CIP
di Simone Pazzaglia, Settimio Adriani
Nei giorni 8, 9 e 10 agosto 2025, a Fiamignano, nelle storiche sale di Palazzo Martelli, recentemente recuperato e in (difficoltosa) fase di valorizzazione, si è svolta la mostra collettiva Orizzonti d’arte, organizzata dalla Pro Loco con il patrocinio del Comune e il contributo volontario di cittadini e cittadine. L’iniziativa ha visto la partecipazione di otto artisti: Adriana Renzi, Andrea Della Valle, Andrea Lancianese, Moreno Colasanti, Marcello Mari, Piero Orlando, Edoardo Maria Giordani e Federico Pedetti – in un confronto generazionale e stilistico che ha coinvolto pittura, fotografia e tecniche miste. Una sala è stata interamente dedicata ai dipinti di Marcello Mari, ispirati agli scorci ormai silenziosi e dimenticati di Fontefredda, una frazione di Fiamignano, abbandonata da oltre un secolo e oggi immersa in un silenzio che l’arte ha saputo trasformare in voce. La letteratura antropologica sottolinea come la valorizzazione di luoghi marginali attraverso pratiche artistiche partecipate possa rafforzare il senso di appartenenza e la coesione sociale (Macdonald & Cheong, 2014; Waterton & Watson, 2015).
In un’epoca in cui il sistema culturale italiano appare profondamente sbilanciato verso i grandi poli urbani, e in cui la periferia sembra destinata al ruolo di spettatrice passiva, Orizzonti d’arte si è imposta come un’iniziativa di resistenza culturale e di ridefinizione dell’identità locale. La mostra ha offerto un’occasione preziosa di riattivazione del tessuto sociale, di risignificazione dello spazio e di riflessione collettiva sull’abitare il territorio. Un evento, dunque, non solo artistico ma profondamente antropologico. Come dimostrano studi recenti, gli interventi culturali in contesti marginali possono innescare processi di rigenerazione comunitaria e creare “luoghi” nel senso proposto da Augé (1992), contrapponendosi alla logica dei non-luoghi tipica della surmodernità (Augé, 1993; Basso, 1996).
La cultura nella rarefazione: perché l’arte in un luogo marginale?
Organizzare una mostra d’arte contemporanea in un piccolo centro dell’Appennino reatino come Fiamignano significa agire in controtendenza rispetto ai flussi dominanti della cultura e della comunicazione. Non ci sono fondazioni private, grandi sponsor, né media nazionali a raccontare l’evento. Eppure, gli artisti hanno risposto con slancio e generosità, consapevoli che qui, forse più che altrove, l’arte ha ancora la possibilità di parlare con autenticità.
Questo slancio, apparentemente irrazionale in termini di visibilità e ritorno economico, si spiega se letto in una chiave filosofica: l’arte, per sua natura, è un atto eccentrico. Non ha bisogno necessariamente del centro per esistere, ma tende costitutivamente a spostarsi verso i margini, dove può recuperare il proprio potenziale critico e poetico (Didi-Huberman, 2010). In questo senso, il margine si configura come soglia liminale, un “luogo altro” in cui la comunità rinegozia le proprie forme di vita e di senso, analogamente ai processi rituali descritti da Turner (1969; 1982) e Clifford (1988/2010), in cui la periferia diventa un laboratorio simbolico di trasformazione.
Come suggerisce Remo Bodei (1975/2021), è ai margini del sistema che si producono spesso le innovazioni più feconde. La periferia, in questa prospettiva, non è solo assenza, ma anche possibilità. È laboratorio invisibile, anticamera di futuri inaspettati.
Palazzo Martelli: spazio ritrovato, spazio ritessuto
La scelta di Palazzo Martelli come sede dell’esposizione non è stata soltanto una necessità logistica, ma una decisione profondamente simbolica. L’edificio, con la sua architettura sobria e la sua storia stratificata, rappresenta un nodo della memoria locale. Aprirlo all’arte contemporanea ha significato riattivare uno spazio che rischiava la marginalità, restituendogli una funzione pubblica, dialogica e partecipativa.
L’arte, qui, non è entrata come ospite ma come alleata: ha occupato le stanze del palazzo con opere che dialogano con la storia, che interrogano le pareti, che trasformano lo spazio fisico in spazio relazionale. In termini teorici, possiamo leggere questa trasformazione alla luce della filosofia di Nancy (2021), per cui lo spazio condiviso non è semplice contenitore ma “essere-con”, e di Lefebvre (1974/1991), che descrive la produzione dello spazio come risultato di pratiche sociali, simboliche e materiali intrecciate.
I visitatori, molti dei quali residenti o ex residenti tornati per l’occasione, hanno potuto vedere riflessa la propria esperienza quotidiana – il paesaggio, la memoria, il sentimento di appartenenza – nei lavori esposti. Questo processo di “risonanza simbolica” (Nancy, 2021) può essere interpretato anche come un atto di riappropriazione collettiva dello spazio, una forma di “re-insediamento” culturale (Low & Lawrence-Zúñiga, 2003) che riconfigura la percezione e l’uso dei luoghi storici in chiave contemporanea.
Palazzo Martelli, in questa prospettiva, non è soltanto il contenitore di un evento, ma diventa esso stesso parte dell’opera, elemento attivo di un’azione culturale che rilegge e rinnova il patrimonio architettonico locale.
Fontefredda: pittura e antropologia della soglia
Al centro emotivo e concettuale della mostra, la sala dedicata a Fontefredda ha raccolto una serie di dipinti di Marcello Mari che documentano, reinventano e reinterpretano la fisionomia perduta del paese abbandonato. Non si tratta di semplice vedutismo nostalgico: i quadri costruiscono un discorso complesso, dove la rovina diventa segno e sintomo, e la pittura un atto di resistenza contro la dimenticanza.
Mari, con uno stile che oscilla tra figurazione e astrazione, evoca non tanto i luoghi fisici quanto le soglie emotive che essi rappresentano: la soglia tra presenza e assenza, tra vita e abbandono, tra memoria e oblio. Questa dialettica della soglia si carica anche di un’eco perturbante, affine a quella che Thacker (2011; 2015a) definisce “filosofia dell’orrore”: il momento in cui l’esperienza estetica ci confronta con un “mondo senza di noi”, dove le rovine non sono soltanto testimonianze del passato ma aperture verso l’impensabile, spazi in cui il familiare si trasforma in estraneo e l’ordine si dissolve nell’indeterminato (Trigg, 2006).
In questo, il suo lavoro si inscrive in una lunga tradizione dell’arte europea che guarda alla rovina non come fallimento, ma come luogo di pensiero (Simmel, 1911; 1913; Trigg, 2006). Nel saggio Die Ruine (1911), Simmel interpreta la rovina come il punto in cui natura e cultura si compenetrano, generando una forma nuova e autonoma; nella Philosophie der Landschaft (1913) descrive il paesaggio come totalità estetica e filosofica, in cui l’osservatore non è mai esterno ma immerso, parte integrante della scena. Questi due nuclei teorici permettono di comprendere come le tele di Mari non siano solo documentazione visiva, ma riflessione concettuale sulla condizione stessa dei luoghi e sulla loro sopravvivenza nella memoria.
Fontefredda, attraverso il filtro pittorico, si trasforma così in archetipo del destino di molte piccole frazioni italiane: spopolate, invisibili, ma ancora profondamente presenti nell’immaginario e nell’identità di chi le ha abitate o ne conserva traccia affettiva.
Antropologia dell’evento: comunità, corpo e voce
Se osservata con gli strumenti dell’antropologia culturale, la mostra Orizzonti d’arte si rivela come un rituale contemporaneo di comunità. La sua organizzazione ha richiesto alleanze, collaborazioni, incontri. Ha prodotto movimento: non solo fisico, con l’arrivo di visitatori da altri comuni, ma anche simbolico. Ha riattivato memorie sopite, risvegliato appartenenze latenti, innescato narrazioni.
In termini turneriani, possiamo leggere questo evento come una fase liminale (Turner, 1969; 1982), in cui le strutture ordinarie vengono temporaneamente sospese e la comunità sperimenta una condizione di communitas, caratterizzata da intensità relazionale e senso di uguaglianza simbolica. Clifford (1988/2010) sottolinea come tali momenti rituali siano anche spazi di negoziazione culturale, in cui identità e memorie si rielaborano in risposta a contesti mutevoli.
In un’epoca in cui la dimensione comunitaria si sgretola sotto la pressione dell’individualismo, l’arte diventa – in contesti come questo – un potente strumento di ricomposizione del “corpo collettivo”. Le sale di Palazzo Martelli, per tre giorni, hanno funzionato come “piazza simbolica”, come spazio di riconoscimento reciproco, come luogo di parola e di ascolto. Da questo punto di vista, si può parlare anche di una “riconquista del luogo” (Augé, 1992; 1993), un’azione culturale che restituisce significato e funzione sociale a spazi che rischiavano di essere percepiti come marginali o residuali.
Anche il coinvolgimento intergenerazionale degli artisti ha svolto un ruolo fondamentale. Non si è trattato di una mostra “dei giovani” o “dei maestri”, ma di un dialogo tra percorsi differenti, tra radici e nuove direzioni. Questo aspetto, raramente valorizzato nei grandi circuiti espositivi, rappresenta uno dei punti di forza dell’iniziativa.
La periferia come laboratorio del futuro
Orizzonti d’arte dimostra che fare cultura nella periferia non è un atto secondario o di ripiego, ma una forma radicale di costruzione di senso. In un’Italia sempre più polarizzata, dove le disuguaglianze culturali si sommano a quelle economiche e infrastrutturali, eventi come questo rappresentano un modo concreto per invertire la rotta. Non si tratta di portare il centro nella periferia, ma di riconoscere che nella periferia possono nascere centri ‘altri’: luoghi di innovazione lenta, di creatività silenziosa, di resistenza al consumo immediato della cultura.
Il “pensiero meridiano” di Cassano (1996/2017) offre qui una chiave di lettura preziosa: spostare lo sguardo verso il Sud, i margini e le periferie significa ridefinire le categorie con cui interpretiamo lo sviluppo, la modernità e la stessa idea di progresso, privilegiando il tempo lungo, le relazioni e la qualità dell’abitare.
Come ricorda Ernesto de Martino (2021), è nelle crisi che le civiltà si mostrano a se stesse. In questa prospettiva, la crisi può essere letta anche secondo la “filosofia dell’orrore” di Thacker (2011; 2015a; 2015b), che interpreta tali momenti come aperture in cui il mondo umano incontra ciò che lo trascende: spazi di incertezza e di possibilità, dove la cultura può rigenerarsi attraverso nuove estetiche della presenza-assenza.
La crisi del sistema culturale periferico non è dunque solo una minaccia: è anche una possibilità. Una possibilità che la mostra Orizzonti d’arte ha saputo cogliere, trasformando l’assenza in presenza, il silenzio in discorso, la marginalità in orizzonte.
Le dichiarazioni di alcuni artisti
Andrea Lancianese
“Il caos è solo ordine non ancora decifrato”. A volte, nonostante le difficoltà quotidiane, sentiamo il dovere di rispondere “presente”. Alcune scelte sembrano nascere da una linea invisibile e incrollabile che guida la nostra etica e dà senso alle esperienze. In quei momenti comprendiamo che la vera bellezza è mettersi a nudo, riscoprirsi nell’altro. Su questo granello di mondo, dove spesso ci combattiamo a vicenda, è urgente rispondere alle ingiustizie, alle guerre, agli abusi. Siamo emozioni, e dobbiamo difendere la nostra umanità prima che l’onda della tecnologia ci travolga. Se vogliono abbatterci, dovranno volerlo davvero: noi non ci scanseremo. La mostra a Palazzo Martelli è il frutto di un’intesa nata tra me ed Edoardo fin dall’infanzia, nutrita dall’amore per questo territorio. L’intento è creare una rete dinamica di persone sensibili, capaci di generare quella “scintilla” proprio in un luogo ancora legato alle sue radici. Esporsi è un atto di fede verso l’Altro, un modo per accendere una corrente vitale fatta di incontri autentici. In questa edizione di Orizzonti d’Arte, abbiamo collaborato con artisti mossi dalla stessa urgenza espressiva. Il sostegno del Comune di Fiamignano, della Pro Loco, del Sierra e di Carlo Valente è stato fondamentale. Insieme, ognuno con le proprie competenze – musica, arte, organizzazione – abbiamo dato vita a qualcosa di più grande. Questa è la scintilla da custodire: senso di collettività, fratellanza e impegno per il futuro».
Edoardo Maria Giordani
«Più che un’idea, quella di esporre in un paese come Fiamignano è stata, fin dall’anno scorso, una necessità spontanea – e aggiungerei, inevitabile. Questo significa che, inizialmente, non sapevo nemmeno dove avrei potuto allestire la mostra. Poi, il colpo di fulmine: Palazzo Martelli. Una struttura ampia, centrale e, soprattutto, recentemente restaurata. Un po’ di forza di volontà, un pizzico di ambizione… ed ecco che tutto ha preso forma. Non ho mai accettato che il territorio in cui ho avuto la fortuna di crescere venga relegato al ruolo di semplice residenza estiva, per poi spegnersi durante l’inverno. Questo luogo è molto di più. Con il mio impegno, vorrei contribuire a cambiare questa narrazione. La missione di noi artisti è restituire al mondo la bellezza, e cercare di rendere ciò che ci circonda, in qualche modo, migliore. Se non iniziamo a pensare e ad agire in maniera diversa, resteremo sempre fermi nella stessa posizione. La Pro Loco mi ha affidato il compito di organizzare e gestire la mostra. Per esporre, ho scelto artisti che non si misurano in numeri o vendite, ma persone in cui ho percepito, fin da subito, una spinta autentica verso la bellezza. Ho ricevuto tanto supporto e mi è stata accordata una grande fiducia. Di questo sono estremamente grato. Perché sono stati proprio questi luoghi a insegnarmi che nulla è dovuto. Anche l’annuale manifestazione di disegno dedicata ai bambini – a cui abbiamo riservato una stanza espositiva (Figura 4) – ha un obiettivo chiaro: coinvolgere i giovani, compaesani e non, fin da piccolissimi, per far loro comprendere che possono fare la differenza. È l’immaginazione che muove il mondo. Vorrei far passare un messaggio semplice ma potente: in realtà, a noi non manca nulla. Abbiamo tutte le carte in regola per invertire la rotta e dirigerci verso nuovi orizzonti».
Marcello Mari
«Sono certo che la scelta di esporre quadri a Fiamignano sia giusta e lungimirante: solo la cultura, la capacità di produrla qui e la consapevolezza del valore del proprio patrimonio può
infatti garantire un futuro ai nostri paesi. Fiamignano più volte si è dimostrato una fucina di idee e iniziative, oggi conferma questa vocazione. Ben vengano dunque progetti di promozione dell’arte, soprattutto se rivolti ad artisti locali, che non mancano. Quanto alla mia scelta di rappresentare Fontefredda, è un omaggio alla storia e alla cultura materiale dei nostri antenati: Fontefredda, abbandonato nel 1917, è un paese congelato nell’epoca preindustriale e mostra ancora intatti tutti i caratteri originari dei nostri paesi, i modelli e le tecniche costruttive dell’architettura spontanea, e ci fa scoprire che questi nostri predecessori, pur essendo contadini, pastori e artigiani, tuttavia possedevano estro e capacità costruttive originali, che spesso sfioravano l’arte. Questi quadri dunque rappresentano un mondo che non c’è più, ma di cui è doveroso conservare la memoria».
Piero Orlando
«La mia vena artistica è stata alimentata soprattutto da questi luoghi, che frequento fin da bambino come una seconda casa, fra borghi, boschi, fiumi, laghi e montagne a perdita d’occhio, con infinite tonalità di verde, azzurro, foglie d’autunno e terre colorate. Qui a Fiamignano ho partecipato alle prime gare di disegno organizzate dalla Proloco dalla fine degli anni ’70. Sempre qui a Fiamignano ho partecipato alla prima edizione di una mostra collettiva d’arte contemporanea allestita nei vicoli del centro storico di Sant’Agapito nell’agosto 2006. Fu quella la mia prima esibizione in pubblico e da allora ho continuato a ricevere infiniti stimoli alla mia creatività proprio da questi luoghi, fertile humus e fonte di ispirazione per la mia produzione artistica di terra, di acqua e di mare. Esporre di nuovo a Fiamignano, vent’anni dopo, come artista e come promotore culturale per la valorizzazione della Transumanza UNESCO e delle Terre Rurali d’Europa, è per me un onore, ma è anche l’occasione per offrire un piccolo tributo al territorio in cui sono cresciuto e alla Comunità di cui mi sento parte. E se è vero che l’Arte cambierà il mondo, questa Mostra nel nobile Palazzo Martelli ci fa ben sperare per la piena rinascita di Fiamignano, Orizzonti d’Arte di Questa e d’Altre Terre».
Le parole degli artisti restituiscono una visione alta e profondamente condivisa del ruolo dell’arte nei territori marginali: non solo espressione individuale, ma atto collettivo, gesto etico e civile, strumento di riscatto e cura. Ciascuno, attraverso esperienze e sensibilità diverse, riconosce in Fiamignano e nei luoghi dell’infanzia una riserva di senso e bellezza, da difendere e riattivare. L’arte diventa così risposta alla frammentazione, al disincanto, allo spopolamento, nella speranza di una rinascita possibile.
Da questo sentire comune nasce l’idea di un progetto condiviso, “Radici Future – Laboratorio Permanente di Arte e Territorio”, che ambisce a trasformare la spinta creativa in azione concreta: laboratori, residenze, mostre, percorsi educativi e partecipativi che possano dare nuova linfa alla comunità, soprattutto attraverso il coinvolgimento delle giovani generazioni.
Tuttavia, a fronte di tanto entusiasmo e passione, resta un dubbio – e forse anche una velata amarezza. Le parole degli artisti, per quanto sincere e generose, sembrano scontrarsi con una realtà che cambia troppo lentamente: l’assenza di politiche strutturate, il disinteresse istituzionale, la fragilità economica e sociale di queste aree rischiano di soffocare anche i migliori intenti. La visione è lucida, il desiderio autentico, ma il cammino resta incerto. La scintilla c’è, ma perché diventi fiamma serve molto di più: ascolto, sostegno, visione politica. E questo, purtroppo, oggi ancora manca.
Dialoghi Mediterranei, n. 75, settembre 2025
Riferimenti bibliografici
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Simone Pazzaglia è dottore magistrale in Scienze Cognitive della Comunicazione e in Studi Italiani ed Europei – Curriculum Studi Culturali, ha conseguito un Master universitario di II livello in Comunicazione e Marketing Politico e Istituzionale. Si occupa di comunicazione strategica in ambito politico e istituzionale, con particolare attenzione ai caratteri sociologici e culturali della comunicazione. I suoi interessi di ricerca si concentrano sulle scienze cognitive, sulla filosofia della scienza e sulle intersezioni tra pratiche comunicative, processi cognitivi e contesti socio-culturali.
Settimio Adriani, laureato in Scienze Naturali e Scienze Forestali, si è specializzato in Ecologia e ha completato la formazione con un Dottorato di ricerca sulla Gestione delle risorse faunistiche, disciplina che ha insegnato a contratto presso le Università degli Studi della Tuscia di Viterbo (facoltà di Scienze della Montagna, sede di Rieti), di Roma “La Sapienza” (facoltà di Architettura Valle Giulia) e dell’Aquila (Dipartimento MESVA). Per passione studia la cultura del Cicolano, sulla quale ha pubblicato numerosi saggi.
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