi del precedente e del presente numero di Dialoghi Mediterranei, l’autore riferisce del progetto di realizzare uno spazio comune a tre luoghi di culto, con una chiesa, una sinagoga e una moschea a contatto, dove
Data la brevità dell’articolo, non è dato sapere cosa l’autore intenda esattamente per super-religione, al di là dell’abbattimento di note e discusse barriere su temi certamente molto importanti, ma necessariamente contingenti in quanto riferibili alla nostra epoca presente. In un’ottica kepleriana che non prevede limiti di tempo, la presente situazione di globalizzazione delle conoscenze, con le epocali trasmigrazioni dei popoli facilitate dalla pervadente tecnologia delle comunicazioni e dei trasporti che favorisce il vivere in comune – virtualmente o fisicamente – per lungo tempo, non può non facilitare l’abbattimento progressivo prima dei muri dell’intransigenza e poi l’omologazione progressiva delle tradizioni, finendo per mettere in evidenza solo i valori fondamentali ai quali aderisce ogni religione; una mediazione che potrebbe culminare in una, forse utopica, super-concentrazione delle fedi monoteiste in un unico gruppo – una super-religione appunto – dove, superate le diffidenze reciproche e le tensioni dovute alle difficoltà di conciliazione delle differenze teologiche e ai conflitti storici, condivida una certa uniformità di valutazione e di costumi rituali, con le differenziazioni e i radicalismi a più piccola scala temperati e perciò stesso meno conflittuali.
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