La Sicilia è una delle poche regioni italiane a disporre di un dizionario onomastico, grazie al lavoro di Girolamo Caracausi, il quale ha curato per conto del Centro di studi filologici e linguistici siciliani la pubblicazione del Dizionario Onomastico della Sicilia (DOS) in due volumi nel 1993. Quest’opera rappresenta un riferimento imprescindibile per lo studio dell’onomastica siciliana, poiché raccoglie in modo sistematico l’intero repertorio di antroponimi e toponimi attestati ufficialmente o documentati nella tradizione scritta.
Nonostante il valore scientifico del DOS, che si distingue per la ricchezza della documentazione analizzata e per le ipotesi etimologiche formulate, si avverte sempre più l’esigenza di un progetto di ricerca sistematico a livello regionale volto allo studio della toponomastica di tradizione orale, in linea con iniziative analoghe già avviate in altre regioni italiane e all’estero [1]. Lo stesso Caracausi sosteneva che i limiti del suo lavoro fossero ascrivibili soprattutto alla parte toponimica in quanto «manca, purtroppo tutta la micro toponomastica [...] e la registrazione in loco della forma dialettale dei toponimi, sottoposti spesso dai cartografi a una italianizzazione forzata, in qualche caso fuorviante» (Caracausi 1993: 28).
Da questa consapevolezza nasce l’idea di un Dizionario atlante dei toponimi orali in Sicilia (DATOS). Il progetto onomastico DATOS, coordinato da Marina Castiglione [2], si inserisce all’interno del più ampio progetto dell’ALS (Atlante Linguistico della Sicilia) [3]: vi collaborano i dipartimenti di Scienze Umanistiche delle Università di Palermo, Catania e Messina, come sancito dalle delibere dei rispettivi Consigli di Dipartimento. L’obiettivo principale del progetto è documentare dettagliatamente l’intero patrimonio toponomastico siciliano [4], sia nella sua forma popolare e dialettale che in quella già documentata e cartografata. La ricerca mira a raccogliere, studiare e preservare il patrimonio toponomastico tradizionale, che è minacciato non solo dal cambiamento linguistico, ma anche dal depauperamento delle aree rurali e dal diminuito rapporto tra uomo e risorse agro-pastorali [5]. L’obiettivo editoriale del progetto è l’integrazione dei volumi cartacei del DATOS [6] con un archivio digitale accessibile online, ATOS [7], che consenta la fruizione del patrimonio toponomastico nella sua forma popolare, oltre che cartografata e documentata.
Criteri redazionali e strutturali dei volumi DATOS
A differenza di altri progetti toponomastici regionali del territorio italiano, il DATOS si sviluppa su aree o su singoli comuni, sfruttando l’esperienza dell’ALS (di cui si segue la numerazione dei punti, ossia tutti i 391 comuni [8]) sia nella definizione di spazi linguistico-culturali omogenei e sia nella raccolta etnotestuale, che da sempre contraddistingue la metodologia della ricerca ALS (vd. Castiglione 2022). Ogni volume DATOS si apre con un’introduzione a cura di Marina Castiglione, coordinatrice di un finanziamento PRIN che attualmente sostiene economicamente il progetto, in cui viene delineato il quadro generale degli obiettivi e delle metodologie adottate. In questa sezione iniziale vengono specificati i criteri di trascrizione [9] e i criteri di redazione adottati per l’elaborazione dei volumi, con particolare riferimento alle convenzioni grafiche impiegate per la trascrizione dei toponimi popolari [10].
Ogni volume – che può prendere come oggetto di ricerca un singolo centro o un’area territorialmente contigua – contiene una specifica introduzione storico-linguistica riguardante lo spazio indagato, al fine di illustrare la cultura locale e il modo in cui essa influenza la creazione e la trasmissione dei toponimi. Particolare attenzione è riservata alla storia del territorio, nonché alle sue peculiarità linguistiche e geografiche. Ampio spazio è dedicato alle fonti impiegate per la ricerca, evidenziando in particolare l’importanza delle fonti scritte come indispensabile punto di partenza per identificare le denominazioni ufficiali, nonché il ruolo delle fonti orali. Infatti, un ulteriore elemento distintivo del progetto è il coinvolgimento degli informatori locali [11], dei quali viene fornita una sintesi biografica volta a mettere in risalto la loro peculiare competenza toponimica.
Gli informatori portano la loro conoscenza diretta dei toponimi locali e delle loro varianti linguistiche, contribuendo in modo significativo alla ricostruzione di un patrimonio toponomastico che rispecchia non solo la geografia fisica, ma anche la percezione culturale e storica dello spazio da parte delle comunità parlanti. La loro collaborazione si inserisce in un processo di valorizzazione delle tradizioni locali e di preservazione di un sapere che rischia di andare perduto a causa dei cambiamenti ergologici, sociali, linguistici e culturali.
Ogni volume illustra i criteri di classificazione morfologica e tipologica adottati per l’analisi dei toponimi. Nello specifico, i toponimi costituiti da un unico elemento, sia esso di natura nominale o aggettivale, vengono classificati come «toponimi semplici»; i toponimi derivati per suffissazione rientrano nella categoria dei «toponimi suffissati». In presenza di due o più elementi costitutivi, il toponimo viene definito «composto bimembre» se composto da due membri distinti, o «composto polimembre» in presenza di tre o più costituenti (cfr. Castiglione M. e Castiglione A. 2022). Accanto alla classificazione morfologica, ogni volume presenta una classificazione referenziale mirata ad enfatizzare la motivazione e il significato alla base di uno specifico processo onomaturgico. È importante precisare che i toponimi rurali, a differenza di quelli urbani, che spesso derivano da esigenze descrittive, fanno prevalentemente riferimento a caratteristiche ambientali e geomorfologiche, anche se non devono essere trascurati gli elementi di antropizzazione, anch’essi ampiamente diffusi. Le tipologie referenziali utilizzate saranno quelle considerate nel protocollo DATOS, utili a comprendere le motivazioni alla base delle denominazioni [12] :
agiotoponimi, relativi rispettivamente a nomi di santi o a strutture legate ad un culto: Borgo Annunziata (ALS 103), Santu Vitu (ALS 124), San Filuppu e Jàbbicu (ALS 278), Armi Santi (ALS 333), Santa (335), Santuddecu (ALS 336), Pizzu di Sammarcu (ALS 404), Santulì (ALS 405), San Isidoro (ALS 418), Pietra San Vito (ALS 419), San Giuvanniḍḍu (ALS 501), S. Lunàrdu (ALS 602), S. Cuono (ALS 604), Maṭṛi Luci (ALS 608);
antropotoponimi, indicanti la proprietà di un fondo attraverso nomi, soprannomi o cognomi: Abbati (ALS 278), Ciminu (ALS 332), Frappaulu (ALS 333), Tarantinu (ALS 335), Rocca di Cola (ALS 404), Dommicheli (ALS 405), Nicola (ALS 501). Tra questo genere di toponimi rientrano i prediali, ossia toponimi derivanti da un nome di persona latino (il possessore del fondo), generalmente con aggiunta di uscita in -anum o -ana, che è possibile spiegare come un neutro plurale indicante l’insieme dei beni appartenenti al proprietario del fondo: Giuliana (ALS 336);
augurali, derivati da espressioni di buon auspicio, speranze o desideri positivi: Fidùcia (ALS 278);
etnici [13] e toponimi: Pavia (ALS 124), Acqua Ggeraci (ALS 278), Iudìu (ALS 333), Parmitanu (ALS 405);
ergotoponimi, inerenti alle diverse modalità di antropizzazione del luogo e alle attività agricole, pastorali, marinare o artigianali che vi vengono svolte: Loggia (ALS 103), Muvegghine (ALS 124), Passàggiu i l’armali (ALS 278), Pagliarazzu (ALS 332), Peṭṛa di l’uogliu (ALS 333), Cuozzu Minnulìa (ALS 335), Cazzola (ALS 336), Cùbbulu di la Bbajata (ALS 404), Ammazzaturi (ALS 405), Du parmenta (ALS 418), Sidici Sarmi (ALS 501), Ṣṭṛina (ALS 602), Callavarisca (ALS 604), Comùnieḍḍu (ALS 608);
fitotoponimi, ossia nomi di luogo motivati dalla presenza di specie vegetali: Fico (ALS 103), Castagnazza (ALS 278), Chiàppara (ALS 332), Miennulazza (ALS 333), Lumìa (ALS 335), Finucchiara (ALS 336), Cannìtu (ALS 404), Spàraci Parrini (405), Carrubelli (ALS 418), Piano di Vigne (ALS 419), Cannitu (ALS 501), Pizzo Cirasa (ALS 602), Sammucheḍḍu (ALS 604), Miènnula (ALS 608);
geotoponimi, indicanti referenzialmente la morfologia del territorio o le particolari condizioni del terreno: Timpe Rosse (ALS 103), a Marghina (ALS 124), Zzotta i l’oru (ALS 278), Muntagna (ALS 332, ALS 333), Grutta û vientu (ALS 335), Grutticeḍḍi (ALS 336), Salinterra (ALS 404), Lavanca (ALS 405), Monte Stornello (ALS 418), Portella Tagliata (ALS 419), Cuzzu di Cuti (ALS 501), Lavanchi (ALS 602), Luocu Ranni (ALS 604), Petriianchi (ALS 608);
idronimi, nomi di corsi d’acqua, sorgenti, stagni, acquitrini: Uòcchiu di l’acqua (ALS 278), Funtana amara (332), Puzzu Blascu (ALS 333), Funtana Pazza (ALS 335), Funtana sicca (ALS 336), Bbrivatura di l’Aràvia (ALS 404), Funtana di li rosi (ALS 405), Laǥu di Paparduni (418), U Frùsciu (ALS 602), Acqua canni (ALS 604);
storico-leggendari, legati a eventi storici, emergenze storico- artistiche- archeologiche: Custioni (ALS 278), Puntinaru (ALS 332), Al Minsar (ALS 333), Castiḍḍazzu (ALS 335), Purteḍḍa d’Orlannu (ASL 336), Turri (ALS 404), Picciliḍḍu (ALS 405);
zootoponimi, nomi di animali: Libbrinu (ALS 278), Cuorbu (ALS 333), Bbiggini (ALS 335), Palummaru (ALS 336); Chianu û Serpenti (ALS 404), Pirnici (ALS 405), Purcuspinu (ALS 418), Paparella (ALS 419), Pitturrussu (ALS 501), U Cuccu (ALS 602), Volatizzo (ALS 604);
opachi, si utilizza questa categoria nei pochi casi in cui non è possibile fornire un’interpretazione valida del toponimo: Cacèfari (ALS 278), Inchifossi (ALS 332), Caliatu (ALS 333), Bbamblò (ALS 335), Rrusatto (ALS 336), Cacciuni (ALS 404), Rrincigliu (ALS 405), Birrigiuolo (ALS 418);
L’abbondanza di alcune tipologie di toponimi ha fatto evidenziare, per la Sicilia, almeno altre tre categorie di toponimi:
deittici, toponimi che includono preposizioni improprie relative ai meccanismi di deissi [14]: Sutta Sant’Agata (ALS 404), Darrìa u Cullèggiu (278), Currici di susu (336);
licotoponimi, derivati dal termine lupo (lykos in greco), indicano luoghi associati alla presenza reale o simbolica di questo animale. Dal punto di vista linguistico, essi si manifestano in diverse forme: forma isolata, (es. Contrada Lupo); derivati (es. Lupacchione); composti (ec. Luponero); sintagmi toponimici, in cui “lupo” compare all’interno di espressioni più ampie (es. Tana del lupo) [15];
gipsotoponimi, derivati dal termine gesso (dal greco gypsos), indicanti luoghi caratterizzati dalla presenza naturale di gesso o dalla sua estrazione e lavorazione [16]: Peṭṛa di casa (ALS 258), Bbalati di Gèniu (ALS 324), Bbuttafocu (ALS 310), Gessolungo (ALS 401).
Elemento cardine di ciascun volume DATOS è costituito dal repertorio toponomastico, per il quale si rimanda al paragrafo successivo. Ogni volume è corredato in appendice da un indice analitico delle forme popolari e da un indice invertito delle forme popolari, al fine di costituire un solido riferimento per ulteriori studi stratigrafici e analisi comparative con altre aree di indagine. Ciascun volume include, inoltre, mappe elaborate mediante Google Earth Pro, concepite in funzione della specifica realtà territoriale esaminata. Tali rappresentazioni cartografiche offrono una restituzione visiva della percezione dello spazio da parte dei parlanti: possono illustrare le forme popolari dei toponimi, evidenziare la non perfetta sovrapposizione tra confini amministrativi e confini percepiti, segnalare corsi d’acqua designati secondo le denominazioni locali (come nel caso di Geraci Siculo).
Struttura delle schede toponimiche
La sezione più corposa di ciascun volume è costituita dal repertorio toponomastico articolato in schede individuali per ciascun toponimo. Ogni toponimo è registrato con la forma popolare in esponente, seguita dalla forma ufficiale ricavata dalle carte dell’IGM [17]. Sono fornite le rispettive coordinate di latitudine e longitudine [18] e la maggior parte delle schede toponimiche è corredata da un etnotesto [19] con relativa traduzione, nonché da un’analisi linguistico-etimologica, desunta dal DOS di Girolamo Caracausi e dal VS o proposta ex novo. Le fasi evolutive del toponimo testimoniano la stratificazione linguistica del siciliano, che comprende diversi sostrati: greco, latino, arabo, francese, spagnolo e italiano.
Di volta in volta, è possibile individuare il sostrato di appartenenza del toponimo e ricondurre le varianti ai passaggi da un sostrato all’altro, i quali generano non di rado differenziazioni fonetiche specifiche o fenomeni linguistici quali la paretimologia, la tautologia ibrida e l’ampliamento. Inoltre, alcune schede toponimiche sono corredate da schede di approfondimento [20] e da fotografie rappresentative. «È bene specificare che il modello messo a punto non va inteso in modo rigido e non tutte le sezioni previste potranno/dovranno essere redatte» (Castiglione A. 2022). Il modello è infatti pensato per garantire un’elevata flessibilità e adattabilità alle diverse situazioni che possono emergere dall’analisi e dalla documentazione toponomastica. Ad esempio, nel caso in cui un toponimo sia tramandato esclusivamente per via orale, la voce non conterrà alcuna forma ufficiale e/o cartografica. Analogamente potrebbero non essere presenti varianti alternative dello stesso toponimo oppure, anche laddove un lessema toponimico risulti semanticamente trasparente, potrebbe non esistere una traduzione letterale dello stesso. Questi aspetti evidenziano la necessità di un approccio metodologico flessibile in grado di adattarsi alle peculiarità di ciascun caso studio senza imporre rigidamente criteri predefiniti. Si propone di seguito una scheda toponimica tipo [21].
Esempio scheda toponimica (ALS 336):
a li Gurfi
IGM: Gulfi, Contrada, Acqua
Lat: 37.363546; Long: 13.810968.
Areale. Toponimo semplice.
Idronimo. Caracausi spiega il toponimo Gulfi riferendosi all’arabo ġurfah, col significato di ‘stanza’. DOS/I 779: «Gulfi: pl. di Gulfa [...] Variante ipercorretta da Gurfa [...] da ar. ġurfah ‘stanza (superiore della casa)’ Wehr 785, Trovato 107, nell’uso geomorfico prob. con riferimento a grotte adattate a normale abitazione». Questa ipotesi appare adeguata, perché nella zona sono presenti grotte naturali verosimilmente abitate durante il periodo arabo. Vi sono anche un abbeveratoio e un acquedotto, che nel 1911 fu usato, per mezzo di appositi sistemi di canalizzazione, per sopperire alla penuria di acqua nella città di Canicattì. Nella contrada è presente anche una chiesa rurale ricavata nella roccia, che divenne parrocchia dedicata alla madonna delle Grazie a partire dal 1960 fino al 1976 (Cfr. La Vecchia, cit. in Augello 2017).
Ⓣ Cc’è nna cappella ca cci fannu la festa a la Madonna tipu chiḍḍa a la Madonna Aiutu. Era ẓẓona di montagna, cc’èranu grotti. Prima cci facìanu nna festa, ma iu piènzu quaranta anni nnarriè, c’acchianàvamu cu nna sṭṛatella e cc’acchianàvatu finu a sta ccappella ca cc’era sta Madonna. La Madonna cc’è sempre, però festa non ce ne fanno più. È importante ssa ccappella picchì dìcica miràcoli nni facìa tanti. Questa Madonna era nominatìssima per questi miràcoli [C’era una cappella e vi celebravano la festa per la Madonna, simile a quella della Madonna dell’Aiuto. Era una zona di montagna, c’erano delle grotte. Prima vi facevano la festa, ma io penso quaranta anni fa, ci salivamo tramite una stradella. La Madonna c’è sempre ma non organizzano più la festa. Questa cappella è importante, perché si dice che facesse tanti miracoli. Questa Madonna era molto rinomata per i miracoli]. (G.R.)
La Madonna del latte
La leggenda narra di un agricoltore il quale, nel corso di una brutta annata di siccità e carestia, non riusciva a sfamare la numerosa prole. Un giorno però mentre conduceva due mucche al pascolo accadde qualcosa di straordinario, miracoloso! Le due bestie iniziarono a correre e a comportarsi in modo insolito, fermandosi proprio ai piedi di una roccia come se fossero in ginocchio. A seguito di una violenta vergata le mucche colpirono con uno spruzzo di latte caldo gli occhi del contadino, il quale iniziò a pregare piangendo. Munse tanto latte da riempire secchi e tutti mangiarono a sazietà e fecero formaggio. Successivamente si recarono sul posto per fare una piccola grotta ma al primo colpo di piccone la roccia si distrusse ed emerse un’immagine della Madonna che allatta il Bambinello. Quest’ultima fu chiamata La Madonna del latte e in suo onore venne costruita una chiesa che ancora oggi è possibile ammirare (La Vecchia 1995: 238-239).
La casa del mago
Casa del Mago è un toponimo non ufficiale, nato e diffuso principalmente tra i giovani per indicare un’abitazione situata in contrada Gurfi. Questo nome evocativo deriva dal cancello della casa, caratterizzato da decorazioni con un forte richiamo a simboli esoterici, mitologici e spirituali. Il cancello è ornato da bassorilievi ricchi di dettagli evocativi, come occhi, spirali e intrecci, che conferiscono alla struttura un’aura di mistero. La luna crescente, inserita tra le decorazioni, richiama tradizioni magiche. Le decorazioni delle colonne sembrano ispirarsi a simboli arcaici o tribali, i volti e le espressioni marcate presenti sul cancello potrebbero raffigurare spiriti guardiani o entità poste a protezione dello spazio. Nel corso dell’inchiesta svolta nel 2024, una informatrice residente nella zona ha riferito che l’abitazione è attualmente in vendita, essendo deceduto il proprietario. La donna, pur abitando vicino alla casa, ha dichiarato di non aver mai sentito riferirsi a quell’abitazione con il nome di Casa del Mago, tuttavia, ricorda vagamente che il defunto proprietario era solito soffermarsi coi passanti sulla simbologia legata alla luna, al sole e agli altri dettagli decorativi del cancello. L’aspetto enigmatico della Casa del Mago e del suo cancello continua a stimolare l’immaginazione e il desiderio di esplorazione, soprattutto dei più giovani.
Centralità dell’etnotesto
Le voci del DATOS includono una sezione dedicata all’inserimento degli etnotesti raccolti durante le inchieste sul campo
[22]. Per garantire un’efficace raccolta dei dati sul campo, si procede alla selezione di informatori chiave, individuati tra i residenti del territorio di interesse o tra coloro che ne possiedono una conoscenza approfondita. Il rilevamento dei toponimi mediante l’elicitazione di racconti o brevi enunciati forniti dagli informatori consente non solo di analizzare la struttura e il funzionamento morfosintattico della forma toponimica, ma anche di generare narrazioni che ancorano il toponimo al luogo da esso designato [23].
Gli etnotesti rivelano molteplici aspetti del modo in cui i parlanti costruiscono e concettualizzano lo spazio, nonché il loro rapporto identitario con il territorio. L’attaccamento emotivo alla terra emerge con particolare evidenza nelle descrizioni minuziose delle attività agricole e non agricole, così come nelle memorie personali intrecciate a specifiche località. Le narrazioni riguardanti orti, sorgenti e avvenimenti storici testimoniano una profonda connessione con la dimensione rurale e con il vissuto comunitario. Non è un caso, infatti, che quasi sempre prima di giungere ad una possibile spiegazione del motivo celato dietro un determinato toponimo, i parlanti sentano primariamente la necessità di rievocare alcuni dati di concretezza: il percorso per raggiungerlo, la persona alla quale è appartenuto il terreno, vicende personali, aneddoti e/o vicende storiche del posto. Si riportano di seguito etnotesti esemplificativi [24] di quanto finora detto:
-Etnotesto con descrizione complessiva del territorio:
Ⓣ Militeḍḍu cumincia, nzitutto non arriva a mmari, roppu rû Chianu ri Nò, cu Vaḍḍuni ri Laracara, unni cc’è a Madonnina, chi era rû prìncipi, poi scinni pi Lappisana, a muntata arriva a Cattiva, sutta rû Lagu […], ḍḍa cc’è u Bboscu cu su pigghiò a cummuni ri Larcara, e cunfina a Mazzaporru ntô cummuni ri Cisarò chi tocca cca nTinna. […] . U cumuni ri Militeḍḍu cunfina ca Costa ri Furci, u Pizzu ri Priola è di Sant’Aijta, cc’è di diri chi nna vota Sant’Ajta era tuttu cummuni ri Militeḍḍu, quannu sa sparteru o Ponti Rosamarinu, c’arriva o Ponti Astasi, ca cc’eni nna ggèbbia ca arriva unni Ninu Santumarcu, poi a ṣṭṛata cuntinua finu a Marunuzza, acchiana latina cu ḍḍa ṣṭṛata, poi cumincia a stòrciri e cchiana pi Fferretta, ri un latu, si ietta nto vaḍḍuni ri Lega, camina vaḍḍuni vaḍḍuni, finu ȃ cchianata ri Santa Quaranta, chi è mulittera, ḍḍa vota cc’è n’auṭṛa Marunuzza, vota e faci nnu ggiru e torna supra a casa ri Lafarina [..]. [Militello comincia, anzitutto è bene sottolineare che non confina con il mare, dopo il Piano di Nò, con il burrone di Alcara, dove sorge un’edicola in onore della Madonnina, che apparteneva al Principe, poi scende per L’Apesana, e continuando verso i Monti arriva fino alla zona Cattiva, sotto il Lago (Maulazzo), qui sorge un bosco che è stato preso dal comune di Alcara, dopo il bosco Militello confina a Mazzaporru fino all’Ntinna, verso Cesarò. Poi il dall’altro lato confina con la Costa di Furci, mentre più sopra Pizzo Priola, fa parte del comune di Sant’Agata Militello. C’è da dire che una volta il comune di Sant’Agata faceva parte di Militello Rosmarino, ne era una contrada. Quando si sono divisi al Ponte Rosamarino, che arriva al Ponte Astasi, dove c’è una vasca per le acque piovane (gèbbia) che arriva da Nino Santo Marco, la strada continua fino all’edicola della Madonna (in località Astasi) e poi sale ripida fino a Ferretta; da un lato il territorio continua fino al torrente di Lega, dall’altro lato si slarga lungo la strada mulattiera dei Santi Quaranta, ove c’è un’altra edicola votiva, la volta e fa un giro e torna sopra le Case di Lafarina] (Biagio Gerbino, intervista di G. Cicirello del 05/1/2025) (ALS 616).
-Etnotesto con descrizione del percorso:
Ⓣ Sa unni è? Passannu la Madonna di l’Aiutu, unni cc’è la rrotonda pigli pi gghiri a Sserradifarcu, sùbbitu a destra si vidi lu ponti. [Sai dove si trova? Oltrepassando la Madonna dell’Aiuto, dove c’è la rotonda prendi la strada che va per Serradifalco, subito a destra si vede il ponte] (DATOS 4: 109).
Bagghiu Capputteḍḍu [...] esti scinnennu a Bbonaggia c’è Bagghiu Capputteḍḍu ḍḍocu cc’è a Villa Avula? E poi cc’è u Bagghiu Capputteḍḍu si scinni di l’autru latu [Bagghiu Capputteḍḍu [...] è scendendo a Bbonagia c’è Bagghiu Capputteḍḍu lì c’è Villa Avula? E poi c’è Bagghiu Capputteḍḍu se si scende dall’altro lato] (ALS 103).
-Etnotesto con riferimento a vicende storico/leggendarie:
Ḍḍùo͓cu a lu Chianu ȃ vittòria [...]quannu cci fùo͓ru li ᵍuerri del quindici-diciotto [...] chissi cosi cuntati ddi mio papà [...] ḍḍùo͓cu cci fu no l’armistìzziu, l’armistìzziu è unu e chiḍḍu è n’anṭṛu [...]si n’cagliaru tutti e fìciru la paci ḍḍùo͓co pròpria a lu Chianu dȃ vittòria ca cc’è ung-ghiacatu chi va a Sutera [...] si lottaru li surdati e ccu vincì ci misi accussì. [...] Ḍḍùo͓cu cc’è a finàita ca sparti Campufranco e Sutera [...] cci su tirrena produttivi, prodùcinu tutti cosi. [Lì a Chianu ȃ vittòria quando fecero la guerra del quindici diciotto, queste cose raccontate da mio padre, lì ci fu non propriamente un armistizio, l’armistizio è una cosa e quello che hanno fatto è un’altra. Si sono ritrovati tutti e proprio lì hanno fatto la pace a Chianu ȃ vittòria, proprio lì dove c’è una strada lastricata che porta a Sutera e coloro che hanno vinto hanno denominato così il posto [...] Lì c’è una linea di confine che divide il territorio di Campofranco con quello di Sutera [...] il terreno è abbastanza produttivo, vi si coltiva qualsiasi cosa] (DATOS 2: 63).
«La Cuntissa iera un figu di lu principi poi quannu sbrigà la guerra si l’accattà…si l’accattani…nun mi veni lu nnomu…unu riccu… e s’accattà lu figu di la Cuntissa…chistu riccu si lu vinnì. La Cuntissa, ccì dicìanu la Cuntissa pirchì già allatu d’un teṛṛenu cacci-àiu ì, cc’è la pricipissa…cc’è lu teṛṛenu di la cuntissa..ccu nna beḍḍa casina..eee..mputiri mìa fina..quarant’anni nnariri..cc’era sta principissa ca la vidiva tuttu lu iurnu ca..iera a llimmitu di mìa…La cuntissa…staìu parrannu di la cuntissa..ca cc’era la principessa ḍḍa tuttu lu iurnu..ca tiniva un picciuttu ccu un carruzzinu l’accumpagnava… tuttu lu iurnu l’accumpagnava paisi paisi e chistu…ccì dicìvanu la Cuntissa..la principissa..cc’era la principessa, la figlia di lu principi. [La Contessa era un feudo del principe, poi quando è finita la guerra lo ha comprato, lo ha comprato non mi viene il nome, comunque uno ricco ha acquistato il feudo della Contessa, questo ricco, poi lo ha venduto. La Contessa: ci dicevano la Contessa, perché a fianco ad un terreno di mia proprietà, c’è la principessa, cioè il terreno della contessa, con una bella casina; personalmente ricordo che fino a circa quarant’anni fa c’era questa principessa, che vedevo tutti i giorni proprio perché il mio terreno è limitrofo. La Contessa, sto parlando della Contessa, che però era di proprietà della principessa che abitava lì tutti i giorni; aveva alle sue dipendenze un ragazzo che con un 47 carrozzino l’accompagnava, tutti i giorni per le vie del paese. E questo è tutto. Si chiama Contessa, ma vi abitava la principessa, la figlia del principe] (ALS 419).
-Etnotesto con riferimento al proprietario terriero:
Ⓣ So che esiste, la chiamàvanu la grutta d’ Alèriu. Era Aurelio Alaimo, il padre del Sindaco, della famiglia Antonio Alaimo [...]. (DATOS 1: 100).
U Vuscu di Cannata, agli antichi Cannata era un grande proprietario e di stu vuscu che è molto fertile che produce ulivi, molto vale, molto olio, è tutto bosco di ulivi. Cannata che alla storia nel ’52 purtroppo l’hanno suicidiato davanti al figlio e alla moglie, della storia di Canna [Il Bosco di Cannata, gli antichi sanno che Cannata era un grande proprietario terriero al quale apparteneva anche questo bosco, terra fertile per la coltivazione di uliveti, le cui olive producono molto olio. Il signor Cannata nel ’52 è stato ucciso davanti al figlio e alla moglie] (ALS 419).
-Etnotesto con riferimento al tipo di coltivazione prevalente:
Ⓣ Era un giardino bellissimo, siccome c’erano delle arance particolari, le comprava una ditta di Palermo ancora verdi per fare l’alcool. C’erano nespole, ciliegie, c’era di tutto: in più c’erano gli ulivi secolari, circa cinquecento alberi di ulivo. Cc’era na bella gìbbia [vasca per irrigazione] fatta a ppeṭṛa, noi l’abbiamo usata ma poi l’abbiamo abbandonata (DATOS 3: 147).
La Costa di la Minnula iè di fronti a lu paisi ca iè un teṛṛenu tuttu mìnnuli, ca ieni rituttu muntagna, u-gneni misu cumu l’atri cuntrati ca su chiani e su tutti brutti misi e ccì mìsiru la Costa di la Minnula [La Costa di Mandorla è di fronte al paese, è un terreno coltivato a mandorle, è un pendio scosceso, diverso dalle altre contrade che sono pianeggianti; si tratta di terreni declivi che non si prestano ad altre colture, per questo hanno chiamato la zona Costa di Mandorla] (ALS 418).
L’intervista rappresenta dunque uno strumento metodologico di fondamentale importanza che permette di esplorare e comprendere lo spazio nella sua dimensione vissuta e interpretata dall’informatore (Matranga 2007). L’etnotesto riveste un ruolo fondamentale nell’interpretazione e nella classificazione dei toponimi, soprattutto nei casi in cui l’origine e il significato del nome non sono immediatamente riconoscibili. Senza il supporto di un etnotesto che chiarisca il contesto storico, linguistico e culturale di un determinato toponimo, il rischio di fraintendimenti o attribuzioni errate aumenta significativamente, come nel caso proposto di seguito:
Peṭṛa di casa
Ⓣ Cca materiali di issu calcarei unn’avìemu. A pietra di issu nun la pigghiàvamu dinṭṛa la cava, ma unni ìa u sciumi dâ parti di Càccamu, vicinu unni ìa a galleria, unni cci dìcinu “a Peṭṛa di Casa”37. Sta peṭṛa si ṭṛuvava puru ḍinṭṛa lu sciumi e siccuomu ḍḍuoco avìevamu i tuṛṛiena, allura capitava ca la cugghièvamu, la rumpièvamu e a ṭṛavagghiàvamu nta lu puostu. Auṭṛi vuoti a caṛṛicàvamu ncapu li muli fausi, picchì si putièvanu suttumièttieri carricànnuli, accussì stancàvanu, e puoi a purtàvamu au paisi. [Qui materiali di gesso calcarei non ne abbiamo, la pietra di gesso non la estraevamo all’interno della cava ma la prendevamo dove c’è il fiume, dalla parte di Caccamo, vicino alla galleria, il posto viene chiamato “Pietra di Casa”. Questa pietra si trovava pure dentro al fiume, e dal momento che lì vicino avevamo i terreni, allora capitava che la raccoglievamo, la frantumavamo e la lavoravamo sul posto, altre volte la caricavamo sopra i muli recalcitranti, quindi inaffidabili, in quanto si potevano sottomettere caricandoli, così si stancavano, e da lì poi la trasportavamo in paese.] (ALS 258, Castiglione M. 2022).
Nel caso specifico di Peṭṛa di casa (ALS 258), l’assenza di un etnotesto esplicativo avrebbe reso difficile la classificazione del toponimo come gipsotoponimo. Da ciò si evince altresì l’importanza di ancorare il toponimo al suo referente, senza trascurare le peculiarità che ne contraddistinguono l’identità e ne definiscono la singolarità. Attraverso le narrazioni dettagliate fornite dagli informatori diventa possibile immergersi nel loro sapere toponimico, accedendo così a una comprensione profonda di come i nomi e le denominazioni dei luoghi siano radicati nelle loro esperienze personali e collettive (Castiglione e Castiglione 2022: 77-83).
Le interviste, pertanto, offrono anche una lente attraverso la quale è possibile analizzare il legame identitario che si instaura tra i luoghi e i loro nomi, e tra forme ufficiali e popolari. Ogni domanda può divenire «un involucro che raccoglie storie di singoli individui in rapporto ai vissuti di altri uomini, di altri luoghi, di altre varietà di lingua» (Marrapodi 2006: 157). L’utilizzo di informazioni raccolte sul campo per mezzo di testimonianze orali evidenzia l’idea che i dati si trovino inizialmente in uno stato potenziale, che viene attualizzato solo quando è portato alla luce mediante un lavoro di indagine. In tale contesto, il dato non viene semplicemente “acquisito”, ma piuttosto “creato” durante l’interazione tra informatore locale e ricercatore, suggerendo che il suo valore possa subire notevoli variazioni, date le diverse circostanze che possono influenzarlo [25].
L’etnotesto riveste un ruolo cruciale nel mettere in luce la percezione dello spazio da parte degli abitanti, evidenziando la relazione soggettiva che questi ultimi stabiliscono con il proprio ambiente. «Nonostante l’etnotesto non costituisca una fonte documentaria in senso stretto viene considerato come documento aggiunto a completamento delle informazioni lessicali cartografate» (Paternostro e Sottile, 2009). Questo approccio risulta indispensabile per comprendere in modo approfondito le prospettive individuali degli abitanti del territorio, arricchendo così la conoscenza dello spazio geografico e culturale esplorato. Tuttavia, è importante non accostarsi all’etnotesto attraverso un principio di autorità indiscussa, poiché le narrazioni personali non detengono di per sé una validità assoluta. Durante il momento dell’intervista (sia che essa avvenga in contesto, sia che avvenga in uno spazio chiuso) l’informatore, testimone e per così dire rappresentante del sapere collettivo, si sente talora in dovere di fornire una spiegazione anche linguistica: in questi casi, sebbene spesso si tratti di paretimologie, il ricercatore non può che prendere atto di come la necessità di una trasparenza semantica riconduca sempre i parlanti a rimotivare ciò che nel tempo è diventato oscuro. Ciò implica la necessità di condurre un’analisi rigorosa, che consenta di distinguere tra le interpretazioni fondate su basi linguistiche e storiche affidabili e quelle che, al contrario, si basano su supposizioni prive di validità, come si evince dall’etnotesto proposto di seguito:
Ⓣ A Surda forse cci abitàvano ggente mezzi surde como a mmia! [A Surda forse ci abitava gente sorda come me!] (ALS 602).
La denominazione ufficialmente registrata dall’IGM è ‘Surda’, DOS/II 1587: «forma dissimilata da Sudda Avolio, da sic. suḍḍa ‘lupinella’». L’interpretazione proposta dall’informatore rappresenta un caso di paretimologia assimilabile soltanto per somiglianza fonica al toponimo in questione.
Contrariamente all’idea di un sistema toponimico monolitico e universalmente condiviso tra i parlanti, la realtà odierna evidenzia un progressivo e inesorabile impoverimento della conoscenza dei nomi di luogo, fenomeno strettamente connesso all’abbandono del territorio e dei dialetti. Ciò testimonia l’importanza e l’urgenza del progetto DATOS che persegue l’obiettivo della raccolta dei dati sul campo affidandosi ai parlanti che ne abbiano conservato la trasmissione orale al fine di sottrarre il patrimonio toponimico dal sempre più minaccioso oblio e, se possibile, ri-immetterlo in una trasmissione intergenerazionale attraverso i canali della scuola [26] (LR 9/2011) e delle istituzioni territoriali, come ad esempio i Parchi naturali e le Riserve.
In quest’ottica, il progetto sollecita la collaborazione attiva della Regione Siciliana e delle amministrazioni locali attraverso la stipula di protocolli d’intesa, che le impegnino a individuare informatori e specialisti del territorio, a mettere a disposizione ogni documentazione utile alla ricostruzione delle antiche denominazioni e a sostenere la pubblicazione e divulgazione dei risultati con ricadute concrete.
I toponimi ci consegnano una fotografia resiliente, in cui a essere protagoniste sono le qualità dei terreni, le sorgenti d’acqua, le piante spontanee e le coltivazioni, le cave, le tane e i ripari umani, gli scogli e le secche, le vallate e le gole, ecc. Una fotografia in cui ciò che viene nominato ha una funzione, naturale e culturale: una sorta di “bussola” che parla in dialetto e che si è stratificata nei secoli. Le Università e il CSFLS riconoscono in questa raccolta non più procrastinabile la via maestra per la conoscenza dell’immenso e stratificato patrimonio toponimico della più grande isola del Mediterraneo, consapevoli che solo un impegno condiviso e strutturato potrà garantire una consapevole salvaguardia e la continuità di una tradizione onomastica unica.
Dialoghi Mediterranei, n. 73, maggio 2025
Note
[1] Si ricordi il caso dell’ATPM. L’Atlante Toponomastico del Piemonte Montano (ATPM) è un progetto di ricerca toponomastica avviato nel 1983 con l’obiettivo di raccogliere, preservare e valorizzare i toponimi di tradizione orale delle aree montane piemontesi, restituendoli nella loro forma originale ancora in uso, al fine di scongiurare la perdita della memoria storica e documentale di tali denominazioni. Concepito nel 1970 da Arturo Genre, il progetto è attualmente diretto da Lorenzo Massobrio e Federica Cugno. L’iniziativa è promossa e finanziata dall’Assessorato alla Cultura della Regione Piemonte ed è gestita operativamente dal Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università degli Studi di Torino. L’attuale Direttrice scientifica è la prof. Federica Cugno. https://www.atpmtoponimi.it/
[2] Della direzione scientifica fanno parte Angela Castiglione, Vito Matranga, Salvatore C. Trovato. Il comitato scientifico è costituito da Elvira Assenza, Alessandro De Angelis, Alfio Lanaia, Salvo Menza, Iride Valenti.
[3] Concepito sin dal 1985 da Giovanni Ruffino, l’ALS è un atlante linguistico regionale di nuova generazione che si compone di due sezioni, etnografica e variazionale. Lo scopo primario è quello di portare alla luce, con inchieste sul campo, il polimorfismo linguistico siciliano, facendo emergere da un lato i legami tra cultura materiale e cultura dialettale, dall’altro i rapporti che legano struttura linguistica e struttura socio-spaziale. In questo senso va letta la volontà di documentare tutto il repertorio linguistico isolano nella sua complessa stratificazione diacronica e sincronica, dando corpo a quella che Alberto Varvaro ha felicemente definito “dialettologia unitaria”. Reti dei punti, informatori e metodi di indagine si adattano all’obiettivo scientifico di volta in volta individuato. Negli anni si sono svolti numerosi corsi di formazione per i raccoglitori sul campo e trascrittori. Le collane di strumenti e materiali dell’ALS sono pubblicate dal Centro di studi filologici e linguistici siciliani. https://atlantelinguisticosicilia.it/cms/
[4] Allo stato attuale sono già stati pubblicati 4 volumi DATOS: DATOS 1 Campanella 2023, DATOS 2 Nicastro 2024, DATOS 3 Chichi 2024, DATOS 4 Campanella, Giardina 2025; altri volumi sono in corso di stampa.
[5] Cfr. Castiglione M., e Castiglione A. 2022.
[6] A tal proposito è stato pubblicato un protocollo d’inchiesta, per cui cfr. Castiglione M., Castiglione A. 2022.
[7] ATOS (Archivio dei toponimi orali in Sicilia) è una piattaforma digitale progettata per raccogliere e organizzare i dati toponomastici derivanti dalle inchieste sul campo. La banca dati, sviluppata in collaborazione con una società specializzata, è strutturata secondo un’architettura conforme alla classificazione predefinita delle tassonomie toponimiche siciliane, garantendo così un’organizzazione sistematica e coerente delle informazioni. L’obiettivo principale di ATOS è la creazione di un network tra più università, favorendo la condivisione, il confronto e l’analisi.
[8] I comuni sono numerati in modo progressivo da ovest a est. Nello specifico, la numerazione è così assegnata: i comuni della provincia di Trapani a partire dal numero 101 e seguenti; quelli della provincia di Palermo dal 201 e seguenti; Agrigento dal 310 e seguenti; Caltanissetta dal 401 e seguenti; Enna dal 501 e seguenti; Messina dal 601 e seguenti; Catania dal 701 e seguenti; Siracusa dall’801 e seguenti; infine, i comuni della provincia di Ragusa dal 901 e seguenti.
[9] Come per gli altri volumi e collane dell’Atlante Linguistico della Sicilia si rimanda a Matranga 2007.
[10] A tal proposito vd. Castiglione A. 2014.
[11] Gli informatori sono indicati con le iniziali del loro nome e cognome.
[12] Tra parentesi tonde viene specificato il numero ALS corrispondente al comune al quale il toponimo appartiene, nello specifico: (ALS 103= Erice), (ALS 124= Pantelleria), (ALS 258= Montemaggiore Belsito), (ALS 278= Geraci Siculo), (ALS 310= Lucca Sicula), (ALS 324= Santa Elisabetta), (ALS 332= Grotte), (ALS 333= Racalmuto), (ALS 335= Castrofilippo), (ALS 336= Canicattì), (ALS 404= Sutera), (ALS 401= Caltanissetta), (ALS 405= Campofranco), (ALS 418=Riesi), (ALS 419= Mazzarino), (ALS 501= Enna); (ALS 602= Tusa), (ALS 604= Pettineo), (ALS 608= Mistretta), (ALS 616= Militello Rosmarino).
[13] Un problema sul quale Castiglione M. si è trovata a riflettere è quello della corretta formazione dell’aggettivo etnico derivato dall’oronimo Nebrodi, con l’obiettivo di chiarire l’incertezza diffusa tra i lettori riguardo alla forma più appropriata tra nebrodense, nebroidense, nebroideo e nebrodeo. A tal proposito vd. Castiglione M. 2025.
[14] Sull’argomento vd. Pons 2015; Pinello 2020; Campanella, Chichi (i.c.s.), Chichi, Vermiglio 2023.
[15] Per i licotoponimi cfr. Castiglione, La Mantia 2019.
[16] Per gli esempi proposti vd. Castiglione M. 2022.
[17] Nel contesto della ricerca toponomastica insulare, l’analisi non si restringe alla nomenclatura delle contrade, ma include anche i punti di costa visibili dal mare e per questo motivo ritenuti salienti dalla comunità di parlanti che li nomina e che li definisce signali. Le schede toponimiche relative ai “nomi dal mare” sono strutturate in maniera analoga a quelle dedicate alle contrade. Cfr. Vermiglio 2022, Vermiglio (i.c.s.).
[18] La geolocalizzazione viene effettuata in parallelo tramite la piattaforma Google Earth Pro, uno strumento di facile utilizzo che consente un’immediata applicazione direttamente sul campo. Questo software permette di visualizzare la mappa in tempo reale e di geolocalizzare con precisione i toponimi di interesse.
[19] Gli etnotesti sono preceduti dal simbolo Ⓣ. I nomi degli informatori sono riportati per mezzo delle iniziali tra parentesi.
[20] Le schede di approfondimento sono contraddistinte dal colore grigio chiaro.
[21] La scheda toponimica proposta è contenuta all’interno della tesi di laurea inedita “Una ricerca toponimica a Canicattì, tra fonti scritte e orali” discussa nel 2024 da Federica Giardina presso l’Università degli Studi di Palermo, rel. prof.ssa M. Castiglione.
[22] Gli etnotesti dialettali vengono trascritti attenendosi ai criteri delineati nel volume di Matranga 2007 e corredati da una traduzione in italiano, inserita tra parentesi quadre, al fine di facilitare una lettura agevole e comprensibile.
[23] Anche Assenza sottolinea l’importanza degli etnotesti prodotti dagli informatori locali, sia in quanto espressione di un processo consapevole di etimologia popolare, sia come insieme di dati impliciti che accompagnano l’informazione intenzionale trasmessa al ricercatore attraverso la descrizione del luogo o la narrazione di eventi storici e vissuti (vd. Assenza 2011).
[24] Gli etnotesti proposti sono contenuti nei primi quattro volumi DATOS, ove non specificato diversamente.
[25] Marrapodi 2006: 157- 164 [
26] Cfr. Campanella, Chichi, 2024.
Riferimenti bibliografici
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ATOS = Archivio dei toponimi orali in Sicilia.
ATPM = Atlante Toponomastico del Piemonte Montano (https://www.atpmtoponimi.it).
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Federica Giardina, dottoranda in Scienze Umanistiche presso l’Università di Palermo, ha conseguito la laurea in Italianistica presso l’Università degli Studi di Palermo nel 2024, con una tesi dal titolo “Una ricerca toponimica a Canicattì, tra fonti scritte e orali”. Gli approfondimenti sul tema e ulteriori rilevamenti linguistici condotti sul campo sono confluiti nella pubblicazione della monografia DATOS 4 Canicattì e Castrofilippo in corso di stampa, edita dal Centro di studi filologici e linguistici siciliani.
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