“I miracoli accadono a coloro che ci credono”: questa frase che campeggia sullo schermo nero, alla fine del film La settimana senza Dio (2024), può essere considerata la cifra di questa commedia semiseria, ironica e visionaria, pionieristica e realistica, su una realtà appena appena caricaturata, ma mai snaturata: i matrimoni misti tra tunisine e italiani.
‘Asfur jenna, il titolo arabo del primo lungometraggio del talentuoso regista tunisino Mourad Ben Cheikh [1], è un’espressione del dialetto locale che ritaglia con verosimiglianza il profilo di uno dei due protagonisti del film: Amadeus, interpretato magistralmente dall’attore Nicola Nocella. Si potrebbe tradurre come “un pezzo di pane”, un bonaccione che crede fermamente nel miracolo del matrimonio con l’amata Betty. Il suo nome reale è Badra (interpretata da Amal Mannai), che esprime l’identità di una gioventù tunisina aperta, sveglia, flessibile e capace di far fronte alle difficoltà e ai numerosi ostacoli che la vita ci presenta. Nella fattispecie quelli che il progetto di matrimonio tra i due incontra, da un lato, a causa delle contraddizioni della famiglia tunisina, e per la chiusura e il razzismo della madre di lui, e dall’altro.
In Tunisia, come nel resto dei Paesi arabo-islamici, se è vero che i matrimoni interreligiosi sono spesso ostacolati dalle famiglie, è ancor più vero nel caso delle tunisine che intendono sposare non musulmani. Condicio sine qua non è infatti la conversione dello sposo all’Islam, che consiste nella pronuncia della shahada [2], la professione di fede islamica, ma anche in un rito un po’ più impegnativo di quella frase in arabo imparata a pappagallo dagli aspiranti sposi: il tuhur, la circoncisione.
È quello che la famiglia di Betty chiede ad Amadeus, un agiato quarantacinquenne di Lecce, titolare di un elegante negozio di antiquariato. All’inizio del film, lo vediamo appena sbarcato nel porto di La Goulette, deciso a sposare la sua amata Betty, ma già dall’inizio la missione si prospetta complicata.
L’insistenza sul taglio del prepuzio di Amadeus è funzionale alla creazione di varie scene di humour e di satira pungente sulle ipocrisie di una famiglia tunisina che non naviga in ottime acque: in essa gli uomini spesso hanno un ruolo negativo, bacchettone e profittatore, mentre le donne sembrano più intelligenti e abili a comprendere che Amadeus, al di là del suo aspetto fisico pingue, rappresenta un ottimo partito per aiutare la famiglia di lei. Pragmatismo femminile, ma anche l’affacciarsi di nuove mentalità vs. la rigida postura dei maschi delle generazioni passate, il padre e lo zio paterno di Badra/Betty.
Se Amadeus accetta senza problemi il cambio di nome e la conversione, rifiuta in maniera categorica la circoncisione, e minaccia di tornarsene in Italia. La madre gli ha impartito una rigida educazione religiosa ed è contraria a quel matrimonio. Ad ogni piè sospinto rispolvera un armamentario di pregiudizi e teorie sui musulmani che “ci vogliono invadere, vogliono convertire tutti”.
L’unica soluzione per Amadeus è quella di farsi amici i due fratelli di Betty per convincere lo zio e il padre a rinunciare alla richiesta della circoncisione. Si tratta di due parassiti nullafacenti, che sognano ogni giorno la parola magica “visa”, il visto d’ingresso in Europa. Il paradosso della famiglia di Betty sul progetto di matrimonio è che nessuno di loro prega e va in moschea, eppure richiedono l’intervento di uno sheikh, che sembra categorico nell’insistenza sulla circoncisione del futuro sposo.
I propositi dei maschi di famiglia sembrano squagliarsi davanti ai fumi dell’alcol (che Amadeus ha portato dall’Italia, su richiesta della fidanzata). I discorsi del padre sembrano improntati ad una ricerca spasmodica di un rispetto da parte di un Occidente ritenuto ostile (tranne le bottiglie che vi si producono). Infatti, da ubriaco fradicio, insiste sulle condizioni per concedere la figlia al “gaouri”, termine poco simpatico che indica lo straniero non musulmano, mentre rispolvera i ricordi del nonno che ha conosciuto, lui sì, il periodo del protettorato e della colonizzazione francese.
Lo sheikh, dal canto suo, si ammorbidisce davanti al denaro offerto dallo zio, ufficialmente come offerta per i poveri e i bisognosi, e poi dalla stessa Betty che va a fargli visita, insieme alla stessa sorella minore la cui presenza gli sembra molto…gradita. Grazie ai motori di ricerca di internet, un amico insegnante dei fratelli, che vuole spennare il pollo Amadeus, scopre che la circoncisione non rappresenta un obbligo secondo la dottrina hanafita [3] dell’Islam.
Le scene più esilaranti sono quelle in cui Amadeus è seduto in un locale con i tre, i fratelli della fidanzata e l’insegnante, che lo addestra alla pronuncia della shahada, davanti a tante bottiglie di birra. L’ipocrisia del divieto di vendere alcolici nei supermarket, solo di venerdì, o di utilizzare la clorofilla per nascondere l’alitosi da alcol, serve al regista a mettere a nudo una società che si attacca ad alcune tradizioni solo per salvare la faccia davanti ai vicini o ai parenti.
L’esame di conversione
Intanto si avvicina l’appuntamento col mufti, per recitare la professione di fede musulmana, che è l’ultimo esame prima della celebrazione del matrimonio, una sorta di “visa”, il visto di cui ha bisogno Amadeus. All’inizio, l’antiquario un po’ naif si lascia andare alla confessione che intende convertirsi soltanto per sposare la sua amata. Poi, alla domanda: “Chi è Gesù?”, risponde candidamente: “Il figlio di Dio!”. “E Maria?”, “La madre di Dio!”. Tutto ciò gli costa la bocciatura e la concessione, da parte del mufti, di una settimana per rivedere le sue credenze.
Amadeus è consapevole di aver abiurato la sua fede per abbracciare l’Islam, ma si trova in una posizione alquanto strana: non è ancora stato dichiarato musulmano, e ha già lasciato il cristianesimo: quella che gli si prospetta è quindi una settimana senza Dio. Il nuovo amico tunisino Adam (interpretato dallo stesso regista) gli aveva detto che avrebbe avuto bisogno di un vero miracolo, per riuscire nell’impresa di sposare Betty. Come si evolveranno le cose? Questo matrimonio s’avrà da fare?
Passando dalla fiction alla realtà dei fatti, il miracolo che potrebbe salvarlo è costituito dall’abrogazione della circolare n° 216 del 1973, che vietava il matrimonio delle donne tunisine con uomini non musulmani. L’allora presidente Beji Caid es-Sebsi, nel 2017, con questo atto ha continuato nell’opera di modernizzazione del Codice di statuto personale, promulgato da Bourguiba all’indomani dell’indipendenza, nel 1957. A tutt’oggi la Tunisia è l’unico Paese arabo-musulmano ad avere abolito la poligamia e il ripudio, e sembra avviata verso una normativa sempre più progressista.
Rimane comunque il problema dell’esecuzione di molti atti legislativi, come questo specifico di cui si tratta nel coraggioso film Una settimana senza Dio. La maggior parte dei notai tunisini non accettano di registrare i matrimoni tra tunisine e non musulmani, perché ad esso contrari per principio, anteponendo così le proprie convinzioni alle normative. E sembra che nessuno strumento di legge possa costringerli ad uniformarsi ad essa.
Nella stesura della sceneggiatura, il regista tunisino si è ispirato ad un’opera della letteratura francofona tunisina: «Quando ho letto il capitolo intitolato “La semaine sans Dieu” del romanzo La marmite d’Ayoub di Mohamed Ridha Ben Hamouda [4], ho riso di gusto di quest’italiano, Amadeus, che rischia l’integrità del proprio prepuzio per amore della tenera Badra. Adattando il testo per il cinema, mi sono divertito a tradurre in immagini le emozioni e i sentimenti, al di là delle battute. In questo momento esiste, fra le due sponde del Mediterraneo, il bisogno di incontrarsi intorno ad una bella e sincera risata. Una risata che possa aiutare a superare tutti i motivi che ci tengono lontani» [5].
In tono umoristico La settimana senza Dio pone seri interrogativi sui rapporti tra sponda sud e nord del Mediterraneo, sui pregiudizi di arabi ed europei, sul valore delle tradizioni e dei dogmi, accettati acriticamente. Da questo film, il rappresentante della religione islamica (lo sheikh ma non il mufti) esce compromesso nella corruzione e nell’ipocrisia, enfatizzata dall’uso dell’arabo classico nei suoi discorsi altisonanti rivolti alla conversione dell’italiano. La stigmatizzazione e la derisione delle figure religiose è un topos comune in tanta letteratura e cinematografia degli ultimi decenni, soprattutto dopo l’arrivo al potere del movimento di tendenza islamica en-Nahda.
Chiara è la volontà di raccontare i luoghi comuni e di mettere a nudo i vizi della società tunisina, in tutti i suoi strati sociali. Sicuramente questo film sarà in grado di far evolvere le coscienze dei cittadini, grazie all’umorismo e alla satira. La maggior parte dei suoi attori vengono dal teatro e anche la loro performance risente a volte di un’impostazione di regia in cui il dialogo e la battuta ad effetto hanno il sopravvento sui movimenti della telecamera e su alcune caratteristiche del linguaggio cinematografico, luci, ombre, angoli visuali, silenzi.
Tunisine e stranieri: precedenti cinematografici
Il tema del film, come si è già detto all’inizio, è molto cruciale e sensibile, toccando aspetti del rapporto tra religioni, culture, che spesso utilizzano i tabù religiosi, per nascondere paure ancestrali e diffidenze, ereditate dalle differenze economiche, più che culturali.
Il cinema tunisino aveva provato ad affrontare gli incontri ravvicinati tra donne tunisine e non musulmani, in altri due importanti film degli anni novanta. Nouri Bouzid in Bezness [6] (1992) inquadra, oltre al fenomeno dei gigolò e del turismo sessuale in Tunisia, lo sguardo delle donne locali sugli stranieri, caratterizzato da una certa curiosità e sicuramente dettato dalla voglia di liberarsi della morsa castrante delle famiglie, dei vicini e del quartiere.
Roufa, il protagonista del film, ha una fidanzata di nome Khomsa che tratta con disprezzo e durezza, portando addirittura a casa sua le sue prede europee, davanti a lei. Ma quando scopre l’interessamento di un fotografo francese nei riguardi delle donne tunisine (compresa la sua fidanzata, di cui costui si invaghisce), gli ricorda che “le donne arabe sono tabù per i non musulmani”. Doppio standard, uno per le locali, e un altro, opposto, per quelle europee. Si giustifica pure dicendo che fa quel lavoro solo per mantenere la famiglia.
In Sayf fi halq al-wad (“Un’estate a La Goulette”, 1996), il regista Ferid Boughedir mostra, con coraggio, le interrelazioni tra ragazze di tre religioni diverse (ebrea, musulmana e cristiana), con altrettanti giovani, in un’atmosfera ancora multietnica e pacifica del 1967. Di nascosto dai genitori, durante la festa di un matrimonio, le tre amiche si sceglieranno tre partner di religione diversa dalla propria, per un ballo molto intimo, al ritmo di una canzone francese. Scoperte dai loro genitori, dovranno poi affrontare le conseguenze di tale atto trasgressivo, e a quel punto verranno fuori i pregiudizi di ciascuna famiglia sulla religione delle altre.
Conclusioni
Tornando a La settimana senza Dio, ed evitando di svelare troppo del finale del film, personalmente avrei modificato il titolo italiano che agli occhi di uno spettatore nostrano potrebbe far presagire altri contenuti e ulteriori turbe identitarie, comunque sottolineate dai sogni, o incubi, di un Amadeus bambino in chiesa, castrato dalla madre. A meno che non si voglia considerare quella settimana come il tempo diegetico di permanenza in Tunisia da parte di Amadeus: tra bisbocce, ripetizione ossessiva della formula della shahada, e sincere dichiarazioni sul suo credo cattolico, il regista ne disegna un profilo moderno ed aperto all’altro, desideroso di mantenere un certo equilibrio nella sua relazione con la figura materna e i suoi riferimenti culturali/religiosi, da un lato, e con la fidanzata e i suoi familiari, dall’altro. Forse sarebbe bastato un semplice titolo come Matrimonio alla tunisina, considerando l’eccezionalità del caso del Paese nordafricano, nel panorama del mondo arabo-islamico.
Il film, per il tono ironico e satirico, è un ottimo antidoto a certe retoriche dei conflitti culturali legati all’applicazione e alla pratica di determinate norme religiose e la sua proiezione presso le comunità d’insediamento degli immigrati musulmani sarebbe un’utile occasione per ragionare, discutere e riflettere senza pregiudizi ideologici e politici sulle questioni della convivenza interetnica, anche nei Paesi arabo-musulmani.
Dialoghi Mediterranei, n. 73, maggio 2025
Note
[1] Mourad Ben Cheikh, che ha una formazione tecnica alla Facoltà delle Belle Arti di Tunisi e poi al DAMS di Bologna, è autore di cortometraggi di fiction come Ra’i al-nujum (“Il pastore delle stelle”), tratto dall’eponima novella di ‘Ali al-Du’aji. Dopo la rivoluzione del 2011, ha girato il documentario Plus jamais peur (“Mai più paura”), selezionata al festival di Cannes 2011. Tra le sue fiction televisive va menzionata Yawmiyyat Im’raa” (“Diario di una donna”).
[2] La shahada recita: “Attesto che non c’è dio all’’infuori di Dio, e che Muhammad il suo inviato”.
[3] La dottrina hanafita, tra le quattro riconosciute dall’islam sunnita, è la più liberale, ma in Tunisia prevale quella malikita, dal nome del giurista Malik ibn Anas. cfr Stéphane Papi, in https://qawami.blog/component/k2/item/4-la-reforme-du-mariage-des-musulmanes-avec-des-non-musulmans-en-tunisie-de-sa-prohibition-a-sa-recente-validite-juridique-quelle-effectivite
[4] Mohamed-Ridha Ben Hamouda, La marmite d’Ayoub, Tunis, Sud Editions (2018). Di formazione ingegnere, l’autore ha vinto il Premio Comar nel 2012 per il suo libro Zitoyen! o La génération nomade, pubblicato dallo stesso editore.
[5] Pressbook dal sito www.annaritaperitore.it. Nello stesso sito ci sono vari clip e fotogrammi del film.
[6] Bezness indica la persona che va con le straniere o con uomini omosessuali, e gioca sulla somiglianza tra il termine business e baiser (baciare, avere relazioni intime).
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Aldo Nicosia, ricercatore di Lingua e Letteratura Araba all’Università di Bari, è autore de Il cinema arabo (2007) e Il romanzo arabo al cinema. Microcosmi egiziani e palestinesi (2014). Oltre che sulla settima arte e la censura, ha pubblicato articoli su autori della letteratura araba contemporanea (Haydar Haydar, Abulqasim al-Shabbi, Béchir Khraief, Amira Ghenim), sociolinguistica e dialettologia (traduzioni arabe di Deledda, Camilleri e de Le petit prince in algerino, tunisino e marocchino), dinamiche sociopolitiche nella Tunisia, Libia ed Egitto pre e post 2011. Tra le traduzioni più recenti si segnalano la raccolta Kòshari. Racconti arabi e maltesi (2021) e Bidayàt. Antologia di romanzi arabi (2024).
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