di Giulia Panfili
Il film “Here” di Robert Zemeckis, uscito nel 2024, propone un’esperienza cinematografica molto singolare, sfidando le convenzioni visive e narrative. È adattamento dell’omonima graphic novel di Richard McGuire, pubblicata nel 2014, che è stata subito riconosciuta come un esperimento innovatore dei codici nella narrazione grafica. “Here” mostra lo stesso luogo nello spazio in diversi punti del tempo.
I primi segni di questa idea grafico-narrativa di Richard McGuire, che pare si sia ispirato alle finestre dello schermo di un computer, risalgono al 1989: appena 6 pagine in bianco e nero pubblicate su Raw vol 2 #1 – la rivista statunitense di fumetti fondata da Art Spiegelman e Francoise Mouly. La prima vignetta mostra un angolo spoglio di una stanza di una casa. Questo stesso angolo viene rappresentato in tutte le 35 vignette successive, ma in momenti diversi non ordinati cronologicamente, in cui diverse persone, animali e arredi lo attraversano. L’angolo della stanza diviene così la presenza più duratura nella storia, suddivisa in molteplici riquadri che rimandano anche a prima che la casa venisse costruita e a dopo che la casa è stata demolita.
Questa prima traccia di “Here” venne poi rielaborata da Richard McGuire nel 2000, ancora in poche pagine, stavolta a colori, nell’edizione speciale #59 della rivista svizzera Strapazin (https://strapazin.ch/59-2/ ), per infine sviluppare e rinnovare la storia in una graphic novel di oltre 300 pagine che gli è valsa il Fauve d’Or per il miglior fumetto al Festival di Angoulême 2015.
Un unico punto di vista rimane fisso in un angolo di un soggiorno, quello di una casa a Perth Amboy, nel New Jersey, dove il fumettista americano è cresciuto. Il tempo invece è illimitato ed elastico. Ricopre miliardi di anni, dalla comparsa della vita sulla Terra fino al futuro lontano. Comprende le vite dei nativi americani e dei colonialisti, descrive brevemente il conflitto politico tra Benjamin Franklin e suo figlio William, passa da epoche pre-umane a futuri immaginati, sebbene la maggior parte dell’azione sia nel XX e XXI secolo, quando questo punto di vista appunto mostra il soggiorno di una casa costruita nel 1907.
Due pareti, una con finestra, l’altra con camino, si incontrano in ogni doppia pagina del libro, e riquadri sovrapposti mostrano vicende, animali, oggetti che hanno avuto luogo qui, in vari momenti rigorosamente datati. Strutturata in modo non lineare, la sovrapposizione di diversi periodi temporali crea un collage visivo che invita a riflettere sulla simultaneità degli eventi, frammenti di tempo che insieme costruiscono un racconto complesso e stratificato. Con l’accostamento di più scene, molteplici fotogrammi d’azione, frammenti di cronaca familiare, momenti storici, cataclismi, scene futuristiche, McGuire evoca narrazioni, dialoghi e flussi di associazioni. Si genera qui una sorta di vertigine meditativa.
Nel film, Robert Zemeckis adotta un approccio simile: un’unica inquadratura fissa che in modo audace attraversa il tempo ed è attraversata dagli eventi. La macchina da presa non compie movimenti, mantenendo l’angolo di campo costante, quindi lo sguardo su un unico angolo di mondo dal periodo preistorico fino al XXI secolo. Il cinema è nato con un punto di vista statico, fatto di sole inquadrature fisse, progressivamente si è appropriato di diverse possibilità di rendere dinamico il proprio sguardo. L’immagine poteva solo contenere il movimento, poi divenne essa stessa movimento. Questo quadro, limite spaziale che la camera impone alla realtà, privato dei movimenti di macchina, prende soprattutto forma nel salotto di una casa. E mantenendo integro il parallelismo con la struttura narrativa e visiva del fumetto, attraverso l’uso di effetti visivi come la sovrapposizione di immagini e il montaggio in split-screen, il regista inserisce finestre temporali all’interno dello stesso spazio. La tridimensionalità dello spazio filmico che sta di fronte allo spettatore, è restituito con i movimenti nella macchina, mentre con il montaggio si passa in un istante da un momento a un altro, a due o più momenti diversi. Quel salotto diventa anche qui un microcosmo, si sofferma sulla vita quotidiana di diverse famiglie che lo hanno abitato in epoche differenti, racchiude le storie di diverse generazioni. Fissando lo spazio, come in una pratica meditativa, il tempo dell’adesso diventa intenso, aumentato, inglobando passato e futuro.
Nella trasposizione cinematografica la narrazione, pur rimanendo frammentata e ad ampio spettro temporale, si fa più lineare e focalizzata su specifici archi narrativi che enfatizzano le relazioni tra i personaggi. La fotografia di Don Burgess usa luci e ombre per creare un’atmosfera intima e riflessiva. Le musiche di Alan Silvestri aggiungono note di nostalgia e introspezione. Ogni scena è costruita come una tela di un pittore, con dettagli che catturano lo spettatore in un viaggio attraverso le generazioni. Per riuscire a raccontare generazioni intere anche attraverso i dettagli, il regista ha scelto di usare due set identici che facilitano i cambi di scena, e di affidarsi alla tecnologia digitale, tra cui un processo assistito dall’intelligenza artificiale per ringiovanire e invecchiare le sue star sul set.
La presenza di un cast di attori come Tom Hanks e Robin Wright, che tra l’altro si riuniscono qui dopo 30 anni da quando uscì il film “Forrest Gump” sempre diretto da Robert Zemeckis e co-sceneggiato con Eric Roth, contribuisce a conferire una dimensione emotiva più marcata, evidenziando le connessioni tra le generazioni, la continuità e la ciclicità dell’esperienza e delle emozioni, il passaggio del tempo e ciò che ne resta. L’aspetto concettuale e filosofico del tempo nella graphic novel invece non vede l’intermediazione di personaggi specifici. Certamente il lettore riesce anche a vedere l’intera vita di un personaggio di nome William, nato nel 1957 e morto nel 2027, ma il punto centrale è la riflessione sull’esistenza, il tempo e la ricerca di significato. Oltre alle dovute peculiarità di ciascun medium espressivo, forse è questo ciò che maggiormente si trasforma nella trasposizione dallo sguardo fumettistico allo sguardo cinematografico.
Dialoghi Mediterranei, n. 73 maggio 2025
______________________________________________________________
Giulia Panfili vive attualmente a Roma. Ha studiato antropologia visiva a Lisbona e ha concluso il dottorato in antropologia, politiche e immagini della cultura, museologia con una tesi di ricerca etnografica in Indonesia sul wayang come patrimonio immateriale dell’umanità. Ha partecipato a convegni di antropologia e arte in Portogallo, Brasile, Inghilterra, Indonesia, e a mostre collettive di fotografia, illustrazione e stampa grafica presso gallerie e festival in Italia, Spagna, Portogallo, Indonesia. Tornando in Italia ha frequentato la Scuola Romana del Fumetto, dedicandosi quindi a disegno e illustrazione, con cui ha elaborato parte della tesi di dottorato. Ha approfondito in seguito tecniche e linguaggi della fotografia e del documentario audiovisivo con corsi formativi e progetti vincitori di bandi di concorso.
______________________________________________________________
