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Margine e Risorsa

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Ambiente naturale

di Silvia Passerini

Da tempi non sospetti l’Associazione Thara Rothas in collaborazione con la Rete del Ritorno si batte per evidenziare le risorse presenti nei territori marginali, circa il 60% dell’intero territorio nazionale. Seppur a rischio di desertificazione e con sostanziali problemi strutturali, come la mancanza di servizi e i rischi idrogeologici, i margini sono il luogo in cui più facilmente si rintracciano esperienze tra le più significative di nuovi stili di vita. Esperienze volte all’agricoltura consapevole e ad una produzione di valore che sa mettere al primo posto il rapporto uomo-natura costruendo nuove comunità che guardano al bene comune come una meta importante da raggiungere.

Guardare ai margini come potenziale di sviluppo innovativo è la visione reale che si pone davanti a noi, indipendentemente dalle forze che possono entrare in gioco. È un campo d’azione in cui è possibile portare la migliore esperienza, frutto di una rilettura coscienziosa e critica della più recente storia umana.

Le storie di chi torna sono storie di vite di tutti i giorni, di persone consapevoli che tentano di tramutare un bisogno collettivo, in realtà. Tutto ciò richiede impegno e costanza, determinazione e orgoglio, fatica e tanta forza di volontà.

Tornare è un po’ come resistere alle cecità del nostro tempo per sviluppare visioni futuribili per l’oggi e per chi verrà. Preservare per non estinguersi, ritrovare le antiche alleanze con il mondo naturale intercettando il concetto di memoria che interseca punti generazionali, apparentemente molto lontani, ma invece, mai così vicini come oggi.  Molte le nuove occupazioni che si lasciano ispirare dal passato per individuare oggi un connubio fra antico e nuovo, tradizione e innovazione tecnologica. Chi torna ai margini si occupa della cura della Terra, spinto dal desiderio di un cambiamento che inizia dalla propria vita per poi riflettersi sull’intera collettività.

 Tornare alla terra consapevolmente e per scelta, è la più grande rivoluzione e innovazione dei nostri tempi.

Chi torna non pensa alla produzione industriale o alla grande distribuzione, anzi la nega nelle sue dinamiche e nei suoi obiettivi. Chi torna ama gli odori delle stagioni e gode dei colori che un ambiente, di nuovo selvatico, sa offrire. Chi produce con attenzione e consapevolezza, ama il suo lavoro e intende trasferire il valore che vi è in ciò che fa imparando a ricucire le relazioni e dar vita a nuove comunità, le stesse che dagli anni ’50 in poi hanno subìto una vasta polverizzazione.

Chi torna sa che necessita un’operazione lenta ma costante: aprire relazioni e condividere saperi. Costruire, o meglio ri-costruire le Comunità locali.

Sarebbe ingiusto definire tutto ciò nostalgico o romantico perché è un gesto che è carico di fatica, lucida e fortemente consapevole, quasi irrinunciabile. Forse è anche rappresentativa della ricerca di una pace generazionale che riconosce oggi il lavoro di nonni che, in tempi più lontani, furono costretti a rinunciare a depositare il loro sapere nelle mani dei più giovani, consegnando ogni cosa invece ad un tempo di oblìo.

Ecco forse questo è un modo per dire che non abbiamo dimenticato e che quegli strumenti, come quelle fatiche, non sono state vane, ma ancora insegnano, oggi che mani giovani sono tornate.

E a chi ieri diceva che alla terra sarebbero tornati i laureati oggi possiamo dire che aveva ragione, non a caso all’agricoltura e all’allevamento di qualità si avvicinano e sono protagonisti profili di persone con percorsi di studi universitari, dove si coniugano competenze culturali, tecnico-scientifiche ma anche informatiche.

Così si torna per scelta e cambiamento culturale, si torna per vivere meglio e star bene, proteggendo la propria salute e quella degli altri. Si torna usando ma mai consumando territorio, piuttosto bisogna essere in grado di restituire. Si torna per non essere consumatori di un mercato ma per essere utilizzatori consapevoli per un bisogno primordiale: vivere.

Insomma si torna per rispondere ai bisogni del nostro tempo disegnando linee libere dalle griglie del sistema. Trovare risposte è ciò che rende il ritorno protagonista del nostro tempo.

È strano a dirsi ma, dove esiste il problema e dove è più forte, lì c’è la soluzione più interessante, tutto il resto risulta quasi un surrogato, frutto di politiche e strategie dei sistemi centralizzati assai distanti dalla realtà.

Chi torna non fa troppo conto sui fondi pubblici bensì sul lavoro condiviso e di rete, utilizza lo scambio e l ’auto-produzione o il reciproco soccorso.

Anche l’abitare e il costruire spesso si basano sull’alleanza uomo-natura, si vedano le esperienze di auto-costruzioni in paglia e argilla ma anche di case in legno o pietra.

Forte è il senso di responsabilità delle proprie azioni, che porta a sentirsi protagonisti attivi del proprio tempo.

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Erbe medicinali

Riccardo, un giovane padre spiega il suo impegno nell’aver contribuito al miglioramento della collina in cui abita, eliminando un vecchio capannone con un tetto in Eternit per edificare una casa in auto-costruzione in argilla e paglia regalando così alla Comunità un paesaggio armonioso e sostenibile.

Francesco invece si preoccupa di manutenere il bosco e i campi della casa che gli è stata data, in uso gratuito, dal proprietario che non se ne faceva più nulla. Vive di frutti spontanei e del suo orto. Sperimenta nuove possibilità sostenibili come il vivere di sola energia solare e il riuso della lana, che oggi viene considerata rifiuto speciale. Francesco dice: «si può vivere usando poco e curando ciò che abbiamo di più prezioso».

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Coltivazione frutti antichi

Elena, alla morte della nonna pastore, capisce il valore dell’opera compiuta e decide di occuparsene lasciando le precedenti mansioni, apparentemente più redditizie. La sua soddisfazione è quella di non aver lasciato andare ciò che per sua nonna era stato vitale e quindi di aver tenuta viva la cultura della pastorizia e della nonna offrendo a lei una vita più naturale.

Fabio invece, per coltivare i suoi campi di montagna, pratica la trazione animale e sostiene che sia molto più economico che utilizzare il trattore e che solo così si può avere cura del proprio territorio, infatti solo camminando sulla terra la si può conoscere ed amare in ogni suo angolo e piegatura.

Giacomo coltiva prodotti orticoli e frutti antichi, pratica esclusivamente la vendita diretta per lui è l’unica modalità di commercializzazione perché nel suo lavoro ritiene che ci debba essere il trasferimento di conoscenza che può avvenire solo se, chi compra, si reca direttamente sul campo e comprende il lavoro svolto. Giacomo coltiva in biodinamica, come molti altri, non ha alcuna certificazione perché troppo costosa e non sempre garante, lui dice: «non c’è miglior certificazione che la conoscenza diretta del come viene prodotto».

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Coltivazione in biodinamica

Le attività sono spesso il frutto di una rilettura fra passato e presente; c’è chi fa cosmesi allevando asini, chi si occupa di erbe officinali, chi di prodotti caseari, artigianato misto fra tecnologia e antichi saperi, e altro ancora. Sanno evidenziare la natura del luogo utilizzando ciò che altri ritengono rifiuto.

In una recente ricerca condotta dall’Università Statale di Milano per la Regione Lombardia in merito ai nuovi imprenditori di montagna, cui ho contribuito, è emerso che chi si occupa della cura del territorio, del paesaggio e sperimenta nuovi stili di vita, non produce redditi importanti ma comunque riesce a produrre risorse economiche che consentono di accedere ai beni non direttamente prodotti. Non vi è ambizione di uno spietato business semplicemente perché non è l’obiettivo principale. Ciò che importa infatti è il cambiamento a cui si è chiamati a contribuire, ognuno nel suo ruolo e nel suo quotidiano, sottolineando la necessità di invertire il paradigma fin qui adottato.

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Allevamento asini per cosmesi

Non sono il centro e le sue dinamiche a dominare la scena bensì il margine e le sue soluzioni.

È sempre più chiaro che curare il territorio ha un valore sociale e che questo è ciò che prima di tutto va riconosciuto. Produrre cibo facendo paesaggio significa tutelare il territorio.

I terreni agricoli biologici sono in gran aumento, FederBio OFOM dichiara che in Europa ci sono 15 milioni di ettari e 400 mila operatori impegnati. Ciò non significa che tutti siano corrispondenti alla narrazione appena fatta, ma certamente le lancette si stanno spostando e al di là delle ricerche, delle strategie centrali o qualsiasi dato scientifico rilevato, qualcosa, proprio nei territori marginali, sta succedendo, ma soprattutto qualcuno, senza attendere che altri facciano, sta già facendo. Nessuna strumentalizzazione però, ma riconoscimento e gratitudine per chi, sulla propria pelle, sta sperimentando un futuro possibile.

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Erbe officinali

È a questo che l’Associazione Thara Rothas con il sostegno della Rete del Ritorno e della Fondazione Nuto Revelli, si è voluta dedicare, incontrando il favore e la comune visione di Ed.Terre di Mezzo. Insieme hanno dato vita, all’interno della manifestazione/Fiera “Fa la Cosa Giusta” – Milano (organizzata da Ed. Terre di Mezzo) ad un settore dedicato “Territori Resistenti” ove annualmente è diffusa una fitta programmazione culturale.

Un impegno utile che guarda a ciò di cui vi è bisogno più a ciò che fa tendenza.

Un impegno doveroso per chi, come noi, crede che sia giunto il momento di cambiare i paradigmi fra centro e margine.

Dialoghi Mediterranei, n. 39, settembre 2019
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Silvia Passerini, architetto, nasce e vive a Milano ma ha un cuore montanaro. È presidente dell’Associazione Thara Rothas e vicepresidente della Rete del Ritorno.

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