Il linguaggio che evoca Malo nei primi decenni del Novecento, fatto di scambi, intarsi e trapianti (da una lingua all’altra), intertestualità [1] e pluridiscorsività, «rende così ricchi, preziosi, e godibili gli scritti di Meneghello» [2].
Base elementare opportuna per fare un’analisi dello stile di Luigi Meneghello è infatti l’intertestualità. Si tratta di risonanze, note e nessi che possono essere esposti e presentati, ma anche solo indicati o lasciati sottintesi o restati talora all’oscuro,
«e qui sta il bello perché ci troviamo di fronte a una testualità che non si pretende definitiva, che si sa immersa in una corrente continua e impetuosa di espressività integrata che non la lascia stagnare, che sempre la rilancia e la miscela in un gioco infinito di significazione nel quale si richiamano e moltiplicano, e al quale si rifanno, testi sparsi per tutta la storia della scrittura, e che sempre alludono, aprono le porte a nuove possibilità, a nuovi testi a venire» [3].
Poiché la parola colta
«non è mai stanca di costruire, e sempre si rivolge ai suoi antecedenti ripetendoli e contaminandoli, e sempre accenna al di là di sé, alle sue riprese e ulteriori contaminazioni, e si diffonde e dilaga con imprevedibile incostanza e novità, e insomma gioca, si diverte per far divertire chi è abbastanza addentro ai mores della lettura per capire il gioco» [4].
Infatti la produzione artistica di Meneghello sfrutta in pieno una sapiente architettura intertestuale a lungo meditata e raffinata. Giulio Lepschy e Cesare Segre accennano alla questione della citazione, così assidua nello scrittore vicentino da sembrare quasi un elemento tipico. Lepschy allude alle «ricche vene sotterrane degli stilemi di autori particolarmente amati», Segre espone la stessa idea e parla di «reminiscenze di autori prediletti» [5]. I suoi libri istituiscono «una fitta rete di rinvii interni e di relazioni intertestuali» [6]. Essi sono colmi di citazioni ed echi di alta letteratura. Nelle Carte l’autore prova a riepilogare le cose significative, a individuare i punti vivaci delle proprie letture che si articolano in due serie parallele, letterarie e saggistiche. Meneghello indica una specie di elenco che rappresenta fonte d’ispirazione della sua produzione letteraria.
«Se elenco gli scrittori, i poeti di cui mi sono nutrito (lasciando i prosatori, in ordine cronologico di approccio Cecchi, Leopardi ecc.) e cioè, sempre in ordine cronologico, Baudelaire, Montale, Petrarca, Racine, Yeats, Dante, Hopkins, Belli, Donne (ma anche Rimbaud, beninteso, e Shakespeare): che cosa trovo? Che mi sono nutrito di cose aeree senza rapporto importante con gli studi che sostentavano nel frattempo la mia mente: di nuovo in ordine cronologico, i vittoriani, Huxley, l’astronomia, la fisica, S. Freud, G. Lepschy, e poi mano a mano la biologia molecolare, la doppia elica… La serie dei poeti riguarda il periodo dal 1940 in poi, quella degli studi dal 1947 in poi« [7].
Ernestina Pellegrini parla delle parentele della scrittura narrativa meneghelliana con:
«la lezione americana, le spigolosità montaliane, i dantismi, il romanzo magnetofonico alla Salinger, o quella che Contini chiama la funzione Gadda; e ancora le parentele con Fenoglio, l’ascendenza di certa prosa ironica del Settecento inglese. John A. Scott, in un saggio uscito su « Studi Novecenteschi » del dicembre 1990, col titolo Luigi Meneghello or the Dialectis of Dialect, ha fatto acutamente il nome di Montaigne, i cui « Essays… so egocentric» hanno lo stesso andamento «comique et privé» [8].
L’esperienza delle letture di Meneghello e la sua vasta apertura alle correnti internazionali moderne sono felici. Le prime letterature straniere con cui lo scrittore ha contatto è la letteratura francese, e ovviamente le letterature antiche: latina e greca un po’ meno. Egli si sprofonda nella letteratura dei classici dell’800 francese. Inoltre prima del suo viaggio in Inghilterra il letterato non è molto aperto alla letteratura inglese di cui conosce poco. Il suo incontro con questa cultura avviene a vent’anni durante il suo soggiorno in questo Paese. Il contatto con i classici inglesi è come la scoperta di un nuovo universo, «come tornare giovane, tornare ragazzo». Meneghello rifiuta di leggere Shakespeare in traduzione. Secondo lui non si può capire il poeta se non leggerlo nel testo originale [9].
Diego Valeri interviene per parlare di due altre letture di Meneghello: Amiel, redattore di un illustre Journal intime («oscura affinità privata»), e Renan, «di cui parevano ammirevoli gli studi di storia religiosa, e struggente la malinconia» [10]. Ma l’autore legge molto di più testi poetici che narrativi: «Catullo (per mediazione di Marchesi), Racine, sontuoso e armonioso (qui officiava Valeri) – ma soprattutto fuori della scuola, per passione personale, Petrarca – le Rime, naturalmente – e Lucrezio. Le melodie dell’uno, le meravigliose asprezze dell’altro» [11].
Che la lingua poetica sia favorita sin dall’inizio lo conferma un’intervista di Giulio Nascimbeni che risale al 5 aprile 1964. All’interrogativo su quali siano i letterati che lo influiscono, Meneghello risponde in questo modo: «Ci sono, dice, soprattutto poeti: Montale (Libera nos a malo ne è pieno), parecchi francesi, e Yeats» [12]. Le diverse citazioni nelle pagine dell’artista maladense non costituiscono «un orpello aggiunto a brano concluso» [13], ma frequentemente appaiono dalla prima produzione e, qualche volta, da esse vede la luce il primo nucleo della narrazione.
Il materiale di Libera nos a malo, troppo regionalistico per acquisire importanza e troppo privato per persuadere, «è nutrito [...] da una polifonia di stili» [14]. In questo libro, la poesia apparirebbe «realizzare non solo un più o meno sotterraneo tessuto intertestuale, ma suggerirne l’architettura d’assieme», come conferma Meneghello (sempre in riferimento all’intervista di Nascimbeni): «in certi momenti mi pare che il genere letterario che gli [a LNM] si avvicina di più sia una raccolta di liriche» [15].
Tra le scritture dedicate a Meneghello in diverse circostanze, alcune parlano della presenza di Dante o di Montale nei suoi libri. I passaggi montaliani sono riportati «come a memoria e incastonati nel vivo della narrazione» [16]. In alcuni prestiti poetici, si identifica una prodigiosa forza attrattiva come rivela il brano seguente:
«Non importa: è perché la gente ha ricominciato o forse ha sempre continuato a vivere. È come “le campane d’argento sopra il borgo”, e poi il resto che non si può fermare, le antiche travi, i mattoni rossi delle camere, gli intonachi, i corridoi, i ciottoli della corte, il vecchio cesso nel cortile» [17].
L’argomento trattato è quello dell’inesorabile trascorrere del tempo, evidenziato poeticamente con un verso montaliano del Carnevale di Gerti: «È come “le campane d’argento sopra il borgo”, e poi il resto che non si può fermare». La percezione del profondo cambiamento della terra natale e della vita riconosciuta un bel giorno rende più intensa e immediata l’esigenza dello scrittore di fissare sulla carta tutte le cose che stanno sparendo. Inoltre, la sveltezza stessa del cambiamento e la rapina del tempo di allora fanno sì che Malo affondi «quasi intatto nel rimosso, come quei fossili perfettamente conservati da una catastrofe improvvisa, rendendoli testimoni ancora più preziosi» [18].
Nel racconto sono riportati i primi tre versi del mottetto [XIV] da Le occasioni: «La tempesta (italice grandine) è di quelle cose che appartengono per sempre a Montale. Infuria sale o grandine? Fa strage – di campanule, svelle la cedrina. – Un rintocco subacqueo s’avvicina…» [19]. Tramite un elogio esagerato, messo in risalto dalla «oppositiva introdotta da “ma”», in cui «la riserva» può sfociare in una restrizione o in una successiva lode della poesia [20]. «È tutto perfetto, ma è troppo bello per il nostro paese» [21].
In un altro passo poco distante sono inseriti altri elementi del lessico montaliano: «l’aria nera, specchiante» [22], in cui l’aggettivo «specchiante» si ricollega agli «azzurri specchianti / del cielo» di Portami il girasole (Ossi di seppia), anche «l’aria nera» ha simmetria in Ezekiel saw the Wheel da La bufera e altro. «Il mondo magico intagliato nel quarzo» [23] da raffrontare probabilmente con l’Elegia di Pico Farnese, in cui le pietre sono «Strade e scale che salgono a piramide, fitte / d’intagli [...]». Nella stessa pagina la frase «non c’era rintocco subacqueo, ma un crepitio maligno di superfici sfregate [...]. Non c’era vera luce nella cosa, nulla che brillasse» [24] è ricavata dal mottetto Infuria sale o grandine? brilla come te. [25]
Il lessico montaliano è impiegato questa volta per ricordare i segreti del gioco dei fanciulli:
«Ho un filo di parole, S’ciopascóndare contiene l’attesa nei nidi inaccessibili tra scogliere di bidoni, cataste di fascine; gli anfratti, le muffe, le ragnatele, le tante profonde sotto bastioni di bisacche, nel fianco delle montagne dei bozzoli; il tempo che si ferma, i rumori che si chiudono, e il senso di essere usciti dal mondo e di stare a origliare» [26].
Si scopre la «lunga attesa» in Barche sulla Marna (Le occasioni) verso 17, inseguito poco dopo da «il nido / del pendolino, aereo e inaccessibile» (verso 25) invece in Meneghello «i nidi sono terragni».
Il lessico montaliano che sembra sempre un po’ eccentrico, viene usato da Meneghello per parlare di «cose semplici» come quelle che riguardano l’infanzia:
«”le scogliere” (ma di bidoni), “gli anfratti” (come nell’Elegia di Pico Farnese, v. 26: “anfratti, tagli, spicchi di muraglie”), “ragnatele” (“ragnateli di sasso” in “Elegia…”, verso 21; “ragnatele di nubbi” in Ossi di seppia, “Non rifugiarti nell’ombra”, v. 19), “muffa” in “Notizie dall’Amiata”, v. 14; “muffe” in “Argyll Tour”, v. 1.» [27].
«i rumori che si chiudono» si riallacciano a Eastbourne (ancora nelle Occasioni), versi 14-15: «I fragori si distendono, / si chiudono in sordina». Pure il poeta, nella poesia, sta a spiare («ed io in ascolto…») [28]. Diego Zancani osserva che nei due versi successivi (Eastbourne, versi 28-29): «m’agita un carosello che travolge / tutto dentro il suo giro», la parola «carosello» potrebbe racchiudere prerogative fanciullesche.
«[...] Montale è ancora percepito positivamente, a livello piuttosto emotivo che critico, come fonte di elementi lessicali utili, talvolta incastonati nel discorso, talvolta contrapposti a termini più concreti, più “bassi”» [29]. Si cita in questo caso il sintagma distinto «bronco incarbonito» [30] che spicca come segno di ostinazione e di malvagità, assegnato all’amico di gioco e di lotta Bìcego. Infatti in L’anguilla del poeta (verso 25) «il bronco è seppellito, ma abbastanza vicino a incarbonirsi da rendere possibile la trasformazione» [31] : «tutto comincia quando tutto pare / incarbonirsi, bronco seppellito».
Tra gli altri prestiti ricavati da Eastbourne, si menziona il riferimento «ai poveri idioti portati a votare», i quali «arrivano sulle sedie a ruote, sospinti dall’accompagnatore» [32]. Il poeta stende nella sua poesia (verso 16): «Vanno su sedie a ruote i mutilati, / li accompagnano cani dagli orecchi / lunghi [...]» [33]. Montale è riferito anche nell’appendice (C) [34] riguardo a una parola assai affascinante come «pantàsso»: «Come nelle poesie di Montale, il nome agì, e con esso mi aggirai in un limbo favoloso tutta la mattina» [35].
Nei libri di Meneghello i prestiti poetici montaliani non sono fitti ma hanno una forza e un sicuro peso senza raffronto. Vista l’attenzione dello scrittore alla poesia di Montale, il lettore può notare l’eccezionalità delle espressioni del poeta. Esse rallegrano un racconto complicato come Libera nos a malo. «L’italiano di Meneghello poi, con la sua bella, laica sostanza cristallina, è spesso metalinguaggio rispetto al dialetto. Le citazioni di Montale rappresentano, a fianco del dialetto, la rischiosa avventura della superlingua» [36].
Dopo le citazioni e le risonanze di Montale, è necessario prendere in considerazione quelle di Ungaretti, un poeta stimato in modo differente. Si inizia con la ridicola rievocazione di un certo Guido e le sue avventure agresti e amorevoli: «come un cavaliere previdente che s’allontani dietro la notte dai nubili occhi» [37]. Il personaggio è tratto certamente dalla «nubile notte» di Nascita d’aurora, nel Sentimento del Tempo. Ungaretti è rievocato anche mediante questi versi: «Sempre ròcoli / stechetoni / cago verde / come rughe» [38]. L’ungarettismo di «l’eco di un grido» [39] potrebbe apparire complessivo. Al contrario l’insegna «Allegria di naufragi» [40] è evidente «come una macchia». Essa è impiegata da Meneghello come un conciso commento della consuetudine di Giacomo Golo di assopirsi ubriaco sulla neve.
Non si trascura il rimando ad un’altra lirica del Sentimento, Il Capitano, col sintagma «tutte le partenze». Quando un amico si allontana da Malo, Mino «ha sempre l’impressione che tutte le partenze partono da lui» [41].
Un po’ più estesa è la risonanza di Saba in Meneghello. Alle spalle della «perfezione di un animale giovane» [42] della Michela, si intuisce il «bello» di «giovane animale» di Fanciullo appassionato di Trieste e una donna. L’eco del poeta si consolida nel ricordare la sorte che tocca a un «piccolo Berto»: «mangiare gli uccelli avanzati, per giorni e giorni», fino a quando si ruppe un dente «a forza di rosicchiare [...] uno stornello» [43].
In Infanzia nel Canzoniere l’artista triestino rammenta un sé «fanciullo» padrone della celebre «gallina» e di tre uccelli, menziona un «merlo austero» (al quale «s’identificava») e uno «stornello» con cui tratta di «il fanciul vivace» che Berto «non era» ma «avrebbe voluto essere». Sabiana potrebbe essere anche la locuzione «sul tardi» [44]. Qui lo scrittore vicentino segue lo stile e il linguaggio ammodernati di Felicità di Parole.
Nei racconti meneghelliani, si raccolgono anche alcuni segni delle liriche di Diego Valeri: un soleggiato mezzogiorno estivo è sfondo nel libro d’esordio, a «una gioia somma e perfetta» [45]. Una delle Poesie piccole del poeta è intitolata, esattamente, La gioia perfetta.
Molte volte a un modello di Leopardi tocca di difendere materie e memorie meneghelliane. Stefano Brugnolo allude alle reminiscenze leopardiane presenti nel brano: «Io gli studi leggiadri / talor lasciando e le sudate carte / [...] d’in su i veroni del paterno ostello [...]» [46]. Il libro comprende altri momenti distratti, significativamente leopardiani, come questo: «Senza dire la parola “glamour”, ho raccontato alla Rita [...], come mi sentivo quando lo zio Dino mi portava al cinema in motocicletta di sera. Aspiravo il profumo della sua Tre Stelle, udivo il canto vibrato del motore, e mi pareva di cogliere nella notte l’essenza stessa della vita» [47]. Verrebbe realmente da interpretare con i versi di Leopardi: «sì dolce, sì gradita quand’è, com’or, la vita?».
C’è un nuovo esempio leopardiano di sostanza differente. Nell’opera l’autore presenta rapide allusioni sulla storia del paese natale e termina con una appassionante riflessione che ha come punto di partenza remote cronache [48]. «Chissà che freddo c’era quel 14 gennaio [1306] che si radunarono «sub porticu caminate Ecclesie sancti benedicti» (che è la nostra parrocchiale). Era di sabato. Chissà cosa si saranno detti?» [49].
A questo esempio prosegue un frammento sorprendente che presenta una vita imprevista nei racconti medievali, facendoci pensare alla divulgazione dei resoconti storici, a quello che svelano e non svelano della vita degli antenati, e a quanto poco si conosce riguardo al loro dialetto. Si ritorna alla riproduzione storica con un effetto stupefacente, a un passo nel quale Meneghello narra della propria terra natale [50].
«Scommetto che intanto a casa, mentre le donne cucinavano sul focolare un intruglio ostrogotico (perché ci ha fondati “un principale Capitanio de Gotti circa gl’anni di Cristo 500″), le bambine giocavano con le più romanze, e i bambini coi sassi di sale. Uno domandava incautamente: «Che giorno ze ancó?». L’altro rispondeva come si risponde ancora:
Sabo: in boca te cago
in boca te pisso
dimàn te guarisso.
Questo di sette è il più gradito giorno; i cuori si rallegrano aspettando la doménega taumaturga» [51].
Lo scrittore avvicina tre versetti in dialetto (un linguaggio umile e «scatologico») a una delle più note e fini poesie in lingua.
«Il sabato del villaggio, citata («Questo di sette è il più gradito giorno»), o parafrasata («i cuori si rallegrano»: si veda «il cor si riconforta»), e miracolosamente fusa col brano maladense («la doménega taumaturga», che riprende «dimàn te guarisso»). Riguardo alla «doménega taumaturga» abbiamo anche una composizione «briosa e quasi allegra» sulla «Morte d’una seleghetta» che comincia «Domàn domàn doménega – la festa de la sélega» [52].
Il brano chiarisce la confluenza tra le due lingue e le due tradizioni e non il contrasto tra di esse. «Del resto i richiami ai testi più amati si presentano spesso, ed è difficile decidere se siano da attribuire a un fondo comune di testualità letteraria, o a una specifica spinta espressiva, cosciente o subliminale» [53]. Secondo Lepschy i confini fra modelli differenti di «accostamenti testuali» non sono rigidi e nitidi:
«dalle citazioni esplicite, con rinvio a un passo specifico, a quelle che sembrano appartenere alla memoria collettiva, alle allusioni di cui l’autore è cosciente, ad altre che possono essere subliminali, inconsce, o addirittura rimosse; e anche dal punto di vista del lettore può trattarsi di richiami che vengono riconosciuti o che passano inosservati» [54].
Al confine fra citazione e intertestualità, le costruzioni della casa contadina sono avvicinate alla sacrestia di San Lorenzo a Firenze [55].
«La casa ha amplissimi granai, quasi un’altra casa lassù, ventosa e luminosa, cogli alti soffitti sbilenchi. Queste sfere sopramondane hanno più importanza che non si possa dire: si dovrebbe trascrivere tutto in chiave neo-platonica. Era come la Sacrestia nuova di San Lorenzo a Firenze: c’era la zona intermedia delle cose terrene, camere, cucine, cortili; in basso quella oscura dell’Ade a cui davano adito la scala della cantina, la casetta della benzina in orto, e le altre aperture da cui s’udivano gorgogli di cose liquide, sotterranee. Qui in alto c’era la sfera nitida, spaziosa, aperta e nuda dei granai, il mondo scorporato dove emigrano le idee dei giocattoli rotti, degli oggetti spenti; il mondo delle essenze che l’artista ha cercato di riprodurre in pietra serena a San Lorenzo» [56].
Nei resoconti di Meneghello, la consapevolezza intertestuale funziona in un senso più delicato e complicato. Dopo il brano appena citato intorno al tinello di famiglia, compare questa frase: «Se ci si porta un visitatore inaspettato, chi lo precede scocca via dalla tavola una mosca morta, raddrizza le fotografie a sghembo nella cornice» [57]. E di seguito quanto all’ indole personale: «La cana è muta e solitaria, col fotóne si strepita; invece quando vengono le scosse del nervoso si sussurrano improperi sottovoce, si gesticola, e si manovrano i nervetti delle mascelle» [58].
Non esiste citazione diretta che la commistione di lingua e dialetto comunque assorbe e non lascia intravedersi. Questo svolgimento non può che trascinare
«citazione e intertestualità, il basso e l’alto della cultura, e dialetto, italiano colto e inglese, tutti compressi insieme, e con essi l’inventività lirica di un grande poeta (appena “scoperto” dall’accademia quando lo citava Meneghello), la grazia di una sacra rappresentazione medievale, la forza segreta delle fiabe, la tristezza di certe vecchiaie della campagna…» [59].
Meneghello coltiva così un mondo che rimane lontano da quello dei maggiori letterati italiani novecenteschi. Egli sa aprire i suoi romanzi a una indiscussa e attraente «polifonia». Dante è enumerato tra i poeti che alimentano l’autore maladense sin dai primi anni della sua educazione. L’influenza di Dante e degli altri poeti rammentati «si può immaginare, per recuperare un noto luogo di Libera nos, come una “ferita profonda”, di cui le citazioni non sono che la “crosta”, il residuo superficiale; altra letteratura – a cui non risparmia biasimi e sarcasmo – lascia, invece, “ferite superficiali”» [60].
La presenza delle asportazioni, soprattutto dalla Commedia, non è soltanto un risultato della «memoria collettiva»: c’è difatti una concordia etica tra Dante e Meneghello che si volgarizza, sulle pagine, nella conformità di alcuni impieghi linguistici e stilistici. «La scelta di una letteratura che sia vicina alle cose per mezzo della parola “incavicchiata nella realtà”, così come lo sperimentalismo linguistico, che non si esaurisce nel compiacimento retorico, avvicinano la scrittura meneghelliana e quella dantesca» [61].
I tre capitoli principali (14-16), che narrano la storia di Malo e della famiglia Meneghello, richiamano con originale diligenza «i canti di Cacciaguida al centro del Paradiso» [62]. Cacciaguida sovrintende al «donde si feo il soprannome» [63] «affibbiato in paese all’Arciprete». La ben chiarita «intenzione» [64] della madre del ragazzo Enrico «si rifà al Poverello di Assisi che espone la Regola francescana a papa Innocenzo, sempre nell’XI del Paradiso» [65]. Dante è il generoso suggeritore di «cose» e non solo di «parole». La «virtù somma», che presso il poeta (Inf. X, 1) è peculiarità soltanto di Dio, qualifica l’«abilità tecnica» [66] degli artigiani di Malo. Il «prendersi a gabbo» [67] o no, che Dante connette «a un problema espressivo», rifa a un argomento linguistico pure nel racconto di Meneghello, «dove si afferma che non va preso sottogamba l’idioma, appunto, di Malo». Il «color perso»[68] degli indumenti del mendicante chiamato Giacomo Golo «trascina nel nostro mondo la tinta di uno dei gradini della porta del Purgatorio vigilata dall’Angelo» [69]. Dal canto paradisiaco di San Francesco si riceve probabilmente l’avverbiale «a meraviglia»[70]. Il participio «arroncigliata», incontrato nel “romanzo”, di «una vena del collo »[71], riporta il lettore in Malebolge. Conservano la delicatezza dell’avvio dell’opera dantesca «l’ora del tempo» e «la stagione»[72].
Molti aspetti della produzione artistica di Meneghello sono accuratamente studiati e altri saranno messi sotto il microscopio dagli amici e colleghi. Diego Zancani accenna alla presenza di citazioni, celate e lampanti, di riferimenti e rinvii a scrittori stranieri. Libera nos a malo presenta una estesa serie di «spunti citazionali [...] estratti dal loro contesto originario e attribuiti a un circuito nuovo e del tutto problematico, se non addirittura incongruo». Nelle opportunità più consuete «la citazione vuole esprimere la propria assoluta insostituibilità», come quando Yeats viene chiamato per un «verso epifanico», «sche, a gazelle»[73]. Il verso è citato per chiarire il fascino di una comparsa fuori del consueto e imprevista nell’ambito paesano poiché assai recente, «troppo al passo con la modernità sconosciuta d’oltre frontiera» [74].
Assai interessante è l’allusione a un debito di Meneghello riguardo a Laurence Sterne,
lo scrittore di Tristram Shandy e del Viaggio sentimentale in Italia. L’autore vicentino è affascinato dal letterato del Settecento inglese. Il rapporto di comunanza culturale tra i due artisti è remoto. Tra l’attacco di Libera nos a malo e l’assetto di Tristram Shandy esiste una affinità. Per esempio la parola «ghiribizzo» [75], assai apprezzata dallo scrittore maladense, ha ripercussioni sterniane. Occorre soggiungere che «l’epigrafe greca», situata nel «frontespizio» del libro di Sterne declara: «Non sono tanto le cose in sé, bensì le opinioni riguardanti le cose che disturbano gli uomini» [76].
C’è anche un nesso fra il titolo del libro più importante dell’intellettuale inglese, Vita e opinioni di Tristarm Shandy gentiluomo e la produzione letteraria di Meneghello. Ciò è spiegato dal fatto che i lettori di quest’ultimo sono spesso di fronte «alla sua Vita e alle sue opinioni» [77].
In ogni libro incontriamo frequentemente le tracce delle letture di uno scrittore, come rivela Italo Calvino: «I classici sono quei libri che ci arrivano portando su di sé la traccia delle letture che hanno preceduto la nostra e dietro di sé la traccia che hanno lasciato nella cultura o nelle culture che hanno attraversato (o più semplicemente nel linguaggio o nel costume)» [78].
Baudelaire è, «uno degli autori più amati, anzi lo scrittore citato addirittura come il “mio venerato Baudelaire” da Luigi Meneghello. E sarà opportuno sottolineare la rarità, in Meneghello, di un aggettivo con connotazioni quasi religiose per indicare un poeta, anche se la poesia risulta spesso, nelle sue opere, in primo piano» [79]. Il richiamo letterario di un libro straniero è chiaro nel passo seguente:
«Lotàre! Con la Flora e con la Este, figlie della zia Lena, entrambe più alte di me, si facevano lotte incruente benché accanite, solo per sport. L’arena era la lista di pietra rosa che separa il portico dal cortile. Ci avvinghiavamo (io un po’ so«tto) e restavamo lì dans d’immenses efforts senza combinar nulla.
A volte mie cugine cercavano di trasferire a me la tecnica delle baruffe femminili, tirandomi forte il ciuffo; ma io mi rifacevo agevolmente sui loro capelli lunghi. Quelle due Marfise erano manifestamente più forti di me; mezzo soffocato tra le loro braccia robuste, dovevo mettercela tutta per non farmi stritolare.
Per fortuna le donne non sanno veramente fare la lotta, se no staremmo freschi; è la natura stessa che provvede a bilanciare i suoi mostri. Guai se la lìpara non fosse orba, e la sioramàndola sorda come una campana» [80].
La frase francese «dans d’immenses efforts» è anticipata, nell’originale di Baudelaire, dal sintagma «sans bouger» che nel libro di Meneghello pare essere divenuto parte di «restavamo lì [...] senza combinar nulla».
Si può associare che nell’originale, una poesia nominata La cloche fêlée, cioè «La campana fessa» secondo la traduzione di Bufalino, l’ultima strofa del sonetto rivede un’allegoria tra «l’anima fessa “incrinata dal tedio”» del poeta e «il rantolo sordo di un ferito “scordato sotto un mucchio di uccisi”, in riva a un gran lago di sangue». Quest’ultimo si spegne proprio «sans bouger, dans d’immenses efforts» [81].
Inoltre il nome della cugina Flora rammenta accidentalmente il comparire del poeta francese e delle sue Fleurs du mal e,
«forse per opposizione, il riferimento baudelairiano quasi epico, e con il cupo riferimento alla morte, venga trasferito al mondo dei giochi maladensi dei ragazzini e della vita, e diventi insomma parte dei Fiori di Malo, od anche, ancor più vicino al genere grammaticale del francese Le Flore di Malo. Del resto la preferenza per i fiori, anche italiani, è accertata in Meneghello e il suo libro con questo titolo venne infatti catalogato tra quelli di botanica nel repertorio dei libri italiani in commercio, come ho potuto constatare di persona» [82].
La parola sostanziosa «campana» del titolo baudelairiano rimanda al finale del capitolo 6 del racconto per determinare il gioco del saltello «Kan-Pa-Non» [83], ma anche per segnare la complessità della connessione col tempo perduto. È insolito che il passo di inaugurazione sopracitato si compia «con il termine campana usato in un contesto proverbiale, ma con l’effettiva equivalenza tra la campana sorda e la campana fessa» [84].
In questa stessa opera, potrebbe esserci un rimando ambiguo a un libro ironico e assai spassoso di Max Beerbohm sulla Oxford nel corso degli anni Venti, Zuleika Dobson, nel quale una bellissima bambina durante una visita al nonno, un direttore di un collegio, fa affascinare l’intera squadra canottieri e in realtà quasi tutti gli allievi della famosa università.
Meneghello scrive: «[...] nessuna donna credo fu mai tanto amata in paese, e da tanti, e così fulmineamente come la pallida Sidonia» (Ivi : 46). Questa donna ostacola la squadra di calcio di giocare, come chiarisce l’io parlante allo zio Dino: «Dissi che avevo sospeso la partita perché avevo mezza squadra innamorata. “E della stessa donna”, aggiunsi gravemente» [85].
Splendido è il richiamo al poeta americano, Steven Wallace.
Il suo terzo testo, leggermente rielaborato in Libera nos a malo, porta il lettore su un altro livello. Il riferimento ci palesa che cosa si possa fare con i termini stranieri, come un angelo possa provare a esprimersi con gli sgarbati, «usando frasi scultoree e a loro modo auliche (e ironiche)» [86]. Nel libro originale un contadino appare all’attacco per comunicare l’esitazione di chi non comprende chi c’è alla soglia e allora l’angelo gli dice: «Io sono l’angelo della realtà, visto per un attimo alla porta» [87]. Nel suo monologo che accenna alla relazione tra «essere e sapere», l’angelo si riconosce «uno di loro» e Meneghello giunge alla conclusione che «[...] essere uno di voi / è essere e sapere ciò che sono e che so»[88].
Da questo punto
«si capisce che la concezione artistica di Meneghello non si concentra soltanto sull’individuo e sulla sua peculiarità, come potrebbe sembrare, ma cerca una rete di significati, cerca, come in Gadda, le cause dell’essere e del sapere, ma anche il significato dell’identità che si trova in una rete di rapporti tra uguali. Mi sembra dunque che il sottotesto filosofico abbia anche, come spesso in Meneghello, valenze che sono abbastanza chiaramente politiche in senso lato» [89].
Il microcosmo incantevole di Malo, di qualche posto mitico e dell’universo naturale delle piante e degli animali, può probabilmente essere descritto e riepilogato paradossalmente da qualche verso di Emily Dickinson: «Natura è ciò che noi vediamo: la collina, il meriggio, lo scoiattolo? / l’eclisse, il calabrone, natura è Paradiso. / [...] / così impotente la nostra saggezza / contro la sua semplicità» [90].
Meneghello passa la sua prima giovinezza nell’Italia fascista con la retorica patriottarda del tempo e con le scritture artistiche e critiche italiane che conservano tantissime «chiacchiere», poi frequenta la cultura inglese e americana. L’intellettuale è sedotto dalla nuova cultura e dalle lingue straniere che rappresentano quasi un’opportunità, «come respirare aria nuova» [91].
L’artista parla spesso di «poeti [...], piuttosto che prosatori; inglesi e americani non meno che italiani e francesi».[92] In un’intervista di G. Imperatori, egli afferma: «Mi entra nell’animo soltanto il tipo di espressione letteraria che si incontra tipicamente nella poesia ma che non è necessariamente in versi» [93].
I libri di grande interesse sono quindi testi poetici, e soprattutto quelli che rievocano frequentemente il problema del tempo e del ricordo, argomento sicuramente nodale nella scrittura letteraria di Meneghello.
Importanti sono anche scrittori come Hugo, Mann, Kafka che parlano di problemi storici e dei rapporti degli uomini con la storia, con il ricordo o con l’affanno personale. È certo che i romanzieri preferiti dall’autore di Malo sono quelli che utilizzano l’ironia e il sarcasmo, vale a dire l’aspetto ludico del linguaggio.
Dialoghi Mediterranei, n. 73, maggio 2025
Note
[1] Intertestualità significa la facoltà che i testi possiedono di rifarsi l’uno all’altro, di creare una conversazione espressiva e incisiva in forza delle risonanze, delle relazioni, dei richiami che frequentemente si fondano fra le parole, le frasi, i brani indimenticabili della scrittura ricercata.
[2] Una sgrammaticata grammatica, Luigi Meneghello per immagini, in Volta la carta la ze finia, Luigi Meneghello, Biografia per immagini, a cura di Giuliana Adamo e Pietro De Marchi, Prima edizione, («Visioni»), Pavia, Effigie, 2008, cit.: 92.
[3] Franco Marenco, Intertestualità divertente, in Per Libera nos a malo, A 40 anni dal libro di Luigi Meneghello, Atti del convegno internazionale di studi “In un semplice ghiribizzo” (Malo, Museo Casabianca, 4-6 settembre 2003), a cura di Giuseppe Barbieri e Francesca Caputo, Cornuda (Treviso), Terra Ferma, 2005, cit.: 46.
[4] Ibidem, cit.
[5] Silvio Ramat, Luigi Meneghello e la memoria dei poeti italiani, in Per Libera nos a malo, cit.: 51.
[6] Carlachiara Perrone, «Ceramica linguistica»: La scrittura di Luigi Meneghello, Volume 35, Volume pubblicato con il contributo dell’Università di Salento, Dipartimento di Filologia, Linguistica e Letteratura, («Galatina»), S.l, Congedo, 2008, cit.: 23.
[7] Francesca Caputo, Cronologia, in Luigi Meneghello, Opere scelte, Progetto editoriale e introduzione di Giulio Lepschy, A cura di Francesca Caputo con uno scritto di Domenico Starnone, Quarta edizione, («I Meridiani»), Verona, Mondadori, 2010, cit.: CXXVIII.
[8] Ernestina Pellegrini, Luigi Meneghello, («Scritture in corso, 7»), Collana diretta da Giuseppe Nicoletti, Firenze (Fiesole), Cadmo, 2002, cit.: 19.
[9] Ivi: 153.
[10] Francesca Caputo, Cronologia, in Luigi Meneghello, Opere scelte, cit.: CI.
[11] Ivi, cit.: C.
[12] Luciano Zampese, La forma dei pensieri, Per leggere Luigi Meneghello, («Strumenti di Letteratura Italiana, 43»), Collana diretta da Franco Musarra, Firenze, Franco Cesati, 2014, cit.: 167.
[13] Anna Gallia, «Le proprietà elettromagnetiche del discorso poetico», Meneghello e Dante, in Luigi Meneghello, trapianti e interazioni linguistiche, a cura di Cecilia Demuru e Anna Gallia, («”Autografo”, 45»), Rivista di letteratura fondata da Maria Corti, Diretta da Maria Antonietta e Angello Stella, anno XXIII, Novara, Interlinea, 2015, cit.: 100.
[14] Franco Marenco, Intertestualità divertente, in Per Libera nos a malo, cit.: 47-48.
[15] Luciano Zampese, La forma dei pensieri, cit.: 168.
[16] Anna Gallia, «Le proprietà elettromagnetiche del discorso poetico», Meneghello e Dante, in Luigi Meneghello, trapianti e interazioni linguistiche, cit.: 98.
[17] Luigi Meneghello, Libera nos a malo, con un saggio di Cesare Segre, Ottava edizione, («i grandi romanzi BUR»), Bergamo, Rizzoli, 2007, cit.: 87.
[18] Luciano Zampese, La forma dei pensieri, cit.: 68.
[19] Luigi Meneghello, Libera nos a malo, con un saggio di Cesare Segre, cit.: 35.
[20] Diego Zancani, Montale in Meneghello, in Su/Per Meneghello, a cura di Giulio Lepschy, («Saggi di cultura contemporanea, 144»), Milano, Comunità, 1983, cit.: 110.
[21] Luigi Meneghello, Libera nos a malo, con un saggio di Cesare Segre, cit.: 35.
[22] Ibidem, cit.
[23] Ibidem, cit.
[24] Ivi, cit.: 35-36.
[25] Diego Zancani, Montale in Meneghello, in Su/Per Meneghello, cit.: 111.
[26] Luigi Meneghello, Libera nos a malo, con un saggio di Cesare Segre, cit.: 43-44.
[27] Diego Zancani, Montale in Meneghello, in Su/Per Meneghello, cit.: 111-12.
[28] Ivi, cit.: 112.
[29] Ibidem, cit.
[30] Luigi Meneghello, Libera nos a malo, con un saggio di Cesare Segre, cit.: 50.
[31] Diego Zancani, Montale in Meneghello, in Su/Per Meneghello, cit.: 112.
[32] Luigi Meneghello, Libera nos a malo, con un saggio di Cesare Segre, cit.: 214.
[33] Diego Zancani, Montale in Meneghello, in Su/Per Meneghello, cit.: 112.
[34] Luigi Meneghello, Libera nos a malo, con un saggio di Cesare Segre: 282.
[35] Diego Zancani, Montale in Meneghello, in Su/Per Meneghello, cit.: 112.
[36] Fernando Bandini, Dialetto e filastrocca infantile in Libera nos a malo e Pomo pero, in Su/Per Meneghello, cit.: 75.
[37] Luigi Meneghello, Libera nos a malo, con un saggio di Cesare Segre, cit.: 156.
[38] Ivi, cit.: 235.
[39] Ivi, cit.: 224.
[40] Ivi, cit.: 235.
[41] Ivi, cit.: 239.
[42] Ivi, cit.: 153.
[43] Ivi, cit.: 231.
[44] Ivi, cit.: 235.
[45] Ivi, cit.: 81.
[46] Stefano Brugnolo, Malo come forma di vita tra passato e futuro, in Tra le parole della «virtù senza nome», La ricerca di Luigi Meneghello, Atti del convegno internazionale di studi Malo, Museo Casabianca 26-28 giugno 2008, a cura di Francesca Caputo, Premessa di Giuseppe Barbieri e Francesca Caputo, («Biblioteca di “Autografo”, 12»), fondata da Maria Corti, Novara, Interlinea, 2013, cit.: p. 65.
[47] Luigi Meneghello, Libera nos a malo, con un saggio di Cesare Segre, cit.: 141.
[48] Giulio Lepschy, Introduzione, a Luigi Meneghello, Opere scelte: LXXI.
[49] Luigi Meneghello, Libera nos a malo, con un saggio di Cesare Segre, cit.: 110.
[50] Giulio Lepschy, Introduzione, a Luigi Meneghello, Opere scelte: LXXI-LXXII.
[51] Luigi Meneghello, Libera nos a malo, con un saggio di Cesare Segre, cit.: 110.
[52] Giulio Lepschy, Introduzione, a Luigi Meneghello, Opere scelte, cit.: LXXII.
[53] Ibidem, cit.
[54] Ivi, cit.: LXXIII.
[55] Franco Marenco, Intertestualità divertente, in Per Libera nos a malo: 48.
[56] Luigi Meneghello, Libera nos a malo, con un saggio di Cesare Segre, cit.: 88.
[57] Ibidem, cit.
[58] Ivi, cit.: 154.
[59] Franco Marenco, Intertestualità divertente, in Per Libera nos a malo: 49.
[60] Anna Gallia, «Le proprietà elettromagnetiche del discorso poetico», Meneghello e Dante, in Luigi Meneghello, trapianti e interazioni linguistiche, cit.: 95.
[61] Ivi, cit.: 94.
[62] Zygmunt G. Barański, Alle origini della narrativa di Meneghello, in Su/Per Meneghello, cit.: 100.
[63] Luigi Meneghello, Libera nos a malo, con un saggio di Cesare Segre, cit.: 204.
[64] Ivi, cit.: 247.
[65] Silvio Ramat, Luigi Meneghello e la memoria dei poeti italiani, in Per Libera nos a malo, cit.: 68.
[66] Luigi Meneghello, Libera nos a malo, con un saggio di Cesare Segre, cit.: 102.
[67] Ivi, cit.: 108.
[68] Ivi, cit.: 235.
[69] Silvio Ramat, Luigi Meneghello e la memoria dei poeti italiani, in Per Libera nos a malo, cit.: 68.
[70] Luigi Meneghello, Libera nos a malo, con un saggio di Cesare Segre, cit.: 113.
[71] Ivi, cit.: 144.
[72] Ivi, cit.: 150.
[73] Ivi, cit.: 153.
[74] Diego Zancani, Le Flore di Malo ovvero Meneghello e la citazione di autori stranieri, in Per Libera nos a malo, cit.: 74.
[75] Luigi Meneghello, Libera nos a malo, con un saggio di Cesare Segre, cit.: 245.
[76] Diego Zancani, Le Flore di Malo ovvero Meneghello e la citazione di autori stranieri, in Per Libera nos a malo, cit.: 75.
[77] Ivi, cit.: 76.
[78] Ibidem, cit.
[79] Ivi, cit.: 73.
[80] Luigi Meneghello, Libera nos a malo, con un saggio di Cesare Segre, cit.: 48.
[81] Diego Zancani, Le Flore di Malo ovvero Meneghello e la citazione di autori stranieri, in Per Libera nos a malo, cit.: 76.
[82] Ibidem, cit.
[83] Luigi Meneghello, Libera nos a malo, con un saggio di Cesare Segre, cit.: 44.
[84] Diego Zancani, Le Flore di Malo ovvero Meneghello e la citazione di autori stranieri, in Per Libera nos a malo, cit.: 77.
[85] Luigi Meneghello, Libera nos a malo, con un saggio di Cesare Segre, cit.: 46.
[86] Diego Zancani, Le Flore di Malo ovvero Meneghello e la citazione di autori stranieri, in Per Libera nos a malo, cit.: 78.
[87] Luigi Meneghello, Libera nos a malo, con un saggio di Cesare Segre, cit.: 201.
[88] Ivi, cit.: 248.
[89] Diego Zancani, Le Flore di Malo ovvero Meneghello e la citazione di autori stranieri, in Per Libera nos a malo, cit.: 78.
[90] Ernestina Pellegrini, La scrittura notturna di Luigi Meneghello, in Tra le parole della «virtù senza nome», cit.: 151.
[91] Diego Zancani, Le Flore di Malo ovvero Meneghello e la citazione di autori stranieri, in Per Libera nos a malo, cit.: 81.
[92] Luigi Meneghello, «Vorrei far splendere quella sgrammaticata grammatica», in Il tremaio, Note sull’interazione tra lingua e dialetto nelle scritture letterarie, con interventi di Cesare Segre, Ernestina Pellegrini e Giulio Lepschy, («Biblioteca di Lingue e Culture Locali, 2»), Collana diretta da Gabrio Vitali e Giulio Orazio Bravi, Bergamo, Pierluigi Lubrina, 1986, cit.: 23.
[93] Francesca Caputo, Libera nos a malo, Notizie sui testi, in LUIGI MENEGHELLO, Opere scelte, cit.: 1622.
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Rabeb Ben Abdennebi, nata in Tunisia, dottoressa in letteratura italiana contemporanea ha ottenuto il master nel 2015 e il dottorato nel 2021 presso la Facoltà delle Lettere e delle Umanistiche della Manouba. All’inizio ha insegnato presso l’Istituto delle Lingua Applicate di Moknine dell’Università di Monastir. Attualmente è docente presso la Manouba.
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