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Perché fuggire?

Posted By Comitato di Redazione On 1 maggio 2018 @ 00:01 In Letture,Società | No Comments

copertinadi Tommaso Pasquino

- Devo andare? Dove devo andare? – Così Giuseppe Perini, ultimo abitante di Larìo, un insediamento di casolari sparsi lungo la sponda destra del fiume Avisio, in Val di Cembra, rispondeva in una fredda giornata del 1968 a Aldo Gorfer, giornalista, studioso e testimone dei cambiamenti intervenuti nel Trentino tra il ’50 e il ’70. “Perché fuggire?” divenne il titolo prima di un articolo che il giornalista trentino fece uscire nel 1968 sul quotidiano “L’Adige”; e poi di un capitolo del suo importante libro uscito qualche anno più tardi [1].

Quella domanda era il frutto di un’esperienza forte e intensa, che il giornalista aveva vissuto insieme al fotografo Flavio Faganello in quegli anni: un’inchiesta giornalistica condotta attraverso gli undici piccoli agglomerati di case dei Masi di Grumes, in parte abbandonati, in parte in via di spopolamento, abbarbicati sulla montagna del paese più grande da cui dipendevano: Grumes. Anch’esso coinvolto, seppur in maniera ridotta, nell’inesorabile dispersione di abitanti, risorse, saperi e speranze che in quegli anni vedeva coinvolta tutta la val di Cembra.

Il quesito di Aldo Gorfer rimase dentro il libro e tra chi continuò a resistere sui terrazzamenti dei millenari muri a secco dell’alta valle di Cembra, avvolto da un fatalistico e deleterio attendismo, nella convinzione dell’ineluttabilità della storia e del progresso che si realizzava, sempre e comunque altrove, via oltra, come si diceva qui.

Il lavoro altrove. E con esso il vivere. É stato così per un secolo e più per i paesi che oggi compongono il Comune di Altavalle, nato da una fusione amministrativa tra i Comuni di Faver, Grauno, Grumes e Valda nel 2016. E se per anni quell’altrove è stato oltralpe, nelle miniere di ferro della Lorena o in quelle di carbone del Belgio o addirittura oltreoceano, dal Cile all’Argentina fino all’Uruguay, quando i ritmi della grande emigrazione si attenuarono, diventarono altrove i centri produttivi delle città più vicine, dove la gente si trasferiva numerosa, mentre i numeri di chi abitava i gruppi di casolari sparsi a occidente del paese, sulla sponda destra del fiume Avisio, incominciavano a calare a picco: Ferrai, Forni, Gaiardi, Giovanni, Grezzon, Orion, Pinteri, Pojeri, Rosi, Todescat. Erano i nomi delle piccole località nate intorno ai masi familiari.

Se trecentonove erano le persone che li abitavano nel 1921, nel 1961 erano già calate a centotredici, e nell’anno in cui Gorfer pubblica il suo libro, il 1970, si erano ridotte a sessantanove. E purtroppo non sarà il punto più basso per una zona che solo qualche decennio più tardi sfiorerà lo spopolamento quasi totale. Per anni si è creduto che l’economia fosse cambiata per sempre, e con essa l’uomo. Che la montagna severa e avara non avrebbe più avuto un altro futuro, schiacciata dai simboli del successo cittadino e della sua “modernità”.

Strada della val di Cembra in costruzione

Strada della val di Cembra in costruzione

Ma non era proprio così: già al tempo in cui Gorfer portava avanti la sua inchiesta sullo spopolamento delle montagne anche nei gruppi di case più lontani dalle principali vie di comunicazione e dalle fabbriche delle città, come i Masi di Grumes, si intravedeva la speranza di una rinascita. E questa speranza si chiamava strada. Nel 1968 il comune di Grumes fa costruire una carrozzabile per raggiungere la frazione dei Masi. Grazie a quella strada alcuni turisti da Milano e Torino decideranno di acquistare vecchie case e di rimetterle a nuovo come proprie case vacanza. Questo non arresterà lo spopolamento della zona, ma aiuterà il territorio a predisporsi meglio ai cambiamenti che sarebbero avvenuti negli anni a venire. D’altronde, la costruzione di strade che attraversassero uniformemente tutta la Val di Cembra per metterla in collegamento con l’adiacente Val di Fiemme è risultato obiettivo agognato e sofferto nel tempo. Un tempo lungo quasi duecento anni, soprattutto per i paesi dell’alta valle, che hanno vissuto più direttamente le conseguenze di vie di comunicazione inadatte o addirittura inesistenti. Ancora alla fine degli anni ’50, una riunione di sindaci della valle di Cembra descriveva in questi termini la situazione stradale dei loro paesi:

«(…) i lavori inerenti alla sistemazione, allargamento e rettifica della strada provinciale che percorre la sponda destra dell’Avisio proseguono sì, ma con impressionante lentezza per gli scarsi fondi che goccia a goccia vengono assegnati all’uopo. (…) questa strada riveste importanza vitale per questa misera e depressa valle, i cui abitanti hanno pur essi il diritto di esser messi in comunicazione, secondo le minime esigenze moderne, colla vita generale della regione e della nazione (…) » [2].

Il Perché fuggire? di Aldo Gorfer nonostante tutto non rimase nel vento. Ebbe delle risposte. Piccole, semplici, ma importanti. In un paese come Grumes per esempio colpì nel segno, nell’orgoglio, e indusse la comunità a ripensarsi, a riscoprire la tenacia e una montagna madre di futuro, non più “cimitero di rose”. Negli anni ’80 del secolo scorso un gruppo di giovani iniziò a seminare fiducia e raccogliere autostima collettiva organizzando eventi strettamente legati al bosco, al paese, alla cultura e alla tradizione. L’esperienza fece emergere idee nuove e un nuovo senso di comunità. Nacquero nuove associazioni, altre trovarono nuove motivazioni. La vita, le proposte e le iniziative culturali e sociali iniziarono una nuova e stimolante stagione. E così, lentamente ma significativamente, la montagna non fu più un luogo da cui fuggire, ma un posto dove la qualità della vita incominciò a riapparire dapprima accettabile e poi, via via, migliore.

Spettacolo annuale nella piazza di Grumes

Spettacolo annuale nella piazza di Grumes

Oggi, alcune delle esperienze elaborate negli anni ’80 come reazione e risposta attiva allo spopolamento hanno dato i loro frutti e hanno consolidato i loro effetti sul territorio. Altre non sono andate oltre la passione iniziale che le aveva prodotte, e si sono semplicemente estinte. Ma anche se il numero degli abitanti non è più quello degli anni prima della guerra, e forse nemmeno la metà, almeno ha cessato di diminuire ed è costante ormai da svariati anni. Grumes e i paesi che oggi compongono il Comune di Altavalle, hanno saputo trovare una loro via, distinta e alternativa rispetto all’offerta turistica delle ben più famose valli che la attorniano, legate principalmente al turismo invernale e all’offerta sciistica.

Altavalle offre oggi un territorio caratterizzato da un ambiente naturale integro, da elementi antropici e culturali ancora forti e radicati. Un territorio che consente la promozione di un turismo rispettoso dell’ambiente, anche grazie alla creazione e alla valorizzazione di itinerari culturali e naturalistici da percorrere a passo lento. Un territorio variegato, adatto ad essere vissuto, interpellato e raccontato in tutte le sue sfaccettature. E se anche lo spopolamento ha cessato di incidere violentemente al contrario di quanto ancora accade in altre zone dell’arco alpino, non dobbiamo fermarci ai meri numeri e sottovalutare un problema che per alcune frazioni in particolare rimane ancora attuale. Combattere lo spopolamento significa dunque prevenirlo, e impegnarsi contro la piccola ma latente, quasi impercettibile ma costante diminuzione della popolazione nelle nostre zone.

Ecco perché un gruppo di associazioni territoriali, occupate quotidianamente e in maniera trasversale nella valorizzazione del territorio, dal versante sociale a quello culturale, continua a riflettere sulla domanda che Gorfer si pose quasi cinquant’anni fa. Riadattandola in un altro, fondamentale, quesito:

Spettacolo annuale nella piazza di Grumes

Spettacolo annuale nella piazza di Grumes

- Perché restare?-

Altavalle 360, il progetto di valorizzazione e ramificazione del patrimonio culturale dell’alta Val di Cembra è stato creato e applicato per rispondere a questa domanda. Intercetta gli esperimenti già avviati da anni dai singoli paesi in campo economico e turistico cercando di metterli in comunicazione e di svilupparli con le potenzialità del nuovo Comune nato dalla loro fusione. Per favorire e realizzare concretamente questo dialogo, il progetto ha introdotto quattro anni fa un esperimento di teatro partecipato e di comunità, Ci sarà una volta, che attingendo ai modelli di teatro partecipato più importanti del nostro Paese (in primis quello del Teatro Povero di Monticchiello) coinvolge gli abitanti dei quattro paesi nella costruzione di una rappresentazione pubblica annuale, dove si affrontano i temi legati al vivere in piccole realtà di montagna. Occasioni di confronto pubblico, di rivitalizzazione del dialogo tra la gente e di riscoperta dei luoghi in cui tutto questo avviene.

Dall’anno scorso, per implementare queste occasioni, il progetto ha attivato un’altra importante manifestazione, il festival di teatro civile e partecipato Contavalle. Obiettivo: portare nei nostri paesi le altre compagnie, italiane e non, che rispondono con la pratica artistica e culturale alle difficoltà di sopravvivenza delle proprie comunità. La prima edizione ha registrato un numero molto importante di partecipazione e la seconda, in programma dal 4 al 18 agosto 2018 promette lo stesso livello di qualità e di impegno da parte dell’associazione “.doc” che organizza l’evento e dei cittadini che vi collaborano attivamente.

Forse la domanda che ci poniamo non troverà risposte. O forse sì, magari molteplici. L’importante, crediamo, è poter contare su una comunità che continui a porsela.

Dialoghi Mediterranei, n.31, maggio 2018
Note
[1] Aldo Gorfer, Solo il vento bussa alla porta, Arti Grafiche Saturnia, Trento, 1970.
[2] L’Adige quotidiano, venerdì 23 agosto 1957, “Dalle valli Trentine”.
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Tommaso Pasquini, laureato in Scienze Politiche all’Università di Siena nel 2001, si specializza nell’Università Sorbona 3, poi a Strasburgo, presso l’Institut des Hautes Etudes Européennes. Dal 2007 oltre a collaborare come giornalista alle pagine culturali di riviste e quotidiani trentini, lavora sia come documentarista che come autore di testi e progetti di narrazione di comunità legati alle piccole realtà di montagna. Dal 2014 sviluppa il progetto di teatro partecipato “Ci sarà una volta” nel territorio di Altavalle (TN) e dal 2017 è direttore artistico del festival di teatro civile e partecipato Contavalle. Dal 2016 è responsabile del “dipartimento della reminiscenza” delle A.P.S.P. di Nomi (TN) e Cavedine (TN). É direttore della nuova rivista “Altavalle360”.
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