di Giorgia Rubera
«È più che mai cruciale per i diversi popoli elaborare immagini complete e complesse gli uni degli altri, nonché dei rapporti di potere e di sapere che le connettono» (James Clifford 1993: 37).
Premessa
Il dominio coloniale ha definito le relazioni tra quello che possiamo definire Occidente e le altre culture, relegando quest’ultime in una posizione di subalternità. In questo quadro, la differenza culturale non è riconosciuta come valore e tutto ciò che si discosta dal canone occidentale viene considerato arretrato, irrazionale o primitivo. Le potenze imperialiste infatti hanno imposto il loro dominio su vaste porzioni del mondo, costruendo una narrazione in cui le culture colonizzate andavano aiutate e in cui venivano sistematicamente inferiorizzate, esotizzate o ignorate (Bhabha 1994, Mignolo 2011, Quijano 1992, Said 1999).
Questa riflessione nasce dall’attraversamento delle frontiere culturali, come antropologa mi interrogo sulla presenza dell’occhio coloniale, della posizione di superiorità dello sguardo dell’Occidente imperialista. Anche l’Islam in questo contesto è stato descritto e rappresentato come una religione arcaica con valenza negativa e collocato in un Oriente visto come “altro” rispetto all’Occidente. (González Alcantud 2002, 2021; Cardini 1994, 1995,2006). Questa narrazione è servita per giustificare politiche di dominio e guerre “civilizzatrici” contribuendo a consolidare un’immagine distorta dell’Islam che è stato dipinto come un unico monolite minaccioso, ignorando la sua enorme complessità interna. (Said 2005, Asad 1986).
Ancora oggi la religione e la cultura islamica non sono sufficientemente comprese e gli stereotipi bloccano la conoscenza di questa realtà così articolata contribuendo a rafforzare l’idea di una civiltà occidentale avanzata in contrapposizione a un Oriente retrogrado. È quindi quanto mai importante recuperare aspetti celati o distorti dalla narrazione dominante.

Iftār a Gaza (https://www.chroniquepalestine.com/gaza-un-ramadan-au-milieu-des-ruines-mais-avec-une-foi-inebranlable)
Ramadan Kareem
Congratulations! The month of fasting is here!/Have a good journey, my companion in fasting./ I climbed to the roof, to see the moon,/ With my heart and soul, I longed for fasting./ When I looked up, my hat fell off,/ My head was set spinning by the king of fasting!
Jalal al-Din Rumi 1
Vivere il Ramadan nel corso degli anni in differenti Paesi e contesti tra le sponde del Mediterraneo, mi ha permesso di osservare internamente questo tempo sacro di sospensione della normalità, questa temporalità “altra” nella quale la presenza del divino permea strutturalmente ogni aspetto dell’esperienza quotidiana.
La forma di abitare il mondo nelle società islamiche non rappresenta semplicemente un’alternativa culturale, bensì un paradigma ontologico distinto, all’interno del quale la vita umana è concepita in relazione costante con l’invisibile e le pratiche sociali, rituali e relazionali si radicano in un orizzonte di senso che sfugge alle griglie concettuali della modernità occidentale.
Ramadan Kareem, che sia un Generoso Ramadan, è l’Augurio che tutti i musulmani del mondo si rivolgono all’inizio del mese sacro di Ramadan, quarto dei cinque pilastri dell’Islam, nono mese del calendario islamico, rappresenta uno dei momenti più importanti e densi di significato spirituale, culturale e sociale per le comunità musulmane di tutto il mondo.
Mese benedetto per i musulmani, è il mese dove il tempo è sospeso, in cui le attività ordinarie cessano di essere tali, è il tempo in cui i credenti attraversano uno spazio altro rispetto alla quotidianità ordinaria. Il corpo stesso diventa luogo del rito: attraverso il digiuno esso è disciplinato, purificato. Questo periodo sacro, infatti, modifica completamente i ritmi personali, quelli lavorativi, i rapporti, trasformando la quotidianità in una dimensione sospesa. Quando il Ramadan arriva si sente nell’aria. Si vive in un tempo sacro.
Per poter comprendere un aspetto importante della spiritualità nel mondo islamico occorre osservare da vicino il rapporto con il divino per un credente. Il canale con Allah è diretto, non è mediato da un’istituzione religiosa o da gerarchie. Ogni uomo e donna tentano di vivere interiormente la vita che nel Cristianesimo è percorsa dai sacerdoti e dalle suore, quella di tensione costante al divino.
Il digiuno rituale, ṣawm, parte dalle prime luci dell’alba fino al tramonto e in genere va fatto precedere da un pasto leggero poco prima dell’aurora, detto suhur. Il digiuno include diversi aspetti: da un lato c’è il digiuno fisico, che implica l’astensione da cibo, bevande e atti sessuali durante il giorno, mentre dall’altro vi è un digiuno più profondo, di natura spirituale, che coinvolge l’autocontrollo volto alla purificazione interiore.
Il digiuno significa astenersi per avere qualcosa in più, per elevarsi dirigendosi verso qualcosa di più alto, Ibn ‘Arabi nelle Futūḥāt al-Makkiyya riflette sul fatto che il digiuno sia l’unico atto devozionale che richiede un’astensione dall’atto stesso.
Colui che digiuna ha due gioie in cui dilettarsi: quando rompe il suo digiuno, si rallegra; e quando incontra il suo Signore, si rallegra nel suo digiuno. (Ibn al-ʿArabī. 2009:29).
Il digiuno rappresenta a livello più profondo un atto di compassione e solidarietà verso i meno fortunati, chi digiuna, infatti, si mette nella stessa condizione di chi soffre la fame. Questo periodo fuori della normalità, è un momento di introspezione, ma allo stesso tempo di rafforzamento dei legami comunitari, anche attraverso atti di cura reciproca. Il mio amico sufi Ali porta sempre ai poveri cibo e non c’è povero del suo quartiere che non senta il suo affetto e la sua cura. Il digiuno, la meditazione e la devozione verso Allah, rendono questo un momento faticoso e al tempo stesso profondamente sacro: un rito collettivo trascendente.
Ogni giorno la chiamata, adhān, del muezzin, per la preghiera del maghrib regola i tempi del pasto serale segnando l’inizio dell’iftar, letteralmente rottura, con cui si interrompe il digiuno quotidiano.
Imitando il profeta Muḥammad che interrompeva il digiuno con datteri e un bicchiere d’acqua, ogni famiglia, ogni luogo dove si mangia insieme, ogni ristorante che è rimasto chiuso durante il giorno, fa cominciare la cena iftar con dei datteri e dell’acqua, per poi seguire con del leben, (latte fermentato), la chorba, (una minestra), brik 2 e varie altre pietanze. L’iftar durante il Ramadan è spesso un momento di condivisione con famiglia e amici: non si mangia da soli.
Arrivo a Tunisi per Laylat al-Qadr 3, la Notte del Destino (o del Potere di cambiarlo), che rappresenta un momento culminante del mese di Ramadan, una soglia in cui il cielo e la terra si avvicinano e in cui si crede che il destino dell’anno a venire sia scritto. Secondo la tradizione islamica, questa notte coincide con la discesa del Corano nel cuore del profeta Muḥammad.
Sia nel Cristianesimo che nell’Islam è sempre uno spazio angelico quello in cui Dio si manifesta agli uomini, è l’angelo Gabriele, Jibril, il mediatore della parola divina, è lui che annuncia (Rubera 2021: 60). Nella Notte del Destino (Corano, 97, Al-Qadr) il Profeta dell’Islam descrive una visione in cui gli Angeli discendono e tutto attorno a lui si manifesta l’intero reame angelico. Il Corano discende nel cuore del profeta e da allora sembra viaggi costantemente nei cuori di coloro che lo conoscono. È fatto certo nell’Islam che nel momento della preghiera gli Angeli sono sempre presenti, realmente e invisibilmente presenti.
Queste presenze invisibili sono l’espressione di un’intera dimensione invisibile che per l’osservatore occidentale inserito all’interno di un contesto materialista e secolarizzato è di difficile comprensione. Osservarla da un punto di vista non eurocentrico, ponendo in discussione il proprio punto di vista, come l’unico vero razionale, è il suggerimento per il lettore. Momento di massima intensità di significati religiosi, emotivi e sociali Laylat al-Qadr è avvolta da un forte simbolismo, è descritta nel testo sacro come la «migliore di mille mesi» (Corano, 97:3), essa vale una vita intera.
Davanti la moschea Al- Zaytuna di Tunisi file di fedeli pregano anche per strada, la moschea e lo spazio antistante sono stracolme, si prega per strada. Ogni anno la terra diventa cielo durante questa notte e tutti gli angeli scendono in terra. La tensione spirituale è palpabile.
La notte del 27 giorno di Ramadan a Tunisi di fronte la moschea Al- Zaytuna lo spazio è saturo di incenso, preghiere, devozione. Si prega tutta la notte fino all’alba, anche sotto la pioggia piena di baraka 4 , è un rituale comunitario fortissimo.
Interessante sottolineare il rapporto con l’incertezza di questa notte nel mondo islamico poiché la data precisa di Laylat al-Qadr non è conosciuta con precisione, è una notte che viaggia, può essere una delle ultime 10 notti del mese di Ramadan. Vi sono varie narrazioni rispetto a quando sia la vera notte di Laylat al-Qadr, può essere la 19ª, la 21ª, la 23ª (una notte dispari), principalmente la 27 ª, la data differisce anche tra Sciti e Sunniti, ma tutti convergono sul fatto che sia una notte benedetta. Fondamentale è la presenza del cuore in qualsiasi preghiera o azione, durante questa notte che si inscrive in un tempo che non può essere completamente compreso o espresso in modo lineare o causale, ma che si sottrae alle categorie ordinarie del linguaggio e del pensiero, in cui il mistero diventa parte integrante della ritualità. L’attesa, l’indeterminatezza, la ricerca di connessione al piano divino, fanno parte di quel mistero di cui tutto l’Islam è avvolto o meglio della sua dimensione batin, profonda.

Rappresentazione di angeli in una miniatura persiana risalente al XVI secolo.• Fonte: https://theagnosticgnostic.wordpress.com/2018/02/22/angels-as-depicted-in-16th-century-persian-miniatures-safavid-dynasty-state-hermitage-museum-saint-petersburg
Durante questa notte gli angeli scendono nella terra e portano pace e benedizione alle anime, alle conoscenze e ai cuori, c’è un momento esatto in cui questo accade durante la notte, è questa la tensione della preghiera collettiva.
Il modello di perfezione a cui tende ogni credente è rappresentato dal Profeta Muḥammad che è il modello per eccellenza dell’uomo perfetto, al-insān al-kāmil. Ogni credente ha il suo grado di devozione e progressione spirituale, ma l’obiettivo comune è tentare di trasformare sé stessi durante il Ramadan.
«L’ Inviato di Dio ha definito il cuore del credente dicendo che esso è spoglio e luminoso (ajrad azhar). Inoltre, secondo un’altra tradizione, a chi gli domandava chi fosse il migliore dei credenti, egli rispose: «Chiunque abbia un cuore infiammato». «E che cos’è il cuore infiammato?», gli chiesero; rispose: «è il cuore pio, immacolato, nel quale non c’è colpa, né ingiustizia, né odio, né invidia» (Al-Ḥakīm al-Tirmidhī, Kitāb Khatm al-awliyā’, in Ventura, 2016: 24).
Anche il paesaggio urbano è trasformato durante il Ramadan, in alcune ore si sospendono certe attività, si intensificano altre e lo spazio della città viene rinegoziato, i mercati si animano anche nelle ore serali, le strade si svuotano al tramonto per poi riprendere vita nelle piazze pullulanti di bambini e musiche. Durante il mese sacro di Ramadan, la Medina di Tunisi si è animata ogni sera. Il Festival della Medina quest’anno ha presentato 28 spettacoli musicali appartenenti a diversi generi tarab, malouf, musica orientale, jazz e in questo contesto, la piazza Halfaouine, situata nel cuore della Medina, si è trasformata in palcoscenico. Le soirées ramadanesques costellate di concerti, spettacoli dal vivo, mostre e performance si sono svolte in moltissimi spazi della città: Théâtre de l’Opéra, Cité de la Culture, Goethe-Institut, Instituto Cervantes, Institut Français, Istituto Italiano di Cultura e in moltissimi luoghi del Paese.
Tra gli eventi di rilievo la serata Sûfiyet svoltasi a Ennejma Ezzahara, dedicata alla musica spirituale sufi,la mostra Transcendance 2.0 presso la Galerie Musk and Amber, le numerose serate dedicate allo Stambeli, espressione musicale e rituale legata al mondo subsahariano e lo spettacolo Hadra tra gli ultimi eventi prima della fine del Ramadan.
Il termine di questo mese sacro viene sancito dall’avvistamento della luna dell’Eid al-Fitr, Festa della Rottura del Digiuno o Festa che segna la fine del Digiuno. Festa che dura fino a tre giorni. Al suo avvicinarsi, l’augurio diventa Eid Mubarak, Benedetto Eid, Felice festa.
La radice Eid significa il ritorno a qualcosa di cui abbiamo abitudine, o il ritorno a tutto quello che si ripete, è un giorno di passaggio, di ritorno alle funzioni naturali. Dopo l’astinenza dalle cose del mondo il giorno dell’Eid riporta l’ordine naturale.
La preghiera dell’Eid al Fitr inizia con la takbira, espressione della grandezza di Allah, la formula Allah Akbar, Allah è più grande di ogni cosa, Dio è grande, è la formula che facilita la connessione con Allah, è un richiamo al divino. Ogni giorno viene recitata dal muezzin durante la chiamata alla preghiera, a questa formula ci si affida nei momenti felici e nelle sciagure. L’uso violento di questa frase ad opera dei terroristi ha fortemente danneggiato il senso profondo di questa che è una formula di preghiera primaria nell’Islam, che indica l’affidarsi a Dio.
La celebrazione dell’Eid al-Fitr si caratterizza per una forte componente rituale e culturale che coinvolge sia la sfera pubblica che quella privata. Molti sono i dolci tradizionali tunisini che vengono preparati per la festa come la ghraiba lablabi, il makroud, anche di origine orientale come il baklava, zlabia, o di probabile origine andalusa, come la kaak el-warqa dolce tradizionale a base di mandorle ed essenza di rosa, dalla forma a ciambella che sarebbe stato introdotto in Tunisia nel XVII secolo dai moriscos in fuga dopo la conquista cristiana di Al Andalus.
La festività assume anche una dimensione sociale importante, con la consuetudine di fare regali, acquistare abiti nuovi e soprattutto comprare giocattoli per i bambini. A Tunisi l’associazione Tourathouna organizza la Kharja, la processione rituale dove uomini, donne e bambini intonano lodi al Dio unico per la preghiera dell’Eid partendo dalla moschea Al-Zaytuna. Processioni simili si svolgono in altre parti della città e del Paese per le preghiere dell’Eid. Secondo fonti storiche la Kharja risale al periodo della dinastia berbera Hafside e anche durante il periodo dei Bey la tradizione si è mantenuta, con solenni processioni in cui si operava un intreccio tra religione, potere e vita comunitaria.
Conclusioni
Al mio rientro mi osservo: salita sulla navetta dell’aeroporto a Roma mi trovo in uno spazio che unisce i mondi, non più in Tunisia, ma nemmeno a Roma, la navetta è in uno spazio di osservazione del mio mondo che è ormai magrebino-andaluso-nomadico-cosmopolita (Canevacci, 2024).
Il senso di ingiustizia che provo nel varcare il confine all’aeroporto di Fiumicino, rispecchia una realtà globale amara, quella in cui la libertà di movimento e il diritto di accesso alle risorse non sono per tutti. In questo contesto, il confine non è solo una linea geografica, ma una barriera sociale che definisce l’appartenenza e la non appartenenza, alimentando la disuguaglianza e la separazione tra chi può accedere e chi è destinato a restare fuori (Foucault, 2005).
Questa divisione non è naturale né inevitabile: è il risultato di un lungo processo di costruzione politica che, come tale, può essere de-costruito e ripensato. Questa divisione non è solo una questione di passaporti o visti, ma un segno tangibile di una discriminazione strutturale che esclude una porzione consistente della popolazione mondiale dalla possibilità di esercitare quella che dovrebbe essere una libertà universale: il diritto di spostarsi liberamente!
Un’antropologia decoloniale può aiutarci ad ascoltarci l’uno con l’altro, a empatizzare l’uno con l’altro, a prenderci cura l’uno dell’altro. Come durante il mese di Ramadan, che ci conduce in un tempo dell’anima (Cabrera 2020, De Diego González 2020) ad una visione più spirituale dei rapporti tra uomini e tra Stati.
Questa la mia riflessione al mio rientro in Italia, Ramadan Mubarak!
Dialoghi Mediterranei, n. 73, maggio 2025
Note
[1] Rumi’s Secret: The Life of the Sufi Poet of Love, Brad Gooch, 2018.
[2] Il brik è un piatto tipico della cucina tunisina, costituito da una sfoglia sottile ripiena di uovo con varianti tra tonno, carne o verdure, che viene poi fritta. È molto popolare come antipasto o spuntino.
[3] Qadr significa anche potere, valore, decisione.
[4] Baraka, grazia divina, benedizione può essere associata a una presenza sacra che permea oggetti, luoghi, persone o eventi.
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Giorgia Rubera, dipendente del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR), Istituto di Scienze del Patrimonio Culturale. PhD Cum Laude Mención de Doctorado Internacional presso la Escuela de Doctorado de Humanidades y Ciencias Sociales Universidad de Granada, sotto la direzione del Prof. José Antonio González Alcantud con un progetto di ricerca di antropologia sull’arte sufi contemporanea nel Mediterraneo. Laureata in Sociologia, settore Antropologico e dello Sviluppo presso l’Università “La Sapienza” di Roma, con una tesi intitolata: “Le Donne di Allah. Una ricerca antropologica attraverso lo sguardo dell’artista iraniana Shirin Neshat”. Collabora attivamente con l’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici di Napoli, partecipando a progetti di ricerca e iniziative accademiche. Contribuisce al progetto “La Tela del Mediterraneo e la Carta delle Donne nel Mediterraneo”, promosso dall’Associazione Eleonora Pimentel, focalizzandosi sul dialogo interculturale e la decostruzione degli stereotipi. Membro dell’Asociación de Jóvenes Investigadores en Ciencias de las Religiones (AJICR) ora Asociación para la Investigación en Ciencias de las Religiones (AICR), partecipa attivamente a reti di ricerca internazionali dedicate allo studio delle religioni e ai fenomeni religiosi in chiave interdisciplinare. Dal 2024, è membro del comitato scientifico del corso di laurea magistrale in Italianistica e Studi Mediterranei Comparati presso l’Università di Sfax.. dove nel 2023 è stata docente di Estetica.
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