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Migrazioni e mitopoiesi

Posted By Comitato di Redazione On 1 marzo 2017 @ 01:04 In Letture,Migrazioni | No Comments

copertina clemente a.di  Annamaria Clemente

Una notte elegante quanto un uomo vestito di blu, un cielo terso pezzato di stelle e una grande luna irradiante fasci d’argento infranti su baobab concilianti nel silenzio pacificatore: ad un tratto delle voci spezzanti l’atmosfera selenica, ma se si prestasse l’orecchio ecco che l’incanto diviene più stretto ascoltando voci di poeti che ingentiliscono l’animo. Non è una fiaba né un racconto da griot, ma ciò che accade annualmente a Lagos nella cornice del Freedom Park, area rifunzionalizzata, sede di un ex carcere coloniale ed oggi luogo della  memoria, sede di importanti eventi culturali come il Lagos Black Heritage Festival.

Un festa di cultura e di storia tesa a celebrare il grande patrimonio umano e culturale africano, contenitore di un incontenibile creatività declinata nelle  molteplici forme di danza tradizionale e contemporanea, nelle multiformi manifestazioni teatrali, nelle originali esposizioni di dipinti e mostre fotografiche, nei proficui dibattiti intorno alle arti, alla poesia, alla letteratura: il festival è una manifestazione eccezionale ideata da una personalità geniale del panorama culturale mondiale: il premio Nobel Wole Soyinka. Uomo dall’aria sognante, dal viso pacifico incorniciato da folti capelli canuti e da occhi che sanno guardare lontano, Soyinka geniale affabulatore, artista eclettico è  capace di generare forme d’arte sui generis, una formidabile mente sincretica, esperto conoscitore della psiche e dell’animo umano, della cultura orientale quanto di quella occidentale.

Pseudonimo di Akinwade Oluwole, Soyinka è considerato uno dei più importanti esponenti della letteratura dell’Africa subshariana, nonché il maggiore drammaturgo africano e simbolo della democrazia. Di origine Yoruba, Soyinka nasce ad Abeokuta nel 1934:  madre di fede anglicana e un padre fedele alla tradizione politeista e animistica degli Yoruba, qui il giovane Soyinka sviluppa da subito quell’attitudine al sincretismo che lo porterà nel corso degli anni ad adottare quella visione del mondo dove phantheon greco-romano, politeismo Yoruba e cristianesimo convivono, quella formidabile capacità di commistione dei generi permeante ogni sua espressione artistica. Laureatosi all’Università di Ibadan, in Nigeria, prosegue gli studi  in quella di Leeds, in Inghilterra, segue i corsi di arte drammatica al Royal Court Theatre di Londra. Tornato in patria nel 1960 ha iniziato ad insegnare letteratura e teatro in diverse università, fondando altresì varie compagnie teatrali tra le quali “Le maschere 1960” e “Teatro Orisun” nel 1964, mentre un anno dopo pubblica il primo romanzo in lingua inglese Gli interpreti (trad. it. Jaca Book, 1979).

Liberato alla fine della guerra, diventa presidente dell’Istituto Internazionale del teatro dell’Unesco nel 1985, mentre l’anno successivo riceverà il premio Nobel per la letteratura. Un articolo scritto durante la guerra del Biafra , in cui richiede una tregua, comporta due anni di prigionia (1967-69): una sofferta esperienza di isolamento in cui sperimenterà la spoliazione di ogni dignità umana narrata in L’uomo è morto (Jaka Book, 1986). Dopo il colpo di Stato di Abacha (1993) Soyinka denuncia le violenze del regime nigeriano e riparandosi all’estero, viene condannato in contumacia alla pena capitale per tradimento, condanna poi decaduta nel 1998 con la morte di Abacha.

Bastione dell’umanità, è intrinsecamente ancorato alle dinamiche politiche e sociali della Nigeria, atteggiamento riconducibile alle influenze culturali della letteratura africana. Ricordiamo come sin dalle sue origini la letteratura africana sia essenzialmente una letteratura militante; basti ricordare i primi movimenti politici e culturali che nacquero a seguito del colonialismo come il Panfricanismo e la Negritudine, tesi a rivendicare i valori della tradizione culturale nera contro il dominio bianco, e i cui temi erano legati alla colonizzazione, alla decolonizzazione, all’esilio, al métissage: «Il drammatico conflitto colonizzatore-colonizzato ha permeato di sé la letteratura africana segnandone i caratteri e lo sviluppo [...]» (Dolce, 1993: 808). L’intellettuale o il letterato ha un rapporto indissolubile con la propria comunità, esso ne è portavoce e garante, un ruolo mutuato dalla tradizionale figura del griot, il cantore narratore custode della tradizione orale e che nel contesto coloniale assolveva altresì alla funzione di ambasciatore ed interprete. Un asservimento al proprio paese che a volte sembra persino essere limitante e condizionante l’autonomia artistica dello scrittore (Dolce 1993). Seppur saldo in Soyinka l’interesse verso la propria nazione, l’artista ne travalica i confini disconoscendo la negritudine, viziata da pregiudizi colonialisti, abbracciando la corrente modernista e spalancando le braccia a un modo di creare che fa dell’arte una resistenza artistica senza eguali, frutto di complesse argomentazioni metafisiche riferibili alla cosmogonia yoruba, alla filosofia greca, alla politica internazionale. Soyinka è l’implacabile sostenitore dei diritti umani, si è eletto paladino contro ogni atteggiamento persecutorio, contro ogni profanazione della dignità umana, contro ogni forma di razzismo, di ostracismo.

Simbolo di democrazia ed umanità, la sua vita è un viaggio continuo dedito al tentativo di proteggere i più deboli e denunciare le atrocità commesse dall’uomo verso l’uomo. Dalla mente di questo grande artista nasce il Festival sopra descritto e da tale esperienza attinge la sua genesi il volume Migrazioni. La notte dei poeti afro-italiana (66thand2and, 2016).

1. haritpraya.blogspot.com

da “Migrazioni”

Peculiarità del festival è l’organizzazione condivisa con un’altra nazione, una patnership con un Paese con cui l’Africa ha sviluppato specifiche affinità culturali. La collaborazione con l’Italia avviene nel 2012 con l’approfondimento “Il nero nel blu del Mediterraneo”, un excursus dei rapporti tra l’emigrazione africana e italiana, flussi cospicui in tutte e due le direzioni e tra le due sponde del Mediterraneo che ha visto crescere  nel tempo non solo la presenza di immigrati africani ma, a sua volta, anche quella degli italiani che nel dopoguerra hanno lungamente soggiornato in Nigeria per affermarsi nel settore delle costruzioni o in quello petrolifero. Riportiamo qui le parole di Soyinka che in un’intervista ad Alessandra Di Maio patrocinia e perora la necessità di un dialogo con l’Italia:

«I due Paesi hanno in comune la volubilità, il senso della famiglia, la verve artistica, la disposizione lirica – basta paragonare le canzoni napoletane con quelle di Calabar e quelle Yoruba – i peperoni, il disordine sociale, la vostra polenta e la nostra farina, il vostro ossobuco e il nostro mokontan (zampa), la corruzione e i disegni criminali che coinvolgono tutto il settore pubblico… Tenendo sempre i piedi per terra. Quale altro Capo di Stato, se non colui il quale detiene il primato di essere stato più a lungo primo ministro in tempi recenti, avrebbe mai graziosamente ammesso di avere portato la cultura africana a palazzo – col bunga bunga! Eppoi ci meravigliamo che dèi e santi si siano incontrati e amalgamati in America Latina! Come mai le prostitute nigeriane – o meglio, chi le sponsorizza – sono di gran lunga molto più numerose in Italia che nelle altre nazioni europee? Per tutte queste ragioni, rimuginando sul nuovo tema del festival, “Il Nero nel Blu del Mediterraneo”, che parte quest’anno, l’Italia ci è sembrata il primo porto di scalo in cui approdare. I nostri due Paesi sono anime gemelle!» ( Di Maio, 2012: 44)

Anime gemelle da far dialogare per farle innamorare oppure, e più opportunamente, da smascherare, per rivelare la relazione fin troppo spesso negata, soppressa, svilita e taciuta soprattutto in questo clima di tensione che vede un ritorno di fiamma a causa delle innumerevoli carrette gremite di profughi che approdano sulle coste, quando non naufragono tra i flutti. Da quella notte magica comincia il dialogo, un confronto che prosegue a Palermo nella ricreata notte dei poeti, come racconta la Di Maio nella prefazione al volume, una Palermo eletta a interlocutrice privilegiata in quanto porta d’Europa, « […] nella città italiana che simbolicamente, oltre che geograficamente, per storia e per tradizione, più di ogni altra fa da ponte tra i due mondi» (Di Maio, 2016:13). Un dialogo che si concretizza  nella raccolta di poesie Migrazioni. La notte dei poeti afro-italiana, finalmente disponibile in Italia. Dopo il reding di lettura, Soyinka chiese, coadiuvato nel compito da Alessandra Di Maio, ad alcuni poeti nigeriani ed italiani di raccontare attraverso il mezzo poetico l’esperienza migratoria. Ed ecco che sedici poeti africani più sedici poeti italiani e ventitrè versi da rimare compongono l’antologia.

Come nello stile di Soyinka, l’universo Yoruba fa capolino all’interno del volume attraverso la geomanzia, la divinazione Ifa, la quale contempla sedici figure e le cui combinazioni determinano il pronostico guidando il destino dell’uomo. Cifra religiosa e magica, numero dell’ordine cosmico quello dei versi pronunciati da Orunmila il vaticinatore, mentre ventitrè è il numero inverso di trendadue, numero dei poeti. A scompigliare l’ordine interviene una diciassettesima poesia scritta da Soyinka e corredata dalle immagini dei dipinti di Dario Fo, che illustrano sinistramente i rapporti tra Africa ed Italia. Non solo nomi illustri come Odia Ofeimum, J.P. Clark-Bekederemo, Ogaga Ifowodo, Mia Lecomte, Ubah Cristina Alì Farah, Erri De Luca ma anche voci nuove come Jumoke Verissimo e Chris Abani.

Una particolare attenzione è stata posta alla struttura stessa del volume che raccoglie le poesie suddividendole in due sezioni: la prima  raccoglie le poesie di chi guarda alla migrazione dalla Nigeria, mentre l’altra osserva lo stesso fenomeno attraverso la prospettiva europea. Ad arricchire il volume, anzi a sostanziarne il codice simbolico e figurativo, sono anteposte alle poesie alcune fotografie che sintetizzano il contenuto poetico e  il cui effetto sembra quello di preparare la visione alle parole, di assurgere ad incipit narrativo, essendo comunque la fotografia stessa narrazione e testimonianza di qualcosa che realmente accade e proprio in ragione di questa sua forza espressiva  è destinata rafforzare, in un raffinato gioco di rimandi e di specchi, il potere comunicativo della scrittura in versi.

2. nigeriantimes.blogspot.com

da “Migrazioni”

Relativamente ai diversi poeti ritroviamo una straordinaria eterogeneità di angoli visuali da cui guardare il mondo e la vita, lenti diverse inforcate da uomini e donne con diverse sensibilità culturali e con stili compositivi dissimili. Si consideri, ad esempio, la metrica evocativa a cui allude la connotazione mitico-religiosa propria dei componimenti africani. Differenze che comunque si presentano solo a livello di strutture apparenti, solo per le diverse appartenenze geografiche. Lo sguardo è in verità il medesimo, i diversi poeti focalizzano e completano l’immagine dell’esule tout court nell’alveo di una comune narrazione del fenomeno migrazione.

Centrale è il tema della peregrinazione, del movimento, dell’erranza, del cammino incessante che non sembra trovar mai riposo; emblematica a tal proposito la poesia di Chris Abani intitolata Cartografie. Un giovane ragazzo nigeriano seduto su un treno ascolta Bob Marley interrogandosi sull’esistenza di una terra natale, se sia possibile fermarsi, trovare ristoro e riposo: «A volte diciamo: / è questa la mia stazione. Ma in realtà è tutto un viaggio. / Nessuno dà e nessuno prende./ Il miracolo vero è che l’amore succede ogni volta. /Se c’è una terra natale è questa la sua geografia». A dare respiro sono una serie di figure allegoriche incontrate durante il cammino, le quali infondono speranza anche laddove non esiste che fango e miseria e «Saggezza mi venne incontro all’aeroporto./ Non è mai troppo lontano il ritorno a casa, disse».

Altra figura dell’erranza è l’Harmattan, il vento nomade che dall’Africa  giunge sino in America e la Nuova Guinea, il vento «passaporto per luoghi lontani» che sussurra dalla poesia di Richard Alì, Sospinti dal vento, e racconta come «le nazioni sono solo menzogne, linee nella sabbia che il vento cancella per condurre / l’umanità ad un unico abbraccio, e ci scopriamo uguali come un tesoro sotto / i sussurri. Le parole esprimono rose rosse, lavoro, amore, mantengono le gioie/ finché vien meno il respiro – diventiamo unico vento insieme al resto».

Altro nucleo tematico è la traversata nel Mediterraneo, come nella poesia dal denso contenuto simbolico di J.P. Clark Bekederemo, Poesia migrante, in cui i delfini, traslazione dei migranti, si recano nella acque nel Niger per partorire. Qui i piccoli vengono fatti risalire in superficie affinché lo sfiatatoio venga liberato mentre gli uomini sulle sponde  «[...] attratti da quel loro giocare / vi scorgevano disegni, incisi a fondo / come era d’uso fra le donne loro». Metafora dello sguardo distratto, noi dall’altra sponda osserviamo, come dinanzi ad uno spettacolo, impassibili e indifferenti, le carrette affondare pur riconoscendo in essi il brandello di umanità che ci accomuna.  Il viaggio nel Mediterraneo assimilato al parto, è gravido di misteri e di paure, è  partenza dove non si sa dove si arrivi o come si arrivi, pericoloso il tragitto in cui risalendo dall’abisso non è dato sapere « Quanti in quelle nidiate non ce la fecero a rientrare in mare?».

O ancora leggiamo l’antropomorfizzazione del Mediterraneo nella poesia di Jumoke Verissimo: Sospiri del Mediterraneo: qui la parola viene immersa nel mare, a quel mare che rappresenta la Panthalassa primordiale, liquido amniotico, origine e fine, zona di contatto nella quale le diverse civiltà si sono incontrate, hanno dialogato, si sono ibridate e mescidate, dove le maree hanno amalgamato le singole componenti culturali e sociali mutuando e incrementando nel corso dei secoli lo sviluppo reciproco grazie alla circolazione di merci, di alfabeti e  soprattutto di  racconti. Scambi che contribuirono alla formazione di ricche e composite civiltà che hanno illustrato la storia degli uomini. «Nel mito del viaggiare che porta i piedi in mari/ dei confini, transiti e occhi, che s’impossessa di passati, / coi loro occhi a traghettare ansie di cuori bramosi. […] L’arenile è carico di impronte di passi nella sabbia,/ di storie che incupiscono schiuma e sospiri al mare,/ preso a rammentare storie di viandanti e loro mete».

3. msnbc.msn.com

da “Migrazioni”

Terribili sono i versi della morte e le accuse di Jolanda Insana, Vanno vengono vengono vanno,  poesia inquieta che nella sequela e nella ripetizione delle parole assume la forma selvaggia di grido disperato e amara contestazione sociale: «[…] topi che cercano il granaio/ formiconi a caccia di pagliuzze/ s’incarrettano per mare in gusci di noce/ scivolano scivolano in acqua/  affogano / e niente vi trema/ per voi sono morti che si aggiungono ad altri morti».  Si tesse la memoria evo- cando i rapporti tra le nazioni, come come fa Ubah Cristina Alì Farah in Askum, in cui evoca il ritorno in patria assimilandolo al viaggio della stele di Axum, sottratta dagli italiani come bottino di guerra nel 1937  durante la guerra di Etiopia: «Fai che non mi portino il tuo corpo smembrato monolite circoncisa, testa torace tibia/ Resta una cicatrice, aperta nel cemento/ tracciata e cancellata di fronte alle colonie/ la stele nella stiva, il mare brulicante». O si negoziano i ricordi come nella poesia di Oda Ofeimum, Diario di viaggio, che nella rievocazione di un ricordo personale, il viaggio da Roma a Bologna, contrappone i propri ricordi alla storia ufficiale, il ricordo di una Bologna  trasfigurata in un’Africa svilita da clichè cinematografici.

Andiamo incontro alla solitudine del ragazzo incontrato in piazza da Annelisè Alleva che porta su di sè visibilmente le tracce di attesa e di separazione, dove per attesa intuiamo speranza e per separazione la nostalgia, contagiando chiunque incontri e la piazza stessa, o al contrario l’invisibilità dei Non rispondono all’appello di Milo De Angelis: «potete vederli, di sera verso le tangenziali / chiedere silenzio con un dito sulle labbra / sentono un lungo bacio senza luce, / un mutismo che si mescola al sangue, / escono dalla stanza nello spavento delle strade / con un volto invisibile e uno straziato, nessuna impronta li segnala/ ci aspettano lì, con un piede nel vuoto», così come nell’emarginazione di Gëzinu Hajdari in Campana di Mare. Risuona in se stesso l’eco della propria solitudine, luogo dell’interrogazione dove l’io solo con se stesso contempla la dimensione sospesa  che appartiene al migrante e nella dimensione onirica invoca costantemente gli spettri del passato e si ritrova coinvolto in un dialogo solipsistico conduttore di follia e morte:  «Da anni nell’ansia di morire. / Ingannato dalle voci degli oracoli/ richiamo volti conosciuti / che non tornano (e mai torneranno!) / Sterili sono i miei sogni/ nel buio della stanza sgombra/ e ogni giorno impazzisco un poco». Urla disperate che richiedono risposta, che esigono una collocazione, un rifugio, una protezione.

4. unfpa.org

da “Migrazioni”

L’introduzione di una diciassettessima poesia, come abbiamo sottolineato, va a scompaginare l’assetto e la configurazione della divinazione Yoruba portando con sé il Caos. Ma il Caos, vuoto primordiale anteriore ad ogni creazione è inseparabile dalla propria controparte, dal Cosmos, dal mondo ordinato e razionale, concetti inalienabili e dialetticamente inseparabili però dal Lògos, dalla Parola che discretizza il continuum del reale e impone il cosmos sul caos, l’ordine sul disordine, la vita sulla morte. Il lettore attraverso l’atto del leggere, attraverso il Lògos poetico, principio supremo della realtà strutturata in leggi, ne organizza il cosmos e, per sua natura espressiva, sembra attivare processi mitopoietici: il lettore, stretto nella doppia narrazione fotografica e poetica, sente il bisogno di muoversi attivamente per contrastare la realtà rappresentata, è spinto a creare nuove mitologie, nuove narrazioni, per riscattare gli esuli, risarcire le vittime, restituire speranze. La poesia assume dunque un valore eminentemente civile. È noto, del resto, come i miti abbiano il compito di dare coesione ad una collettività attraverso la circolazione di storie capaci di evocare principi e comportamenti etici. Scrive Soyinka a proposito di Orunmila, genius loci della raccolta:

«Episodi mitologici simili riecheggiano nei numerosi miti intessuti dai vari popoli allo scopo di stabilire un ethos di condotta che, si ritiene, rifletta le proiezioni più elevate dello spirito umano. Si tratta semplicemente di una maniera di codificare concetti che trascendono la norma, traguardi etici verso i quali l’umanità sente di poter aspirare  e che sono perciò serbati come sacri e trasmessi alle generazioni future» (Soyinka, 2016: 16) .

I miti sono paradigmi, specchi attraverso cui ogni essere umano giudica le proprie azioni, corregge il proprio operato e Soyinka nell’introduzione al volume racconta proprio di Orunmila, del dio esiliato per aver commesso  un’infrazione e riaccolto, dopo tanto peregrinare, da un’emarginata come lui. Ma non solo. Riporta anche l’espulsione di Adamo ed Eva dal paradiso coniugando sagacemente gli exemplum all’articolo 14 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’uomo:«Ogni individuo ha il diritto di cercare e di godere in altri Paesi asilo dalle persecuzioni».  Il racconto racchiuso nelle voci poetiche tenta di creare una nuova mitologia da estendere non solo al Mediterraneo ma al mondo intero, un mito che racconti di un ponte che collega le due sponde: «[...] scolpiamo,/ sensibili alle parole del risveglio/ come il saggio ad Aké./ Questo ponte costruiamo, / vestiti dei tessuti di Stella della signora di Kabba», per non vestirsi più con i «[…]  giorni da relitti di spiaggia. / Forse mi indosserai, alghe cucite/ su falsi di stilisti [...]». Una cosmogonia dove il mito primigenio narra del diritto inalienabile di offrire rifugio e protezione all’Altro.

Dialoghi Mediterranei, n.24, marzo 2017
 Riferimenti bibliografici
A. Di Maio, La terapia delle parole, in Dedica a Wole Soyinka, Thesis, Pordenone, 2012: 21-44 consultabile al sito: ttps://iris.unipa.it/retrieve/handle/10447/142486/216597/DEDICA 2020Soyinka 20DEFINITIVA.pdf
A. Di Maio, Prefazione a Migrazioni, in in W. Soyinka, Migrazione. La notte dei poeti afro-italiana, 66thand2nd, Roma 2016
M. R. Dolce (a cura di), Africa, letteratura e impegno, Supplemento italiano, Atti del Convegni Commonwealth Literary Cultures:  New Voices, New Approaches, Lecce, Edizioni del Grifo, 1993: 807-843
W. Soyinka, Prologo tratto da “Il primo esilio”, in W. Soyinka, Migrazione. La notte dei poeti afro-italiana, 66thand2nd, Roma, 2016
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Annamaria Clemente, giovane laureata in Beni Demoetnoantropologici presso l’Università degli Studi di Palermo, è interessata ai legami e alle reciproche influenze tra la disciplina antropologica e il campo letterario. Si occupa in particolare di seguire autori, tendenze e stili della letteratura delle migrazioni.

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