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Leonardo Sciascia e i suoi editori

Posted By Comitato di Redazione On 1 marzo 2021 @ 02:21 In Cultura,Società | No Comments

 

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Sciascia, di Tullio Pericoli

di Mario G. Giacomarra

Il contesto: la Strada degli scrittori

Leonardo Sciascia nasce a Racalmuto (Agrigento) l’8 gennaio 1921 e muore a Palermo il 20 novembre 1989. È scrittore, saggista, giornalista, politico, poeta oltre che drammaturgo, ma prima di tutto è maestro elementare, spirito libero e grande anticonformista, lucidissimo e impietoso critico del tempo. Pensando a lui, il pensiero non può non collegarsi alla Sicilia e pochi autori hanno un legame più viscerale e profondo con la terra d’origine del nostro che cerca di rappresentarne un che di più, staccandosi dagli stereotipi romantici e nazionalistici, dal verismo e dalla letteratura polemicamente detta da “stato d’assedio”.

Accolto con malcelato imbarazzo, Il contesto appare nel 1971 ma viene scritto prima dell’omicidio del giudice Scaglione, come l’autore ha modo di precisare: su un caso di cronaca si dipana la storia di un uomo che ammazza un giudice e di un poliziotto che si fa suo alter ego, in un paese immaginario che ricorda l’Italia e la Sicilia in particolare. Anni dopo il nostro riapre l’inchiesta, svelando e accrescendo il mistero al punto che nel romanzo si riconosce il primo rendiconto sobrio e veritiero di un’Italia complessa e contorta qual è ancora oggi. Da parte sua, l’autore è sempre consapevole che Il contesto si configuri come una vera “mala azione”, del genere di quelle che Vitaliano Brancati consigliava di commettere ogni tanto per rivitalizzarsi: è quanto si è verificato puntualmente se da allora si apre la stagione più sperimentale e innovativa dell’attività letteraria, quella di Todo modo e Candido, della Scomparsa di Majorana e soprattutto L’affaire Moro.

Perché apriamo la presentazione di Sciascia editor con un’ampia riflessione sul Contesto? La risposta è che quello a cui ci riferiamo è un contesto sì, ma più d’altro è un “contesto di situazione” in cui si ritrovano i necessari riferimenti alla sua attività letteraria e intellettuale: il contesto in questione ritorna oggi nella recente iniziativa della Strada degli scrittori per come è stata pensata e si va realizzando.

La Strada degli scrittori costituisce un’iniziativa culturale in cui Sciascia la fa da padrone su tanti altri, in compagnia di Andrea Camilleri. Si tratta di un itinerario che invita a ripercorrere i luoghi vissuti e amati dagli scrittori e quelli descritti nei romanzi, a contatto con i volti e le persone ricostruite in dettaglio in tante pagine di letteratura e teatro. Il progetto prende corpo dietro la proposta di Felice Cavallaro, giornalista del Corriere della Sera, condivisa e sottoscritta con protocollo d’intesa firmato l’11 novembre 2013 a Racalmuto e la Strada viene dedicata a Pirandello, Sciascia e Camilleri, oltre che agli altri scrittori e intellettuali che nati e operanti in quest’area compresa fra l’Agrigentino e il Nisseno. Quanto alle attività che la Strada intende intraprendere e portare avanti è di grande rilievo il Progetto che è stato appena disegnato ed è in corso di realizzazione.

La Strada degli scrittori è la SS 640, Nisseno-agrigentina, va da Racalmuto a Porto Empedocle, passando per Favara e Agrigento fino a Caltanissetta. Essa unisce cultura e turismo nei luoghi siciliani in cui sono nati e hanno operato scrittori oltre che intellettuali di rilievo: Luigi Pirandello, Leonardo Sciascia, Andrea Camilleri, Giuseppe Tomasi di Lampedusa, Antonio Russello, Rosso di San Secondo, Vitaliano Brancati, Stefano Vilardo, Emanuele Macaluso. Essa attraversa la Valle dei Templi, unendo i luoghi vissuti dai grandi scrittori in un circuito turistico-culturale che induce visitatori a intrattenervisi per godere di tutte le ricchezze artistiche e archeologiche, naturalistiche e enogastronomiche.

In una sessantina di km si torna a vivere la grande emozione di rivedere luoghi vissuti dagli scrittori o descritti nelle loro opere, oltre che scoprire autentici tesori lungo un percorso fatto di teatri, castelli, palazzi, musei e paesaggi: dal Caos, casa natale di Pirandello, all’antica Girgenti, alle miniere di Racalmuto, al Castello Chiaramontano e al teatro Regina Margherita dove tornano a vivere le pagine di Morte dell’Inquisitore, per finire alla Noce, l’oasi che per Sciascia fu sempre il luogo ideale in cui ritirarsi a scrivere. Lo svincolo di Racalmuto della nuova statale, a 600 metri da contrada Noce, costituisce l’accesso dei visitatori alla Strada degli scrittori prima di tornare sulla 640 e ripercorrerla fino a Caltanissetta, che per il nostro fu sempre la “piccola Atene”, vero e proprio cenacolo culturale con protagonisti gli intellettuali del tempo.

Alla Strada degli scrittori è stata di recente assicurata la disponibilità della Regione siciliana a sostenere le iniziative assunte nel corso degli anni. L’Ente ha impegnato i suoi dipartimenti, compatibilmente con i compiti d’istituto, le norme di riferimento e le disponibilità finanziarie, a utilizzare, nonché sensibilizzare, la propria rete di intervento per costituire percorsi adeguati lungo i siti archeologici, le cantine sociali e i centri enogastronomici per far conoscere a tutti produzioni locali di pregio, siti naturalistici e accoglienza con relativi servizi. Assume grande rilievo l’esigenza di coinvolgere le comunità locali, le amministrazioni, le associazioni di promozione operanti nel territorio, le filiere enogastronomiche, comprendendovi gli agriturismi e gli imprenditori, gli albergatori e i ristoratori, i teatri e le scuole (Cavallaro 2015).

I libri: esperienze con l’editoria nazionale

Nell’intervista rilasciata quarant’anni fa a Marcelle Padovani la giornalista francese constata un particolare stato d’animo dello scrittore e in proposito mette per iscritto osservazioni di rilievo.

«Leonardo Sciascia è sempre vissuto in Sicilia. Il ‘continente’ lo attraversa solamente, ed è anche questa un’antica tradizione siciliana, per recarsi a Parigi dove va regolarmente a tuffarsi nella vita politica e culturale d’avanguardia di quella che per i siciliani è da sempre la capitale d’Europa» (Padovani, in Sciascia 1979).

A conferma dell’attaccamento dello scrittore all’Isola, e al paese d’origine in particolare, bastino le annotazioni fatte in prima persona dallo scrittore.

«Tutti amiamo il luogo in cui siamo nati, e siamo portati ad esaltarlo. Ma Racalmuto è un paese straordinario. Oltre al circolo e al teatro, che richiamava un tempo le compagnie più in voga, di Racalmuto amo la vita quotidiana, che ha una dimensione un po’ folle. La gente è molto intelligente, tutti sono come personaggi in cerca d’autore… Quando sono nate le nostre due figlie e abbiamo dovuto trasferirci a Caltanissetta perché potessero frequentare il liceo, e poi a Palermo perché andassero all’università, si è trattato di decisioni che mi sono costate molto. Questo perché preferisco vivere nel mio paese, dove ci si conosce tutti, dove chiunque può essere se stesso, circondato com’è da gente che non ignora niente d’importante sul suo conto. Credo però anche che la vita di paese sia una fonte incomparabilmente ricca di osservazioni» (ibidem).
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Sciascia di Nicolò D’Alessandro

È stato rilevato che se Sciascia non fosse stato scrittore si sarebbe lasciato tentare dall’avventura nell’editoria e, nei fatti, ha sempre avuto a che fare con gli editori, a partire dagli anni Cinquanta a Caltanissetta dove opera ancora oggi l’editore e libraio Salvatore Sciascia. Il lavoro di editor che svolge per conto del suo omonimo va dalla rivista Galleria ai rispettivi Quaderni, passando da titoli solo suggeriti ad altri proposti per opere in traduzione che si raccomandano per il rilievo dei diversi volumi e per i temi monografici della rivista, oltre che per il percorso editoriale nel suo complesso, più ancora se si considera che i due Sciascia stavano allora a operare in un centro che rimane ancora oggi di provincia.

Sin dall’inizio, però, saggi e interventi dello scrittore vengono ospitati in collane di editori nazionali: subito dopo gli esordi dell’esperienza letteraria, si trova così inserito in un circuito culturale di dimensioni nazionali, non tralasciando editori regionali tutte le volte che gli è possibile. Le prime opere sono testimonianze di una Sicilia «sequestrata alla ragione, alla libertà e alla giustizia» e costituiscono prove generali di opere pubblicate dal poeta romanesco Mario dell’Arco da Bardi, piccolo ed elegante editore della capitale: Favole della dittatura (1950) e La Sicilia, il suo cuore (1952). Recensite da Pasolini, costituiscono riadattamenti e reinterpretazioni del modello fedriano di favola: ventisette testi brevi di prosa raffinata, a partire dalla riscrittura de Il lupo e l’agnello, cui segue una raccolta di poesie con disegni di Emilio Greco. Nei primi anni Cinquanta, compiuti i trent’anni e continuando a fare solo il maestro di scuola elementare nella provincia nissena, Sciascia arricchisce le sue collaborazioni a riviste a diffusione nazionale come Letteratura, L’esperienza poetica e Nuova Corrente della quale è anche redattore dal 1955 al ’58: nella prima pubblica due articoli, uno su Luigi Natoli (Memoria di William Galt, 1953) e un altro sul commissario Maigret (Giacomarra 2010).

Non manca di intervenire spesso sui quotidiani e così inaugura l’attività di pubblicista su Vita siciliana, edito a Caltanissetta grazie alla disponibilità di Mario Farinella: parte da una timida recensione a Quasimodo del novembre 1944 e due mesi dopo passa a scrivere corsivi per la rubrica “Foglio ultimo” del giornale in cui tratta questioni che dal piano letterario passano a quello politico. Anni dopo si impegna in una dura battaglia a favore del realismo mentre alle pubblicazioni su rivista continua ad affiancare fino al 1948 l’impegno su quotidiani come Sicilia del popolo e Gazzetta di Parma: nel primo scrivono Mario Luzi, Giovanni Spadolini e Carlo Bo, ed è qui che Sciascia pubblica articoli su Diaz del Castillo, su una polemica letteraria nata fra Giovan B. Angioletti e Vitaliano Brancati, su Joseph W. Beach (Gullo, Ferlita 2007).

Negli stessi anni il nostro torna più volte sul giallo, a conferma di un interesse antico e meditato che si realizzerà in pieno nelle opere della maturità. In Letteratura del giallo (in “Letteratura”, 1953) vi ravvisa la parte più interessante del romanzo in quanto tale, quella che riserva le sorprese più autentiche, e non manca di richiamarsi a Poe, Conan Doyle, Chandler, Christie, Gadda e Soldati. Negli Appunti sul giallo (in “Nuova Corrente”, 1954) la letteratura gratuita del terrore e del crimine gli appare la manifestazione moderna del sentimento del sacro, dal che fa derivare un elogio della tecnica poliziesca di Soldati capace di assumere la realtà avvolgendola in un’aria a dir poco metafisica (recensione in “Galleria”, 1952/53). Si rivela interessante infine una nota su Jorge Luis Borges, Le ‘invenzioni di Borges (in “Gazzetta di Parma”, 1955) nel quale ravvisa la tendenza dello scrittore allora poco noto a scrivere del poliziesco ricorrendo a materiali filologici (Onofri 2004).

Dalla dimensione regionale alla ribalta nazionale

A metà degli anni Cinquanta maturano le condizioni per il passaggio del nostro oltre lo Stretto: non più articoli o saggi su rivista ma romanzi e, ancor prima, raccolte di racconti. Nell’intervista dianzi richiamata annota fatti di non poco conto.

«C’è stato un progressivo superamento dei miei orizzonti, e poco alla volta non mi sono più sentito siciliano. Mi sento piuttosto uno scrittore italiano che conosce bene la realtà della Sicilia e continua a esser convinto che la Sicilia offra la rappresentazione di tanti problemi, di tante contraddizioni, non solo italiani ma anche europei, al punto da poter costituire la metafora del mondo odierno» (Sciascia 1979).
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Sciascia di Totò Bonanno

Negli anni Sessanta è già a Milano e qui, con Gaetano Trombatore, progetta per l’editore Mursia una Biblioteca siciliana, dove pensa di accogliere tra i primi il poeta Serafino Amabile Guastella, progetto mai realizzato. È qui che si susseguono le tappe di una storia più volte ricostruita: viene per prima Cronache scolastiche che, partendo dal compito che ogni insegnante assolve a fine anno, costituisce il resoconto conclusivo dell’anno scolastico spesso redatto di mala voglia, il che lo convince a redigerne una cronaca più vera e, dopo averla completata, consegna il manoscritto a Italo Calvino che lo destina alla pubblicazione su “Nuovi argomenti” dove compare nel 1955, e nello stesso anno pubblica Memorie vicine su “Nuova Corrente”. I testi in questione costituiscono il nucleo originario di Le Parrocchie di Regalpetra, libro già pronto proprio nell’anno in cui Vito Laterza chiede a Sciascia di scriverne uno sulla vita di un paese siciliano; Le Parrocchie viene subito accostato alle inchieste a metà fra sociologia e storia locale che numerose compaiono negli anni Cinquanta al punto di mettere Sciascia accanto a molti intellettuali, autori di saggi-denuncia ed epigoni di un certo realismo; il “saggio in forma di romanzo”, com’è definito, viene pubblicato nel 1956 nella collana laterziana dei “Libri del tempo” in cui stanno già Contadini del sud e L’uva puttanella di Rocco Scotellaro, Un popolo di formiche di Tommaso Fiore e I minatori della Maremma di Carlo Cassola e Luciano Bianciardi (Onofri 2004).

Il sodalizio con Laterza non dura a lungo: nel marzo 1956 viene completato il racconto La zia d’America e nel settembre dello stesso anno ne è pronto un secondo dal titolo provvisorio Stalin (mutato poi in La morte di Stalin) e i due testi vengono sottoposti al vaglio editoriale di Italo Calvino per farli confluire in un “Gettone”, che allora è tra le più prestigiose collane dell’editore Einaudi. Nel settembre 1957 porta a termine Il quarantotto e ne dà ancora notizia a Calvino solo alludendo a un lavoro da poco intrapreso, Il giorno della civetta. A fine anno presenta sia il primo che il terzo racconto al concorso per inediti “Libera stampa” di Lugano riunendoli sotto un titolo unico, Due storie italiane. Nell’autunno 1958 nei “Gettoni” di Einaudi infine esce “il trittico”, per come vengono indicati i tre racconti nella lettera a Calvino: il titolo è Gli zii di Sicilia sebbene il nostro continui a sostenere che Laterza e Einaudi restano editori esterni al suo mondo, estranei alla Sicilia anche se il suo pensiero sull’Isola vi stava dentro come non mai (ibidem).

Dalla fine degli anni Cinquanta nasce il lungo sodalizio con Einaudi che, da parte sua, ospita Sciascia nelle sue collane più prestigiose: “I gettoni”, la collana di Elio Vittorini destinata a lasciare più di un’impronta sull’attività letteraria di quegli anni, e “I Coralli”, collana nata nel 1947 dai “Narratori contemporanei” e segnata sin dall’inizio dall’impegno di Cesare Pavese. Alle collane predette nel 1971 seguono “I nuovi coralli”, destinata a ospitare un ampio ventaglio di opere affermate e di novità italiane e straniere, e “Gli Struzzi”, collana di letteratura nata l’anno prima e diretta a riproporre classici, narrativa, poesia e teatro contemporanei prima che vi confluiscano seconde e terze edizioni di volumi già usciti (Aa.Vv. 1983).          

Ed entriamo così negli anni Sessanta. Ad agosto ‘64 Sciascia porta a termine in una settimana L’Onorevole, “commedia che non è una commedia”, rappresentata in Sicilia nello stesso anno e pubblicata il successivo. La commedia scopre alcuni punti nevralgici della “cultura civile” dello scrittore, forieri di grande sviluppo: a coglierli per primo in una lettera del 26 ottobre è Italo Calvino, il quale non manca di ammirare l’impianto naturalistico dei primi due atti e segnala come nel terzo la stessa vicenda finisca col disintegrarsi, aggredita da quelli che sono i sensi dell’irrazionale in letteratura. In ogni caso, la commedia viene ospitata nella “Collezione di teatro” che accoglie testi teatrali di gran rilievo. Nel lungo sodalizio con Einaudi casi a parte sono le Letture per la scuola media con le quali, a partire dal 1965, l’editore risponde alle richieste della nuova scuola media appena inaugurata; pure a parte è la serie dei Saggi che, pubblicati a partire dal ‘37, indicano e sviluppano linee culturali sempre sostenute da un forte impegno civile; rimangono per ultimi saggi di arti figurative e musica, filosofia e politica che in parte confluiscono in La corda pazza (1970).

Nei decenni successivi torna a farsi forte l’interesse di Sciascia per Pirandello e l’Isola proprio mentre nasce il sodalizio con una casa editrice fuori della Trinacria, Adelphi: nel 1986, sotto forma di supplemento all’Espresso, appare Pirandello dalla A alla Z, dizionarietto che viene rifuso e ampliato nel 1989 per lo stesso editore col titolo Alfabeto pirandelliano. Le ragioni del profondo interesse per il drammaturgo ritornano in un articolo apparso nello stesso anno su MicroMega: in Pirandello, mio padre ne associa il nome a Kafka e Borges e sostiene di apprezzare la “religiosità pirandelliana”; un altro passaggio fa andare il nostro verso Bompiani dove pubblica La strega e il capitano, pensato per la nascita di Manzoni, e l’Almanacco Bompiani, di cui cura Omaggio a Pirandello. Almanacco Bompiani 1987 nel cinquantenario della morte (Giacomarra 2010).

Non passa molto che torna ad Adelphi: qui nel 1986 appare 1912+1 in cui riprende lo scaramantico modo dannunziano di indicare il numero 13. Per lo stesso editore, ma l’autore è già malato, nel 1989 esce Una storia semplice, steso in breve tempo, «ultima distrazione dai morsi della malattia», un giallo con soluzione finale che va in libreria il giorno stesso della morte. L’ultimo libro è A futura memoria (se il futuro ha una memoria) che esce postumo ancora per i tipi della Bompiani e con la prefazione scritta a ridosso della morte: vi si ritrovano tutte le infiammate requisitorie civili e politiche dello Sciascia degli anni Ottanta e le discussioni sull’antimafia con i fraintesi difficili da chiarire sui Professionisti dell’antimafia allorché fu costretto a contrastare amaramente e smentire sull’Espresso del gennaio 1987 l’idea stessa che avesse inteso attaccare le presunte ambizioni politiche del giudice Borsellino.

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Sciascia di Piero Guccione

I giornali: l’attenzione ancora e sempre rivolta alla Sicilia

La collaborazione di Sciascia con l’Espresso risale a tredici anni prima dal momento che il 27 gennaio 1974 lì era uscito Le zie di Sicilia in cui attaccava quello che chiamava “il terribile matriarcato siciliano” suscitando posizioni duramente critiche di Carla Ravaioli sul Giorno e Dacia Maraini su Paese sera. Prima ancora a interessare è il ritorno a scrittori e artisti dell’Isola in relazione ai quali, introducendo l’antologia Narratori di Sicilia (1967), indica nel realismo il carattere proprio della narrativa siciliana, comprendendovi la dimensione fantastica di Nino Savarese e su questo non mancano i giudizi sul saggista e sul narratore.

«Il saggista rimane sempre un passo indietro rispetto al narratore: quanto al sistema degli auctores, [nel quale] puntava soprattutto ad offrirci una gerarchia di valori che si qualificassero come necessari… c’è nel primo Sciascia una complessiva pronuncia vittoriniana che affonda le radici in un acuto sentimento della Sicilia come mondo offeso» (Perrone 2007).

Nei fatti, Elio Vittorini resiste nel giudizio positivo dello scrittore, ma non per molto: fino a La Sicilia nel cinema (1963) vi vede ancora il momento centrale di una tradizione che, movendo da Verga, giunge sino a Brancati e Quasimodo; da allora in poi il modo di valutare il critico vanno in caduta libera.

«Sono gli anni in cui Vittorini si interroga con caparbia insistenza su quella funzione conoscitiva che la letteratura deve avere nella realtà industriale. Nel 1961 egli apre il dibattito con l’editoriale del n. 4 del Menabò sul tema “Industria e letteratura” e qui non riesce a seguirlo più di tanto: la Sicilia con il modo di sentirla e di raccontarla è il punto dolente che diverrà fattore di divisione e di incomprensione tra i due scrittori» (ibidem).

Da qui parte una crescente presa di distanze fino al 1981 quando finisce col giudicare quella di Conversazione una “Sicilia tradotta”, ritenendo esemplari solo le pagine di Diario in pubblico; sono in forte rialzo invece le quotazioni di Tomasi di Lampedusa e appare importante la riabilitazione di Giuseppe Antonio Borgese che nel 1968 viene annoverato fra gli studiosi di Pirandello degni di nota (Onofri 2004).

Se prima di articoli e interventi sul giornale L’Ora vediamo quelli degli anni Settanta e Ottanta su Corriere della Sera e La Stampa, è da dire che solo nel 1968 Sciascia inaugura la collaborazione con il Corriere della Sera e nel 1972 con La Stampa, pur continuando a scrivere anche per il Giornale di Sicilia, Il Manifesto e El País. Risalendo invece a L’Ora degli anni Sessanta è facile rilevare come la presenza dell’Isola nel pensiero sciasciano non venga mai meno mentre la presenza nell’Isola non manca di tornare spesso sul giornale. Un’attiva collaborazione col quotidiano del pomeriggio inizia nel febbraio 1955 con una recensione a Ignazio Buttitta, prosegue a maggio con un attacco alle «teste fasciste non pensanti», e approda poi alla cura di due rubriche, “Quaderno” e “Incidenze e coincidenze”, in cui «mostra una capacità straordinaria di conferire persino ai fatti più marginali e banali una luce inedita e beffarda» (Ferlita 2007).

A metà anni Sessanta nel quotidiano si moltiplicano note e riflessioni dello scrittore: il 2 gennaio 1965 esce un articolo su Francesco Laurana scultore e lascia pensare che protagonista di A ciascuno il suo sia un Laurana, investigatore di un delitto di mafia e d’onore solo in apparenza. Poi una crescente attenzione comincia a incentrarsi su Giuseppe A. Borgese emigrato in America per non piegarsi al fascismo dopo che in un primo cenno apparso a febbraio su L’Ora Sciascia sostiene che solo due scrittori sanno giudicare il fascismo per quello che è stato sin dal primo apparire: Hemingway e Borgese, appunto. Su di lui torna più volte negli ultimi anni di vita fino a farne «una vera e propria ossessione»: in un saggio del 1982, ripreso in Cruciverba, il nostro traccia un bilancio della vicenda umana e letteraria di Borgese e redige uno scritto introduttivo al libro che ne raccoglie gli interventi pubblicati su L’Ora nei primi anni del secolo e non può essere un caso che quando si rende conto di essere prossimo alla morte vuole ancora testardamente dettare alla figlia trenta righe per il Borgese de L’Ora (Onofri 2004).

In tutti gli articoli in esame il fascismo viene indicato come la chiave di volta della vicenda borgesiana ed è significativo il riconoscimento del Borgese editore in quanto direttore della “Biblioteca romantica” di Mondadori quando infine giunge al saggio-romanzo Per un ritratto dell’attore da giovane (1985), un divagante commento alle lettere del giovane Borgese allo zio Giovanni ritrovate in uno studio notarile nel Ragusano: qui prosegue l’interpretazione di epistolari come accade in L’Affaire Moro e in Dalle parti degli infedeli e torna a rivedersi nell’appassionata attività del lavoro editoriale, come accadrà poi nella riscoperta di Maria Messina in un saggio pubblicato da Sellerio. 

Ci sia consentito, a questo, punto, porci una domanda che altri si son posti: Sciascia ha trovato udienza, e successo, fuori dell’Isola ma la sua attenzione rimane incentrata sulla Sicilia. Perché lo fa? Per quello che si è soliti chiamare “amore per la Sicilia”? Per attenzione al meridionalismo? Una possibile risposta è che lo fa per un preciso motivo che proviamo a richiamare.

 «Salvaguardare o recuperare quella vena di vivacità e forza intellettuale posseduta dalla Sicilia, e che ogni ventata di antimeridionalismo pretendeva di cancellare. La Sicilia attirava il suo interesse, rappresentava il suo rovello, costituiva una metafora ricorrente: ma più che sentimento amoroso, gli suscitava una domanda che ritroviamo in Borgese: come si può essere siciliani?» (ibidem).

Ma una risposta di gran lunga più plausibile viene ancora una volta da La Sicilia come metafora dove, tra diverse altre, Marcelle Padovani fa un’osservazione di rilievo.

«Tutta l’opera di Sciascia è pregna della realtà siciliana intesa come luogo della non-ragione, e quindi opposto a Parigi, una Parigi mitica e immutata sin dal XVII secolo, che sarebbe invece il luogo della ragione, come laboratorio dove si fanno tutti gli esperimenti, anche i peggiori, come il teatro d’un eterno ‘malgoverno’ e come il banco di prova del potere» (Padovani in Sciascia 1979).

Una ragione del profondo interesse nutrito per l’Isola si rintraccia proprio nel suo costituire “metafora del mondo”, del mondo in cui la non-ragione, vissuta e più ancora praticata, prevale sulla razionalità astratta, predicata ma non sempre praticata.

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Sciascia di Carla De Gregorio

Sellerio: editori in famiglia

La Casa editrice Sellerio nasce a Palermo sul finire degli anni Sessanta, fondata da Elvira e Enzo Sellerio, fotografo di gran fama, «geniale inventore del formato e della grafica che dà un’identità “corporea” ai libri» occupandosi di fatti tecnici come il formato, le copertine e la carta. A “guidare la barca” è però sin dall’inizio la moglie Elvira Giorgianni e dopo la morte dei genitori è il figlio Antonio a prenderne in mano le redini anche se, da buon bocconiano, preferisce occuparsi di strategie di mercato e di amministrazione. Il catalogo supera ormai da tempo i duemilacinquecento titoli e si avvia a toccare i tremila, con una media di 90 libri all’anno; il primo volume risale al 1969, Mimi siciliani di Francesco Lanza che, già nella confezione a pagine intonse di carta Fabriano, rivela gli orientamenti iniziali cui la Casa rimane sempre fedele per la preziosità della confezione e dei volumi di taglio antropologico e interesse storico che non rimangono mai ai margini dell’industria editoriale. Fondatori e collaboratori pensano che quella editoriale resti un’iniziativa elegante e riservata, e così è sino al 1978 quando esce L’affaire Moro che costituisce una svolta inaspettata, e le migliaia di copie stampate e distribuite in Italia diventano allora un vero e proprio “balzo nel buio” per un’azienda che fino ad allora stampa non più di tremila copie. Senza averne ancora piena consapevolezza in pratica l’editore comincia a «navigare in mare aperto: non più una casa editrice di Palermo, ma nazionale» (Mauri 2007).

Pur presente sin dalla nascita, è da allora che l’anima sciasciana non smette più di permeare di sé la Casa editrice di cui il “maestro di Regalpetra” diviene ispiratore ed editor in compagnia di Salvatore S. Nigro uno dei collaboratori più efficaci e di talento in mezzo ai “grandi vecchi”.

«La storia della più prestigiosa casa editrice palermitana e siciliana si muove sulle spalle dei “grandi vecchi” che come tanti maghi Merlino la proteggono dalle intemperie che ciclicamente si abbattono sul mondo editoriale» (Gullo, Ferlita 2007).

Il primo “grande vecchio” è Leonardo Sciascia che nel dettare la prima linea editoriale fornisce la necessaria copertura culturale che contribuisce a far scalare alla Casa la scena nazionale e a farla penetrare nei mercati esteri; sin dall’inizio a lui si affianca Antonino Buttitta, antropologo e intellettuale di prestigio il cui sostegno sul piano scientifico e culturale esita nella pubblicazione di numerosi volumi in collane di rilievo. Quando sembra esaurirsi lo slancio iniziale, è Sciascia a scoprire il secondo grande vecchio: Gesualdo Bufalino, comisano, che con Diceria dell’untore vince il premio Campiello nel 1981 e occupa per mesi le prime posizioni nelle classifiche dei libri più venduti. Il terzo grande vecchio è Andrea Camilleri, l’empedoclino segnato da un accento locale con lessico e sintassi ben presto apprezzati anche da chi non sa nulla di dialetto siciliano: un vero e proprio fenomeno editoriale per la Casa, come la critica ha modo di riconoscere (Aa.Vv. 2004).

In origine nella Sellerio vengono promosse tre collane, a partire da “i Cristalli” curati dal fondatore [1]: i volumi che si succedono risultano prodotti armonici nei testi e nelle preziose illustrazioni, oltre che nelle copertine; tra i temi a prevalere di gran lunga sono i titoli sulla cultura siciliana nei suoi vari aspetti e nelle vicende storiche, in un’equilibrata composizione di testi e immagini, foto quasi tutte di Enzo. La seconda collana, “La civiltà perfezionata”, è affidata invece a Leonardo Sciascia che così ha modo di recuperare molti dei testi dimenticati dall’establishment culturale.

«Uno dei più evidenti e gravi difetti della società italiana, aveva modo di notare, e quindi di tutto ciò che ne è parte, dalla cultura al costume, sta nella mancanza di memoria» (ibidem).

Ad Antonino Buttitta sono dovute invece creazione, promozione e direzione della collana “Prisma” nella quale vengono accolti diversi saggi di antropologia e semiotica di cui sono autori studiosi italiani e stranieri cui si vanno via via accostando i giovani allievi della “Scuola antropologica palermitana” [2].

Sciascia scompare nel 1989 ma per un editore ben affermato come Sellerio non è difficile trovare la disponibilità di nuovi collaboratori e consulenti editoriali, nomi di prestigio nel panorama culturale che vanno da Consolo e Bonaviri a Canfora e Nigro, da Adriano Sofri a Paolo Mauri. Come in passato, ogni anno continuano a pervenire all’editore più tremila manoscritti e per ognuno Antonio continua a rilevare ironicamente che «più che per i libri stampati si è bravi per i tanti rifiutati e si finisce col pubblicare solo autori che si avvertono vicini»: per questo motivo Carlo Lucarelli, creatore del noir italiano, Andrea Camilleri e Santo Piazzese, capifila della schiera di giallisti siciliani, e poi Domenico Seminerio e Gianrico Carofiglio divengono pian piano amici e sostenitori di quella che da anni continuano a ritenere nient’altro che una “bella avventura” (Gullo, Ferlita 2007).

A differenza di tanti altri, l’editore non intende scommettere sui periodici, ad eccezione dell’Archivio antropologico mediterraneo – semestrale diretto da Antonino Buttitta, inaugurato nel 1997 e durato due anni prima di rendersi autonomo passando all’edizione on line – e non apre librerie, a parte brevi esperienze in città e nella borgata marinara di Mondello; non smette invece di moltiplicare le collane partendo da “La Sicilia ritrovata”, di color verdone affidata alle cure di Leonardo Sciascia, e ora “Fine secolo” curata da Adriano Sofri; seguono “la Diagonale”, di piccolo formato e colore blu scuro o verdino, “il Divano” e soprattutto la “Biblioteca siciliana di storia e letteratura” la quale accoglie documenti di storia locale e testi di costume; tra le altre nate in seguito ce n’è una diretta da Buttitta per l’Università del dopo-riforma: “Tutto e subito”[3].

È “La memoria” però, la collana blu in 32° creata anch’essa da Sciascia, ad offrire all’editore lo slancio verso il terzo millennio, come osservato all’unanimità da tanti critici e letterati. «La collana sembra fatta apposta per intercettare testi raffinati che vengono dalla Sicilia più segreta o dal resto del mondo» (Mauri 2007). 

A partire dalla metà degli anni Ottanta la collana ospita autori come Antonio Tabucchi, Luisa Adorno e Maria Messina recuperata dagli editori Sandron e Treves; nei Novanta arrivano i gialli, con Carlo Lucarelli e Santo Piazzese in prima fila, ma qui è Camilleri il mattatore, a partire da Vampa d’agosto, best seller in assoluto della Casa editrice con 450 traduzioni. Grazie all’agrigentino nella narrativa è Sellerio a posizionarsi per mesi ai primi posti e spesso non dopo Mondadori, Rizzoli, Longanesi e Feltrinelli.

«Nella classifica dei cento libri più venduti nel 2006 pubblicata a inizio 2007 da ‘La Stampa’, l’editore sovrasta con tre titoli nei primi 15 (Vampa d’agosto, 700 mila copie di venduto, Le ali della sfinge e Ragionevoli dubbi di Carofiglio). Se si allunga lo sguardo fino al cinquantesimo posto, i Sellerio in lizza sono ben cinque… In un mercato che non cresce, osserva il giovane Sellerio, l’unica nostra forza continua a essere l’immagine. L’abbiamo costruita con fatica e passione e ce la teniamo stretta. Se molti autori rinunciano ai contratti miliardari che le grandi case offrono è perché in noi trovano un’identità in cui si riconoscono… Il nostro futuro si genera dal nostro passato e segue le due direttrici segnate da Sciascia: il recupero dei grandi autori e la scoperta dei nuovi talenti» (Ferlita 2007).

Non possiamo che concordare con Paolo Mauri nel chiederci se Elvira Sellerio penserebbe mai di esportare la sicilianità nel mondo avendo in catalogo uno scrittore del genere di Andrea Camilleri che addirittura scrive in siciliano. Né lo avrebbe mai pensato Leonardo Sciascia. Il successo de “La memoria” che oggi conta migliaia di titoli costituisce però la risposta più adeguata alle due domande [4]. Per festeggiare i quarant’anni di vita di quella che pare solo un’avventura, l’editore pubblica una collana con la ristampa dei titoli più celebri, partendo da Atti relativi alla morte di Raymond Russel di Sciascia, passando per Il procuratore della Giudea di Anatole France tradotto da Sciascia, e finendo con Il nodo e il chiodo di Adriano Sofri. Titolo della collana è e rimane “La rosa dei venti”, una gran bella metafora per dire che sono proprio venti i libri prescelti e rimessi in circolazione.

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Sciascia di Bruno Caruso

Sciascia editor di Casa Sellerio

La collaborazione di Sciascia con Enzo ed Elvira Sellerio, partita sin dalla nascita della esperienza editoriale, continua e si rafforza man mano che passano gli anni: ci sono libri, già usciti per editori della penisola, che vengono riproposti dai Sellerio, come Occhi di Capra già edito da Einaudi che riprende le antiche voci della cultura contadina del paese natio; risale invece al 1982 la pubblicazione in prima edizione di Kermesse, una silloge dei modi di dire in dialetto raccolti a Racalmuto, a conferma che la Sicilia è sempre presente fra le tematiche più intensamente coltivate: lo stesso titolo riprende del resto quello di un saggio uscito su “Galleria” nei primi anni Cinquanta. D’altronde, è da dire che il girovagare del nostro per la penisola non si arresta, sempre inseguito com’è da editori nazionali, ma questo non allenta mai la collaborazione con Sellerio, dal primo all’ultimo libro del 1989, Fatti diversi di storia letteraria e civile.

Nei fatti, l’impegno profuso da Sciascia editor per Sellerio è sempre di grande rilievo, un’attività inaugurata alla fine degli anni Settanta con l’Affaire Moro (1978) pur essendo già presente anni prima a partire dalla presentazione a La pittura su vetro in Sicilia (1972) di Antonino Buttitta. Significativo di un lungo percorso è invece il fatto che, nel presentare il pamphlet su Moro, l’autore riproponga lo stesso giudizio espresso nel 1965 su L’Ora, quando vedeva in lui nient’altro che il classico uomo politico meridionale che dice e non dice: «L’on. Moro ha inventato il più rigoroso, quasi scientifico non-dire, proprio come accade con le convergenze parallele».

Una data significativa è in tal senso il 1979 quando, facendo seguito a quanto rileva sul superamento dei suoi orizzonti regionali e sul progressivo sentirsi scrittore italiano, nella nota intervista a Marcelle Padovani Sciascia fa un interessante rilievo sulla lingua dei suoi romanzi:

«Mi accorgo che la mia sintassi si è progressivamente fatta meno dialettale e oggi mi si è fatto più raro l’uso di sicilianismi: le Parrocchie sono zeppe di dialetto mentre Todo modo ne è del tutto esente, e il processo è andato avanti del tutto naturalmente. Dal momento che mi allontanavo psicologicamente, intellettualmente e sentimentalmente dalle cose siciliane, non era forse normale che mi allontanassi anche dalla sintassi e dalle parole?» (1979).

Proprio in quell’anno lo scrittore inaugura con Sellerio la collana “La memoria” che costituisce senz’altro la massima espressione della presenza sciasciana a Palermo e in Sicilia. È’ superfluo stare a notare come l’editor sia una figura essenziale in seno alla Casa editrice in quanto a lui è attribuito il compito di analizzare con l’attenzione dovuta ogni testo che si intende pubblicare: il vero e proprio lavoro di editing segue la valutazione e la selezione della mole di materiale che arriva in redazione e precede la stampa in tipografia e la correzione delle bozze, curate da lui stesso che, dopo una analisi approfondita dei testi selezionati, si sforza di dar loro coerenza scoprendone le incongruenze, trattenendoli entro confini ben definiti, limandone la fisionomia dello stile ed esaltandolo, se possibile, con valori aggiunti.

L’importanza e il rilievo dello Sciascia editor viene rilevata e magnificamente sintetizzata da Salvatore S. Nigro nel sottotitolo del libro Leonardo Sciascia scrittore editore (2003), una silloge delle sue note editoriali: La felicità di far libri risponde bene a un simile stato d’animo e lo scrittore sostiene di sentirsi pienamente realizzato come editor a Palermo solo collaborando con Sellerio. Di suo pugno scrive che così intende smentire la diffusa convinzione che «stampare libri in Sicilia è lo stesso che coltivare fichidindia a Milano», ma in qualche modo può dire che editor lo sia da sempre se i libri li vuole “vestiti” sin da quando, da giovane, cura la bella collana “Mediterraneo” dell’editore Sciascia. È significativo che, mentre Einaudi si appresta nel 1957 a pubblicare Gli zii di Sicilia, egli provi a scrivere a Calvino: «Per il disegno di copertina potrei avanzare una proposta? Mi piacerebbe un disegno di Maccari e perciò, se credi, me ne posso occupare». Emerge qui con chiarezza una linea costante per la quale «i libri li pensa vestiti… Gli piace definirsi “un amatore di stampe”. E quanto alle copertine della collana selleriana “La civiltà perfezionata” arriva persino a scegliere gli incisori per poi commissionare loro le acqueforti e proporre i soggetti circoscrivendoli» (ibidem).

Si aggiunga che, in un polemico intervento su rivista, Sciascia scrive che «i best seller sono soltanto “fulminei ectoplasmi senza un passato”. E forse… senza un vero avvenire. Se dunque coi seller dobbiamo convivere, si va più sul sicuro con i long seller». Non è un caso che, da editor, abbia progettato per Sellerio collane tutte destinate alla lunga durata e al recupero della memoria, esortando a «non dimenticare certi scrittori, certi testi, certi fatti» (Giacomarra 2010).

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Sciascia di Aldo Pecoraino

I risvolti di copertina

Entriamo ora nel mondo dei risvolti di copertina, quelli che per Gerard Genette paiono nient’altro che “soglie” d’accesso ma che in realtà, a dispetto del nome, fanno il libro e lo “impongono” in toto all’attenzione di lettori e semplici curiosi. I risvolti dei “Gettoni” di Einaudi sono quasi tutti di Elio Vittorini, e l’intervento dei redattori si limita a lievi passaggi; quelli di Sellerio sono invece per intero «scritti in redazione e definiti in direzione», il che vale per i risvolti non meno che per i segnalibri «i quali dei risvolti sono parenti volanti» e vanno sempre oltre i limiti dei margini di servizio. Reattivi, con clausole ben segnate, sanno farsi anche commentari della collana sino al punto di tracciare un percorso nella linea che, partendo da Kermesse, giunge a Museo d’ombre di Gesualdo Bufalino o a L’incominciamento di Giuseppe Bonaviri fino a Le abitudini e l’assenza di Sebastiano Addamo. «Quando capita per caso che il risvolto sia redazionale, il nostro ne segue la scrittura e lo sfoltisce fino a riscriverlo, il che è vero anche per Angelo Rinaldi, Luisa Adorno, Boris Hazanov, anche se gli interventi sul risvolto di La strage dimenticata di Andrea Camilleri sono più “frastagliati”». Nei fatti, fino agli ultimi giorni di vita lo scrittore resta legato all’incanto della lettura e alla felicità di far libri che si esprime anche nel preparare quei risvolti.

«Tutto lo affascinava. Persino stendere schede per i venditori, approntare colophon per le strenne, e modelli di lettere contrattuali; o scrivere agli editori stranieri o ai collaboratori, fingendo di essere Elvira Sellerio: un andamento francese, un esprit gaulois, e qualcosa di parigino in verità la casa editrice aveva e ha ancora. Una volta ringraziò se stesso per avere ‘gentilmente concesso’, insieme ad altri, la riproduzione di scritti finora non raccolti in volume. Sciascia editore era in corrispondenza con lo scrittore. Lo convocava, e ci giocava a scacchi» (Barbato 2003).

A parte le avvertenze editoriali, i segnalibri, le introduzioni alle varie antologie, Sciascia non disdegna di scrivere gran parte dei risvolti di copertina, e questo vale per tutti i primi settanta volumi de “La memoria”. Da allora il compito viene affidato ai redattori interni della casa editrice, ma il nostro si riserva la stesura dei risvolti per i libri suoi o di autori particolarmente sostenuti o amati, «testi contenenti ai suoi occhi un messaggio; sui risvolti non suoi esercita invece una sorta di supervisione e di visto finale» (ibidem). E, se si offre di scrivere tutte le parti non d’autore di un libro, nel ruolo di editor egli svolge molte altre funzioni.

«È una specie di socio editore senza interessi finanziari nell’impresa, direttore editoriale, consigliere e lettore, amico, consulente, capo dell’ufficio stampa e delle pubbliche relazioni, e finanche persona esperta in questioni pratiche come abbozzare una lettera d’impegno, redigere un rendiconto, preparare le schede per i venditori o i promotori dei libri in libreria… È stato lui a fissare lo stile che è rimasto alla casa editrice e che i lettori spesso riconoscono nei suoi tipi, oltre che nei suoi titoli» (ibidem).

In realtà, Sciascia frequenta regolarmente la Casa editrice, con puntualità e con impegno, in tutti i ritagli di tempo e per lungo tempo rimane vivo il ricordo dei suoi arrivi nei tardi pomeriggi invernali. Collaboratore a tempo pieno sceglie libri e titoli di libri ma soprattutto crea i titoli di collane come “La civiltà perfezionata”, a evocare un che tra metafisico, modernismo e rinascimento, “Il divano”, letture dette a metà tra Oriente e Occidente, “La diagonale”, saggi e divagazioni colte alla maniera saggistica del romanticismo: l’intitolazione di una collana è ogni volta una vera dichiarazione d’intenti.

«Molte altre collane si provò a immaginare, badando però a limitare al minimo il numero delle pagine: rimase irrealizzata ad esempio una collana dedicata al giallo, per uno come lui che vi era interessato da tempi lontani. E del resto molti progetti sono rimasti per anni sospesi in casa editrice, ogni tanto “rievocati, ridibattuti, ripresi e nuovamente abbandonati”» (ibidem).

Last but not least, per ultima nel 1979 giunge “La memoria” una collana che si rivela preziosa pur essendo caratterizzata da una ritrosia iniziale al limite della grande prudenza.

«È la collana che Sciascia impiantò sul piano letterario, alla ricerca non del frivolo o dell’estetizzante, ma del piacere del dialogo fra intelligenze. Fu un miracolo commerciale e imprenditoriale perché rappresentò l’innovazione di un prodotto. Ebbe successo proprio per la sua qualità di collana: i lettori tendevano a farne una collezione» (ibidem).

Il successo della collana blu è tale che finisce col diventare persino un pezzo di moda nell’arredamento e il nostro si rivela così un vero imprenditore, nel senso di colui che innova e si esprime attraverso l’invenzione di un prodotto: le dà un marchio, “La memoria”, appunto, e la munisce di un packaging, il blu di copertina, che incontra i gusti del pubblico; i brevi testi redatti come risvolti di copertina attivano all’interno dei libri percorsi originali e inattesi, e nessuno dà della vicenda narrata nel libro «una chiave, una verità o una spiegazione»… Un po’ come accade per le introduzioni ai brani antologici dei quattro volumi Delle cose di Sicilia, testi di tempi e provenienze diversi su istituzioni, letteratura, costumi della società siciliana che si muovono lungo  prospettive storiche o socio-antropologiche (ibidem).

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Sciascia di Lorenzo Bersini

Una Fondazione e una Onlus sul Web

Sono ormai più di trent’anni dacché Sciascia ci ha lasciati. E chissà quanti altri studiosi procederanno a scoprire, anche a distanza di tempo, sempre nuovi aspetti di quella che rimane una figura emblematica dell’Isola e del Paese intero. In ogni caso, negli anni che ci separano dalla sua morte non si smette di riflettere sulla personalità letteraria e politica, sull’impegno dell’intellettuale “illuminista” e sulla chiarezza del linguaggio e delle idee. Sciascia non scompare dagli scaffali delle librerie, anzi viene continuamente ristampato a conferma della sua continua presenza: a confermarlo sono le diverse iniziative e i numerosi interventi che ne stanno accompagnando il centenario dalla nascita. Questo anche se non si ha ancora il coraggio di accoglierlo nelle antologie scolastiche, fatto sintomatico di come egli rimanga ancora quel grande intellettuale scomodo che conosciamo, non etichettabile né ascrivibile a parrocchie, partiti o schieramenti.

Proviamo in chiusura a ricostruire per brevi cenni operazioni di vario profilo che, dopo la morte, sono state condotte allo scopo di attivare e tener viva la memoria del nostro. Viene per prima la Fondazione Sciascia istituita a Racalmuto nel 1995 con modalità, sede, patrimonio e amministratori voluti dallo stesso Sciascia. Nel corso degli anni vi si tengono mostre, convegni, seminari e si producono non poche pubblicazioni, tra cui gli Atti del congresso sull’Inquisizione in Sicilia e quelli su Sciascia e il Settecento. A fine novembre 2004 si svolge un convegno, promosso dell’Ordine dei giornalisti di Sicilia, che vede la partecipazione di molti addetti alla professione tesi a richiamare l’attenzione sull’attività giornalistica dello scrittore e sui rapporti intrattenuti con la stampa nazionale, per non dire del rilievo datogli da quella internazionale. Seguono il catalogo La Sicilia, il suo cuore, la ristampa di racconti e incisioni degli Amici della Noce e un volume di saggi sciasciani curato da Claude Ambroise, già editor delle Opere per Bompiani, e gli Atti del convegno Gli autori di Sciascia. Rimane a parte Regalpetra. Parco Letterario Leonardo Sciascia, iniziativa nel cui ambito si prevede l’acquisizione di libri, quadri ed epistolari che egli intrattiene con gran parte dell’intelligentsia italiana ed europea (Cavallaro 2015).

C’è ora un’iniziativa speciale su cui ora intendiamo richiamare l’attenzione, la Associazione Amici di Leonardo Sciascia che ha sede a Milano dove il nostro conta di certo numerosi estimatori: essa merita interesse per le molteplici attività svolte negli anni tra cui molti progetti attuati nel mondo dell’editoria e nelle scuole.

Fondata nel 1993, con sede legale presso la Biblioteca comunale di Palazzo Sormani, l’Associazione si è proposta e si propone ancora di stimolare «lettura, conoscenza e ricerca in merito al pensiero e all’opera dello scrittore». Non ha fini di lucro, sostiene le proprie iniziative tramite l’autofinanziamento e dispone del sito ufficiale, Leonardo Sciascia Web (www.amicisciascia.it) sul quale vengono segnalate pubblicazioni, convegni e iniziative promosse o in preparazione.

L’Associazione direttamente, oppure in collegamento con editori milanesi, ha promosso una serie di collane editoriali: come si ricava dal sito ufficiale consultato la prima volta a maggio 2010, nel mese di aprile 2004 risultavano pubblicati tre volumi per la collana “A futura memoria”, dieci per la collana “Porte aperte”, nove per i “Quaderni Leonardo Sciascia”, dieci cartelle di “Omaggio a Leonardo Sciascia”, con testi e incisioni d’arte. Tra i testi pubblicati se ne segnalavano di Gesualdo Bufalino, Luisa Adorno, Salvatore S. Nigro, Nino Di Vita, Vittorio Sgarbi, Roberto Roversi, Vincenzo Consolo e Stefano Vilardo. Venivano poi richiamati due volumi fuori collana e tre cataloghi di mostre Leonardo Sciasca amateur d’estampes, allestite a Valverde (Catania) fra il 1998 e il 2004.

Delle attività svolte dall’Associazione in riferimento all’anno 2001 venivano  richiamate le seguenti: a) Pubblicazioni: G. Casanova, Jcosameron, a cura di G. Panella, nella collana “Porte aperte”; “Quaderni Leonardo Sciascia”, n. 6; “Omaggio a Leonardo Sciascia” unitamente a una cartella con incisione di Vincenzo Piazza; b) Incontri di lettura a Milano, Cremona e Todi tra l’ottobre 2001 e il maggio 2002; c) Convegni: L’affaire Moro, Roma 5 dicembre 2001 con la partecipazione di politici e studiosi, registrato da Radio radicale. Per l’anno 2002 risultavano programmate le seguenti iniziative: a) Pubblicazioni: D. Diderot, Paradosso sull’attore, nella collana “Porte aperte”; settimo dei “Quaderni Leonardo Sciascia”; “Omaggio a Leonardo Sciascia” con cartella e incisione di Rodolfo Ceccotti; b) Incontri di lettura a Pisa, Milano, Roma e Todi, e conclusione del ciclo di letture sciasciane a Palazzo Sormani diretto agli studenti; c) Premio Leonardo Sciascia amateur d’estampes. Concorso ad invito per una stampa originale e cerimonia di premiazione con esposizione in diverse città delle opere partecipanti che entreranno a far parte della Civica raccolta di stampe Achille Bertarelli al Castello Sforzesco di Milano; d) Progetto “Sciascia a scuola” visto l’impegno a estendere le iniziative al mondo della scuola per l’anno scolastico 2002/03 (www.amicisciascia.it URL 15.5.2004).

Consultato di recente il sito dell’Associazione è stato possibile ricostruire il quadro aggiornato delle iniziative promosse successivamente al 2004: proviamo a riprodurlo fedelmente qui di seguito.

a) Pubblicazioni: nella collana di libri Sciascia scrittore europeo, in parziale collaborazione con la Casa Editrice Leo S. Olschki di Firenze, finora sono usciti due volumi: Troppo poco pazzi. Leonardo Sciascia nella libera e laica Svizzera (2011) sui rapporti dello scrittore con la Svizzera, Leonardo Sciascia e la Jugoslavia (2015), con volumi in preparazione sui rapporti con Francia, Spagna, Stati Uniti e Paesi Arabi. Fino all’anno 2008 l’Associazione, in collaborazione con l’editore La Vita Felice di Milano, ha attivato due collane di libri: i Quaderni Leonardo Sciascia che, negli undici volumi pubblicati tra il 1996 e il 2007, hanno ospitato Atti di convegni e contributi originali su aspetti dell’opera sciasciana; Porte aperte i cui tredici volumi, dal 1995 al 2008, alternano testi di autori apprezzati dallo scrittore a saggi critici sulla sua opera.
b) Periodici: Todomodo, rivista di studi sciasciani con Leo S. Olschki editore, fondata nel 2011, in uscita il 20 novembre di ogni anno, data di morte di Sciascia, e articolata in dieci rubriche. Pubblicati finora quattro fascicoli con Atti di convegni o colloqui: L’etica del potere per Leonardo Sciascia (2011), svolto nel novembre 2010; Cinquant’anni de Il giorno della civetta (2012); Come al cancello di preghiera. Sentimento e coscienza religiosi in Leonardo Sciascia (2013) novembre 2012; infine Analisi di un testo poco indagato di Sciascia, il pamphlet 1912+1 (2014) con testi di rilievo sulla “preistoria” di Sciascia fra gli anni Quaranta i Cinquanta.
c) Cartelle: l’Associazione ha realizzato annualmente una cartella, Omaggio a Sciascia, con un’incisione originale a firma di validi artisti: Guccione, Cattaneo, Gulino, Momò, Quatriglio e Assadour. L’interesse del nostro per le incisioni risale al 1998 e, oltre che con la cartella Omaggio a Sciascia, viene ricordato con il Premio Leonardo Sciascia Amateur d’Estampes, assegnato ad anni alterni all’opera di un incisore accompagnata da un raffinato catalogo. Dal gennaio 1995 al settembre 2000 sono stati pubblicati nove numeri del periodico A futura memoria; interrotta per tre anni, la pubblicazione è ripresa per via telematica fino a esser chiusa nel 2010 per concentrare l’attività su Todomodo.
d) Seminari, colloqui e convegni: sono stati organizzati seminari di ricerca su temi che vanno da Sciascia e la cultura francese a L’affaire Moro, dal rapporto dello scrittore con la Spagna all’ossessione per la giustizia. A partire dal 2010 vengono organizzati i Leonardo Sciascia Colloquia: i primi tre si sono incentrati sull’etica del potere, sul cinquantenario de Il giorno della civetta e sulla religiosità nell’opera di Sciascia; il quarto, nel ventennale dell’Associazione, è stato dedicato a 1912+1: il quinto, Leonardo Sciascia e i suoi filosofi, in collaborazione con l’Istituto Italiano Studi Filosofici e la Società Italiana di Filosofia, si è tenuto a Napoli nel 2014. Per finire con iniziative e giornate di studio dedicate allo scrittore, è da ricordare che, nei trent’anni trascorsi sono oltre un centinaio gli incontri pubblici organizzati a Milano, Perugia, Roma, Pisa, Ivrea, Torino, Firenze, Parigi, Napoli e Racalmuto intesi a tener vive le Riletture sciasciane, col chiaro intento di mantenerne viva la memoria, ogni incontro con larga partecipazione di pubblico a conferma dell’attualità della figura (www.amicisciascia.it URL 25.6.20).
 Dialoghi Mediterranei, n. 48, marzo 2021
Note
[1] Ci limitiamo a indicare: A. Buttitta, La pittura su vetro in Sicilia (1972); A. Ragona, La maiolica siciliana dalle origini all’Ottocento (1975); A. Pasqualino, L’opera dei pupi (1977); G. Bufalino, Saline di Sicilia (1988); S. Addamo, Zolfare di Sicilia (1989). Tra i più recenti: V. Consolo e al., La terra di Archimede (2001); M. Di Dio E. Scaglia, Gli Interguglielmi: una dinastia di fotografi (2003) e infine Villa Igiea (2002) e Des Palmes (2006) entrambi di F. Amendola, dedicati ai due alberghi storici di Palermo, racconti per immagini del mutamento della città.
[2] Semplici segnalazioni: A. Cusumano, Il ritorno infelice. I tunisini in Sicilia (1976); V. Guarrasi, La condizione marginale (1978); E. Guggino, La magia in Sicilia (1978); A. Schaeffner, Origine degli strumenti musicali (1978); A. Buttitta, Semiotica e antropologia (1979); S. Miceli, In nome del segno (1982); G. D’Agostino, Da vicino e da lontano (2002); F. Giallombardo, La tavola l’altare la strada. Scenari del cibo in Sicilia (2003).
[3]A. Di Sparti, Un computer non più calcolatore. Linguistica e informatica (2004); M. G. Giacomarra, Turismo e comunicazione. Strategie di costruzione del prodotto turistico (2005); M. Meschiari, Sistemi selvaggi. Antropologia del paesaggio scritto (2008). Del “Divano” e della “Biblioteca” si possono invece segnalare R. Pucci di Benisichi, Scusate la polvere (1996) e S. Mazzarella, Polizzi o della rivoluzione (1986).
[4] A parte le decine di titoli di Andrea Camilleri, ci limitiamo a richiamare: L. Sciascia, Dalle parti degli infedeli (1979); L. Storoni Mazzolani, Ragionamento del principe di Biscari a Madama N.N. (1980); L. Adorno, L’ultima provincia (1983); L. Canfora, Gli oligarchi (1983); M. Messina, Casa paterna (1986); e poi A. Tabucchi, Donna di Porto Pim e altre storie (1985) e Notturno indiano (1986);  S. Piazzese, I delitti di via Medina-Sidonia (1996); C. Lucarelli, L’estate torbida (1998) e Carta bianca (1999); G. Carofiglio, Testimone inconsapevole (2004); D. Seminerio, Senza re né regno (2004); G. Carofiglio, Le perfezioni provvisorie (2010).
Riferimenti bibliografici
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Ferlita S. (2007), L’Isola che non c’è. Saggi, ritratti, divagazioni, Di Girolamo, Trapani.
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Nigro S. S. (2003) (a/c), Leonardo Sciascia scrittore editore, ovvero La felicità di far libri, Sellerio, Palermo.
Nigro S. S. (2019), Omaggio a Leonardo Sciascia (1989/2019). Uno scritto, in Amici di Leonardo Sciascia, To the happy few. Il novembre sciasciano, Milano.
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Perrone D. (2007), I luoghi degli scrittori, Bonanno, Acireale-Roma.
Sciascia L. (1979), La Sicilia come metafora. Intervista M. Padovani, Mondadori, Milano.

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Mario G. Giacomarra, di formazione antropologica e docente di Sociologia della Comunicazione all’Università di Palermo, è stato l’ultimo Preside della Facoltà di Lettere e Filosofia prima della sua confluenza nella Scuola delle Scienze umane e del Patrimonio culturale. Si è occupato a lungo di migrazioni e dei processi di integrazione, mettendo a confronto i fenomeni della contemporaneità con quelli che hanno determinato le minoranze storiche galloitaliche nel XII secolo e albanesi nel XV. Tra le pubblicazioni su questi temi si segnalano: Immigrati e minoranze. Percorsi di   integrazione (1994); Migrazioni e identità. Il ruolo delle comunicazioni (2000); Condizioni di minoranza oggi. Gli albanesi di Sicilia fra etnicismi e globalizzazione (2003). Ha curato nel 2006 gli Atti del Congresso Isole. Minoranze migranti globalizzazione, promosso dalla Fondazione Buttitta. Ha pubblicato anche: Una sociologia della cultura materiale (2004); Fare cultura in Sicilia (2007); Comunicare per condividere (2008); Il piacere di far libri. Percorsi di editoria in Sicilia (2010); Sharing Sociology. Il ruolo della comunicazione nella sociologia della condivisione (2016).

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