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Messina levantina. La presenza dei Greci tra il continuum e l’unicum

9791254870884_0_0_0_0_0di Mario Sarica

Ad invitarci ad intraprendere un coinvolgente viaggio storico alla scoperta dei Greci a Messina, lungo un sentiero storiografico poco battuto, è l’iconica e pregiata immagine di prima e ultima di copertina del volume a firma di Daniele Macris, I Greci di Messina. Storia e cronache dei greci messinesi dall’VIII al XXI secolo, ovvero la riproduzione di una pagina finemente miniata tratta dal Codice n 10 della Biblioteca del Parlamento greco, vergata a Messina da Neofito di Creta, nel marzo del 1662. Una testimonianza d’arte grafica rara, peraltro inedita, che attesta oltre modo un legame profondo mai venuto meno nel corso dei secoli fra la Città dello Stretto e la Grecia, alimentato da una pluralità di interessi, ad iniziare dai valori guida religiosi, per passare a quelli mercantili, a quelli culturali, fino ai fondativi legami interfamiliari, spesso dal doppio registro anagrafico, ovvero uomini e donne, greci e messinesi, che si uniscono per formare famiglia.

20250328073601_page-0002Una comunità dei greci, quella in riva allo Stretto, orgogliosa e fiera delle sue origini, da sempre, fino ai nostri giorni, fortemente legata ai valori originari, dunque alla lingua e alle forme culturali della terra madre, unificate innanzitutto dal comune credo religioso di rito greco ortodosso, riconosciuto e vissuto da padre in figlio, nei secoli nella monumentale chiesa di San Nicolò dei Greci, come tangibile segno forte identitario (sorgeva nell’area antistante la Prefettura di oggi, dove nella stessa piazza si ammira la fontana cinquecentesca del Nettuno di Montorsoli, quasi una citazione mitologica greca certamente casuale, ma emblematica). Il secolare luogo di culto, assieme alla Messina nobile fiera del lontano passato, esaltata per la sua bellezza dai viaggiatori stranieri, scompare dall’orizzonte urbano e culturale della Città dello Stretto a seguito del devastante terremoto del 1908, con il trasferimento ad Atene “provvisorio” , ma poi diventato “definitivo”, per salvaguardarle dalla dispersione, della preziosa e storica collezione di icone bizantine, eredità plurisecolare di culto, arte e devozione della comunità greca, gelosamente conservati per secoli nella citata Chiesa di San Nicolò dei greci, che oggi è possibile ammirare ad Atene nel Museo, appunto, delle icone bizantine.

Daniele Macris, autore di questo nuovo contributo di ricerca e studio sui greci a Messina, peraltro presidente della Comunità Ellenica dello Stretto – realtà multiculturale d’eccellenza –   aggiunge con questo titolo pubblicato per i tipi Di Nicolò edizioni (2024), documenti e materiali, in gran parte inediti, ai repertori storici sul tema già noti.

La sua vita e la sua pluralità di interessi di ricerca e studio sui Greci fra antico e moderno, a partire da quello linguistico-filologico-storico, incarna in maniera esemplare un vissuto familiare duplice e fecondo, plasmando e facendo convivere armoniosamente l’identità messinese e quella greca insieme, ereditate rispettivamente dalla madre Lidia Minniti, di origini reggine, e dal padre greco, Aristide Macris, originario della mitica Arcadia, terra – come noto – di radicata cultura pastorale. Il futuro padre giunge in riva allo Stretto per frequentare il corso di laurea in Matematica, assieme a tanti altri coetanei greci, all’Università degli studi di Messina, dagli anni cinquanta del secolo scorso, senza mai tuttavia recidere le sue radici greche, e il suo riservato stile di vita.

Dalla formazione classicista ed umanistica, docente di lingua e letteratura greca e latina al Liceo Classico “Maurolico” di Messina, dopo tanti anni di “apprendistato” trascorsi in Calabria, a Santa Venerina, nei feudi del crotonese, dove matura i suoi plurimi interessi in chiave greca, Daniele Macris, rientra dunque a Messina, ritrovando la comunità greca dello Stretto e i suoi legami familiari. Il suo percorso di vita e di interessi di studio non ha dunque mai perso di vista il genius loci ereditato dal padre Ari, riconoscendolo come costitutivo del suo vissuto e della sua duplice postura identitaria, di impegno culturale e approccio relazionale.

Messina, Chiesa di S. Nicolò dei greci, distrutta dal sisma del 1902

Messina, Chiesa di S. Nicolò dei greci, dopo il sisma del 1908

Fedele alla sua innata discrezione e ad un tratto caratteriale riservato, poco incline all’autocompiacimento, ci avverte che la sua opera è «Una rapida, agile ed informata panoramica sulla presenza greca a Messina dal Medioevo ai nostri giorni, con particolare riguardo per la lingua, l’arte, le vicende economiche e culturali». Aggiungendo che «Messina si rivela un crocevia fondamentale per la presenza greca nel Mediterraneo. E il contributo dei Greci, con la loro continua presenza, è visibile in ogni ambito, onomastico, toponomastica, folklorico e tradizionale». Precisando infine la «particolare importanza che riveste poi la continuità linguistica nell’ambito del greco moderno, ininterrottamente parlato e scritto a partire dal XV secolo», in tutta la vasta area della Magna Grecia, di qua e di là dello Stretto.

Un incipit essenziale, quasi minimalista, che tuttavia non deve trarre in inganno, perché addentrandosi lungo l’itinerario narrativo del saggio, si coglie immediatamente il rigore e il coerente disegno storiografico, entro cui prende forma la scrittura di Daniele Macris. I suoi apparentemente sparsi “appunti di viaggio”, frutto di una certosina ricerca sul campo, essenziali e coinvolgenti, si ritrovano dialogando intensamente fra loro lungo lo scorrere del tempo, confrontandosi e prendendo forma in episodi e documenti inediti, dentro un perimetro storico di grande coerenza e rigore.

D’altra parte la puntuale presentazione dello studioso messinese Carmelo Micalizzi, peraltro direttore della collana editoriale che rubrica il volume, anche lui dal doppio “passaporto messinese-greco”, molto opportunamente traccia l’ampia e incisiva cornice, fatta di fondamentali richiami alle fonti storiche più autorevoli sul tema e all’interazione con la vicenda storica messinese, entro cui si colloca «l’opera di Daniele Macris, innovativa nel metodo e nell’illustrazione. Uno studio – prosegue Micalizzi – in cui ricomponendo i frammenti della memoria (…) si punteggia la diacronica presenza dei levantini a Messina, tanto gli autoctoni quanti quelli della perenne immigrazione in un contesto generazionale di quasi inevitabile (talora speculare) ‘eterno ritorno’; per di qua e per di là dell’Jonio». Chiude con una pertinente osservazione di spiccato carattere antropologico, quando fa riferimento alla trama identitaria di Messina in cui si prende atto che «le tante differenze etniche non hanno mai configurato elemento di crisi o conflitto», anzi aggiungiamo noi, hanno dato vita ad una koinè culturale davvero singolare, dalle forme plurime condivise e dalle diversità che s’incontrano e si arricchiscono reciprocamente.

archimandritato-orizzontale-1024x725Anche lo storico Salvatore Bottari, docente all’Università degli Studi di Messina e presidente della secolare Società di Storia Padre Messinese, nella prefazione della monografia evidenzia che «Daniele Macris indaga, in un’ottica di longue duree (…), e ci consegna un’opera di alta divulgazione che unisce in una felice sintesi (…), e ne fa emergere i punti critici attraverso convincenti riflessioni e accostamenti». Cogliendo poi appieno il lavoro storico stratigrafico di lungo periodo dell’ininterrotta e attiva presenza della comunità greca messinese, con in primissimo piano il clero greco, un vero e proprio “filo rosso” per niente marginale nell’articolata e multietnica trama storica cittadina, Bottari scrive alla fine: «In definitiva la lettura unitaria proposta da Macris attraverso la sua robusta opera di sintesi, non solo colma un vuoto, ma costituisce un punto di partenza per nuovi e particolareggiati percorsi di ricerca» e aggiunge che «l’Autore ha il merito di inserire un’apprezzabile tessera in un mosaico da completare e ampliare, in quel continuo divenire che è l’essenza stessa della ricerca».

Illuminante poi si configura nell’ “Avvertenza dell’Autore” il pensiero guida che anima l’intera opera di Macris, quando scrive che «al di là della notevole attività scientifica, riportata in bibliografia, si avverte la necessità di uno studio divulgativo e, insieme, quanto più documentato che affronti per intero la vicenda storica della grecità messinese dall’alto Medioevo ai nostri giorni, secondo il modello di K. Paparrighopulos, e ne dimostri il ‘continuum’ e l’’unicum’, perché solo a Messina, per quanto ci è noto, una presenza così tenace ha visto la lenta naturalizzazione dei Greci ‘autoctoni’ e, accanto a loro, un’impetuosa comparsa di Greci ‘levantini’, che hanno a lungo caratterizzato la vita cittadina, di cui ancora sono attivamente partecipi, testimonianze depositari, legame vivo tra passato e presente».

Ed ora è arrivato il momento di incamminarci lungo i territori storici osservati e narrati da Macris, dove si alimenta questo virtuoso scambio di saperi e conoscenze fra la Grecia e Messina, ovvero di un passato che reclama continuamente spazio dialogante nella nostra sradicata contemporaneità. Lasciando deliberatamente alle spalle la prima colonizzazione greca, di cui molto si è scritto e si sa, da dove tutto ha inizio, perché sorgente primaria di lingue e culture diverse condivise, Macris, in apertura, sfoglia le pagine storiche relative all’ “Evo bizantino o romanico”, evidenziando in apertura «Le comuni sorti del Tema di Sicilia e del ducato di Calabria, almeno fino all’inizio del X sec., quando Demenna e Taormina vengono conquistate (902) e anche Reggio sottoposta ad occupazione e razzie». Una stagione storica questa bizantina nell’Isola, soprattutto sul versante nord-orientale, che nonostante l’occupazione araba registra dei «movimenti interni all’impero romaico; la “Cronaca di Monenvasia” ci informa che popolazioni di Patrasso si insediarono a Reggio intorno al 600 d.C. e che, nello stesso periodo, Spartani si insediarono in Sicilia orientale, nei Nebrodi, ove fondarono Demenna, centro in breve divenuto importante e significativo, con i suoi dintorni, tanto da denominare circa un terzo della Sicilia (Val Demone) per lunghi secoli, fino al 1812».

Icona di San Luca, Archimadritato, Messina

Icona di San Luca, Archimadritato, Messina

Un flusso continuo dunque di apporti culturali e linguistici di area greca, che si radicano profondamente nel territorio nord orientale: «Al popolamento antico, che durò per tutto l’impero romano, accompagnando le mutazioni linguistiche attestate nella storia della lingua greca, donde – scrive Macris – il passaggio dal dorico e latino “Messana” al medievale “Messini”, si accosta un continuo afflusso di popolazioni greche». Puntuale poi da parte dello studioso l’attenzione che riserva all’eparchia ecclesiastica di Sicilia, che ha sede a Siracusa, indicando poi puntualmente la complessa trama delle sedi suffraganee della Chiesa orientale, compresa quella di Messina. A rimarcare l’influenza della cultura greca siciliana, anche il riferimento al II concilio di Nicea, dove un ruolo importante ebbe Teodoro di Catania e il poeta Giuseppe l’Innografo, tra i più ragguardevoli compositori di inni bizantini.

Ciò che poi emerge nella narrazione di Macris di questa lontana stagione storica, sono le figure siciliane di cultura greca di primo piano che spiccano dalla massima istituzione di potere e controllo delle risorse del territorio, ovvero «la Chiesa siciliana – ci fa sapere Macris – oltre al patriarca Metodio (843-847), dà una lunga schiera di santi e martiri per la fede (…).Le evidenze monumentali delle ‘cube’ di Malvagna, S. Venerina, Castiglione, la suggestiva chiesa dei Cerei o del Ss Salvatore di Rometta ci fanno intuire la vitalità dell’elemento greco anche durante la presenza araba» assieme alla «presenza eremitica nei Peloritani e nei Nebrodi», siti rupestri, cenobi, individuati, ci informa Macris, grazie alle ricerche sul campo di Riccobono, Principato e Bambaci. «Durante la dominazione araba il territorio comunale e tutto il Val Demone, diventano – annota Macris – luoghi di confronto, talora duro, talora dialogante, tra le diverse popolazioni, attestate da sopravvivenze di toponimi linguistici giunte fino ai giorni, riferito a Santi e venerate figure di religiosi carismatici, decisivi sul versante della vita delle comunità rurali, e sui presidi monastici di qua e di là dello Stretto».

Nel successivo riquadro del retablo storico di Daniele Macris lo sguardo si posa sull’Età normanno-sveva, che impone un nuovo assetto di potere declinato alla ricristianizzazione dell’Isola «con nuove gerarchie di origine continentale, mentre gran parte del clero e dei fedeli continuano ad essere di lingua e rito greco. A questo periodo – scrive Macris – si possono ascrivere i santi Luca di Demenna, primo archimandrita del S. Salvatore di Messina, Lorenzo di Frazzanò, Nicola Politi di Adrano, venerato anche ad Alcara Li Fusi, dove morì, Cono di Naso, Gregorio di Fragalà (Frazzanò)». Si osserva così una «fioritura spirituale del Val Demone e di tutta Sicilia, che diede patriarchi a Bisanzio, come anche uno dei più notevoli poeti ecclesiastici, quale Giuseppe l’Innografo, con ricadute positive, pur nelle difficoltà di periodi travagliati, sia in Calabria che in Grecia e a Costantinopoli».

Da annotare anche la continuità di culto e devozione a S. Nicola, nonostante l’intitolazione alla Vergine Assunta della nuova cattedrale di Messina da parte dei Normanni, attestati da numerose chiese e parrocchie dedicato al Santo venuto dall’Oriente greco, lasciando evidenti tracce del clero greco in toponimi e cognomi fino ai giorni nostri. Di assoluto rilievo è poi «notare l’istituzione dell’archimandritato del Ss. Salvatore, a partire dal 1131, istituzione esemplare e regia, col compito di organizzare e sovrintendere ai monasteri greci in Sicilia e Calabria».

ccf29032025_00000Ad attestare gli alti livelli espressi dallo “scriptorium” del Ss. Salvatore di Messina i 177 codici manoscritti conservati presso la Biblioteca Regionale Universitaria “G. Longo”, di grande pregio per manifattura ed ornamentazione. E tutto questo, evidenzia il «Frutto originale del comune clima spirituale e culturale dell’area dello Stretto». Il forte radicamento del clero greco e della classe dirigente fino ad allora prevalentemente di etnia, lingua e cultura greca – ci fa sapere Macris –  resiste sul territorio siciliano, e peloritano in particolare, anche negli anni a cavallo tra il XIII e XIV secolo, pur drammatici per le conseguenze dei Vespri siciliani, e in precedenza anche a seguito del soggiorno a Messina di Riccardo Cuor di Leone, nel 1190, in relazione ai preparativi per la III Crociata, «con gravi conseguenze sulla classe dirigente della città, fino ad allor prevalentemente di etnia, lingua e cultura». Significativo su questo versante «lo spostamento del clero di rito greco nella chiesa protopapale del Graffeo, a partire dal 1168».

Volgendo ora l’acuto sguardo storiografico al Trecento, Daniele Macris, declina i grandi eventi destabilizzanti del tempo, quale la guerra del Vespro, con i significativi effetti collaterali di «indebolimento dell’elemento greco tra le due sponde dello Stretto», cogliendo tuttavia una forte resilienza dell’elemento ellenico, soprattutto nel mantenere sul territorio i fondamentali presidi religiosi, ovvero le pratiche rituali liturgiche ortodosse a fronte di quello latino, riflesso anche dai ruoli chiave svolto dai protopapi greci. «Altro elemento di indebolimento sociale – evidenzia Macris – fu la peste nera del 1347/48». Emblematico poi che negli stessi anni il monastero di S. Maria di Malfitano passa all’uso del latino, perché le monache avevano difficoltà a comprendere il greco, quindi a leggerlo e scriverlo. Di contro però «Ancora nel 1398 due firme greche in un documento latino del “tabulario” di S. Filippo di Fragalà sui Nebrodi, nell’alta Valle del Fitalia, ci attestano la continuità d’uso della lingua greca sul territorio più lontano dal centro urbano». Da segnalare poi in quegli anni «la presenza di artisti di provenienza costantinopolitana, che operano sia nella decorazione musiva della Cattedrale di Messina (mosaici delle absidi), sia nella scrittura di icone destinate alle chiese di rito greco». Quanto mai rilevante è lo storico quartiere cittadino messinese chiamato della “Grecia”, almeno fino al 1678, così come si osserva anche in centri della Calabria, a partire da Catanzaro. Sono aree urbane che si configurano come vere isole di trasmissione della cultura greca, che trova nelle chiese di rito ortodosso, quali San Giovanni Evangelista, Santa Chiara, S. Giuseppe al Palazzo, S. Maria del Piliere, i luoghi d’incontro e di adesione alla cultura e lingua greca da parte dei greci «così paesani come levantini (…). In questa dichiarata compresenza di Greci di più antica origine e di quelli giunti, in diverse ondate, sta la peculiarità della grecità messinese, insieme testimonianza del passato bizantino e tardo bizantino massicciamente presente in cognomi, toponimi, idronimi, e testimone vivente e parlante delle grandi trasformazioni geopolitiche mediterranee che portarono all’afflusso in Sicilia di popolazioni sia greche che albanofone di provenienza accanita, ognuna col proprio livello di autocoscienza e di evoluzione linguistica», e aggiungiamo noi antropologica di riplasmazione e relazioni con le diverse culture del territorio.

Madonna Odigitria

Messina, Chiesa di S. Nicolò dei greci, icona della Madonna Odigitria

Il format storiografico di Daniele Macris prosegue con una scansione secolare fino ai nostri giorni, e sebbene la tentazione sarebbe quella di proseguire la sua agile, ma densa e fitta, e comunque coinvolgente narrazione, dove riemergono uomini di clero, mercanti ed artisti, che hanno contributo nel corso dei secoli, con il loro imprinting culturale greco a rendere “Nobile e Fiera la città di Messina” fino ai nostri giorni, rischieremmo di proseguire a scrivere ad libitum, sottraendo magari alla lettura, alla curiosità e alla scoperta di un testo, che rimane a mio avviso essenziale, e ricco di sollecitazioni antropologiche afferenti ad una singolare storia di integrazione culturale pluridentitaria, certamente esemplare, dai tanti insegnamenti utili anche oggi.

Ma prima di congedarci, non possiamo certamente omettere di ultimare a volo d’uccello, come si sviluppa il resto del volume. Oltre i focus dei secoli, dal “Quattrocento” al “Novecento”, c’è l’originale contributo di ricerca e studio sulle fonti storiche e pubblicistiche. Ci riferiamo alle corrispondenze del quotidiano “Akropolis”, che racconta del disastro apocalittico del 1908, grazie al giornalista Thomas Synadhinos, che giunge a Messina a bordo della nave “Sfaktiria”, lasciandoci resoconti cronachistici caldi e di palpabile umanità della tragica vicenda, patita dai messinesi. Altri originali contributi storico-pubblicistici sul tema della tragedia messinese, quelli del quotidiano “Estia”, “Il focolare” e di “Embros”, “Avanti”. Testimonianze di un vissuto di dolore che innesca una gara di solidarietà da parte della terra madre per alleviare le perdite e le sventure patite dalla comunità greca a Messina colpita dal tremendo sisma del 1908.

bruno-lavagnini-aglaia«Il filo sebbene esile e logorato, resisteva. Non c’erano più né la comunità – scrive Macris – né la chiesa e l’omologazione curiale e poi fascista, riconoscibile e leggibile nella ricostruzione della città, privò con dolo anche della memoria dell’Archimandritato e del rito greco». Sulla ricostruzione della comunità e cultura greca sfilacciata e rinnegata dai vertici istituzionali, Macris annota:  «In Sicilia, a partire dal 1931, fece sentire la sua benefica azione l’opera illuminata del prof. Bruno Lavagnini (1898-1992), ordinario di Letteratura greca presso l’Università di Palermo e pioniere degli studi neogreci, fondatore del benemerito Istituto Siciliano di Studi bizantini e Neoellenici di Palermo, autentico patrimonio culturale e scientifico di livello internazionale, oggi presieduto dalla neoellenista prof.ssa Renata Lavagnini». Quanto mai interessante poi il focus di Daniele Macris sul romanzo storico neogreco I Maurolico , di Thananis Petsalis Dhiomidhis, che offre l’occasione, grazie alla Comunità Ellenica dello Stretto e alle ospite greche nel 2006, funzionarie del Ministero della Pubblica Istruzione Greco, di apprendere che a Messina proprio presso il Liceo Classico intitolato al grande messinese del Cinquecento, scienziato e matematico, insigne studioso Francesco Maurolico, si studia il neogreco come lingua extracurriculare, stabilendo così un inaspettato e felice incontro con il romanzo storico greco.

ccf08082011_00000Altro interessante apporto sulla rifondazione della Comunità greca a Messina nel dopoguerra, si riferisce alla venuta nella Città dello Stretto di tantissimi studenti universitari greci. «A partire dal 1952, secondo quanto reso noto da Giuseppe Pracanica, si può datare la presenza di studenti greci iscritti presso le Facoltà di Medicina dell’Università di Messina e, in seguito, anche in altre Facoltà dell’Ateneo peloritano, Farmacia, Veterinaria e Matematica in primo luogo. A partire dal 1955, si trovano a Messina, tra molti altri, Irene Katerina (1934-2024), originaria del Pireo, ma di famiglia cretese, farmacista, poetessa e pittrice, sposata con Ettore Bruno; Panajota Nikolakopuli (1935-2014), di Valyra, farmacista a Zafferia, villaggio a sud di Messinese, sposata con Giuseppe Saglimbeni e madre di Maria (1964) ed Alessandro Saglimbeni (1965-2015); Aristide Macris (1939-2023), di Tripolis, Arcadia, coniugato in prime nozze con Lidia Minniti, padre di Daniele ed Emanuele, professore di Fisica e Matematica presso il liceo scientifico “Archimede”, cui ha donato un cospicuo fondo librario nel 2022, ed ancora Tanos Liossis, ingegnere, adottato per il suo carattere espansivo da tutta la comunità messinese, scomparso nel 2024. Una significativa testimonianza (Parentesi messinese) sulle sofferte vicende vissute con i Colonelli in Grecia, dalla diaspora greca a Messina, proposta da Macris, inedita in italiano, è quella di Giorgio Vavizos (1948), studente di biologia dal 1969 al 1971, tratta dal libro Così si legava la …carbonara. Segue un breve ma intenso catalogo di documenti e cronache delle militanze politiche degli studenti greci fra Messina e Reggio Calabria, negli anni tumultuosi della contestazione studentesca fra opposte fazioni, di destra e sinistra, fra gli anni sessanta e settanta dello scorso secolo.

Davvero un bel viaggio quello proposto da Daniele Macris, che illumina a tutto tondo una storia di scambi culturali ed integrazione fra Grecia e Messina, dall’età bizantina ai giorni nostri, che hanno messo radici profonde nei secoli, che alimentano relazioni e storie del nostro tempo, attestando ancora una volta quanto l’incontro di lingue e culture diverse, unite da un unico destino, possano determinare le sorti di un territorio, e farlo crescere a contatto con le diversità che uniscono.

Consapevole della complessità della materia storica trattata, Daniele Macris, saluta il lettore avvertendo che «Queste note storiche, spesso punteggiate da fatti di cronaca locale ed internazionale e da curiosità cittadine desiderano costituire un punto di partenza per ulteriori messe a punto (…), di una realtà, come dimostrato, in cui le diverse correnti diacroniche e diastratiche della realtà greca messinese si intersecano e si incrociano in modo originale e quasi obbligato, tenuto conto della posizione geografica, del popolamento e dei fenomeni sismici in età moderna». 

Dialoghi Mediterranei, n. 73, maggio 2025

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Mario Sarica, formatosi alla scuola etnomusicologica di Roberto Leydi all’Università di Bologna, dove ha conseguito la laurea in discipline delle Arti, Musica e Spettacolo, è fondatore e curatore scientifico del Museo di Cultura e Musica Popolare dei Peloritani di villaggio Gesso-Messina. È attivo dagli anni ’80 nell’ambito della ricerca etnomusicologica soprattutto nella Sicilia nord-orientale, con un interesse specifico agli strumenti musicali popolari, e agli aerofoni pastorali in particolare; al canto di tradizione, monodico e polivocale, in ambito di lavoro e di festa. Numerosi e originali i suoi contributi di studio, fra i quali segnaliamo Il principe e l’Orso. il Carnevale di Saponara (1993), Strumenti musicali popolari in Sicilia (1994), Canti e devozione in tonnara (1997); Orizzonti siciliani (2018).

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