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Per non dimenticare Tullio De Mauro

Tullio De Mauro

Tullio De Mauro

di Salvina Chetta 

L’11 marzo scorso è stata pubblicata sul sito internet del Ministero dell’Istruzione e del Merito la bozza del nuovo testo delle Indicazioni nazionali per il curricolo Scuola dell’infanzia e Scuole del primo ciclo di istruzione [1], frutto del lavoro di una Commissione composta da studiosi di area pedagogica esperti di didattica e di curricolo scolastico e di studiosi esperti disciplinari. La pubblicazione della bozza del documento ha avuto come fine quello di avviare una fase di dibattito pubblico e di consultazione con associazioni professionali e dei genitori, con le rappresentanze degli studenti, le organizzazioni sindacali, le istituzioni scolastiche statali e paritarie.

Nei giorni dal 21 marzo al 17 aprile, le scuole sono state invitate a partecipare al dibattito attraverso la compilazione di un questionario appositamente predisposto dalla Commissione e contenente domande su aspetti delle Indicazioni di particolare rilevanza. Il questionario constava di ventidue quesiti a risposta multipla e di un form di duecentocinquanta caratteri, spazi compresi, per proporre osservazioni. Al di là dell’esiguità dello spazio aperto concesso per la formulazione di critiche e proposte, le alternative delle risposte multiple non davano possibilità di esprimere pareri negativi, lasciando intendere che il fine della fase di consultazione non fosse quello di raccogliere i punti di vista delle scuole, ma di ottenere ampi consensi sul nuovo documento. Per la fondamentale importanza del testo, a dei professionisti della riflessione quali sono gli insegnanti sarebbe stato opportuno a nostro avviso concedere un tempo più lungo per il dibattito e spazi più aperti.  

indicazioni2025-1Terminata la fase di consultazione, l’11 giugno il MIM ha condiviso le bozze aggiornate delle Indicazioni nazionali per il curricolo 2025 e le ha trasmesse al Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione per il prescritto parere. Le nuove Indicazioni sostituiranno, dall’anno scolastico 2026/2027, quelle adottate nel novembre 2012 dall’allora ministro del Governo Monti, Francesco Profumo.

Poco o nulla ha inciso la fase di consultazione su un testo che è nato d’altronde dalla fervida volontà da parte del Governo di caldeggiare l’affermarsi di un modello di scuola sovranista fondata su patria, famiglia, repressione del dissenso e disciplina. I componenti della Commissione sono stati scelti ad hoc dal Ministro Valditara e i loro nomi non sono nuovi nel dibattito sulla scuola.  La morte di Tullio De Mauro nel 2017 ha liberato le forze più conservative in ambito linguistico pedagogico che il professore delle Dieci tesi per l’educazione linguistica democratica ha contrastato per tutta la sua esistenza. Fu Tullio De Mauro ad avviare quel lungo processo di riflessione pedagogica di elaborazione collettiva che ha portato alla scrittura delle Indicazioni nazionali per il curricolo divenute legge nel 2012. Dopo solo un mese dalla sua morte fu pubblicata sui giornali una lettera del “Gruppo di Firenze”, attivo fin dal 2005 e formato da professori universitari, accademici della Crusca, opinionisti e intellettuali che si autoproclamavano «per la scuola del merito e della responsabilità». La lettera è una raccolta di luoghi comuni sul declino della scuola italiana e l’attacco più o meno implicito è a De Mauro e alla scuola democratica. Tra i firmatari della lettera l’attuale ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara e lo storico Ernesto Galli della Loggia, coordinatore quest’ultimo per l’insegnamento della Storia nelle nuove Indicazioni nazionali. Fanno ancora eco le critiche di Galli della Loggia alla scuola dell’inclusione e risuonano come una minaccia al principio di uguaglianza, le riportiamo dall’editoriale del Corriere della Sera del 13 gennaio 2024: «nelle aule italiane – caso unico al mondo – convivono regolarmente, accanto ai cosiddetti allievi normali, anche ragazzi disabili gravi con il loro insegnante personale di sostegno (perlopiù a digiuno di ogni nozione circa la loro disabilità), poi ragazzi Bes (Bisogni educativi speciali: dislessici, disgrafici, oggi cresciuti a vista d’occhio anche per insistenza delle famiglie) e dunque probabili titolari di un PDP, Piano Didattico Personalizzato, e infine, ragazzi stranieri incapaci di spiccicare una parola di italiano. Il risultato lo conosciamo». «È il punto più basso del dibattito sulla scuola», scrive a tal riguardo Christian Raimo [2], e sarà sempre l’esimio storico a toccare nuovamente il fondo un anno dopo, ma in un documento più importante, per l’appunto le nuove Indicazioni nazionali. Leggiamo a pagina 53 nel rigo con cui si apre il capitolo relativo all’insegnamento della Storia: «Solo l’Occidente conosce la Storia». Si fa palese una deriva xenofoba che preoccupa.

Del resto, rispetto alle precedenti Indicazioni del 2012, non vi è riferimento in questo nuovo documento all’aspetto multiculturale e multietnico della società italiana. Considerazioni simili possono essere fatte riguardo alla seconda lingua che, secondo questo nuovo testo, deve essere esclusivamente e rigorosamente dell’Unione Europea.  La paura dell’altro, il conseguente bisogno di controllo e di ritorno al già sperimentato e al già vissuto, renderanno, tuttavia, la scuola dei prossimi anni ancor più inadeguata a leggere le problematicità del nostro Paese e a formare persone capaci di solcare i mari della complessità. È un fatto di ecologia politica «ripristinare nelle nostre menti, prima di tutto (…) la multiforme varietà del mondo, senza cedere al ricatto della semplificazione distruttiva in nome di imperativi economici»  [3].

Mario Lodi e Don Milani

Mario Lodi e Don Milani

Scrive Dario Ianes: «Leggendo le nuove Indicazioni 2025 mi colpisce una “passione triste”, per dirla come Benasayag, o meglio un groviglio di passioni tristi: la paura, la sfiducia e quella “prudenza” che rattrappisce lo sguardo lontano, vitale, desideroso del futuro, che restringe il respiro e affanna sulla difensiva il pensiero» [4].  Emerge dalla lettura delle Indicazioni 2025 un bisogno di controllo e di chiusura da parte di chi ci governa, di demarcazione dei confini, quindi di disciplina da imporre agli alunni e alle alunne, di limitazione della libertà di insegnamento e dell’autonomia delle scuole. Le Indicazioni del 2012 non facevano alcun riferimento ad autori da “insegnare” o a “brani edificanti”; le nuove Indicazioni non solo separano, per quanto concerne la disciplina dell’Italiano, la lingua dalla letteratura, ma propinano scrittori e opere come avveniva nella scuola dei programmi curriculari.

A scuola cerco sempre di educare al piacere per la lettura, e lo faccio cercando di evitare imposizioni o forzature, promuovendo la libera scelta dei testi: all’inizio dell’anno dipingiamo delle cassette di legno che, poste in verticale in un angolo dell’aula, diventano degli scaffali per la biblioteca di classe. Ogni bambino porta qualche libro da casa e tutti i libri vengono catalogati dai bambini stessi. A ricreazione avvengono i prestiti, un anno in una Quinta Primaria Rebecca lesse 12 libri e scoprì che amava quelli di avventura, mentre Luigi, che a casa non aveva neppure un libro ed era il più svogliato della classe, iniziò a prendere il gusto per la lettura leggendo un libro di barzellette. A Thomas che non riesce neppure a stare seduto, figuriamoci ad applicarsi nella lettura, propongo di sfogliare il libro e scegliere lui stesso il brano dal titolo o dalle immagini. A volte legge solo i titoli, ma è pur sempre un inizio.

Se l’invito dei grandi maestri progressisti del Novecento, Mario Lodi, Don Milani, è stato quello di scendere dalla cattedra per fare spazio agli alunni, con le nuove Indicazioni gli alunni devono tornare ad essere obbedienti e gli insegnanti a farsi magis.  

La parola libertà è spesso abusata: la scuola è luogo di «sviluppo della libertà». Il termine “libertà” è utilizzato anche per escludere, esprimere chiusura, ingabbiare il pensiero nello stereotipo: «la libertà è il valore caratteristico più importante dell’Occidente e della sua civiltà fin dalla sua nascita». L’esasperazione del percorso di educazione alla libertà, l’uso martellante del termine destano sospetti: la scuola non può essere uno spazio di libertà se non è prima di tutto uno spazio di liberazione. Gli alunni si educherebbero alla libertà attraverso, un «lungo allenamento all’autogoverno» e alle regole. Che paradosso! Regole di comportamento, regole delle discipline, come, per esempio, le regole di grammatica. Le regole aiuterebbero a interiorizzare «il senso del limite». Così, la scuola, da luogo di liberazione, di sviluppo dell’autonomia e della persona si fa luogo di limitazione della possibilità di azione e della creatività degli alunni.  

Le nuove Indicazioni promuovono un’educazione linguistica regolativa che assieme alla introduzione dell’insegnamento del Latino nella scuola secondaria di primo grado finiranno per diventare un inevitabile strumento di selezione a danno dei tanti alunni che già vivono una condizione di svantaggio linguistico (immigrati di prima e seconda generazione, bambini in situazione di svantaggio socio-culturale). Tutti i cittadini, invece, sono uguali senza distinzione di lingua.

71oupggdxml-_uf10001000_ql80_Sebbene siamo d’accordo sull’importanza della riflessione linguistica, pensiamo tuttavia che non sia questa la finalità tout court dell’insegnamento della lingua. Nelle Dieci Tesi per l’Educazione Linguistica Democratica, pubblicate nel 1975 assieme ai gruppi GISCEL, in luogo di una educazione linguistica regolativa si propone una educazione linguistica funzionale: la lingua è per comunicare, entrare cioè in relazione con gli altri, stare al mondo. «Le parole, le lingue che parliamo, sono una parte per noi grande e importante di un insieme molto più vasto e vario: l’insieme della comunicazione» [5]. Lo sanno bene gli insegnanti di alunni autistici non verbali, alunni immigrati, alunni timidi e introversi quanto sia necessario dare valore a scuola a semiotiche diverse dal linguaggio parlato. 

La lingua è per passare il mare, per navigare nel mare reale o metaforico della complessità, la centralità della conoscenza e della pratica linguistica non servono a garantire un buon rendimento scolastico, ma la piena partecipazioni di tutti i cittadini alla vita politica, in buona sostanza la democrazia. Argomento di lezione a Barbiana erano le parole: chi non intende tutte le parole della prima pagina di un giornale, sosteneva Don Milani, non può dirsi cittadino sovrano. «Tutti gli usi della parola a tutti, mi sembra un buon motto, dal bel suono democratico», scriveva Gianni Rodari, «Non perché tutti siano artisti, ma perché nessuno sia schiavo» [6].

La scuola delle regole, delle penne rosse che, per dirla ancora con lo scrittore di Omegna, si fa «setaccio della correttezza», la scuola con l’ossessione della compostezza della bella forma finisce per trattenere e valorizzare i ciottoli «lasciando passare l’oro» [7].

L’ossessione degli insegnanti per gli “sbagli” di ortografia non insegna l’ortografia, ma un senso di vergogna, una paura di sbagliare, una timidezza e la conseguente abitudine a tacere e a rispettare con deferenza chi parla bene, ma senza farsi capire.  

9788866567899_0_0_0_0_0La maestra vuole che il bambino scriva quattro parole con la “s” e quattro con la “z”. Il bambino è volenteroso e ubbidiente, a casa svolge i compiti autonomamente, così esegue la consegna, poi porta il quaderno alla mamma, tra le parole con la “s” c’è “silofono”. Sicuramente, pensa la mamma, domani la maestra correggerà la parola con la penna rossa, ma non temere, bambino, può essere un’occasione di conoscenza per i tuoi compagni, perché non tutti sanno che “xilofono” si può dire anche “silofono”, tu dillo alla maestra che è uguale, che hai cercato la parola nel vocabolario. Il bambino non vuole penne rosse, segni brutti, macchie sul quaderno, sorrisetti dei compagni: mamma, lasciamo stare! La mamma lo convince a tenere la parola in quella forma non convenzionale. Nel pomeriggio dell’indomani il bambino di buona lena apre il quaderno: la penna rossa ha lasciato il segno e il segno inibizione, paura di sbagliare, di essere originali.

La scuola trasmissiva e punitiva limita la creazione, svilisce l’incontro e la relazione fondamentali nella società odierna in cui il termine “individuo” ha soppiantato quello di “persona”. A tal proposito, abituati al pensiero riflessivo, non ci sfugge, neppure, nel nuovo testo l’infelice sostituzione del termine “persona”, sicuramente democratico e costituzionale, con quello perifrastico e tecnicistico di “personalità del bambino”.

Non ci piace in questo documento il riferimento alla «comunità colta» quale unica depositaria del patrimonio delle forme linguistiche corrette e «riconosciute come legittime». Il diario di un contadino semicolto, l’epistolario di un emigrato, la “grammatica implicita” di un bambino sono la base su cui si innesta un’educazione linguistica più ampia. Si parte sempre da quello che si è.

9788838933806_0_0_0_0_0«Le lingue le creano i poveri e poi seguitano a rinnovarle all’infinito. I ricchi le cristallizzano per poter sfottere chi non parla come loro. O per bocciarlo» [8]: occorre contro il processo incalzante di omologazione linguistica riscoprire e promuovere nelle scuole il plurilinguismo e il code switching. L’abilità nel passare da una lingua, dialetto o codice linguistico a un altro scongiurerebbe l’appiattimento linguistico che impoverisce pure il pensiero: «Pensate quante caratteristiche del parlare si sono cancellate ed uniformate: dall’intonazione agli accenti, dal tono della voce, dalla melodia alla frequenza dei vocaboli» e continuiamo con  Ivan Illich «le lingue sono molto di più di quante non ne segni la linguistica, le cui pretese ideologiche devono essere smascherate come tutte le altre pretese di delimitazioni scientifiche fatte in realtà in nome dell’economia per rendere più misurabile, amministrabile e dominabile il mondo» [9].

Con Don Milani, De Mauro, Lodi, Rodari, la strada di riforme scolastiche intraprese è stata virtuosa, con fatica si sono formati in questi anni insegnanti per una scuola progressista, inclusiva e democratica, non ci eravamo ancora riusciti del tutto a scardinare vecchie impostazioni metodologiche e didattiche, che vediamo apparire sullo scenario dell’istruzione un testo che riporta la scuola italiana in dietro di sessant’anni. 

Cosa fare? A scuola abbiamo fatto l’orto e nell’orto abbiamo trovato, una mattina che ancora la brina era sulle lattughe, una lumaca. Gli abbiamo dato un nome e l’abbiamo portata in classe in un bicchiere con gambi di trifoglio e fiori. Avrà sentito degli ittiti e degli assiri, di guerre, di archi e di una biblioteca di libri di argilla. Poi l’abbiamo liberata. Ritornando a casa penso all’arte della lumaca, che va piano e lascia il segno. Nella scuola delle regole, serva dell’economia, di stakeholders in luogo di persone, di classifiche di merito, numeri e bilanci, competizioni, più che competenze penso ai grandi maestri che hanno lasciato il segno e che hanno fatto la scuola di fine Novecento. Per noi loro sono scia, segno, sigillo, faro nella notte. 

Dialoghi Mediterranei, n. 75, settembre 2025
Note 
[1] Cfr. il sito internet del MIM all’indirizzo https://www.mim.gov.it/-/indicazioni-nazionali-per-il-curricolo-scuola-dell-infanzia-e-scuole-del-primo-ciclo-di-istruzione
[2] Christian Raimo (a cura di), Alfabeto della scuola democratica, Laterza, Bari 2024: X
[3] Alexander Langer, Il viaggiatore leggero. Scritti 1961 – 1995, Sellerio, Palermo 2015: 102
[4] Dario Ianes (a cura di), Credere, obbedire, insegnare. Voci critiche sulle Indicazioni Nazionali 2025 per il primo ciclo di istruzione, Erickson, Trento 2025: 72.
[5] Tullio De Mauro, Dieci tesi per una scuola democratica, Franco Cesati Editore, Firenze 2019: 116
[6] Gianni Rodari, Grammatica della fantasia, Einaudi, Torino 2010: 10
[7] Ibidem: 125
[8] Scuola di Barbiana, Lettera a una professoressa, LEF, Firenze 1967: 18 e 19.
[9] Cfr. Alexander Langer, op. cit.: 102

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Salvina Chetta, vive a Mezzojuso (PA). Si è laureata in Lettere moderne ed è insegnante di Sostegno nella scuola primaria. Ha fatto parte della Compagnia del Teatro del Baglio di Villafrati (PA). È appassionata di fotografia e ha pubblicato alcuni saggi sull’emigrazione siciliana in Tunisia. Per la rivista “Nuova Busambra” ha curato la rubrica “Nìvura simenza” sulle scritture popolari.

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