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L’Iran antico: nessi e diversità tra Mediterraneo, Asia Centrale e Cina

Rilievo e iscrizione di Bisutun, Iran nord-occidentale, 520-518 a.C. (ph. Bruno Genito)

Rilievo e iscrizione di Bisutun, Iran nord-occidentale, 520-518 a.C. (ph. Bruno Genito)

di Bruno Genito 

Premesse

Quasi tutti avranno sentito parlare di Ciro il Grande, di Dario, di Serse (figure politiche preminenti nell’Iran di fine VI-V secolo a.C.), così come più o meno tutti ricorderanno ancora di aver letto sui libri di scuola delle guerre persiane e delle battaglie di Maratona (490 a.C.), Salamina (480 a.C.), nella Mediterranea Grecia. Molti di meno, forse, però, avranno sentito parlare di Arsace e Vologese, significativi re della dinastia partica (II sec. a. C.-III sec. d.C.), degli Sciti (nomadi pastori iranici dell’Asia Centrale databili a partire dal I millennio a.C. circa), dei Sogdiani (popolo iranico orientale affermatosi soprattutto a partire dal IV secolo d. C. e arrivato fino in Cina) e infine di Shahpur o Khosroe, tra i più importanti re della dinastia sasanide (III sec. a. C.-VII sec. d.C.).

Tutti i personaggi, i nomi di località e di popoli su menzionati, nonostante siano tra loro molto distanti nel tempo e nello spazio, mantengono il denominatore comune dell’Iran antico, nelle sue diverse declinazioni: da quella più propriamente locale-territoriale, a quella più ampiamente geo-politica e a quella, forse più significativa e profonda, culturale.

Sembrerà strano per i più, inoltre, venire a sapere che la civiltà dell’Iran antico è tra le poche al mondo che ha disseminato i suoi valori culturali molto al di là dei propri diversi confini politico-geografici, per quanto amplissimi, comunque, per molto tempo, essi siano stati: dall’Egitto alla Cina, e dal V secolo a.C., fino perlomeno al X secolo d.C. Dopo comincerà un’altra storia dell’Iran, quello islamico che, a sua volta, avrà altri importantissimi momenti di scambio culturale con il mondo moderno dell’epoca, e che per ragioni ideologico-religiose risulteranno altrettanto ad ampio raggio geografico e diacronico.

Tutto quel vasto complesso etnico-culturale, più o meno unitariamente iranico e fatto di diversi popoli antichi chiamati dalle diverse fonti (bibliche, mesopotamiche, iraniche, neo-babilonesi, greco-romane), di volta in volta Cimmeri, Sciti, Sauromati, Persiani, Medi, Sarmati, Massageti, Issedoni, Corasmii, Sogdiani, Battriani, Kušana, Saka, Eftaliti e gli abitanti delle oasi del Turkestan cinese (come i Sai – forse gli erodotei Issedoni – gli Yüeh-chih, ecc.), riuscì, nell’arco di un millennio, a creare sistemi politici nuovi, una propria cultura, a formare e plasmare linguaggi materiali, architettonici e figurativi.

In parte sedentario e in parte nomadico e mobile, questo agglomerato di popoli affini riuscì, inoltre, a dividere il mondo antico. Occupando il centro, quel mondo separò l’Occidente, dove erano fiorite le civiltà semitiche e quella greco-romana, dall’estremo Oriente, rappresentato dalla Cina e dall’India. Situate tra il Mediterraneo, la Mesopotamia, l’India, l’Asia centrale e la Cina, le antiche formazioni politico-statali sedentarie iraniche rette dalle dinastie achemenide, partica e sasanide (dal VI secolo a.C. al VII secolo d.C.), furono in grado di creare importanti ponti politici e culturali, grazie alla realizzazione di quella che possiamo, in maniera un po’ ardita, chiamare una prima frontiera tra l’Asia e l’Europa, o se si vuole tra Oriente e Occidente.

Al di là di qualunque punto di vista, sia esso più eurocentrico o al contrario anti-eurocentrico, una piccola precisazione sugli ordini di grandezza, va comunque preliminarmente fatta: per Occidente nel mondo antico si intende quasi esclusivamente il bacino del Mediterraneo, parte dell’Africa settentrionale, l’Egeo e parte dell’Europa continentale. Esso ha un’estensione globale di circa 8 milioni di km2 (se comprendiamo appunto l’Hispania, la Britannia fino al vallo di Antonino, le coste settentrionali dell’Africa romana compreso l’Egitto, una parte della Siria, della Fenicia, della Palestina, le coste dell’Asia minore, e la Germania tra le valli del Danubio e del Reno). Per Oriente si può intendere, invece, un’area molto più estesa di circa 38 milioni di Km2 (se comprendiamo l’Anatolia, la pianura mesopotamica, l’altopiano iranico, parte dell’Asia Centrale, il sub-continente indiano, il sud est asiatico, la Cina il Giappone e la Corea, escludendo il resto dell’Africa e la penisola araba) [1]. 

Distribuzione delle lingue iraniche (da Wikipedia)

Distribuzione delle lingue iraniche (da Wikipedia)

Considerazioni geografiche

Sempre restando in una prospettiva geografica, basta dare un’occhiata ad un atlante, o ad una di quelle tante piattaforme che usiamo quotidianamente oggi come Google Earth o Google Maps, per renderci immediatamente conto di quanto esteso dal punto di vista geo-tettonico sia, poi, l’altopiano iranico: esteso dalla catena del Tauro in Anatolia occidentale fino all’Afghanistan. Questo aspetto geografico e geologico allo stesso tempo, per quanto già di per sé riferibile ad un territorio eccezionalmente grande, non basta a comprendere appieno, tuttavia, l’importanza e la centralità della cultura antica Iranica, poiché il rapporto tra un dato territorio e i popoli che colà hanno vissuto e abitato, è sempre fortemente contraddittorio. Detto in altre parole, un territorio pre-esiste ai popoli storici che l’avrebbero abitato, ma quegli stessi popoli, interagendo per secoli e anche di più per millenni, con quel territorio, lentamente lo trasformano, e da essi saranno, a loro volta, gradualmente trasformati.

Se andiamo, però, poi con più attenzione ad osservare anche la diffusione delle lingue indo-iraniche e iraniche in particolare, oggi nel mondo, mirabilmente descritte una cinquantina di anni fa da Oranskij (1973), dall’ossetico nelle regioni caucasiche delle due Ossezie vicino alla Georgia, fino al Tagiko e lo Yaghnobi nella regione denominata Sughd (dal nome dell’antica provincia della Sogdiana delle iscrizioni imperiali achemenidi) nel Tadzikistan, e quelle in Afghanistan e India, passando per il Curdo, il Balucho, il Pahstun ed altri, ci renderemo immediatamente conto di come esse si siano potute distribuire su un’area altrettanto enorme.

L’altopiano in Iran, come è noto, è situato complessivamente tra i 1500 e i 1800 m. d’altezza sopra il livello del mare, con pochissime aree molto meno elevate, come il Khuzestan (nel sud ovest del Paese) con buona parte a 100 m. circa slm, il Sistan sui 400 m. circa (ad est), e le rive meridionali del mar Caspio (a nord) circa 600 m., tutte e tre con punte anche sotto il livello del mare. Il clima, di tipo continentale, presenta forti escursioni termiche, con bruschi cambiamenti di temperatura tra le zone di sole e quelle di ombra, tra il giorno e la notte, tra l’estate e l’inverno. Il sistema idrografico è costituito da fiumi a carattere torrenziale e di tipo stagionale, tranne alcune eccezioni, come l’Hilmand sempre nel Sistan ad est, e il Kharun, il Dez e il Kharkha, a sud ovest nel Khuzestan. Tra le sue catene montuose, a nord quella dell’Elburz e a sud, con sviluppo sud-orientale, quella degli Zagros, circondano le regioni interne che presentano un clima fortemente arido, mentre le coste meridionali, condizioni tropicali e sub-tropicali. Tra di esse si aprono poi, ampi bacini più o meno depressi come i grandi deserti del Dasht-e-Kavir a nord e del Dasht-e-Lut a sud, e piccole aree desertiche salate a ovest e il lago salato Orumieh, residui, assieme al mar Caspio, della deriva dei continenti, come il lago Namaki e quello dell’Hoz-e Soltan non lontani dalla cittadina santa di Qom. 

Gli antichi Iranici

Gli antichi Iranici furono un gruppo etnico della grande famiglia Indo-Europea, il cui arrivo sull’altopiano è stato variamente fatto risalire all’inizio del I millennio a.C.; la questione storicamente è ancora piena di numerose incertezze sia in relazione all’epoca che alle aree geografiche da loro percorse prima di arrestarsi. Le prime testimonianze dirette “epigrafiche” della presenza di gruppi etnici riconducibili agli Iranici, risalgono solo alla fine del IX sec. a.C. (fonti neo assire) nelle quali, per la prima volta, si menzionano due gruppi di popoli, i Parsa, e i Mada. Tralasciando i periodi più antichi (dal neolitico all’età del bronzo) e quelli relativi ai processi formativi della formazione dello Stato in Iran (età del ferro), per i quali occorrerebbe soffermarsi sulla storia di altri popoli anch’essi di difficile collocazione etnico-culturale e databili tra il VII e il VI secolo a.C., come gli Urartei, i Mannei, i Medi a nord ovest e i neo-elamici a sud ovest, qui mi limiterò ad un sintetico excursus capace, tuttavia, di fornire un quadro comprensivo dei risultati, delle acquisizioni e dei debiti culturali verso altri popoli dell’antico Iran nell’arco del millennio nel quale le tre grandi dinastie hanno controllato l’altopiano e le aree limitrofe. Lo farò approfondendo solo alcuni aspetti, tra i tanti che si potrebbero, comunque, utilizzare allo scopo: i modelli insediativi, il rilievo scultoreo e la scultura rupestre, che rappresentano, alcuni degli apporti più originali ed autonomi con cui si possono più facilmente cogliere le linee di tendenze culturali più profonde dei popoli iranici.

Cominceremo, dunque, dal primo periodo dinastico, quello Achemenide (dall’eponimo Achaemenes), che copre quasi due secoli dalla metà del VI alla fine del IV secolo a.C., quando l’impresa di Alessandro Magno, piaccia o non piaccia, pose fine a quella prima formidabile fase politica. Al di là della natura della formazione politica degli Achemenidi (Regno, Stato, Impero, come è comunemente definito) e della sua reale estensione geografica, dall’Indo al Nilo (ecco un altro ineludibile riferimento al Mediterraneo), va subito chiarito che la documentazione storica diretta, quella epigrafica monumentale dinastica in scrittura cuneiforme trilingue (antico persiano, accadico ed elamico) ci parla, attraverso il suo voluto carattere propagandistico di una realtà quasi sopranazionale, in parte multi-etnica e anche multi-linguistica, termini e concetti affatto moderni, sui quali sarebbe opportuno soffermarsi in altra sede con maggiore approfondimento.

Le rappresentazioni dei popoli sui rilievi di Persepoli a sinistre (da Schmandt Bessarat 1980), e la distribuzione areale delle satrapie a destra (da Herzfeld 1968)

Le rappresentazioni dei popoli sui rilievi di Persepoli a sinistre (da Schmandt Bessarat 1980), e la distribuzione areale delle satrapie a destra (da Herzfeld 1968)

Tutta la documentazione archeologica, compresa quella architettonica e figurativa, con le dovute eccezioni, si trova prevalentemente concentrata in due regioni dell’altopiano, il Fars e il Khuzestan, mentre per il resto del territorio simili resti macroscopici sono molto pochi [2]. Cominciando dai modelli insediativi, bisogna osservare che di città in senso proprio, non se ne conoscono in questa epoca, ma su questo ritorneremo più avanti. Se è azzardato sostenere che la più grande formazione politica statale/imperiale dell’epoca antica abbia controllato un’enorme estensione di territorio, senza costruire città, tuttavia, è possibile ipotizzare che le modalità di occupazione di un territorio da parte di quella dinastia soprattutto nelle fasi più antiche, e soprattutto sull’altopiano, hanno elaborato esempi molto particolari e diversi da quelli urbanistici fino a quell’epoca già noti.

Le architetture e i rilievi litici e in particolare quelli sulle scalinate settentrionale e orientale di Persepoli, i rilievi rupestri, tra i quali quello di Bisutun, vero e proprio manifesto politico ideologico di Dario databile al 521 a.C., e la numerosissima oggettistica dall’inequivocabile carattere aulico di corte, proveniente prevalentemente da Persepolis, Pasargadae e Susa, restano le caratteristiche materiali più rappresentative dell’epoca. Per le architetture va innanzitutto sottolineata l’importanza della realizzazione delle prime sale ipostili litiche, sale il cui tetto è retto da colonne anch’esse in pietra e di cui c’era già stata testimonianza sull’altopiano con colonne, probabilmente, lignee. La funzione svolta da queste sale risponde alle esigenze di una politica statale nuova dove la rappresentanza, nelle due varianti di privato e pubblica, svolge un ruolo fondamentale. Questa caratteristica avrà nel prosieguo della storia architettonica dell’Iran un’importanza cruciale, ancora oggi, soprattutto nelle abitazioni tradizionali, dove esiste un interno (privato) detto anderuni ed uno esterno (pubblico) detto biruni.

Rilievo e iscrizione di Bisutun (ph. Bruno Genito)

Rilievo e iscrizione di Bisutun (ph. Bruno Genito)

Per i rilievi arditamente posti anche sul piano obliquo delle scalinate del palazzo dell’Apadana è opportuno soffermarsi su quelle che sono le principali correnti interpretative proposte: da quella relativa alla rappresentazione di ambasciatori provenienti da tutte le regioni sotto il controllo della dinastia; a quella della celebrazione della festività del capodanno, l’equinozio di primavera, annualmente organizzato dal Gran Re; a quella della processione delle delegazioni dei popoli pervenute presso il centro politico dinastico più rappresentativo del sistema di potere di cui facevano parte. L’ordine in cui queste figure sono state scolpite è stato altresì oggetto di particolare attenzione; essendo possibile che le popolazioni più occidentali, come medi, armeni, egiziani etc., e quelle orientali, come indiani, sogdiani, sciti etc., siano state rappresentate secondo uno schema a cerchi concentrici di maggiore o minore lontananza dal centro, il Fars; oppure, come qualcun altro ha suggerito, le popolazioni, nella sequenza, vengono disposte secondo una rigida successione gerarchica di carattere etnico-politico, da quelle più importanti a quelle meno significative.

Naturalmente tutte queste ipotesi possono essere credibili, anche se non sono mai veramente state confermate o smentite da particolari incontrovertibili evidenze. L’unico confronto possibile è quello che si può fare con l’ordine dei popoli/regioni presenti in molte delle iscrizioni imperiali, dove, come è noto, la stessa gerarchia e la quantità variano, però, sensibilmente a seconda dell’epoca. Molto al di là del puro dato iconografico e simbolico-iconologico, che più o meno si è sempre voluto rimarcare come cruciale nelle su menzionate varie ipotesi ricostruttive avanzate, si possono, tuttavia, affacciare altre ipotesi che con le prime possono tranquillamente convivere. Ci potremmo trovare, infatti, di fronte ad una eccezionale, inedita antologia iconografica, espressione di una vera e propria summa enciclopedica della conoscenza e del sapere dell’epoca.

Non sappiamo se questa successione di rilievi, forse totalmente o parzialmente ricoperte da pittura, di cui qua e là qualche piccolissimo esempio è stato pure rinvenuto, sia stata effettivamente ed esplicitamente programmata ed immaginata dai diversi sovrani committenti o dagli esecutori dell’opera. Sta di fatto, però, che dalle rappresentazioni possiamo avere un’idea di come i popoli rappresentati, in qualche caso anche fisionomicamente caratterizzati, vestissero, poiché sui tessuti si possono intravedere differenti e significativi dettagli; che capigliature e/o copricapi portassero; che tipo di barba riccamente e dettagliatamente descritta, avessero; se indossassero pantaloni, tuniche, calzari, quali armi (dalla spada corta a quella più lunga, dalla lancia, agli archi, ai carri da guerra o da parata), che gioielli (tra cui bracciali trattati spesso con dovizia di dettagli micro-iconografici), o contenitori (in metallo, in ceramica con anse e senza anse), e se conoscessero effettivamente, infine, le piante e anche gli animali rappresentati come lo zebù, l’asino, il cavallo, il cammello e il dromedario. Tutti elementi iconografici questi riferibili ad oggetti, animali etc. che, evidentemente, potevano essere in uso sull’altopiano, ma anche tra i lembi occidentali e orientali del dominio politico.

Si deve, tuttavia, ammettere che alcune modalità di rappresentazioni, e anche la tecnica stilistica del basso rilievo con cui esse furono realizzate, in parte fossero già state usate nei rilievi neo-assiri, di qualche secolo prima; nel caso di quelli a Persepoli, tuttavia, questa base tecnico-stilistica e i contenuti iconografici relativi li vediamo proiettati su di una scala molto più larga, in una dimensione globale, forse anche planetaria, relativamente all’epoca della quale stiamo parlando naturalmente. Sarebbero (il condizionale è d’obbligo), presenti, quindi, i Medi, gli Elamiti, gli Armeni, gli Arei (dalla valle dell’Hari Rud, nell’Afghanistan nord occidentale), i Babilonesi, i Siriani, gli Aracosii/Drangiani, gli Assiri/Cilici, i Cappadoci, gli Egiziani, i Saka (Sciti), gli Ioni (Greci), i Parti/Battriani, i Gandarii, i Sagarti (forse ancora Medi), i Sogdiani, gli Indiani, gli Skudri, gli Arabi, Carii, i Libici/Somali, i Nubiani/Etiopi, etc. (all’appello mancherebbero solo i Romani, i cinesi e i giapponesi! I primi non ancora affermatisi e i secondi sconosciuti, come è noto, anche nella Bibbia, anche se il termine “Cina” comparirebbe in testi della antica letteratura indiana in Sanscrito).

Se poi a ciascuno di questi singoli elementi iconografici corrispondessero anche elementi etnico-culturali distinti e precisi, ci troveremmo di fronte alla più imponente, macroscopica descrizione di popoli conosciuti dai persiani all’epoca, ad una sorta di rappresentazione ante-litteram, cioè, delle diversità etno-antropologiche dell’Eurasia. Questa enciclopedia del sapere e così iconograficamente descrittiva potrebbe, anche, quindi, essere messa in relazione, con tutte le dovute cautele e precisazioni, al livello di quell’enciclopedismo informativo scritto, svolto, in epoca e aree diverse, molti secoli dopo, dall’Historia Naturalis di Plinio il vecchio.

Tornando al Mediterraneo non possiamo non ricordare le famosissime e già citate battaglie di Maratona (nell’Attica) del 490, combattuta dalle forze della polis di Atene, comandate dal polemarco Callimaco, contro quelle dei persiani, comandate dai generali Dati e Artaferne [3], e di Salamina (sempre nell’Attica) nel 480 che vide contrapposti la lega pan-ellenica, comandata da Temistocle ed Euribiade, e l’impero persiano, comandato invece da Serse I di Persia. Entrambe queste battaglie furono vinte dalla coalizione dei Greci, ma è un dato di fatto che l’esercito e la flotta persiana furono in grado di arrivare, incredibilmente, sia nel primo che nel secondo caso fino alle porte di Atene. Per di più in un’epoca immediatamente precedente alla battaglia di Salamina gravi profanazioni territoriali, secondo i Greci, sarebbero state compiute da Serse e dal suo esercito all’Ellesponto (l’attraversamento dello stesso con un ponte di barche) e lungo la penisola del sacro monte Athos (attraverso il taglio di un istmo). Tutti questi episodi, rimasti profondamente incisi nella memoria dei Greci, Eschilo, nella tragedia I Persiani – rappresentata per la prima volta nel 472 a.C. ad Atene, e in assoluto la più antica opera teatrale che ci sia pervenuta per intero – li descrive considerandoli come l’espressione di un’originaria ybris, l’atto di violenza, presunzione e tracotanza, che avrebbe prodotto, come sempre nella vita degli uomini, una tragedia e, in questo caso, i lutti delle guerre persiane.

Un altro fatto, forse più significativo e che pochi, tuttavia, ricordano o sottolineano abbastanza è l’assalto all’acropoli di truppe persiane dopo la battaglia di Platea nel 479, e che gli stessi Greci considerarono ancora una volta come un ulteriore e imperdonabile ybris. Quest’ultima vicenda è testimoniata archeologicamente dalla cosiddetta “colmata persiana”: giacimento di reperti mutili o distrutti come statue ed ex voto, devastate dai barbari persiani, derivante dalla raccolta e successivo seppellimento, sull’Acropoli di Atene fatta dagli Ateniesi (dopo il 480 a.C.) a memoria e ricordo rituale di quell’atto di tracotanza e presunzione blasfema.

Tra i vari gruppi di popoli rappresentati sui rilievi di Persepoli è piuttosto interessante osservare quelli che riguardano i Greci (Yauna) e gli Sciti (Saka); i primi chiamati con questo nome ancora oggi dai persiani contemporanei, e i secondi con il caratteristico cappello a punta (da mettere in relazione ai popoli detti da Erodoto Ortocoribanti (III, 92, 1a) rimasti iranici allo stadio di nomadi pastori, ma estremamente importanti nel mosaico etno-storico tramandatoci dalle iscrizioni monumentali. Oggi sappiamo che gli Sciti o Saka costituivano un raggruppamento di popolazioni chiamato con nomi diversi, ma etnicamente e culturalmente affini; le quasi leggendarie sconfitte e la morte di Ciro il Grande ad opera dei Massageti e della sua regina Tomiri o Tamiri [4] da un lato, e l’insuccesso della spedizione di Dario contro gli Sciti d’occidente dall’altro, probabilmente nel 508 a.C., non sarebbero altro che la testimonianza dell’impossibilità di allargare le frontiere a nord-est e a nord ovest. Le testimonianze archeologiche di questi nomadi sono numerosissime e risultano evidenziate dall’enorme numero di tumuli funerari che dalla Siberia, passando per il Kazakhistan, la Russia meridionale fino alle coste del mar Nero e il territorio dell’odierna Ucraina, caratterizzarono, in maniera molto particolare, l’immenso paesaggio delle steppe. Tra i ritrovamenti colà rinvenuti la grande quantità di minuta ma preziosa oggettistica ci comunica, da un lato la grande capacità manifatturiera degli artigiani pastori iranici, con la produzione artistica detta “animalistica”, riuscendo, dall’altro, a trasmetterci quel complicato sostrato ideologico-culturale, ancora di difficile decifrazione che sottende al primo nomadismo pastorale equestre.

Tralasciando i periodi alessandrino e quello seleucide, dal nome di uno dei diadochi Seleuco, cui, alla morte di Alessandro, toccò in eredità, tra le altre regioni, proprio l’Iran, è utile passare alle altre due fasi dinastiche sull’altopiano, quella partica e quella Sasanide che concludono il millennio cominciato con Ciro il Grande. Come facilmente vedremo si tratta di due periodi uno successivo all’altro, con alcuni elementi di continuità ed altri invece, di sostanziale discontinuità, politicamente e culturalmente molto diversi. 

Dinastia partica

Il periodo della dinastia dei Parti (II se. a. C.-III sec. d.C.) appartenente al gruppo di popolazioni nomadiche di nome Parni, originariamente provenienti dal Turkmenistan meridionale (ecco un evidente riferimento all’Asia Centrale), sancisce, da un lato, forme di decentramento politico amministrativo sconosciuto nel periodo precedente, con due capitali, Nisa a nord est nel Turkmenistan meridionale. e, successivamente, Ctesifonte nell’Iraq ad ovest. Dall’altro si evidenziano successive forti frammentazioni geo-politiche con piccoli e medi principati come nella regione dell’Elymaide nel Khuzestan. Sul piano delle tracce materiali ed artigianali, si lascia, progressivamente, da parte il vecchio tradizionalismo tecnico-stilistico dell’uso del profilo di origine mesopotamica, per cominciare a sviluppare, invece, forme di maggiore espressività, attraverso la rappresentazione frontale, una nuova ieraticità della figura umana e l’uso di un altorilievo, che sarebbero, poi, divenute caratteristiche nelle arti figurative bizantine e alto-medievali in Occidente.

Importantissimo fu lo sviluppo economico in questo periodo, di cui sono caratteristici il monopolio del commercio esercitato da quella dinastia attraverso il Turkestan cinese tra Merv, Hecatompylae, Ecbatana e Seleucia, l’introduzione dell’erba medica in Cina, dove da allora il melograno fu anche detto “frutto partico”, e in Occidente provenienti dalla Cina, tramite l’Iran, le pesche (persiche). La lingua iranica sarebbe passata dalla sua fase antica (lingua sintetica con desinenze in cuneiforme) a quella medievale (senza desinenze di tipo analitico, in caratteri aramaici) e il re Vologese I (51-80 d.C.) avrebbe cominciato a raccogliere i documenti sopravvissuti alla tradizione Zoroastriana che portarono ad una prima, sia pure parziale, affermazione istituzionale dello Zoroastrismo. Sul piano materiale furono create originali soluzioni architettoniche quali l’ivan, il particolare ambiente voltato chiuso per tre lati e completamente aperto sul quarto, che poi si diffuse in epoca sasanide e di qui in quella islamica, i cui primi esempi sono quelli di un palazzo d’epoca partica ad Assur, il tempio di Hatra e l’arco di Ctesifonte.

Il momento più importante per la storia dell’archeologia relativa ai parti arriva, però solo con gli scavi di Palmira, e quelli di Doura Europos (in Siria). In entrambi i siti si ritrovano evidenze artistiche, architettoniche che si cominciano, per la prima volta, a considerare come produzioni periferiche partiche con precise ed autonome caratteristiche formali, sostanzialmente estranee alla tradizione romano-ellenistica e a quella antico-orientale. Poco si sa dell’urbanistica di periodo partico, gli unici insediamenti che si conoscono sono quelli di Ctesifonte, Hatra, Darabgird e Shahr- i Qomis, l’antica Hecatompylae, fondata da Tiridate nella Commisene, nell’Iran nord-orientale. Mitridate I, in politica interna comincia a segnare sulle monete, accanto al nome del sovrano l’aggettivo di filelleno che tante conseguenze anche politiche avrà nell’epoca sasanide successiva. Più consistenti dati, ha, invece, offerto Seleucia, l’odierna Tell Umayr, con ben tre livelli di età partica. La città, che mantenne lo stesso impianto ippodameo datole al momento della fondazione di Seleuco nel 300 a.C., presenta, nei primi livelli, condizioni simili a quelle d’epoca ellenistica.

- Rilievo rupestre d’epoca partica di Xong e Adzhar (Khuzestan), con a sinistra, un cavaliere di profilo e, a destra, quattro personaggi allineati di prospetto, in una composizione che risulta estranea sia alla maniera orientale che a quella occidentale (ph. Bruno Genito) dell’autore

Rilievo rupestre d’epoca partica di Xong e Adzhar (Khuzestan), con a sinistra, un cavaliere di profilo e, a destra, quattro personaggi allineati di prospetto, in una composizione che risulta estranea sia alla maniera orientale che a quella occidentale (ph. Bruno Genito)

L’ultimo periodo, compreso tra il 43 e il 116 d.C., data della conquista da parte di Traiano, mostra, invece, un panorama diverso caratterizzato dalla scomparsa dell’architettura a colonne e da evidenti resti di costruzioni ad ivan. In Elymaide, la regione a nord est della Susiana caduta in mano partica nel 139 a. C., fiorì un’importante scuola di scultura rupestre che rappresenta l’unica espressione di una produzione artistica sull’altopiano del periodo, nonché l’anello di congiunzione tra la scultura rupestre achemenide e quella di epoca sasanide. I rilievi, una dozzina in tutto, sono databili tra la seconda metà del II secolo a.C. e la seconda metà del II secolo d.C. I rilievi si trovano quasi tutti in luoghi difficilmente accessibili, come all’ingresso di gole o di burroni, ma comunque sempre vicini ad una sorgente d’acqua; elemento quest’ultimo che evidenzia un loro carattere ideologico-sacrale. I personaggi raffigurati, eseguiti in maniera molto povera, con uno stile piatto e rudimentale, senza la minima modellatura, sono rigorosamente frontali, ieratici ed immobili, espressioni di una produzione ufficiale al servizio del potere locale, e vengono rappresentati in scene quasi sempre di carattere cerimoniale, di omaggio o di investitura. Il rilievo più antico, a Xong e Adzhar, fu scoperto solo nel 1962 dal Vanden Berghe e raffigura, a sinistra, un cavaliere di profilo e, a destra, quattro personaggi allineati di prospetto, in una composizione che risulta estranea sia alla maniera orientale che a quella occidentale. La prima, infatti, avrebbe rappresentato tutti e due i gruppi di profilo, mentre la seconda avrebbe evitato la monotonia e l’immobilità delle figure di destra che sembrano estranee alle azioni delle altre. Le sculture più importanti, a Tang-i Sarvak (letteralmente il gorgo del cipresso), sono costituite da quattro gruppi che forse ornavano un santuario montano all’aperto in u paesaggio mozzafiato. Le raffigurazioni rappresentano alcuni personaggi distesi su lettighe e in atto di donare corone, altri in piedi vestiti con pantaloni e gambali, cavalieri a caccia ed anche un officiante al lato di un altare del fuoco. 

Dinastia Sasanide

Ciò che colpisce dei caratteri del potere dell’ultima dinastia che controllò quello che restava dell’antico territorio achemenide, è la natura complessa del sistema politico, articolato e, in qualche misura, molto moderno messo in piedi dai sasanidi. A differenza degli aspetti di macroscopica maestosità e grandiosità del periodo Achemenide, e quei tratti, invece, più sfuggenti ed indefinibili del periodo partico, il periodo mostra aspetti di sorprendente modernità, che segnala un deciso balzo in avanti, anticipatore dell’epoca medievale con elementi economico-politici e culturali del tutto nuovi. Anche qui sono pochi gli scavi estensivi come a Bishapur nel Fars e Darreh Shahr nella regione dell’Ilam. Altre attività sul campo come a Tell Abu Sarifa in Iraq centro meridionale (17 km nord ovest di Nippur) che fanno parte di quel colossale lavoro topografico che Mc Adams svolse negli anni 60’ nella valle del Diyala, e gli interventi archeologici a Seleucia sul Tigri e a Ctesifonte, concludono di fatto il panorama a disposizione fino a qualche decennio fa.

Foto aerea da Ardashir Khwarreh (Gloria di Ardashir), Firuzabad (Fars), epoca sasanide da Google Earth

Foto aerea da Ardashir Khwarreh (Gloria di Ardashir), Firuzabad (Fars), epoca sasanide (da Google Earth)

Anche la tipologia urbanistica del periodo Sasanide è poco nota; sappiamo che il primo sovrano, Ardashir I (227-243), fece costruire l’insediamento di Veh-Ardashir (Bene di Ardashir), la nuova Seleucia in luogo di quella distrutta dai Romani nel 165, Nev-Ardashir e Ram-Ardashir, ma l’unica di cui sono rimasti dei resti è Ardashir-Khvarreh (Gloria di Ardashir), nei pressi della moderna Firuzabad. Fu costruita dal sovrano ancora prima della vittoria su Artabano I e le sue rovine testimoniano un esempio di una perfetta pianta circolare. Continuando la tradizione edilizia del padre, Shapur I (243-273) fece costruire anche Jundi Shapur nei pressi di Dezful, uno dei centri più importanti di produzione tessile e sede di una famosissima scuola di medicina.

La natura funzionale di questi insediamenti è ancora tutta da chiarire, e Ardashir-Khvarreh («un’unità territoriale perfettamente circolare di 1,84 km. di diametro, staccata dal Palazzo, da almeno due importantissimi rilievi rupestri, e dal castello attribuibili ad Ardashir I»), Darabgird («anch’essa perfettamente circolare di 1,72 km. di diametro, leggermente distante da un altro rilievo rupestre, problematicamente attribuibile a Shapur I») e Sar Mashad («circolare anche essa, ma di soli 150 m. di diametro, con un altro rilievo rupestre poco distante») ampiamente lo dimostrano Queste aree e/o siti, da tempo considerate come l’espressione tout cour di modalità urbanistiche, ad una più approfondita osservazione sul campo, si rivelano realtà territoriali molto più diversificate e complesse di quello che comunemente si creda.

C’è poi Istakhr poco lontano da Persepoli, sede originaria di Papak antenato di Sasan, capostipite ed eponimo della dinastia che resta, invece, una particolare eccezione, là dove l’urbanizzazione massiccia farà la sua comparsa sull’altopiano solo nella prima epoca islamica. Fra l’attività edilizia non bisogna dimenticare le opere di canalizzazione, e i numerosi ponti fra i quali ricordiamo il Band-i Qaisar (Ponte dell’imperatore) a Dezful, così chiamato perché tradizionalmente considerato costruito dai soldati romani prigionieri dopo la vittoria di Shapur su Valeriano a Edessa nel 260. Meglio conosciuta è senz’altro la tipologia monumentale, rappresentata da una serie di palazzi, la maggior parte dei quali si trova nel Fars. All’epoca di Ardashir I risale quello di Firuzabad, costruito in pietra tenera e calcina gessosa con l’ivan di ingresso e una sala quadrata con cupola su trombe d’angolo. Il sistema della costruzione di una cupola su trombe nacque dalla necessità di passare da una pianta quadrata ad una circolare e fu abilmente usato dagli architetti persiani che, dapprima prolungarono i diedri del quadrato e poi, a poco a poco, dettero alla tromba il volume di un quarto di cono o di sfera. L’ivan, quel particolare ambiente voltato inventato dai Parti, viene qui, per la prima volta, usato in maniera diversa dall’epoca precedente, cioè come vestibolo ad un altro ambiente.

Il palazzo di Bishapur, fatto costruire da Shapur I, presenta una grande sala cruciforme, probabilmente quella delle udienze, i cui quattro bracci di eguale lunghezza sono rappresentati da altrettanti ivan circondati da un corridoio perimetrale di forma quadrata sul quale si aprono quattro porte poste al centro di ogni lato. L’interno era ornato da 64 nicchie decorate da stucchi scolpiti e dipinti a motivi presi in prestito da repertorio siro-romani: foglie d’acanto, viticci etc. Il palazzo di Sarvistan, risalente a Bahram V (420-438), ricorda nell’insieme quello di Firuzabad, anche se rispetto a questo è un po’ più complesso sia nella pianta che nell’elevato. L’edificio, quasi quadrato, si apre su un ampio ivan che dà accesso ad una sala quadrangolare sormontata da una cupola. Le rovine di Ivan-i Kharkha, attribuite al IV secolo dopo gli scavi archeologici diretti da Ghirshmann nel 1950, presentano un edificio a sala quadrata coperto da una cupola al centro di due ambienti allungati coperti da volte a botte su archi trasversi.

L’arco detto Taq-i Ksra, Il palazzo/Arco di Cosroe (foto aerea da Wikipedia

L’arco detto Taq-i Ksra, Il palazzo/Arco di Cosroe (foto aerea da Wikipedia)

Il Taq-i Kisra, famoso palazzo e mirabile esempio di soluzione voltata parabolica a Ctesifonte che la tradizione fa risalire a Cosroe I (531-579), consiste in una sala del trono di dimensioni colossali e di un ivan in facciata, il più grande che si conosca, largo 25 e alto 30 m. La facciata, con la sua scansione di arcate cieche su piani sovrapposti orizzontalmente, è un chiaro richiamo alle frontes scenarum dell’architettura romana, sebbene il rapporto classico che ne costituiva la base, venga qui completamente alterato nella mancata coincidenza degli assi verticali, nell’accostamento tra il grande e il minuto e nel rapporto espresso nelle colonne tra diametro ed altezza. Altri due palazzi, quello di Damghan, nel Nord della Persia, e quello di Kish in Mesopotamia, completano questo panorama dell’architettura civile.

Per quanto riguarda le rappresentazioni figurative su roccia esse, come è noto, avevano avuto sull’altopiano una lunga tradizione risalente all’epoca elamita [5]. La monumentalizzazione delle sorgenti, dei passi di montagna e fluviali e dei relativi ponti/dighe e persino del paesaggio urbano di Bishapur, contribuisce a far rifiorire questa particolare tipologia di scultura, che non si era interrotta nel Fars in periodo partico, attraverso una lunga serie di rilievi. L’evento storico, non viene, tuttavia, rappresentato nel suo contesto reale, ma diventa un’occasione di esaltazione simbolico-ideologica del sovrano; là dove ogni connotazione realistica o paesaggistica è assente, e la scena è come proiettata su un piano di astratta atemporalità. Cinque sono i rilievi attribuiti ad Ardashir, quattro nel Fars di cui due a Firuzabad uno a Naqsh-i Rajab ed un altro a Naqhs-i Rustam, mentre il quinto, a Salmas in Armenia, è ancora di dubbia attribuzione.

Particolare diffusione e qualità raggiunge la scultura rupestre al tempo di Shapur I. La vittoria riportata dal sovrano su Gordiano III nel 243, la sottomissione imposta a Filippo l’Arabo nel 244 e la sconfitta inflitta a Valeriano nel 260 ad Edessa, offrono al sovrano l’occasione di ritrarre, nel Fars, quegli avvenimenti per ben cinque volte. Con Bahram II (276-293) si amplia e si arricchisce di temi a carattere familiare il repertorio e gli otto rilievi a lui attribuiti rappresentano probabilmente il momento di maggior maturità nella rappresentazione di profilo, ritornata in voga e ormai già diventata usuale nella produzione scultorea della dinastia.

Trionfo di Shahpur I a Naqsh-i Rustam (Fars), con Valeriano e Filippo l’Arabo, foto dell’autore

Trionfo di Shahpur I a Naqsh-i Rustam (Fars), con Valeriano e Filippo l’Arabo (ph. Bruno Genito)

i Shapur II (310-379), invece, restano due rilievi: uno nella stessa Naqsh-i Rustam, in cui il sovrano è rappresentato seduto in trono in una posizione simile a quella assunta dal Redentore dell’iconografia occidentale; l’altro a Bishapur, dove la rappresentazione è svolta su più registri e nel pannello centrale è il re seduto con la spada.

Ardashir II (379-383), fece scolpire un solo rilievo e per la prima volta fuori del Fars, a Taq-i Bustan, una località a nord-est di Kermanshah dove forse si trovava un antico santuario dedicato ad Anahita. Accanto a questo, in una piccola grotta, si trova l’unico rilievo di Shapur III (383-388), ritratto accanto al padre mentre si appoggia ad una spada. All’epoca di Cosroe II risalgono probabilmente i rilievi della grande grotta di Taq-i Bustan; la facciata, simile ad un arco trionfale romano, è ornata da rilievi che rappresentano, in modo stilizzato, un albero della vita con grandi foglie d’acanto. Sulle pareti laterali della grotta sono scolpite a bassorilievo alcune scene di caccia reale: a sinistra il re ed altre persone del seguito cacciano in barca i cinghiali al suono della musica; a destra il re in una riserva colpisce i cervi mentre la selvaggina uccisa viene portata via su elefanti e cammelli. Interessante è la figura del re sulla parete di destra, dove egli è raffigurato a cavallo mentre entra nel parco sotto ad un parasole: la sua figura sovrasta in altezza tutte le altre ed è riprodotta più volte nelle diverse fasi della caccia a cui partecipa. 

Dialoghi Mediterranei, n. 55, maggio 2022 
Note
[1] Va tenuto presente, però, che i concetti e i termini di Oriente vicino, medio, estremo nella tradizione di studi occidentale, riflettono, come è noto, una visione decisamente eurocentrica o euro-mediterranea per la quale ogni regione è considerata e definita, in un modo o nell’altro, in base alla sua maggiore o minore vicinanza al Mediterraneo. Questa tipologia terminologica è ovviamente ideologicamente orientata, e non appartiene solo al nostro patrimonio di culture occidentali, e la ritroviamo un po’ ovunque a partire delle grandi civiltà antiche in relazione alla più o meno marcata consapevolezza che esse hanno avuto di sé stesse. Quasi tutti i popoli che ci hanno lasciato, in grande quantità, documenti scritti hanno sempre sottolineato il loro ruolo centrale in relazione a quello apparentemente periferico delle altre culture vicine e/o lontane. Basta, ad esempio, pensare al controverso nome della Cina (Chung Kuo), che in pratica significa “Stato di mezzo”, e che sarebbe cominciato ad essere usato già nel periodo della dinastia degli Zhou occidentali (1045-711 a.C.) accanto ai termini Chinas o Chīnah nell’antica letteratura sanscrita indiana nel Mahabharat. Oggi si tende a pensare che non ha senso parlare di “mezzo”, se non si precisa anche “nel mezzo di cosa”. Anche i termini e i concetti di Caput Mundi, e di Mesopotamia e di Mediterraneo, indicano di fatto l’idea di una centralità assoluta, là dove, invece, essa è definitivamente relativa. 
[2] Anche se negli ultimi decenni abbiamo assistito ad un tentativo alquanto meritorio da parte di studiosi come Henkelmann, che hanno inaugurato un inedito processo interpretativo delle numerose tavolette di Persepoli e Susa, chiamate di fatto a contribuire a rimpiazzare la scarsità di informazioni territoriali delle grandi iscrizioni monumentali. 
[3] L’origine dello scontro va cercata nel sostegno militare che le poleis greche di Atene ed Eretria avevano fornito alle colonie elleniche della Ionia quando esse si erano ribellate all’impero. Deciso a punirle duramente, il re Dario I di Persia organizzò una spedizione militare che fu intrapresa nel 490 a.C.: sottomesse le isole Cicladi e raggiunta via mare l’isola di Eubea, i due comandanti sbarcarono un contingente che assediò e distrusse la città di Eretria; la flotta proseguì verso l’Attica, approdando in una piana costiera presso la città di Maratona. 
[4] Di cui ci parlano Erodoto Strabone, Polieno, Paolo Orosio, Cassiodoro, Giordane, Giustino, ma anche Dante nel Purgatorio dove viene da lui messo Ciro, e Shakespeare nell’Enrico VI, e che è anche il nome di un pianeta minore 590 Tomyris e il titolo di un film kazako del 2019. 
[5] Il periodo elamita (con i rilievi rupestri a Kul-e Farah, a Eshkaft -e Salman nel Khuzestan, a Sar-i Pol Zohab nella regione di Kermanshah e a Kurangun nel Fars, ecc.), abbraccia l’età achemenica e post-achemende (con il famoso rilievo un vero e proprio monumento/documento di Bisutun, le tombe rupestri a Naqsh-i Rustam e l’edificio rupestre a Qadamgah); resti contenenti precisi caratteri ideologici e religiosi (come i macroscopici santuari rupestri di Shami, Masjed-e Suleyman e Barde-e Nishandeh nel Khuzestan) risalgono al periodo ellenistico; il periodo partico è documentato dai rilievi rupestri in Tang-i Sarvak, Hung-i Nauruzi, Hung-i Adzhar, ecc., sempre nel Khuzestan. 
Riferimenti bibliografici 
Genito, B. (2016), A Modern Archaeology of the Sasanian Period: Former Limitations and New Perspective, Newsletter Archeologia, Studi e Ricerche (CISA), Vol. 7, Napoli: 35-90. 
Genito, B. (2017), Una lettura archeologica per una categoria storiografica, Vie della Seta tra Iran, Asia Centrale e Cina Occidentale, Caterina, in L., Genito, B. (a cura di), Archeologia delle “Vie della Seta”: Percorsi, Immagini e Cultura Materiale. Il Novissimo Ramusio, Università degli Studi di Napoli “L’Orientale”, Dipartimento Asia, Africa e Mediterraneo, ISMEO – Associazione Internazionale di Studi sul Mediterraneo e L’Oriente, 5, 1, Roma: 11-31. 
Genito, B. (2017), L’archeologia degli Sciti tra Europa Orientale e Mar Nero, in Gallo, L. and B. Genito (a cura di). Grecità di frontiera, Frontiere geografiche e culturali nell’evidenza, storica e archeologica, Atti del Convegno Internazionale, Università degli Studi di Napoli “L’Orientale”, Napoli, 5-6 giugno 2014: 140-189.
Genito, B. (2018), Modelli e linee di sviluppo urbano tra Iran, Asia centrale e Cina, in Follaco, G.M., Giulia Rampolla (a cura di), La città in Asia. Letture critiche degli spazi urbani antichi e moderni, Viella, Roma: 13-38. 
Herzfeld, E. (1968), The Persian Empire, Wiesbaden. 
Oranskij, Iosif Mihajlovič (1973), Le lingue iraniche, edizione italiana a cura di A.V. Rossi, Istituto Universitario Orientale, Napoli. 
Schmandt-Besserat, D. (ed.) (1980), Ancient Persia: The Art of an Empire, Invited Lectures on the Middle East at the University of Texas at Austin, Volume Four, Undena. 

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Bruno Genito, Professore Ordinario di Archeologia e Storia dell’Arte Iranica e dell’Asia Centrale, presso l’Università degli Studi di Napoli “L’Orientale” (UNO) dal 2005, ha diretto la Missione Archeologica Italiana in Iran, dell’Azerbaigian dal 2016, dell’Uzbekistan dal 2008 dell’UNO in collaborazione con il Ministero Italiano degli Affari Esteri, l’Istituto di Archeologia dell’Accademia delle Scienze dell’Azerbaigian, Baku, l’Istituto di Archeologia dell’Accademia delle Scienze dell’Uzbekistan, Samarkanda, l’Ente Iraniano per la Cultura, l’Artigianato e il Turismo e l’ISMEO; è stato vicedirettore della Missione Archeologica Italiana nel Turkmenistan (1989-1994), dell’UNO in collaborazione con il Ministero Italiano degli Affari Esteri, l’Istituto di Archeologia dell’Accademia delle Scienze dell’Unione Sovietica, e l’Università di Stato di Ashabad, nonché direttore della Missione Archeologica Italiana in Ungheria (1983-1997), dell’UNO), in collaborazione con il CNR, l’IsIAO, il Ministero Italiano degli Affari Esteri, l’Istituto di Archeologia dell’Accademia delle Scienze d’Ungheria, Budapest. Responsabile di numerosi progetti scientifici, è membro di diverse Società e di comitati scientifici di riviste.

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