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L’emigrazione degli italiani: dai picchi del dopoguerra ai nuovi flussi

Posted By Comitato di Redazione On 1 luglio 2017 @ 01:29 In Migrazioni,Società | No Comments

copertinadi Mauro Albani e Franco Pittau

L’Italia sembra godere di una buona reputazione in giro per il mondo, fenomeno quanto mai gradito. Nel 2016 si è collocata al sesto posto nella speciale classifica elaborata per cinquanta nazioni da GfK e Simon Anholt (National Brands IndexSM, 2016) [1]. Pur nel quadro generale di un trend negativo che ha riguardato i Paesi ai primi posti (come Regno Unito, Stati Uniti, Germania e Francia), l’Italia ha guadagnato una posizione nella graduatoria, sorpassando il Giappone. Il nostro parametro più apprezzato in assoluto a livello internazionale è il turismo (siamo al primo posto per reputazione, seppure non nelle statistiche sul turismo). Particolarmente positivo è anche l’apprezzamento di cui godono la nostra cultura e gli italiani in quanto persone (terzo posto). Grazie alla fama del Made in Italy siamo in nona posizione nella classifica delle esportazioni e così anche per la capacità di attrarre investimenti: riconoscimento invero più generoso rispetto a quel che usualmente si pensa. Il parametro più negativo per l’Italia è di natura politica e si riferisce al governo, per il quale il Paese è solo sedicesimo [2].

Nel mondo si registra d’altra parte un crescente esodo di giovani lavoratori, anche italiani, circostanza che per alcuni versi genera delle preoccupazioni. Su tale aspetto si sofferma il presente articolo con l’intento di fornire un contesto statistico dettagliato. Come noto, nell’Unione Europea i movimenti sono facilitati dalla libertà di circolazione, regolata da un istituto che risulta essere di gran lunga il più avanzato nel mondo [3]. L’esodo si riversa anche verso Paesi che non fanno parte dell’UE e caratterizza tutti gli Stati membri. Rispetto a questi ultimi l’Italia purtroppo si distingue per una minore attrattività nei confronti dei flussi di persone qualificate. Eppure queste risorse non mancherebbero, in particolare se si pensa alle numerose ondate migratorie in provenienza dall’est dell’Europa e, come è noto, infatti, tra gli immigrati originari di questi Paesi un buon livello di istruzione è abbastanza generalmente diffuso [4].

ITALIA – Espatri di cittadini italiani per principali Paesi di destinazione. Anno 2015

Fonte: Elaborazioni su dati Istat

Il primo paragrafo di questo lavoro è dedicato all’andamento conosciuto nel tempo dai flussi migratori del nostro Paese. Nell’immediato dopoguerra, ingenti flussi migratori di italiani in uscita dall’Italia si indirizzarono prima oltreoceano e poi soprattutto verso i Paesi europei. Dopo gli elevati spostamenti degli anni ’50 e ’60, l’esodo è andato ridimensionandosi negli anni ‘70 e fortemente riducendosi nei tre decenni successivi per poi ripresentarsi, rinvigorito e diversificato dal punto di vista quantitativo e qualitativo, a partire soprattutto dalla crisi del 2008. Un ricorso storico è riscontrabile anche per le aree di partenza dei nostri emigrati, che videro le regioni del Nord fortemente coinvolte dopo l’Unità d’Italia per poi lasciar prevalere, verso la fine dell’Ottocento e in tutto il secolo scorso. quelle meridionali. Attualmente sono nuovamente le regioni del Nord ad essere le maggiori protagoniste nell’ambito di questi flussi, che molto spesso coinvolgono lavoratori qualificati che hanno goduto di una formazione superiore.

Il secondo paragrafo si sofferma sull’attuale esodo dei giovani italiani verso l’estero e mostra come nel contempo sia andato diminuendo l’arrivo di lavoratori stranieri in Italia [5]. La dimensione quantitativa di questo esodo è notevole, ma lo sarebbe ancora di più se tutti quelli che lasciano l’Italia si registrassero presso l’Anagrafe degli italiani all’estero (AIRE). Questa carenza nei dati sugli italiani che espatriano si riscontra anche confrontando le informazioni raccolte dall’Istat con quelle prodotte dai Paesi di maggiore sbocco, quali ad esempio la Germania e la Gran Bretagna.

In definitiva, l’Italia si presenta oggi come un Paese dalla situazione occupazionale problematica, situazione che, da un lato incide sulle partenze dei giovani italiani in cerca di migliori occasioni occupazionali all’estero e, dall’altro, non favorisce l’inserimento dei nuovi arrivati, recentemente costituiti soprattutto da profughi giunti per ottenere protezione umanitaria.

ITALIA – Espatri di cittadini italiani per regione di origine. Anno 2015

Fonte: Elaborazioni su dati Istat

1La grande emigrazione del dopo- guerra, il declino e la ripresa

La fine della Seconda Guerra mondiale segna l’inizio di una fase di intensa emigrazione dall’Italia verso l’estero, come già avvenne dopo l’unità. Subito dopo il grande conflitto il Paese si presenta arretrato e in larga misura distrutto. Il sistema economico-produttivo italiano non regge il confronto con quello degli altri Paesi del Centro e del Nord dell’Europa. L’incidenza del settore agricolo è eccessiva e non riesce tuttavia più a garantire i livelli occupazionali di un tempo. L’agricoltura contribuisce per un quarto alla formazione del prodotto interno lordo e assorbe il 35% dell’occupazione. Per rimediare allo squilibrio tra domanda e offerta di lavoro, specialmente nelle regioni meridionali, si ricorre sempre più all’emigrazione, peraltro pubblicamente proposta ai disoccupati dallo stesso governo, che con i Paesi più avanzati sottoscrive degli accordi occupazionali per decongestionare questa pesante situazione.

Il cosiddetto “miracolo economico” consente di porci rimedio con un tasso di sviluppo del 6% negli anni ’50 e ’60, che si riduce al 3,6% negli anni ’70. Tuttavia, i nuovi posti di lavoro che la forte crescita consente di creare non bastano e si rende necessaria un’intensa migrazione, sia interna (verso il Nord industrializzato) che verso l’estero. Il Centro-Nord, che prima aveva contribuito all’esodo per circa il 50% del totale, nel volgere di pochi anni riduce di molto la sua partecipazione ai movimenti migratori, fatta eccezione per alcune regioni come il Friuli Venezia Giulia e il Veneto. Per favorire l’emigrazione e alleviare la crisi occupazionale l’Italia stipula diversi accordi. Il primo, sottoscritto nel 1946 tra l’Italia e il Belgio, prevede uno scambio tra le braccia da lavoro italiane e il carbone belga. Meritano di essere citati anche gli accordi con la Francia (1946 e 1951) per il reclutamento di lavoratori generici, con la Svizzera (1948 e 1952) per l’ingaggio di lavoratori stagionali o comunque temporanei e con la Germania (1955) per l’assunzione di manodopera a tempo determinato. Tra il 1946 e il 1950 gli espatri sono in media 226  mila ogni anno.

Per tutti gli anni Cinquanta il numero degli espatri (in media 294 mila l’anno) si mantiene pari a ben oltre due volte quello dei rimpatri. Questi ultimi spesso si riferiscono a espatri a carattere temporaneo, specialmente nel contesto europeo e con particolare riferimento agli emigrati in Svizzera e in Germania. Le statistiche indicano in media 76 mila rimpatri l’anno nel periodo 1946-1950, circa 132 mila rimpatri l’anno negli anni ’50. L’apice di quest’esodo di massa si colloca nel quinquennio fra il 1958 e il 1963.

Negli anni Sessanta a scegliere la via dell’emigrazione sono in media annuale 265 mila italiani. Particolarmente elevato risulta anche il volume dei rientri (187 mila l’anno). Il 1961 è l’anno in cui si conta il maggior numero di espatri (387 mila), mentre è nel 1962 che si tocca l’apice per quanto riguarda i rimpatri (229 mila) in ragione del forte sviluppo economico e occupazionale italiano. Sul fronte degli espatri, le destinazioni europee diventano prevalenti già a partire dal quinquennio 1965-1969 a scapito delle mete extra continentali. Nel Meridione non vi è un comune che non abbia inviato i suoi emigrati in Germania o in Svizzera. Nel periodo 1950-1960 i Paesi europei assorbono il tra il 60% e il 70% dei flussi, supportati – come precisato – da una congiuntura economica favorevole (non più riscontrabile invece in America Latina) e da un sistema di sicurezza sociale dal livello più elevato.

Negli anni Settanta inizia la diminuzione nel numero degli espatri (in media 108 mila l’anno) e si registrano i primi saldi migratori positivi (dopo un intero secolo). Per la prima volta nel 1972 i rimpatri superano gli espatri in Europa (per quanto riguarda la totalità dei flussi bisogna aspettare l’anno successivo, quando i rimpatri sono complessivamente 125 mila e gli espatri 124 mila, anche se un distacco più netto si determina solo nel 1975 (123 mila rimpatriati contro 93 mila espatriati). Nel frattempo le migrazioni extraeuropee si riducono a circa un quinto del movimento totale. Complessivamente, in media tra il 1970 e il 1975 si registrano annualmente 132 mila espatri e 129 mila rimpatri. Nel corso del quinquennio successivo il movimento migratorio si ridimensiona ulteriormente e diminuisce rapidamente anche lo scarto tra i flussi in uscita e le migrazioni di ritorno. Nel frattempo l’Italia è riuscita a inserirsi tra le più grandi potenze industriali del mondo e si assiste al progressivo e consistente ridimensionamento dei flussi internazionali.

Già a partire dalla seconda metà degli anni Settanta, dunque, ma soprattutto negli anni Ottanta si palesa la tendenza a una forte contrazione dei flussi, tanto in entrata quanto in uscita (che perdurerà fino alla fine del secolo). Negli ultimi venti anni dello scorso secolo circa i tre quarti degli espatri trovano sbocco nei Paesi europei, in particolare Germania, Francia e Svizzera, mentre le migrazioni intercontinentali si rivelano modeste. Tra il 1981 e il 1990 la media degli espatri è di 66 mila unità all’anno. Leggermente superiori in numero sono, in media, i rimpatri: circa 70 mila l’anno. Come si è accennato, è proprio in questo decennio che la tendenza alla contrazione dei flussi, in prevalenza originari del Meridione, si fa particolarmente evidente. Il 1988 è anche l’anno in cui l’Istat interrompe la rilevazione del movimento degli espatri e dei rimpatri, per cui, a partire dal 1989, le statistiche relative al movimento migratorio con l’estero sono basate sulle iscrizioni e cancellazioni anagrafiche.

Negli anni Novanta va accentuandosi la trasformazione dell’Italia in Paese d’immigrazione. Tuttavia non cessa l’emigrazione dall’Italia verso l’estero, seppure in misura nettamente minore rispetto al passato: gli espatri si riducono ulteriormente a 47 mila l’anno in media, i rimpatri sono nell’ordine dei 39 mila. Il saldo migratorio torna a essere positivo, seppure a livelli molto più bassi rispetto al passato. Nel periodo 1990-1999 le cancellazioni di italiani che trasferiscono la loro residenza all’estero sono 472.320, a fronte di 426.648 iscrizioni anagrafiche per rimpatrio, con un picco di 70 mila unità nel 1990 e un saldo negativo per l’intero periodo di appena 45.672 unità. In particolare, tra il 1996 e il 2000 le iscrizioni sono in media 31 mila all’anno e le cancellazioni 44 mila. Le destinazioni di chi parte per circa il 75% riguardano Paesi europei, in prevalenza nell’UE. Anche i rimpatri provengono per lo più dall’Europa ma in proporzione più contenuta (56%). Rispetto alla Germania, nel corso dei decennio, a fronte di 132 mila cancellazioni anagrafiche, si registrano 74 mila iscrizioni, mentre in Svizzera arrivano 76 mila nuovi migranti italiani, a fronte di 50 mila rientri in Italia. Il 58% delle cancellazioni anagrafiche avviene nelle regioni meridionali che, a differenza delle altre aree del Paese, registrano un saldo negativo (pari a 10 mila unità). I rientri riguardano per il 40% le regioni del Nord e solo per il 39% quelle del Sud.

ITALIA. Movimenti per e dall’estero nel dopoguerra: medie annuali 1946-2010, anni 2011-2015

TOTALE EUROPA PAESI EXTRAEUROPEI
Anni Espatriati Rimpatriati Espatriati Rimpatriati Espatriati Rimpatriati
Media annua
1946-50 225.544 76.001 127.698 59.425 97.848 16.576
1951-60 293.741 132.359 178.712 100.440 117.029 31.919
1961-70 264.699 187.862 212.821 171.112 51.878 15.744
1971-80 108.234 112.150 83.540 89.908 24.694 22.242
1981-90 68.730 69.571 52.894 48.813 15.836 20.758
1991-2000 47.088 39.102 34.014 23.803 13.074 15.299
2001-2010 40.268 37.054 27.885 23.471 12.383 13.583
Dati annuali
2011 50.057 31.466 34.332 18.932 15.725 12.534
2012 67.998 29.647 47.956 17.689 20.042 11.778
2013 82.095 28.433 58.933 16.388 23.162 12.045
2014 88.859 29.271 64.825 16.469 24.034 12.802
2015 102.259 30.052 76.999 16.208 25.260 13.844
Fonte: Elaborazioni su dati Istat

2L’emigrazione italiana degli anni ‘2000

Riassumendo quanto detto nel paragrafo precedente, si osserva che nel dopoguerra si è avuta una media annua di espatri pari a quasi 300 mila negli anni ’50 e ’60 (lo stesso livello raggiunto dalla grande emigrazione alla fine dell’800, nel periodo 1891-1900) e a quasi 200 mila negli anni ’70. Nelle successive due decadi la diminuzione è stata brusca: poco meno di 70 mila negli anni ’80, poco meno di 50 mila negli anni ’90 e poco più di 40 mila nel primo decennio del nuovo secolo. Si registra successivamente un’impennata, nel periodo tra il 2011 e il 2015: in particolare, nel 2014 gli italiani emigrati all’estero sono 88.859 e nel 2015 102.259. Gli ultimi dati indicano per il 2016 un numero di espatri di italiani pari a oltre 114 mila, più del doppio rispetto alle cancellazioni registrate mediamente negli anni ’90 [6]. Gli italiani che rientrano dopo un periodo di emigrazione all’estero sono in numero molto inferiore, pur se in aumento di circa 38 mila nel 2016.

ITALIA – Espatri e rimpatri di cittadini italiani. Anni 2001-2016 (dati in migliaia)

Fonte: Elaborazioni su dati Istat

I dati più recenti, quindi, indicano la ripresa di una consistente emigrazione verso l’estero. Questa constatazione diventa più netta se si tiene conto delle stime sul numero effettivo delle persone che lasciano l’Italia per stabilirsi all’estero, come verrà messo in evidenza parlando della Germania e della Gran Bretagna e prendendo in considerazione gli archivi locali [7].

Gli anni della prima decade del secolo non si caratterizzano per la consistenza dei flussi da e per l’estero, ma ne attestano comunque la continuità. Nel 2001 sono oltre 35 mila le iscrizioni e quasi 47 mila le cancellazioni per l’estero, con un saldo migratorio negativo di oltre 11.400 unità. Si tratta di valori molto più bassi rispetto a quelli registrati fino agli anni ’60. I flussi più consistenti, sia in entrata che in uscita, riguardano per i due terzi del totale il continente europeo. Accanto ai flussi migratori legati al processo di delocalizzazione produttiva delle imprese italiane, si pongono i movimenti dal carattere più prettamente individuale, che nel decennio successivo andranno nettamente qualificandosi come un consistente flusso di lavoratori qualificati, in prevalenza giovani.

Come si legge nel Rapporto annuale 2015 dell’Istat, in Italia è ripresa l’emigrazione di connazionali, pur perdurando i flussi di stranieri in entrata. Sono sempre di più i giovani italiani che vogliono fare un’esperienza lavorativa all’estero, quanto meno temporanea. Nello stesso Rapporto viene detto che il 42,6% di quelli tra i 15 e i 39 anni vogliono vivere all’estero, considerando tale spostamento una dimensione normale nell’attuale contesto globalizzato. A voler lasciare l’Italia sono gli appartenenti a una fascia di età che nel Paese risulta sempre meno numerosa. Infatti, all’inizio del 2016 meno del 25% della popolazione residente italiana ha meno di 24 anni di età, quota che si è dimezzata rispetto al 1926 [8].

Anche un contributo della Camera di Commercio della provincia di Monza e della Brianza, basato sui dati Istat (relativi però al 2014), sottolinea il maggior coinvolgimento dei giovani nei nuovi flussi migratori. Vi si legge che, in tale anno, sono stati 45 mila gli under 40 che hanno lasciato l’Italia e hanno trasferito la propria residenza all’estero: circa la metà degli italiani che complessivamente sono emigrati nello stesso anno, in pratica 3,3% trasferiti all’estero ogni mille italiani under 40 residenti (aumento annuale del 34,3%). La provincia di Milano è prima con quasi 3.300 cambi di residenza verso l’estero effettuati da italiani nella fascia d’età compresa tra i 18 e i 39 anni, seguita per numeri assoluti da Roma (2.949), Napoli (1.885) e Torino (1.653). In rapporto al totale dei residenti italiani under 40, le incidenze più elevate sono state registrate a Bolzano, Imperia, Trieste, Pavia e Como, tutte aree di confine (ad eccezione di Pavia). Invece, Foggia, Taranto e Caserta sono risultate le province con il rapporto più basso: meno di 2 cancellati ogni mille under 40. Come di consueto, Regno Unito, Germania, Svizzera, Francia, Stati Uniti e Spagna sono stati i principali Paesi di destinazione seppure, a seconda degli anni, con un diverso posto in graduatoria e con un diverso ritmo d’aumento [9].

Oltre all’aumento nel numero di cittadini italiani che si trasferiscono all’estero, bisogna sottolineare l’elevato livello di istruzione di questi contingenti di espatriati. Su 102.259 cittadini italiani cancellati dalle anagrafi nel 2015 per emigrazione all’estero, i laureati e i diplomati sono arrivati a incidere per circa il 65%. Si stima che a espatriare in tale anno siano stati oltre 35 mila diplomati e quasi 31 mila laureati, rispettivamente 3 volte e 8 volte più numerosi rispetto al diplomati e ai laureati che agli italiani che nei primi anni del ‘2000 si trasferivano all’estero. (allora quelli che partivano per l’estero con una istruzione superiore erano appena un sesto del totale). L’esodo di massa, che si pensava cessato verso la metà degli anni Settanta, è ripreso ai nostri giorni e sta depauperando il nostro Paese di risorse altamente qualificate.

Da una parte si tratta di una reazione di fronte all’insoddisfacente andamento occupazionale italiano, dall’altra si esprime la mentalità tipica di un mondo globalizzato, che induce i giovani più qualificati a investire il proprio talento là dove sono maggiori le opportunità di carriera e di retribuzione. A medio e lungo termine i flussi di connazionali in uscita non equivarranno a un depauperamento del capitale umano del Paese solo se anche l’Italia, riuscirà a sua volta ad attrarre lavoratori qualificati, realizzando così una brain circulation [10].

ITALIA – cittadini italiani di 25 anni e più cancellati per l’estero, per titolo di studio

ANNI Totale cancellati con titoli di studio Fino a licenza media (%) Diploma (%) Laurea (%) Totale cancellati
2002 29.240 51,0 37,1 11,9 34.056
2003 33.912 51,5 36,8 11,8 39.866
2004 33.778 56,4 31,4 12,2 39.155
2005 35.163 51,5 31,0 17,4 41.991
2006 38.580 50,4 29,0 20,6 46.308
2007 30.174 41,7 33,2 25,2 36.299
2008 32.387 40,5 33,5 25,9 39.536
2009 31.397 42,6 33,6 23,8 39.024
2010 30.742 38,3 34,8 26,9 39.545
2011 38.563 37,9 34,5 27,6 50.057
2012 52.613 36,0 36,4 27,6 67.998
2013 62.306 34,6 34,8 30,6 82.095
2014 65.878 35,0* 35,0 * 30,0 88.859
2015 73.326 35,0* 35,0* 30,8 102.259
Fonte: Elaborazioni su dati Istat
*Le percentuali “Fino al licenza media” e “Diploma” sono state stimate a partire dalla percentuale fino al diploma. I tassi sono calcolati in rapporto alla popolazione in età 25-64, con titolo di studio corrispondente e pertanto sono leggermente sovrastimati.

3La Germania, una destinazione prioritaria nel dopoguerra

Gli italiani hanno iniziato a emigrare in Germania già dalla fine dell’Ottocento per lavorare nella costruzione della prima ferrovia. Come sottolineato ad un convegno svoltosi al Goethe Institut di Roma nel mese di febbraio 2017, gli aggettivi, usati nei confronti degli italiani che si recavano in Germania nel dopoguerra, erano: i seguenti: pericolosi, rumorosi, arroganti, portatori di culture diverse, da guardare con sospetto, di miserevoli condizioni. Così sono stati percepiti i Gastarbeiter italiani nella Germania degli anni Cinquanta, dove sono arrivati 14 milioni di cittadini stranieri tra il 1955 e il 1974, in media 700 mila l’anno, nel contesto degli accordi bilaterali stipulati dalla Germania con numerosi Paesi (tra i quali l’Italia e anche la Turchia, il Marocco, la Tunisia), facendo del fenomeno immigratorio un’opportunità per il Paese ospite.

Gli espatri di cittadini italiani in Germania all’inizio degli anni ’60 superano le 100 mila unità all’anno (100.544 nel 1960, 114.012 nel 1961, 117.427 nel 1962). Da quel momento ha inizio la riduzione dei flussi, che si rende ancora più evidente a partire dal 1985 (21.092 espatriati in quell’anno e tra i 5 mila e i 10 mila nei primi anni del nuovo secolo. Invece sono evidenti i segnali di ripresa negli anni. Va preso in considerazione il fatto che secondo lo Statisches Bundesamt di Wiesbade gli ingressi di italiani in Germania sono da 3 a 5 volte superiori a quelli registrati dall’Istat: 23.894 nel 2010, 28.070 nel 2011, 36.896 nel 2012 (contro 6.880 cancellazioni verso la Germania registrate in Italia), 47.485 nel 2013 (contro 10.520), circa 55.000 nel 2014 (contro 14.440), 70.338 nel 2015 (contro 17.299) [11].

Al 31 dicembre 2015, con circa 600 mila presenze, gli italiani in Germania sono il terzo gruppo nazionale estero, dopo turchi e polacchi: il 6,5% del totale dei circa 9 milioni di stranieri presenti. Integrarsi all’estero non è sempre agevole, anche quando si può contare su un livello di formazione elevata. In Germania, l’associazione “Minor – Projektkontor für Bildung und Forschung” è stata incaricata dall’Ufficio federale per l’Immigrazione e i Rifugiati (BAMF) di condurre un sondaggio sul fenomeno della nuova immigrazione per lavoro a partire dal 2008, valutando le ragioni dell’espatrio, la capacità di integrazione degli immigrati e i relativi bisogni: gli interessati possono collegarsi ad un link appositamente predisposto e rispondere in circa dieci minuti ad alcune domande ritenute fondamentali da quel Paese, molto interessato alla loro integrazione [12]. Va anche tenuto presente che, per l’accoglienza dei nuovi arrivati in Germania, i Comites (Comitati degli italiani all’estero, previsti dalla legislazione italiana) hanno promosso insieme ai Consolati un’assistenza concreta in grado di facilitare l’inserimento in loco, specialmente quando si tratta di interi gruppi familiari, avvalendosi della collaborazione dell’associazionismo per rimediare alla carenza di fondi pubblici [13].

ITALIA. Movimenti migratori con l’estero degli italiani (1946-2015)

Espatriati/
Anni
Totale Europa di cui Germania di cui Francia di cui Svizzera Extra Europa Totale
1946-1950 638.492 74 192.039 37.057 489.228 1.127.720
1951-1960 1.767.116 160.513 592.492 221.326 1.170.290 2.937.406
1961-1970 2.128.211 745.848 206.687 161.459 518.783 2.646.994
1971-1980 835.483 347.035 61.355 32.027 246.857 1.082.340
1981-1990 500.811 224.917 43.133 14.222 157.481 658.292
1991-2000 340.142 128.118 34.000 7.374 130.742 470.884
2001-2010 278.853 82.924 29.412 6.078 123.828 402.681
Espatriati/
Anni
Totale
Europa
di cui Germania di cui
Regno Unito
di cui
Francia
Extra Europa Totale
2011 34.332 4.920* 4.141* 3.636* 15.725 50.057
2012 47.956 10.352 7.404 6.639 20.042 67.998
2013 58.933 11.441 12.962 7.976 23.162 82.095
2014 64.825 14.440 13.491 8.426 24.034 88.859
2015 76.999 17.299 17.502 10.872 25.260 102.259
FONTE: Elaborazioni su dati Istat
* I dati si riferiscono alla sola popolazione di età 25 anni e più

4La presenza italiana in Gran Bretagna e l’impatto del Brexit

Non sempre si pensa che la Gran Bretagna è anche un grande Paese di emigrazione. Negli ultimi anni, insieme alla Germania, è stato il Paese di maggior sbocco per gli italiani, in particolare per quelli in possesso di un titolo di studio elevato. L’Ambasciata e il Consolato Generale d’Italia a Londra, con l’iniziativa opportunamente denominata “Primo approdo”, ha inteso venire incontro ai protagonisti dei nuovi flussi. Il progetto si propone di fornire strumenti per risolvere i problemi pratici legati al primo inserimento, da quello sanitario a quello occupazionale.

Secondo i dati dell’Istituto nazionale di statistica del Regno Unito fra il 2001 e il 2011 ben 3.599.000 persone hanno lasciato la Gran Bretagna per trasferirsi all’estero. Di queste, 1.963.000 avevano fra 25 e 44 anni e più della metà possedeva una laurea. I principali Paesi di destinazione sono stati gli Stati Uniti, la Nuova Zelanda, il Canada, l’Australia e il Sud Africa, ma anche la Francia e la Spagna. Si tratta di giovani alla ricerca di posti di lavoro nell’ingegneria, nel settore aerospaziale e in quello farmaceutico, nelle costruzioni e nell’insegnamento e anche di 125 mila pensionati alla ricerca di un luogo piacevole per la loro vecchiaia. Negli ultimi dieci anni quasi mille persone al giorno hanno lasciato il Regno Unito. La nazione attualmente si trova all’ottavo posto per numero di propri cittadini residenti all’estero, con 4,7 milioni di espatriati, in larga misura partiti dopo la crisi del 2008 (427 mila, secondo il Ministero dell’Interno). Se la via della fuga fosse presa anche dagli immigrati, le conseguenze negative per il Paese aumenterebbero [14].

La Gran Bretagna è anche un Paese che ha attirato in misura crescente l’arrivo da tutti gli Stati Membri, Italia compresa. É oggi fortissima la preoccupazione dell’impatto negativo che la Brexit potrà esercitare sui cittadini comunitari già insediati in loco, oltre a fungere in qualche modo da freno per quanto riguarda i nuovi flussi. Sul sito web dell’Ambasciata d’Italia è stata attivata una pagina dedicata alla Brexit, in cui vengono fornite informazioni aggiornate sullo sviluppo del processo negoziale, riportando i documenti pubblici più significativi con le posizioni assunte dai rappresentanti istituzionali italiani sul tema della protezione dello status dei cittadini.

Recentemente (il 16 maggio 2017), diversi elementi conoscitivi sulla Brexit e sulle possibili conseguenze per la collettività italiana residente nel Regno Unito sono stati offerti dall’audizione del sottosegretario agli Affari Esteri Vincenzo Amendola presso la Camera dei deputati (Comitato per i problemi degli italiani all’estero, presieduto dall’on. Claudio Micheloni) [15]. L’obiettivo del Governo italiano, in sintonia con gli orientamenti assunti dal Consiglio europeo del 29 marzo 2017, consiste nel favorire un’uscita ordinata e senza strappi, assicurando l’unità dei 27 Stati membri, l’indivisibilità del mercato unico, la garanzia dei diritti acquisiti dai cittadini dell’Unione Europea e il regolamento delle pendenze finanziarie. Le ultime elezioni presidenziali e legislative in Francia, del resto, appaiono un importante segnale del fatto che la maggioranza dei cittadini europei è favorevole a una società aperta e ad un’Europa, in grado di offrire maggiori opportunità e sicurezza in un mondo soggetto a crisi di complessa risoluzione.

Il Regno Unito, pur uscendo dall’Unione Europea, porrà continuare ad essere un partner di primo piano per l’UE e l’Italia. La prima priorità cui si atterrà l’Unione nei negoziati è quella di definire lo status dei cittadini europei che risiedono in Gran Bretagna e dei cittadini britannici che risiedono nell’UE. La comunità di britannici residenti nei Paesi dell’UE è stimata intorno ad un milione di persone e anch’essi stanno conoscendo una fase di incertezza con preoccupazione per il proprio status futuro, situazione questa che può rafforzare la posizione negoziale per la tutela degli europei in Gran Bretagna. Sulla difesa dei diritti acquisiti non si accetteranno compromessi (anche la posizione della controparte sembra concorde al riguardo). Intanto il Ministero degli affari esteri è impegnato in un’opera di monitoraggio volta a prevenire eventuali discriminazioni ai danni dei cittadini italiani e a porre rimedio alle difficoltà burocratiche emerse all’indomani del referendum sulla Brexit.

Nel Regno Unito risiedono 3.200.000 cittadini europei e di questi si stima che 600 mila siano italiani, di cui mezzo milione nell’area londinese. Va sottolineato, a differenza di quanto avviene per gli altri Stati membri, che una buona parte dei nostri connazionali non è registrata presso l’AIRE, mentre gli iscritti allo schedario del Consolato generale di Londra sono 289 mila. Questo consolato sta trattando mensilmente circa 3 mila nuove notifiche di iscrizione all’Aire, quasi il doppio rispetto al 2012. Anche nella circoscrizione consolare di Edimburgo, in Scozia, dove risultano iscritti oltre 17 mila connazionali, si è arrivati al raddoppio delle domande di registrazione. E anche qui l’aggravio degli adempimenti evidenzia la necessità di supporto per il lavoro interinale. Nella circoscrizione del consolato di Manchester, soppresso nel 2011, sono residenti circa 50 mila connazionali a fronte dei 29 mila presenti nel 2010. Tenuto conto dell’aumento delle presenze della prevista uscita della Gran Bretagna dall’UE, il Ministero degli Affari Esteri sta valutando l’ipotesi di una riapertura dell’ufficio consolare di Manchester per coprire meglio l’area settentrionale del Paese.

Gli italiani recatisi di recente in Gran Bretagna sono per lo più (64%) giovani con meno di 35 anni di età, in possesso di titoli di studio di alto livello (57%). Molti di essi sono riusciti ad avere inserimenti lavorativi di prestigio, sia nell’economia che in ambito universitario.

Una conferma della non avvenuta cancellazione dalle anagrafi comunali e della loro assenza nelle statistiche dell’Istat di molti italiani emigrati nel Regno Unito viene dall’archivio del Ministero dell’Interno britannico, secondo cui è ben più alto il numero degli emigrati italiani che arrivano: 26 mila ingressi nel 2012 (contro 7.404 cancellazioni registrate dall’Istat), 32.800 nel 2013 (contro 12.962), 42 mila nel 2014 (contro13.491) e 57.600 nel 2015 (contro 11.810). Complessivamente, in questi quattro anni, l’Istat ha registrati 46 mila espatri a fronte di 158 mila risultati insediati ex novo in Gran Bretagna..

Concludendo l’audizione il sottosegretario Amendola ha riconosciuto l’atteggiamento costruttivo della Gran Bretagna e ha auspicato, per quanto riguarda i 27 Stati membri, il superamento di scelte singole a favore di di quelle comunitarie, ribadendo l’impegno, da parte del Ministero, a dedicare una maggiore attenzione ai dati dell’Aire.

5Stima della portata effettiva dell’esodo e riflessione conclusiva

Nell’Anagrafe degli italiani residenti all’estero gli iscritti sono passati, nell’arco di anni, da 3.106.251 (2006) a 4.636.647 (2015), con un aumento nell’ultimo anno di 150 mila unità e nell’intero periodo del 49,3% e di 1,45 milioni di unità (+508.000 nell’UE-28, +809 mila nell’America del Nord e nell’America Latina, +127.500 nelle altre aree). L’aumento delle collettività italiane all’estero è avvenuto in larga misura per l’inserimento di soggetti provenienti dall’Italia ma anche per dinamiche interne riferibili alle nascite sul posto e alle acquisizioni di cittadinanza. Nell’archivio le persone registrate per emigrazione sono il 52,7%. Nel decennio sono emigrati dall’Italia circa 500 mila italiani, ma – come si è visto – questo movimento è statisticamente sottostimato.

Iscritti e cancellati per trasferimento di residenza con l’estero. Anni 2001-2015

2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008
Iscritti
Totali 208.252 213.202 440.301 414.880 304.960 279.714 527.123 494.394
Italiani 35.416 44.476 47.530 41.794 37.326 37.666 36.693 32.118
Cancellati
Totali 56.077 41.756 48.706 49.910 53.931 58.407 51.113 61.671
Italiani 46.901 34.056 39.866 39.155 41.991 46.308 36.299 39.536
2009 2010 2011 2012 2013 2014 2015
Iscritti
Totali 421.859 447.744 385.793 350.772 307.454 277.631 280.078
Italiani 29.330 28.192 31.466 29.467 28.433 29.271 30.052
Cancellati
Totali 64.921 67.501 82.461 106.216 125.735 136.328 146.955
Italiani 39.024 39.545 50.057 67.998 82.095 88.859 102.259  
Fonte: Elaborazioni su dati Istat

In questo articolo sono stati presi in esame, come Paesi di sbocco dei nuovi flussi migratori dall’Italia, solo la Germania e la Gran Bretagna. Gli altri Paesi dove gli italiani si recano maggiormente sono la Svizzera, la Francia e l’Argentina (il loro peso è equivalente a quello di Germania e Gran Bretagna presi complessivamente) e, a seguire, Brasile, Usa, Spagna, Belgio, Australia, Austria, Canada, Paesi Bassi, Venezuela, Irlanda e Lussemburgo.

I casi della Germania e della Gran Bretagna, che permettono di confrontare gli archivi italiani con quelli esteri, hanno indotto a riflettere sulla sottostima statistica degli italiani che vanno a stabilirsi all’estero a causa della mancata cancellazione dalle anagrafi comunali. Dei residenti e dell’iscrizione all’AIRE. Secondo R. Ricci della Filef, che ha curato di recente un approfondimento sui nuovi flussi migratori, il flusso reale di espatri (che indubbiamente è più agevole nell’area Schengen) potrebbe essere di 2,5/3 volte superiore, a quello rilevato dall’Istat, per cui nel 2015 gli espatriati italiani potrebbero essere stati non 122 mila ma più del doppio (tra i 250 mila e i 300 mila) e tre volte superiore ai dati Istat, superando il numero di immigrati economici e i profughi. [16].

Dall’andamento statistico che ha caratterizzato i flussi degli italiani verso l’estero negli ultimi anni si possono trarre diverse conclusioni,concentrando l’attenzione specialmente sui giovani:

  • non ci si può opporre alle scelte migratorie nell’attuale contesto di globalizzazione e, tuttavia, occorre tenere bene a mente che di giovani si riscontra una crescente penuria, che questi sono costati all’erario e alle famiglie un significativo investimento in istruzione e che andrebbero sostenuti il più possibile al fine di trovare un inserimento soddisfacente in patria (ma ciò non sempre avviene);
  • l’esodo dei lavoratori qualificati italiani dall’Italia andrebbe esaminato congiuntamente con l’insediamento di lavoratori qualificati stranieri provenienti dall’estero, al fine di realizzare una vera brain circulation e scongiurare, al contrario, un brain waste;
  • è indispensabile considerare la politica occupazionale come un fondamentale perno delle politiche migratorie, sia nei confronti degli italiani che partono (scelta spesso dettata dalla disperazione di non potersi inserire in loco; cosa ben diversa dall’interesse a cogliere maggiori opportunità), sia per i cittadini stranieri che arrivano dall’estero o per gli italiani che rimpatriano; perché solo così, si può valorizzare il loro apporto;
  • è indispensabile un maggiore impegno per sensibilizzare su questi aspetti onde evitare, da una parte, di considerare l’emigrazione degli italiani un problema e, dall’altra, di non farsi carico seriamente dell’immigrazione, indispensabile dal punto di vista demografico.

In questo contesto, le statistiche possono essere d’aiuto per riflettere in maniera non ideologica e predisporsi a fruttuose decisioni operative: questo è lo spirito che ha animato le nostre riflessioni.

Dialoghi Mediterranei, n.26, luglio 2017
Note
[1] http://www.gfk.com/it/insights/press-release/si-rafforza-la-reputazione-del-brand-italia/
[2] 9 Colonne Atg, n. 50/2016 del 15-12-2016.
[3] Cfr. Idos, Istituto S. Pio V, a cura di B. Coccia e F. Pittau, La dimensione sociale dell’Europa. Dal Trattato di Roma ad oggi, Edizioni Idos, Roma, 2017.
[4] Istituto di Studi Politici S. Pio V, a cura di B. Coccia e F. Pittau, Le migrazioni qualificate in Italia, Ricerche, statistiche, prospettive, Edizioni Idos, Roma, 2016.
[5] Istat, Migrazioni internazionali ed interne della popolazione residente – Statistiche Report, anni 2011-2015.
[6] In proposito occorre precisare che la cifra ricomprende anche i trasferimenti fuori dei confini nazionali di cittadini italiani nati all’estero che rientrano per un periodo più o meno breve nel nostro Paese per poi ridirigersi all’estero dopo aver ottenuto la cittadinanza italiana in quanto discendenti di cittadini italiani emigrati all’estero (ad es. in Brasile o in Argentina). Si stima che per il 2016 la quota dei cittadini italiani nati all’estero espatriati sul totale dei trasferiti all’estero sia di oltre il 20%.
[7] Sono ben noti infatti i problemi di sottostima dell’emigrazione all’estero di cui soffrono le statistiche ufficiali di fonte amministrativa. La sottostima non inficia in ogni caso i confronti a livello temporale e l’individuazione del trend del fenomeno.
[8] Istat, Rapporto annuale 2015, La situazione del Paese, https://www.istat.it/it/archivio/159350
[9]http://comunicazioneinform.it/45mila-gli-under-40-che-nel-2014-hanno-lasciato-litalia-e-trasferito-la-propria-residenza-allestero/.
[10] Questi interrogativi sono ampiamenti dibattuti nel volume dell’Istituto di Studi Politci “S- Pio V”, Le migrazioni qualificate in Italia: ricerche, statistiche, prospettive, cit.
[11] https://www.destatis.de/
[12] www.soscisurvey.de/mondo-sottosopra
[13] Iniziative analoghe sono state condotte in altri Paesi. Ad esempio, il Comites di Nizza, ha aggiornato il suo sito internet (www.comites-nice.fr) e ha fatto curare da un suo membro (Bruno Capaldi) la guida Vivere, lavorare, inserirsi in Francia. Questi nuovi strumenti sono stati concepiti come sussidi in grado di aiutare i nostri connazionali nei loro primi passi in terra francese, dove gli italiani iscritti all’Aire sono 370 mila. Di questi, ben 33 mila nella sola circoscrizione di Nizza (dal 2007 si contano 7 mila italiani iscritti ex novo). Andando oltre le statistiche ufficiali, si stima in realtà che ben 80 mila siano gli italiani che vivono nella circoscrizione di Nizza senza essere registrati all’Aire (http://www.comites-nice.fr/images/guida-web.pdf con notizia su Inform 22 giugno 2015).
[14]http://www.improntaunika.it/2013/01/cervelli-in-fuga-dal-regno-unito-comitato-parlamentare-sul-fenomeno/.
[15] G. M. Inform, 17 maggio 2017.
[16] Nel volume Le migrazioni qualificate in Italia: ricerche, statistiche, prospettive, più volte citato, la questione è affrontata da Domenico Gabrielli, “Le emigrazioni degli italiani negli anni Duemila e l’aumento dei laureati”: 88-98. Qui facciamo riferimento anche a uno studio sulla nuova immigrazione italiana condotta do Rodolfo Ricci della Federazione Italiana Emigrazione Immigrazione (FILEF), presentato a un seminario promosso dalla Fondazione di Vittorio il 12 aprile 2016: https://cambiailmondo.org/2016/04/13/la-nuova-emigrazione-italhttps://cambiailmondo.org/2012/05/15/2012-fuga-dallitalia-la-nuova-emigrazione-in-ripartenza-urgente-avviare-un-confronto-per-cogliere-la-sfida-del-nuovo-esodo-europeo/2013
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Mauro  Albani, ricercatore dell’Istituto Nazionale di Statistica, con formazione di tipo statistico-demografico e esperienza nel trattamento e nell’analisi di dati di fonte amministrativa in ambito demografico e sociale. Dal 2006, presso il “Servizio Registro della popolazione, statistiche demografiche e condizioni di vita”, si occupa di dati sulla popolazione straniera residente e sulle migrazioni. Su questi temi ha svolto attività di ricerca e pubblicato su riviste nazionali e internazionali, presentato contributi a convegni e conferenze, svolto attività di docenza, collaborato con istituzioni pubbliche e private nell’ambito di convenzioni, progetti specifici e tavoli di lavoro.
Franco Pittau, ideatore del Dossier Statistico Immigrazione (il primo annuario di questo genere realizzato in Italia) e suo referente scientifico fino ad oggi, si occupa del fenomeno migratorio dai primi anni ’70, ha vissuto delle esperienze sul campo in Belgio e in Germania, è autore di numerose pubblicazioni specifiche ed è attualmente presidente onorario del Centro Sudi e Ricerche IDOS/Immigrazione Dossier Statistico.

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