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Polifonie e armonie del Mediterraneo

Posted By Comitato di Redazione On 1 settembre 2016 @ 00:21 In Cultura,Letture | No Comments

COPERTINA di Maria Rosa Montalbano

Un tempo molto lontano, «navigarono in questo mare interiore, scivolando con navi nere dagli occhi dipinti sulla prua, commercianti che trasportavano vino, olio, vitigni, marmo, piombo, argento parole e alfabeti. Guerrieri espugnarono città con cavalli di legno e poi, se sopravvissuti, tornavano a Itaca sotto un cielo che la loro lucidità popolava di dèi. Antenati nacquero, combatterono e morirono accettando le regole apprese da questo mare saggio e impassibile» [1].

Questo mare «saggio e impassibile» è oggi il destinatario della lettera di Ilaria Guidantoni, giornalista e scrittrice che, nel suo ultimo libro Lettera a un mare chiuso per una società aperta (Albeggi edizioni 2016),  ripercorre analiticamente e sentimentalmente storia e civiltà, a partire dall’etimologia che deriva dal latino e significa “in mezzo alle terre”. Nel suo nome sembra iscritta non solo la sua natura ma sembra segnato anche il suo destino. Per indicarlo, greci e romani utilizzarono la locuzione Mare Nostrum, ossia il nostro mare. In arabo la sua denominazione è al-Baħr al-Abyad al-Mutawassit بحر   ال يض       األب سط تو  م ال, “Mar Bianco di Mezzo” e anche in turco il Mediterraneo è detto Akdeniz, “Mare Bianco”.

Definendosi una donna mediterranea che viene da una terra nutrita dal sale, dal vento, dai profumi e dalle influenze di questo «continente liquido»,  culla della cosiddetta società occidentale, l’autrice propone un viaggio lungo le rotte e le sponde di questo mare chiuso e per questo necessariamente creatore di società aperte. È in occasione della rivolta tunisina del gennaio 2011 che Guidantoni inizia a “squarciare il Velo di Maja”, muovendo dalla rabbia alla presa di coscienza del fatto che l’Europa ha quasi dimenticato un passato comune con la sponda sud del Mediterraneo. Così da giornalista, ha avviato un’analisi del presente per risalire dalle cause prossime a quelle remote che hanno portato alla situazione attuale, fino ad avere più chiara la mappa del Mediterraneo nel tempo e nello spazio.

Secondo l’autrice, il momento in cui il mondo “scopre” il Mediterraneo nella sua complessità è l’11 settembre 2001: mentre, da un lato per gli Usa la Tunisia quasi non esisteva, assimilata ad altri Stati confinanti, al di fuori dei relativi interessi economici, lo stesso cittadino medio europeo guardava al mondo arabo come ad un tutt’uno, assimilando il termine arabo alla identità di musulmano come se le due parole fossero sinonimi e senza tener conto dell’eterogeneo quadro geografico composto dalla bellezza di 21 Paesi. Nel tempo, si è persa così la memoria collettiva di una storia intrecciata e largamente condivisa. Ma, negli ultimi anni, la crisi economica internazionale ha rafforzato la centralità del Mediterraneo che si traduce in un mosaico di diversità, una pluralità di identità in cui consiste la sua stessa ricchezza.

Sulla scorta dell’analisi storica e dei suoi attuali sovvertimenti, è possibile dire con l’autrice che il mare ha prodotto civiltà tanto varie come le sue coste e, tuttavia, riconducibili ad un unico puzzle il cui disegno completo non ammette esclusioni. Questo sostrato è identificabile nella cultura greco-latina e cristiana, e  poi in quella arabo-musulmana, che presentano una certa consonanza nella lettura del mare, così che più delle diversità, gradualmente, si può individuare un sistema di corrispondenze ancora più forte. Il poeta tunisino francofono Mouncef Ghachem ne è un esempio: pur essendo originario del villaggio di Mahdia, leggendo i versi della raccolta Dalle sponde del mare bianco, si potrebbe giurare che a comporli sia stato un poeta siciliano, o provenzale o greco, perché gli accordi prosodici sono talmente tanti da respirare le stesse atmosfere e partiture. Così da mediterranei, se ci si siede, metaforicamente, sulla sponda sud, è visibile un gioco di specchi e percepibile un’eco di corrispondenze con la sponda nord. Questa è l’essenza dell’identità mediterranea: l’appartenenza duplice e imprescindibile perché le due rive non possono esistere separatamente.

Un altro elemento fondamentale di conoscenza e di riconoscimento identitario è senza dubbio  individuabile nella lingua, che «prima di essere un costrutto – scrive Guidantoni – è un vissuto», qualcosa di fisicamente  indistinguibile dal corpo. I Paesi del Mediterraneo hanno visto, nel tempo, sparire le lingue dei nomadi e, in periodi di totalitarismo o colonialismo, le genti hanno subìto l’imposizione di una lingua unica e con essa di un pensiero unico. Solo di recente, si sta avviando il lento e difficile recupero delle tante lingue autoctone schiacciate dalla cultura di volta in volta prevalente. Non è certamente questa la sede per fare un approfondimento filologico – e non lo fa neppure la stessa autrice del libro – ma non si può non ricordare il tentativo di una lingua unica parlata, oggi estinta, che teneva conto delle componenti comuni dei popoli del mare nostrum: la lingua franca, identificata da altri come sabir. In generale, per quanto si sa, la lingua franca, costituita da un lessico prevalentemente italiano e spagnolo con alcune voci arabe e da un sistema grammaticale semplificato, era usata nei rapporti commerciali tra europei e arabi e parlata in tutti i porti del Mediterraneo tra l’epoca delle Crociate e il XIX secolo, poi trasferita dal popolo ai nobili.

Antica carta nautica del Mediterraneo

Antica carta nautica del Mediterraneo

Anche la cucina e il cibo costituiscono, al tempo stesso, barriere e linee di corrispondenze. Come sostiene la scrittrice armena Sonya Orfalian, non esistono cucine nazionali ma solo le cucine regionali, essendo la tavola lo specchio dell’area climatica, con delle variazioni locali. Queste armonie di sapori sono state largamente individuate anche da Ian Chambers [2], che apre il suo libro Le molte voci del Mediterraneo proprio con la testimonianza dello chef napoletano Mario Avallone, il quale cresciuto e residente nei Quartieri spagnoli della città partenopea, essendo stato abituato ad assaggiare e a percepire elementi non solo locali ma anche di altre etnie, non identifica il suo “spazio” esclusivo nella regione Campania ma gli basta andare al mercato per raccogliere semplicemente ciò che gli serve per creare un piatto “unico”, adattandosi di volta in volta a seconda dei profumi e sapori che vuole riprodurre.

In qualche modo, quindi, lo “spazio” del Mediterraneo è tracciato nei confini delle vegetazioni:  arriva fin dove arrivano gli alberi e i frutti, come l’olivo e l’olio, la vite e il vino, il melograno, il fico, il dattero. Fin dove arrivano esiste una grande affinità tra le genti, cosa che, invece, non si ha magari tra gli appartenenti allo stesso paese ma separati da barriere geografiche come le montagne, ad esempio. Emergono, automaticamente, anche le differenze dei caratteri tra le genti che si affacciano nel Mediterraneo e quelle che vivono nel continente.

Nella sezione Visione di Voci, l’autrice raccoglie sinestesie, ricordi e storie di vita che si sono dispiegate intorno al Mediterraneo. Tra gli autori “mediterranei” dei numerosi contributi raccolti nella seconda parte del volume si segnala Elena Postigo, filosofa, che identifica il Mediterraneo con la sua famiglia, perché è il luogo dell’anima dove affondano le radici della sua cultura personale essendo la filosofia, che ha caratterizzato la forma mentis del cosiddetto pensiero occidentale, nata con assoluta originalità in Grecia. Non meno interessante ciò che sostiene lo scrittore marocchino, Mohamed Berrada, che considera il Mediterraneo uno “spazio da ridisegnare” nel tempo, pensato come luogo del dialogo permanente, contro ogni forma di integralismo. Un fattore essenziale è quello del recupero della memoria e della propria appartenenza, perché solo conoscendo, apprezzando e accettando la propria identità si può essere realmente aperti all’altro. Mohamed Chèrif Lachichi, giornalista algerino, invita a rileggere la storia del nord Africa per evitare processi sia di rimozione, sia idealizzazioni e interpretazioni univoche che dividono, ad esempio, la storia tra un prima – l’età dell’ignoranza, appunto –  e  un dopo – la rivelazione del Corano – ignorando quella storia mediterranea greco-romana e anche cristiana che ha interessato direttamente anche l’Algeria. Soumaya Bourougaaoui, studiosa dell’Università di Tunisi, si concentra invece su Assja Djebar, letterata e scrittrice algerina, scomparsa nel 2015, che a partire dal suo primo romanzo, Le soif, ha deciso di scrivere in francese, la lingua dei colonizzatori, diventata irreversibilmente quella del suo pensiero. Assumendo la lingua francese, considerata da altri scrittori in modo radicalmente opposto come “lingua dell’esilio”, dedicò gran parte della sua vita all’emancipazione femminile e alla storia dell’Algeria, scrivendo contro la repressione e la misoginia.

Petros Markaris, drammaturgo, sceneggiatore e traduttore, figlio di un armeno e di una greca di Istanbul, riflette sulla sua condizione di apolide e sul concetto di identità. Pur essendo nato e cresciuto in Turchia, non la considera la sua patria, piuttosto il forte nazionalismo di questo Stato lo ha portato a distanziarsi dal concetto stesso di nazione e, nonostante sia stato privo di cittadinanza per molti anni, continua a provare un sentimento di particolare vicinanza per alcune città. Ad esempio, Istanbul “città delle culture”, denominata tale perché caratterizzata da una grande diversità culturale per via delle numerose etnie che l’hanno popolato da secoli: greci, armeni, ebrei e infine in minoranza i turchi, rappresenta la città in cui ha vissuto, ma Markaris si ritiene greco perché è la lingua con cui parla e scrive.

Gli scrittori Ezzat al Kamhawi, egiziano, Mouhamad Dibo, siriano, ragionano sulla forte vicinanza dei Paesi che si affacciano sul Mediterraneo ma, nello stesso tempo, percepiscono la crescente minaccia dei reciproci risentimenti, che creano fratture e divisioni pericolose per  l’intera umanità. La scrittrice libanese Leyla Khalil ripensa all’onore di essere una discendente dei Fenici, popolo di navigatori dalle spiccate abilità mercantili che da Tiro, Sidone e Biblo, costruendo le loro navi veloci con il pregiato legno di cedro, vissero circa quattromila anni fa e fondarono le loro colonie sul Mediterraneo. Oggi è ancora l’essere mediterranei ad unirci nella diversità, ma le indistruttibili navi in cedro fenicie sono state “sostituite” dai precari barconi dei migranti e non c’è più il rosso della porpora che predilige il valore del tessuto ma il sangue delle vittime a sporcare le acque del Mediterraneo.

 Nave velifera Greca, particolare dipittura vascolare sec.V a.C.

Nave velifera Greca, particolare di pittura vascolare, sec.V a.C.

La lettera di riflessione filosofica e le risposte dei tanti intellettuali che hanno espresso la loro voce attraverso storie e culture anche nascoste, per esempio quelle evocate da suoni e melodie o quelle dischiuse da aromi e sapori, hanno permesso di scorgere un Mediterraneo molto diverso dall’idea romantica tradizionale e hanno consentito nuove prospettive, aperte e flessibili: percorsi “tra le rive” come crocevia di civiltà e occasioni di incontro, da nord a sud e da est ad ovest.

«Nel mare dell’Europa antica, come nell’Europa medievale e moderna, il Mediterraneo è stato testimone di un traffico che arriva nel cuore dell’Europa così come arriva nel cuore dell’Asia e dell’Africa. In questo spazio tutte le culture, perfino quelle più potenti ed egemoniche, si sono trasformate. Ad ogni modo, storicamente parlando, il Mediterraneo è stato dominato fino a tempi piuttosto recenti da una serie di sguardi e prospettive che arrivavano dalle sue sponde meridionali e orientali. Dedicare semplicemente un po’ d’attenzione ad esse ci permette di riconfigurare il tutto in modo da ottenere una comprensione del passato e del presente di questo bacino più complessa, e dunque più “aperta”. Un Nord visto dal Sud del mondo non rappresenta tanto un semplice capovolgimento, quanto piuttosto una rivalutazione dei termini utilizzati e delle distinzioni che hanno storicamente formato i contrasti e le complessità di questo spazio» [3]. Così scrive Ian Chambers e così, in fondo, Guidantoni si pone in rapporto alle complesse eredità e alle ibridità tramandate da questo intreccio di storie e culture che in questo mare “comunicante” sono germogliate e convissute. La scrittrice insiste perché i confini del mondo classico siano ampliati a comprendere anche il mondo arabo-musulmano, «un’eredità infiltrata sotto la pelle, quella araba, legata in un rapporto biunivoco con la cultura classica greco-romana ed ebraico-giudaica cristiana». Nella lettura e scrittura del mare le civiltà  registrano inequivocabili consonanze, volte a favorire un’osmosi e un riconoscimento reciproco. Il Mediterraneo è, in questo orizzonte transculturale, «culla della visione esistenziale del nomadismo», e nelle migrazioni endemiche e strutturali ha edificato città aperte, società fortemente interconnesse, una trama di connettività umane e culturali dove – ha scritto Braudel – «da millenni tutto vi confluisce, complicandone e arricchendone la storia». Un mare, su cui la storia ha intessuto un continuo dialogo con le terre che lo costeggiano e  lo abbracciano, è per suo destino luogo privilegiato dei viaggi, dei transiti, dei movimenti umani.

Proprio come un tempo fecero le genti del Mediterraneo, peregrinando qua e là dalla sponda nord alla sponda sud, da est a ovest, oggi questo mare continua a essere lo spazio in cui si spostano ogni anno migliaia di persone che, spinte dalla disperazione,  premono sui “confini” a nord, dove lo sviluppo economico e il welfare offrono maggiori prospettive di lavoro e di sicurezza. Purtroppo, unitamente allo svilupparsi delle migrazioni dal sud, cresce anche la consapevolezza che «la periferia dell’Europa, dal Portogallo alla Grecia passando per gli Stati del Nord Africa, sia da considerarsi zona pericolosa, quasi come lo era il blocco orientale durante la guerra fredda. Nel sud, le cui latitudini risvegliavano un tempo allegri vagheggiamenti, vengono ubicati da politici e opinione pubblica i rischi più gravi per la nostra sicurezza: dal terrorismo islamico al crollo dell’euro e alle ondate di profughi dal sud globale» [4]. Ma mentre Paesi come l’Austria, Svezia e Danimarca hanno deciso di sospendere il Trattato di Schengen e chiudere le proprie frontiere, l’Italia insieme alla Grecia si trova in una posizione centrale e “aperta”, dove è praticata tra mille contraddizioni una qualche politica dell’accoglienza e, nello stesso tempo, si rende visibile la sgradevole incapacità di gestire il flusso di migranti e profughi che entrano nell’area comune dell’UE. La chiusura dei confini, temporanea o definitiva che sia, non solo non farà diminuire il numero di immigrati nel nostro Paese, ma tale numero è destinato a crescere sempre di più in quanto gli sbarchi continueranno finché non si sarà ristabilita la pace in Medio Oriente. Le frontiere, divenendo blocchi e luoghi di controllo, non faranno altro che rallentare e, in altri casi, ostacolare l’integrazione, alimentando la disperazione e l’odio di chi desidera, dopo un lungo viaggio, raggiungere la cosiddetta “terra promessa”. La xenofobia, che pure occupa un posto di rilievo in tutta questa riflessione, potrebbe essere probabilmente superata grazie al rilancio del mondo del lavoro perché, alla fine, tutti i popoli che si affacciano nel Mediterraneo desiderano una vita di sviluppo e crescita economica, opportunità e condizioni che diano la libertà di esercitare i propri diritti e la propria progettualità.

L’Europa che oggi appare gretta ed egoista, così chiusa e miope – sottolinea Ilaria Guidantoni – da impedire agli studenti tunisini che hanno imparato la lingua italiana di ottenere un visto turistico per visitare il Paese che hanno cominciato a studiare e ad amare, deve tornare a interrogarsi sulle proprie origini, riappropriarsi dei valori di tolleranza, ospitalità e solidarietà, ripensare al proprio destino legandolo a quello del Mediterraneo, con le sue frontiere liquide, la feconda esperienza degli sconfinamenti e delle contaminazioni tra identità che, a contatto e a confronto, esperiscono ognuno la propria limitatezza, la propria assoluta incompiutezza. Nella lezione di condivisione e convivialità mediterranea è probabile che si trovino gli anticorpi e gli antidoti alla pericolosa deriva dello scontro di civiltà. «Il Mediterraneo, con i suoi 46 mila chilometri di coste e i 450 milioni di persone che le abitano, è un grande spazio di cerniera, una risorsa strategica, un luogo di cooperazione privilegiato. Ma questo può avvenire solo ripensando il rapporto tra il processo di unificazione dell’Europa, la sua appartenenza all’emisfero occidentale, le sue radici mediterranee e la sua relazione con il mondo islamico. Un’Europa che riscoprisse le sue radici mediterranee potrebbe profilarsi come uno spazio di mediazione (e neutralizzazione) degli opposti fondamentalismi» [5].

 La tomba del tuffatore, Paestum, 480 a.C.

La tomba del tuffatore, Paestum, 480 a.C.

In questo spazio elettivo di relazioni sociali e di traduzioni culturali, di inclusioni e integrazioni, è davvero possibile ipotizzare un’alternativa alle attuali dissennate politiche europee di esclusione e segregazione. Non c’è dubbio che su questo mare si gioca la scommessa più ambiziosa del destino del vecchio continente, quel processo di pace su scala globale fra l’Occidente e il mondo islamico. Qui è tornato ad essere il baricentro della storia, qui si sta consumando una sfida che costringe a ripensare l’intero assetto geopolitico del nuovo ordine mondiale. Ma il futuro, ci ricorda uno dei massimi conoscitori del Mediterraneo, non si può costruire a prescindere dalla memoria del passato.  «Sul Mediterraneo è stata concepita l’Europa – ha scritto  Matvejevic. È difficile scoprire ciò che ci spinge a provare a ricomporre continuamente il mosaico mediterraneo, a compilare tante volte il catalogo delle sue componenti, verificare il significato di ciascuna di esse e il valore dell’una nei confronti dell’altra: l’Europa, il Maghreb e il Levante; il giudaismo, il cristianesimo e l’Islam; il Talmud, la Bibbia e il Corano; Atene e Roma; Gerusalemme, Alessandria, Costantinopoli, Venezia; la dialettica greca, l’arte e la democrazia; il diritto romano, il foro e la repubblica; la scienza araba, il Rinascimento in Italia, la Spagna delle varie epoche, celebri e atroci. Qui popoli e razze per secoli hanno continuato a mescolarsi, fondersi e contrapporsi gli uni agli altri, come forse in nessun’altra regione di questo pianeta. Il Mediterraneo non è solo storia» [6].

La verità – come afferma Guidantoni nel suo libro un po’ diario di viaggio, un po’ lettera aperta, un po’ appassionato pamplhet – è che «il Mediterraneo non è un mare tra gli altri, è piuttosto un sistema, un continente a sé, una forma mentis», «un insieme di insiemi», secondo la felice espressione di Braudel, un mosaico di terre e di acque, di isole e di penisole, una mirabile sintesi di civiltà diverse e pure riconducibili ad un ordine più alto e più complesso rispetto alla semplice somma delle molteplici differenze.

«A Trapani, sul mare, – scrive Guidantoni – all’ingresso del porto c’è il castello della colombaia, luogo delle colombe votive a Venere, simbolo di contaminazione di miti pagani e poi cristiani insieme». Un esempio tra i tanti dei frutti fecondi dell’incontro e dello scambio. Quando i popoli  recupereranno memoria di queste nobili eredità culturali e prenderanno consapevolezza che l’essere mediterraneo viene prima dell’appartenenza ad una etnia, ad una religione o ad un paese, probabilmente l’Europa ritroverà il suo mare, le sue origini, le ragioni e le regioni del suo futuro possibile.

Dialoghi Mediterranei, n.21, settembre 2016 
Note 
[1] Pérez-Reverte, trad. di R. Bovaia, Il mio Mediterraneo, un mare eterno, disponibile sul sito web: http://www.corriere.it/cultura/10_giugno_14/perez-reverte-mediterraneo-eterno_77e4d9a0-7794-11df-9d1c-00144f02aabe.shtml
[2] I. Chambers, Le molte voci del Mediterraneo, Cortina edizioni Milano, 2007.
[3] I. Chambers, Onde postcoloniali in T. Ricciardi (a cura di), Le rotte del Mediterraneo, Il Torcoliere Napoli, 2005: 61-67.
[4] C. Leggewie, trad. N. Missaglia, Il baricentro nel Mare nostrum, in “Reset”, Dossier, n. 36 e disponibile sul sito web http://www.reset.it/dossier/il-futuro-e-dei-pigs-un-ponte-sul-mediterraneo
[5] P. Fondati, Il Mediterraneo, antidoto contro i fondamentalismi in Il Sole 24 ore on line disponibile sul sito web http://www.ilsole24ore.com/art/SoleOnLine4/Tempo%20libero%20e%20Cultura/2007/10/libro-cassano-zolo-alternativa-mediterranea-fondati.shtml?uuid=48df4c54-8213-11dc-b178-00000e25108c&DocRulesView=Libero&refresh_ce=1
[6] P. Matvejevic, Breviario Mediterraneo, Garzanti Milano, 1991: 18.
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Maria Rosa Montalbano, ha conseguito la laurea magistrale in Beni archeologici con lode presso l’Alma Mater di Bologna con una tesi dal titolo Incastellamento e cultura materiale di età medievale. Il suo interesse è rivolto alla storia urbana e del territorio nel Medioevo e si dedica alla consultazione di documenti d’archivio, soprattutto quelli della Diocesi di Mazara del Vallo. Ha partecipato a diverse attività promosse dall’Università di Bologna, dalla Società Cooperativa Lilybaeum Archeologica presso il Museo Civico e il Museo Archeologico di Marsala nonché dal Museo Diocesano di Mazara del Vallo.

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