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Memoria della tragedia che segnerà la storia del lavoro femminile

copertina-le-ragazze-della-triangledi Grazia Messina 

New York, sabato 25 marzo. Alle 16,40 le operaie della fabbrica tessile Triangle si preparano a rientrare a casa dopo aver riscosso la paga settimanale. Una sirena d’allarme segnala improvvisamente un incendio tra l’ottavo, il nono e il decimo piano dell’Asch Building, l’edificio industriale che oggi fa parte del campus della New York University, mentre tra Washington Place e Greene Street centinaia di newyorkesi corrono in strada in preda al panico. All’interno dell’ottavo piano è divampato un rogo da un cestino con scarti tessili, pare per un fiammifero caduto tra i tessuti o una sigaretta spenta male. Si avvisa con una telefonata il personale del decimo, sede dell’amministrazione, mentre inizia la fuga delle operaie dalle scale e dal tetto. Chi lavora al nono piano rimane però bloccato: le operaie non sono state raggiunte dalla centralinista del decimo, che nello sgombero improvviso si dimentica di loro.

Le ragazze si accorgono dell’incendio quando ormai le fiamme sono alte, scale e ascensori sono bloccati. Troppo tardi. Ci sono porte chiuse a chiave dai proprietari per timore di furti di tessuti da parte degli operai. Alcune provano a scappare dalla scala antincendio, che però crolla per l’enorme peso. Sono i primi venti morti. Il nono piano diventa una trappola infuocata, chi è ancora in vita prova la fuga lanciandosi dalle finestre. Dalla strada si sentono i tonfi dei 62 corpi che si schiantano al suolo urlando, uno dopo l’altro. Quando i vigili del fuoco riescono a domare l’incendio, la struttura dell’edificio appare ancora solida e resistente ma dentro e sulla strada si presenta una delle più grandi tragedie sul lavoro: 146 corpi sono senza vita, 123 dei quali sono delle operaie ancora presenti sul luogo di lavoro. Quasi un terzo delle vittime sono italiane, il resto sono ebree. Sette di loro non verranno mai identificate. Tante sono giovanissime, alcune avevano appena 14 anni.

Molto si è scritto e prodotto sull’immenso dramma della Triangle. Studiosi, attivisti, artisti ne hanno ripreso aspetti e sfaccettature in diverse occasioni, seguendo nel tempo lo sviluppo dell’approccio alla storia delle donne in emigrazione, che «negli ultimi anni è passata da campo descrittivo compensatorio, seguendo un itinerario imprescindibile per un soggetto nuovo alla storiografia, a categoria interpretativa con l’assunzione dell’analisi di genere per lo studio dei fenomeni storici, sociologici e così via»[1].

Incendio alla Traiangle

Incendio alla Triangle

In tale ampio quadro di riferimento, un apporto decisamente originale viene adesso consegnato da Le ragazze della Triangle. Saggi intimi e politici sull’incendio di una fabbrica newyorkese, a cura di Edwige Giunta e Mary Anne Trasciatti (Iacobelli editore 2024).  I diciannove saggi del volume propongono diverse prospettive di lettura della tragedia che segnerà profondamente la storia del lavoro femminile (ma non solo), incoraggiando l’impegno sindacale e la partecipazione alle rivendicazioni per la sicurezza dell’ambiente lavorativo e un salario giusto e garantito. Si trattò di «una tragedia personale ­̶ ma anche collettiva», precisano le curatrici, perché l’orrore del disastro, con i corpi che si lanciavano dalle finestre e i cadaveri sui marciapiedi, provocò un’indignazione diffusa e condivisa, e l’evento «divenne il catalizzatore di cambiamenti non solo riguardo alle direttive antincendio ma in altre questioni delle leggi sul lavoro, con conseguenze storiche sulla vita di molti americani». 

Il volume accoglie proprio questa ricostruzione, coniugando l’impatto emotivo e il dolore delle perdite al respiro civile, perché «non è un libro sull’incendio, ma sui modi in cui la Triangle continua a interpellarci». E così tra le quasi quattrocento pagine troviamo le testimonianze di figli e discendenti delle vittime del 1911, le eredità coltivate nelle famiglie che nel tempo hanno cercato di custodirne le tracce, le direzioni che un possibile insegnamento può trovare per ricordare gli avvenimenti passati per proiettarli nell’oggi, l’impegno sindacale che ha preso vigore e forma dalla tragedia. Senza dimenticare i vari memoriali presenti a New York, come pure nei luoghi di origine delle 146 vittime, preziosi per conservare nella storia il grande esodo italiano tra Ottocento e Novecento, con le speranze riposte nelle valigie degli emigrati e poi il dolore per le giovani vite stroncate al di là dell’oceano, private di futuro.

Tutte le autrici consegnano così personali e pubblici tasselli che aiutano a comporre un quadro elastico e dinamico, sincronico e diacronico insieme. C’è l’evento, in altre parole, ma ci sono anche il prima e il dopo, le operaie e le famiglie, l’industria e la città, l’America e la “grande emigrazione” italiana, il dramma e la responsabile conoscenza che ancora si deve raccogliere e rinnovare nel quotidiano.

Il contesto in cui divamparono le fiamme è noto. Alla fine dell’Ottocento gli Stati Uniti avevano avviato una massiccia industrializzazione. Il lavoro a domicilio di cui si era servita fino a quel momento l’industria tessile venne rapidamente sostituito dal lavoro nelle fabbriche, che nascevano nei grandi ettari di terra e in ogni ritaglio verde, meglio se vicini a corsi d’acqua per sfruttarne l’energia. Sorgeranno così in breve tempo vere e proprie metropoli industriali. Inizialmente l’offerta fece arrivare nelle città centinaia di giovani donne delle campagne americane, allettate da quella che appariva come una veloce opportunità per provvedere al corredo matrimoniale o aiutare le famiglie, ma il guadagno era scarso e le condizioni di lavoro assai pesanti. Esauste, le ragazze americane cercarono di meglio altrove, visto che le offerte non mancavano di certo. Da quel momento gli industriali pensarono di chiamare gli immigrati: dovevano essere giovani, meglio ancora se sotto i diciotto anni perché più docili e meno esigenti, con mani piccole per entrare negli ingranaggi più stretti, in numero maggiore donne, in America come altrove ancora prive di qualunque diritto politico e sindacale. Fu così che, dall’Italia affamata negli anni a cavallo tra Ottocento e Novecento, i piroscafi in partenza da Napoli, Palermo, Messina riempirono ponti e cabine di terza classe con masse di uomini, donne e minori da destinare alle fabbriche americane: le statistiche ci dicono che fra il 1880 e il 1915 approdarono negli Stati Uniti quasi 4 milioni di italiani.  

Internmo della fabbrica Triangle

Interno della fabbrica Triangle

Molti di loro si fermarono a New York, che cresceva ogni giorno con nuove fabbriche. Tra gli imprenditori, Max Blanck e Isaac Harris avevano messo in piedi la fabbrica Triangle come parte della compagnia Triangle Shirtwaist Company, produttrice di camicette, un capo appena entrato nella moda della middle class. Come in tutte le fabbriche del tempo, le misure antincendio erano quasi inesistenti: le operaie erano costrette a cucire tra scarti di tessuto sparsi per il pavimento, gli uomini lavoravano tra le macchine con le sigarette accese, l´illuminazione era fornita da luci a gas e in giro si trovavano solo pochi secchi d´acqua da utilizzare in caso di incendio. Eppure il processo per la tragedia del 1911 non riuscì a provare la responsabilità dei proprietari della fabbrica, che dal decimo piano si salvarono e aiutarono molti operai a fuggire dal tetto, ma avevano dimenticato chi lavorava al nono. Si chiuse con la loro assoluzione, mentre le  famiglie  di ogni vittima ebbero come risarcimento solo 75 dollari.

Tuttavia, come accadrà nel 1956 anche per la tragedia di Marcinelle, l´evento ebbe un’eco sociale e politica enorme destinata a scuotere l’indifferenza della gente comune, generando proteste e rivendicazioni che porteranno a nuove leggi sulla sicurezza sul lavoro. Aumentò la consapevolezza dei rischi da parte degli operai, con un incremento di adesioni agli organismi sindacali e in particolare alla International Ladies´ Garment Workers´ Union (ILGWU), tra i più importanti sindacati degli Stati Uniti.

Rose Schneirdermann

Rose Schneirdermann

I saggi del volume di Giunta e Trasciatti hanno il merito di portare chiarezza sulle tante dinamiche qui appena accennate, ricordando i diversi protagonisti chiamati in causa. Annie Schneidermann Valliere nel suo saggio traccia la figura della prozia Rose Schneirdermann, la giovane tessitrice e attivista sindacale che nel 1905 guidò lo sciopero delle cappellaie a New York e, dopo l’incendio della Triangle, intervenne più volte per denunciare abusi e orrori delle condizioni lavorative nelle fabbriche di quell’America lanciata nello sviluppo industriale. Rose diverrà modello e motore per tante giovani donne arrivate negli Stati Uniti per sfuggire alla miseria dei loro paesi.

71zkeeuowul-_ac_uf10001000_ql80_Michele Fazio riprende a sua volta immagini e scritti del nonno Raimondo, immigrato col fratello Vincenzo dalla Sicilia nel 1903 e presto divenuto attivista sindacale. Partecipò e scrisse della Rivolta del 1909, del Bread and Roses Strike di Lawrence del 1912, dello sciopero della seta a Paterson del 1913. Con la moglie Angelina Scelfo si iscrisse al grande sindacato ILGWU e ne praticò l’impegno sociale. E anche se Angelina, a differenza del marito, non viene riportata tra i nomi dei grandi sindacalisti del periodo, è stata proprio lei a consegnare il testimone di quell’impegno alla nipote, oggi docente di letteratura etnica contemporanea e studiosa del movimento operaio.

Che l’insegnamento della storia della Triangle debba far leva sulla affect theory, puntando sull’analisi delle emozioni sia individuali che collettive per comprendere l’evento nelle sue complesse relazioni e ricadute, è suggerito dal saggio di Jaqueline Ellis, che precisa: 

«Per le mie studenti, i discorsi sulle globalizzazioni, sul consumismo, sulle leggi internazionali sul lavoro e sugli accordi commerciali che circolano in ambiente accademico sono astrazioni. Ma il loro rapporto emotivo con i testi che studiamo è concreto […] Capiamo come le ragazze hanno usato gli affetti per protestare e organizzarsi prima e dopo l’incendio della Triangle e nella scia di più recenti orrori. Riusciamo a pensare a come le esperienze delle ragazze si legano alle nostre e a quelle delle nostre famiglie e comunità. Gli affetti possono integrare l’eredità delle ragazze della Triangle nel lavoro di ragazze attiviste contemporanee […]» [2]. 

9788832055788_0_0_536_0_75Per riportare le storie delle vittime italiane nelle case che avevano lasciato per cercare lavoro a New York è tuttavia al saggio di Ester Rizzo Licata che bisogna destinare tempo e attenzione. L’autrice di Camicette bianche. Oltre l’8 marzo (Navarra, 2014) racconta in questo volume il percorso personale e collettivo seguito per ridare spazio nella storia italiana a quei nomi che si rincorrevano, privi di identità reale, nei lunghi elenchi ufficiali.

Negli anni Ester Rizzo ha cercato negli archivi e nei paesi di origine delle 38 vittime i dati anagrafici, ha ricostruito alberi genealogici, ha chiesto che ogni comune dedicasse un luogo, una targa, una strada ai concittadini riportati alla Storia, restituiti alla comunità che spesso ne ignorava ancora, dopo oltre cento anni, la tragica fine. Possiamo così oggi conoscere i nomi e talvolta anche  le storie familiari di 28 siciliane, due sorelle lucane, cinque pugliesi una donna campana. In tutto 36 operaie di quel drammatico 1911 sono ormai parte della memoria civile italiana grazie al suo metodico e appassionato lavoro. 

Rosie Grasso di Cerami (Enna)  ̶  sottolinea amara nel suo saggio Annie Rachele Lanzillotto che in Sicilia è andata per visitare con Ester Rizzo quei luoghi restituiti alla collettività  ̶ aveva solo sedici anni e sarà tra le vittime più giovani di quell’immane disastro.

Doveroso dunque ricordare anche qui i nomi delle operaie italiane vittime della Triangle, riproponendo un memoriale di donne sottratte all’oblio.  Erano partite dalla Sicilia: Clotilde Terranova di Licata, Caterina, Rosaria e Lucia Maltese di Marsala, Provvidenza Bucalo Panno e Vincenza Pinello di Casteldaccia, Vincenza Benanti di Marineo, Michela Nicolosi e Maria Anna Colletti di Bisacquino, Rosa Bona Bassino e Caterina Bona Giannattasio di Sambuca di Sicilia, Vincenza Bellotto di Sciacca, Rosina Cirrito, Giuseppa Concetta Maria Rosa Del Castillo e Maria Santa Salemi di Cerda, Elisabetta e Francesca Maiale di Mazara Del Vallo, Gaetana Midolo di Noto, Concetta Prestifilippo e Rosa Grasso di Cerami, Giuseppina Buscemi Carlisi e Grazia Maria Gullo Floresta di Sperlinga, Caterina Uzzo di Palermo e Giuseppina Cammarata della provincia di Enna. Provenivano dalla Puglia le sorelle Antonia e Anna Vita Pasqualicchio Ardito e le sorelle Serafina e Teresa Saracino della provincia di Bari; Marianna Santa (Annie) L’Abbate di Polignano a Mare. Originarie della Basilicata erano le sorelle Isabella e Maria Giuseppa Tortorelli della provincia di Potenza, mentre dalla Campania era emigrata Maria Michela Clorinda Marciano Cordiano del napoletano. Ancora ignoto il luogo di origine per Laura Brunetti, …mentre le ultime ricerche hanno riportato a casa Francesca Caputo (Palermo), Maria Francesca Massaro Miraglia (Guglionesi), Bessie Viviano (Menfi), Jenny Stellino (Alcamo). Da pochi giorni sappiamo che anche Anna Balsano Ciminello era siciliana: era nata a Vicari, in provincia di Palermo, il 31 luglio 1874.

history-of-iwdLe ragazze della Triangle contribuiscono a fare giustizia su una storia cancellata per diffuse dimenticanze, tracciano un «tessuto della memoria».  Il volume, curato dalle due studiose di origini italiane, rinnova inoltre l’impegno che grava su tutti noi ogni giorno nei posti di lavoro, dove ancora manca il rispetto delle norme di sicurezza e la garanzia per tutti di rientrare a casa la sera.

La tragedia di queste ragazze sottratte alla vita nel 1911 ha infatti anche un compito assai importante. Ricordare con allarme che si muore ancora in orario lavorativo, chiedere l’urgenza di controlli reali e costanti. Perché in Italia tra il 2021 e il 2024 non sono più rientrati dal luogo di lavoro 4.442 uomini e donne. Nel 2024 ci sono stati 1.090 infortuni mortali, il 4,7 per cento in più rispetto al 2023. Un dramma che continua a consumarsi senza tempo. 

Dialoghi Mediterranei, n. 74, luglio 2025
Note
[1] Maddalena Tirabassi, Trent’anni di studi sulle migrazioni di genere in Italia: Un bilancio storiografico In: Lontane da casa: Donne italiane e diaspora globale dall’inizio del Novecento a oggi, Accademia University Press, Torino 2015: 17.
[2] Infra: 198-199. 

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Grazia Messina, direttrice della ricerca scientifica nel Museo Etneo delle Migrazioni di Giarre per la Rete dei Musei siciliani dell’Emigrazione. Laureata in Filosofia, Master in “Economia della Cultura” (Università Roma Tor Vergata), ha insegnato Storia e Filosofia nei licei statali. Promuove laboratori didattici e piattaforme digitali, con workshop nel territorio per la tutela della memoria storica. È autrice di articoli e saggi editi su riviste e volumi anche collettanei. Ha scritto con Antonio Cortese La Sicilia Migrante, Tau Editrice (2022). Nel 2023 ha curato la sezione “Sicilia” nel Rapporto Italiani nel Mondo (RIM 2023), edito dalla Fondazione Migrantes.

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