CIP
di Giampiero Lupatelli, Antonio Pisanò [*]
Introduzione
Da cosa si giudica il successo di una politica? Siamo travolti da una ondata di formalizzazione delle procedure che cerca di trasformare i desideri, le paure, le decisioni e le speranze che guidano i comportamenti delle singole persone e delle piccole collettività in una sequenza – opportunamente digitale – di riscontri oggettivi, misurabili e comparabili con la necessaria freddezza – ma troppo spesso con il non altrettanto necessario distacco.
Procedure di rendicontazione e valutazione che ci consentono di sostenere nelle sedi appropriate l’opportunità di dare continuità alle politiche intraprese e sostenerle nel loro ulteriore incrociarsi con diverse biografie e nuove narrazioni. Procedure che portano l’Amministrazione nella vita, ma che difficilmente portano la vita nella Amministrazione.
La vicenda che qui vi raccontiamo, con la voce dei suoi più diretti protagonisti, propone un modo diverso di valutare il successo delle politiche.
Un percorso narrativo e valutativo che cerca di riconoscere il diretto risvolto sulle micro-storie, quasi sulle biografie, di un approccio sofisticato ai temi dello sviluppo locale, nei luoghi più difficili della montagna appenninica, provando a tenere insieme la conservazione e la cura della tradizione (del fuoco che la alimenta, non delle sue ceneri!) con la promozione e il sostegno della innovazione, anche la più radicale.
Lo scenario è quello della Montagna del Latte, l’Appennino Reggiano protagonista da oltre un decennio di una costante tensione a mettere in campo, con duttilità tattica ma con assoluta continuità di rotta, una azione integrata e intrecciata di promozione dello sviluppo, lavorando sulla valorizzazione del Capitale Umano, del Capitale Sociale non meno che del Capitale Naturale; tenendo tutto assieme con la attenzione – partecipe e commossa, verrebbe etimologicamente da dire – nei confronti degli spirti animali (o degli spiriti vegetali, preferirebbero forse dire Stefano Mancuso e Luigino Bruni?) che con la loro intraprendenza e azione trasformano gli stock di potenziale in flussi di relazione.
La Strategia locale è quella che ha dapprima declinato e interpretato quella Nazionale delle Aree Interne proprio all’insegna de “La Montagna del Latte”, riuscendo poi a farla riconoscere “per chiara fama” come contenuto esemplare della Strategia, sempre Nazionale, delle Green Community, e poi di quella, Regionale, delle Aree Montane e Interne, curvando la propria attenzione sulla declinazione della “Montagna dei Saperi”.
I giovani sono i destinatari principali di questa scommessa che, guardando al futuro con qualche ottimismo e con ancor maggiore determinazione, deve incrociare prima la loro attenzione, poi la risposta delle loro scelte.
C’è qualche motivo di soddisfazione, allora, nel leggere – nel linguaggio formale delle statistiche, sostenuto e confortato però dalla esperienza diretta – che l’età media degli allevatori che rappresentano la base primaria della filiera del Parmigiano Reggiano di Montagna è più bassa, sensibilmente più bassa, in montagna di quanto non lo sia in pianura.
Ce ne sono ancora di più entrando nelle pieghe di una vicenda singolare ma poi non proprio isolata, come quella che vi raccontiamo in queste pagine.
Everything, everywhere and all at once. Together
Il 4 Gennaio 2021, durante il lockdown imposto dalla pandemia, dopo aver trascorso 15 anni a Londra mi sono trasferito con mia moglie Julia e la nostra primogenita Gaia – di soli 5 mesi – entrambe cittadine britanniche – a Cervarezza, un piccolo paese di crinale nell’Appennino reggiano.
Provenendo da una lunga militanza nella sostenibilità ambientale, dapprima emersa nel contesto dell’innovazione dell’industria delle costruzioni e successivamente affinata attraverso lo scambio con le pratiche della didattica accademica, della comunicazione strategica e dell’attivismo ambientalista, il passaggio da Londra a Cervarezza non ci è mai apparso come una ritirata dal centro verso la periferia quanto piuttosto come un’accelerazione consapevole delle dinamiche evolutive che hanno reso per noi Londra un centro di grande interesse culturale. Il dialogo che riporto tradotto e sintetizzato dall’inglese in queste pagine dà contezza della centralità che ha Cervarezza tanto per noi quanto per quella parte di Londra che sostiene il nostro progetto.
Da quell’inverno 2021, dopo un primo anno di esplorazione territoriale, a Cervarezza Julia ed io abbiamo acquistato una casa vacanze degli anni ‘50 di circa 600 metri quadri e, dando priorità alla ristrutturazione ed efficientamento energetico, abbiamo dato vita al progetto Girotondo.
Il progetto Girotondo è laboratorio sperimentale di pratiche rigenerative nel rapporto umanità/ambiente. Il nome che abbiamo scelto è preso in prestito dalla filastrocca giocosa che porta bambine e bambini a danzare in cerchio, tenendosi per mano, fino a sedersi e toccare terra. In una fase storica in cui “casca il mondo e casca la terra” la nostra scelta, è stata quella di tornare “tutti giù per terra”. Il girotondo è anche una metafora per la co-creazione, l’economia circolare e la permacultura, tutti elementi fondamentali del progetto.
Il progetto Girotondo si articola in tre aree di azione. La prima è Girotondo Basecamp, una struttura ricettiva a impatto zero progettata per eventi aziendali, corsi, conferenze e alta formazione legata alla sostenibilità ambientale e all’innovazione. La seconda è Girotondo Atelier, un laboratorio di economia circolare e design che si occupa di sperimentare tecniche e pratiche di riciclo e up-cycling per la produzione di piccole strutture, arredi e tessuti partendo da materiale di scarto. La terza è Girotondo Impact, un incubatore di impresa femminile incentrato sulla valorizzazione del legame tra cultura locale e territorio attraverso l’applicazione di un approccio anglo-sassone allo sviluppo di startup. Tutto questo attraverso sostenibilità e rigenerazione. A livello energetico il centro sarà autosufficiente attraverso un mix di fonti fotovoltaiche, eoliche e geotermiche. A livello di approvvigionamento alimentare, il centro mira all’autosufficienza con la produzione di verdura, pesce, uova e pollame attraverso pratiche di agricoltura biodinamica, permacultura e coltivazione in serra acquaponica. Dal punto di vista della gestione dei rifiuti, ci stiamo dotando di macchinari e flussi di lavoro per riciclare autonomamente la maggior parte delle materie plastiche di scarto che rientreranno nel ciclo di attività come pellet, bobina e stampa 3D nei progetti di Girotondo Atelier.
La molteplicità di interessi ed esperimenti è tenuta insieme da un tema fondamentale ovvero il superamento del dualismo umanità/natura attraverso azioni ed eventi di natura culturale. Girotondo Basecamp ha prodotto concerti (Giovanni Lindo Ferretti + Simone Beneventi nel Luglio 2022) ha ospitato la presentazione di libri (Green Community di Giampiero Lupatelli intervistato da Giovanni Teneggi nel Gennaio 2025) ospita attività sportive e ricreative come Yoga, Judo per bambine e bambini e arti marziali e primal movement per adulti.
La molteplicità dei campi di azione del progetto Girotondo è in diretta continuità con l’esperienza britannica di impegno per la sostenibilità dell’industria delle costruzioni e delle politiche dell’abitare vissuta in seno ad organizzazioni di livello internazionale come RIBA, RICS e varie commissioni del BIS Department for Business Innovation and Skills. Troppo spesso, sia Julia che io, abbiamo toccato con mano il limite delle politiche e dei programmi mirati alla sostenibilità, viziati, secondo noi, da uno sguardo eccessivamente specifico e settorializzato ed incapaci di affrontare la valenza sistemica ed intersettoriale dell’evoluzione del paradigma di sviluppo. Riteniamo che in un sistema finito regolato da relazioni complesse come il nostro pianeta, le politiche di sviluppo efficaci non possano che cimentarsi con la complessità e, per quanto imperfette e parziali, provare ad agire su “everything, everywhere, all at once” (“tutto, ovunque, allo stesso tempo”).
Proprio sulle potenzialità e sui limiti dell’approccio multidisciplinare ed estensivo del progetto Girotondo si interroga il dialogo che vado ad introdurre. Il dialogo si è tenuto al Girotondo Basecamp a Cervarezza ma si sarebbe potuto tenere in qualche pub di Londra con persone, concetti ed espressioni del tutto simili. Nel dialogo mi accompagna Ed Gillespie [1], un illustre esponente inglese della consulenza strategica sulla sostenibilità. Ed è un biologo marino, fondatore di Futerra, una delle principali agenzie di comunicazione e strategia sulla sostenibilità presente nel Regno Unito, Svezia, Stati Uniti e Messico, autore acclamato di libri e podcast a livello internazionale oltreché brillante comunicatore sui temi di innovazione, comunicazione e sostenibilità.
AP: «La nozione di centro e periferia è influenzata dalle soggettività che le abitano. A Londra il centro della vita professionale non coincide con il centro della vita culturale. La metropoli stessa al suo interno è suddivisa da confini invisibili di centralità e periferia definiti dalla qualità culturale riconosciuta ai luoghi dalle comunità abitanti. Nello spostarci da Londra all’appennino Tosco-Emiliano abbiamo esteso la mappa della centralità culturale che era per noi diventata Londra fino ad includere Cervarezza».
EG: «Il rapporto tra centro e periferia in un’ottica di evoluzione culturale è esso stesso in costante evoluzione. Sono arrivato a Londra a metà degli anni novanta e da allora ho vissuto numerose maree, in entrata ed in uscita, di accentramento culturale e dispersione a seconda dei processi di rigenerazione e gentrificazione in atto tra il centro e la periferia».
AP: «Sia il centro che la periferia hanno la capacità di influenzare l’innovazione culturale a seconda del ciclo di quella marea culturale a cui fai riferimento».
EG: «Credo che l’innovazione provenga sempre dall’interfaccia tra il centro e la periferia, dall’energia prodotta nell’attrito tra modelli differenti».
AP: «Potrei dirlo relativamente al Hackney nel North-East London all’inizio degli anni 2000, compresso tra l’espansione della City a sud e la persistenza delle enclave etniche e proletarie dei sobborghi della città a nord. Allo stesso modo potremmo argomentarlo per la Metro-Montagna intesa come l’insieme di relazioni tra la grande città - ad esempio Torino – e la sua corona di aree interne, alpine e prealpine. In entrambi i contesti l’innovazione scaturisce dalla capacità di fare propri i valori di entrambe le polarità».
EG: «Per contro l’appartenenza univoca ad una o l’altra di queste polarità rende più difficile l’emergenza di interpretazioni alternative».
AP: «L’energia innovativa è prodotta dall’attrazione alternata tra centro e periferia. Da Londra abbiamo appreso le idee di sviluppo sostenibile mentre l’appennino ci ha concesso il tempo e lo spazio per metterle in pratica».
EG: «Immagino che le varie applicazioni e attività di Girotondo Basecamp costituiscano un’esortazione “soft” all’innovazione territoriale o quantomeno un elemento di curiosità nel panorama dello sviluppo locale. In questo senso ispirare facendo è sempre più efficace che convincere parlando».
AP: «Delle molte cose di cui siamo grati a Londra, sicuramente la cura per l’esecuzione materiale dei progetti e l’attenzione per la comunicazione coordinata sono insegnamenti preziosi. Credo che, raccontato in modo differente, questo territorio potrebbe liberarsi dalla sindrome di inferiorità dell’industrializzazione urbana post bellica».
EG: «Eppure non dobbiamo sottovalutare il legame identitario tra un territorio e la sua narrazione soprattutto quando la narrazione è radicata in più generazioni».
AP: «Volendo utilizzare il progetto Girotondo come caso studio di rilancio territoriale mi domando come strutturarne una comunicazione capace di ispirare una visione innovativa e facilmente replicabile».
EG: «La sfida è quella di una comunicazione inclusiva. È da almeno 50 anni che abbiamo evidenza della sostenibilità economica, ambientale e sociale di eco villaggi e comunità più o meno autosufficienti eppure quelle esperienze sono rimaste realtà isolate, eccezionalità eccentriche dello sviluppo locale istituzionalmente inteso».
AP: «La difficoltà nella diffusione di questi modelli è la loro divergenza dalle abitudini consolidate e come provare ad innovare quest’ultime senza innescare meccanismi di autodifesa incentrati sulla persistenza del paradigma vigente, spesso insostenibile».
EG: «La comunicazione non può eludere la problematicità del paradigma di sviluppo all’interno del quale si esplicita. La retorica populista che ha consegnato la presidenza al partito repubblicano americano attecchisce particolarmente sulle classi sociali che sentono di non aver niente da perdere e che tutto sia perduto. Passare da un paradigma di scarsità ad uno di abbondanza è cruciale per aumentare l’efficacia di un messaggio carico di cooperazione e co-creazione».
AP: «Julia ed io proveniamo dalle costruzioni, lei è una project manager ed io un architetto. La nostra esperienza si è formata nei grandi cantieri inglesi di università, ospedali ed infrastrutture. Lo strumento che ci appare più utile e tempestivo per invertire il paradigma di scarsità in uno di abbondanza è il proprio il progetto sia inteso come progetto di politiche che progetto di opere, entrambe supportate dall’applicazione strategica di un progetto di comunicazione continuativo, tanto raffinato quanto chiaro».
EG: «Questo traspare dal luogo che state creando. Il rivestimento in sughero, il linguaggio architettonico, l’indipendenza energetica, l’autosufficienza alimentare, il legame tra rifiuti e design nel riciclo dei materiali, unitamente al programma di attività culturali, ludiche, ricreative e sportive iniziano a delineare un profilo identitario ispirato all’abbondanza più che alla scarsità».
AP: «Perseguire everything, everywhere, all at once non è facile me è fondamentale perché è proprio la compresenza e la contemporaneità di queste sperimentazioni che rende plausibile la narrazione alternativa in cui fondere visione e pragmatismo. Dopo quattro anni in appennino abbiamo però imparato che il nostro motto fondativo fosse incompleto. Ad everything, everywhere and all at once è necessario aggiungere together (tr. it. Insieme) in quanto la dimensione comunitaria dell’innovazione territoriale è al tempo stesso condizione di fattibilità e finalità delle politiche di sviluppo».
EG: «Compresenza e contemporaneità di azioni e attività sono certamente aspetti essenziali tanto quanto lo è l’esercizio di coinvolgimento della comunità. Credo inoltre che, legata alla dimensione sociale e collettiva, sia utile associare una valenza celebrativa e rituale. Nel South London uno dei progetti più rinomati di sviluppo sostenibile è una comunità energetica[2] realizzata con la cooperazione e la sinergia di tutti i proprietari di una stecca di case a schiera vittoriane. Non tutti i vicini condividono l’urgenza della transizione ecologica allo stesso modo ma l’utilità economica dell’auto generazione unitamente alla dimensione sociale della cooperazione ha funto da collante intersoggettivo garantendo al progetto un grande successo tanto ambientale quanto economico e sociale. Il cambiamento ha bisogno anche di celebrazione, una sorta di carnevale delle possibilità, un festival dell’abbondanza sostenibile».
AP: «Il carnevale, il ribaltamento dell’ordine sociale, introduce un’altra componente narrativa strategica ovvero l’ironia utile, nell’accezione socratica, a smantellare le infondatezze del paradigma attuale per lasciare affiorare la bontà della visione alternativa».
EG: «Attraverso questa celebrazione dell’abbondanza di un paradigma alternativo potremmo quindi iniziare a inquadrare l’impegno verso lo sviluppo locale sostenibile come la ricerca di un’eudaimonia come allineamento virtuoso e olistico di un’azione corale. Attualmente nel mio lavoro esploro spesso anche il carattere di piccola ribellione, di momentanea divergenza dell’innovazione sostenibile rispetto alle soluzioni esistenti. Dal punto di vista della divulgazione e della comunicazione sottolineare la valenza innocuamente sovversiva dell’alternativa decentralizzata e cooperativa può spesso riscuotere successo a livello di marketing territoriale».
Dialoghi Mediterranei, n.73, maggio 2025
[*] L’Introduzione è firmata da Giampiero Lupatelli, Everything, everywhere and all at once. Together è da attribuire a Antonio Pisano
Note
[1] https://edgillespie.earth/
[2] https://www.repowering.org.uk/
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Giampiero Lupatelli, economista territoriale, laureato nel 1978 in Economia e Commercio all’Università di Ancona studiando con Giorgio Fuà e Massimo Paci, dal 1977 opera nell’ambito della Cooperativa Architetti e Ingegneri di Reggio Emilia (CAIRE) dove si è occupato di pianificazione strategica e territoriale concentrando la sua attenzione sui temi della rigenerazione urbana e dello sviluppo locale delle aree interne e montane. Ha collaborato con Osvaldo Piacentini e Ugo Baldini nella direzione di importanti piani e progetti territoriali di rilievo nazionale e regionale. È Vice-Presidente di CAIRE Consorzio, fondatore dell’Archivio Osvaldo Piacentini per cui è direttore della Rivista “Tra il Dire e il Fare”, componente del Tavolo Tecnico Scientifico per la Montagna presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, membro del comitato scientifico della Fondazione Montagne Italia, della Fondazione Symbola e del Progetto Alpe del FAI, oltre che del Comitato di Sorveglianza di Rete Rurale Nazionale. Ha recentemente pubblicato il volume Fragili e Antifragili. Territori, Economie e Istituzioni al tempo del Coronavirus, per i tipi di Rubbettino editore.
Antonio Pisanò, è architetto e direttore creativo specializzato in sostenibilità e design. Ha studiato presso il Politecnico di Milano e il Delft Institute of Technology. Ha co-fondato con Lorenzo Baldini lo studio londinese Marcel Mauer Architecture e collaborato con RIBA, RICS e BIS Department for Business and Innovation. Ha co-fondato con la moglie Julia Lydall Pisanò Ze Crew Low Carbon Adventure (vacanze avventure a impatto zero), ProjectEaaasy (app gestionale per l’edilizia privata), SpaceUp.London (sviluppo e gestione di co-living a basso impatto ambientale) e Girotondo SRL Benefit. E’ socio di CAIRE Consorzio e Cooprogetti.
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