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Le Nuove Indicazioni 2025 sulle discipline umanistiche e sull’educazione linguistica. Note critiche

 nuove-indicazioni-acqua-1di Veronica Medda

Premesse: contesto, obiettivi e linee guida

Per tutti coloro che ci leggono e che non sono abituati al burocratese della scuola, per usare una felice espressione di Calvino, è opportuno fare alcune premesse circa l’essenza delle Indicazioni Nazionali per la  Scuola dell’infanzia e Primo ciclo di istruzione, tornando necessariamente indietro fino al 2012-2013, anno scolastico in cui, in modo graduale, le scuole dell’infanzia e del primo ciclo di istruzione hanno iniziato ad elaborare l’offerta formativa avendo come riferimento non più il cosiddetto “programma”, ma approcciandosi alla più ampia prospettiva del curricolo, che si realizza tenendo conto del contesto territoriale in cui è collocata la singola scuola. Fondamentale in questo processo è l’integrazione tra conoscenze e competenze, come precisa Franca Da Re, perché attraverso la didattica per competenze, riusciamo a rispondere alle domande degli studenti, che celano un bisogno profondo di attribuire senso al proprio apprendimento e al proprio lavoro. Le competenze, di fatto, costituiscono il significato dell’istruzione, sono in grado di dare motivazione alle abilità, alle conoscenze e ai contenuti disciplinari (Da Re, 2013: 19). Solo in questo modo lo studente diventa il pilastro del processo di apprendimento, non solo in cui discente in fase di obbligo scolastico ma soprattutto in quanto individuo fatto di peculiarità e bisogni particolari. Il piano di studi degli alunni per usare un termine prestato dal mondo accademico, da questo momento in poi «è costruito e organizzato in itinerari didattici predisposti e progressivamente implementati dagli insegnanti, e si attualizza in percorsi di apprendimento specifici per ciascuna classe e per ciascun allievo» (Tessaro, 2019: 13).

9788833591520Chiariti questi aspetti teorici, appare chiaro che le Indicazioni Nazionali del 2012 siano state costruite volutamente e nelle loro intenzioni metodologiche come un testo aperto, che la comunità professionale è tenuta ad assumere e a contestualizzare tenendo conto dei bisogni di sviluppo degli alunni, delle aspettative della società, delle risorse disponibili all’interno delle scuole e nel territorio. Il documento infatti, in linea con il principio dell’autonomia scolastica, ha stabilito per le scuole gli obiettivi di apprendimento e le competenze che ogni studente deve acquisire, che evidenziano la necessità di adattamenti in risposta a un contesto demografico e culturale  profondamente cambiato, al fine di garantire a tutti gli studenti solide basi di conoscenze e competenze, confermando la validità dell’approccio educativo trasversale fin dalla scuola primaria e ponendo la scuola in continuo dialogo con “l’altrove”. La scuola, di fatto, può agire in questo orizzonte solo in collaborazione con le famiglie e con le diverse realtà locali, ricollocandosi – finalmente – al centro dell’intero sistema sociale.

Effettivamente spesso si tende a concepire la scuola come un ecosistema autonomo, distante o addirittura immune dalle scelte irresponsabili della collettività o da quelle di alcuni decisori politici che, nel corso del loro mandato, si dedicano a “imporre” nuove riforme o modifiche all’ordinamento vigente senza una reale progettualità civica. Peggio ancora, tali decisioni vengono prese spesso senza coinvolgere gli attori principali del sistema scolastico, come docenti, dirigenti scolastici e altre figure amministrative.

È il caso delle Nuove Indicazioni 2025 per la Scuola dell’infanzia e per il Primo ciclo di istruzione, disponibili in bozza nel sito del Ministero dell’Istruzione e del Merito dall’11 marzo 2025 [1], che hanno sollevato ampie polemiche non solo nel mondo della scuola, ma anche in tutti gli ambiti del dibattito pubblico. A essere al centro delle discussioni non è soltanto il contenuto del documento, ma soprattutto la visione pedagogica sottesa, le scelte linguistiche adottate e l’idea implicita di scuola, di infanzia e di formazione culturale che da esso emerge.

Nelle riflessioni che seguono, si intende proporre una lettura critica della bozza ministeriale, con un focus sulle discipline umanistiche – con particolare attenzione per l’educazione linguistica e letteraria – che, più di altre, sembrano risentire di un processo di semplificazione, ridefinizione e, in alcuni casi, marginalizzazione.

Non si ha la pretesa, tuttavia, di offrire un’analisi esaustiva, bensì di proporre alcuni spunti di riflessione, nella consapevolezza della complessità dell’argomento e del dibattito ancora in corso all’interno della comunità educativa e scientifica. In questa prospettiva, l’analisi di alcuni nodi concettuali e terminologici presenti nelle Nuove Indicazioni intende far emergere tanto le intenzioni dichiarate quanto le ambiguità irrisolte, aprendo interrogativi sul senso e sul ruolo dell’insegnamento oggi. 

ladidatticapercompetenzeIntenzioni aperte, struttura chiusa: limiti e incongruenze delle Nuove Indicazioni

L’aggiornamento delle Indicazioni Nazionali dovrebbe rappresentare, nelle sue intenzioni programmatiche, una risposta alle profonde trasformazioni sociali, culturali e educative che caratterizzano il nostro tempo. L’obiettivo, in sintesi, è quello di costruire un sistema di indicazioni appunto che siano al passo con i tempi, capace di valorizzare l’identità culturale italiana e, al contempo, di dialogare con le migliori esperienze educative a livello mondiale.

L’imponente lavoro per la revisione delle Nuove Indicazioni Nazionali, dichiara Loredana Perla, coordinatrice della Commissione ministeriale, ha preso il via nell’agosto del 2023 e, ad oggi, è ancora in pieno svolgimento, grazie alla collaborazione tra figure provenienti da diversi ambiti sia nel campo delle discipline pedagogiche sia esponenti di spicco del mondo universitario e scolastico: un progetto partecipato e articolato, volto a costruire un impianto educativo coerente, attuale e aperto al confronto internazionale.

Il risultato di questo lavoro sono 153 pagine di osservazioni, introdotte da una presentazione dei lavori della Commissione e da una Premessa culturale generale, nella quale sono già ravvisabili alcune incertezze e criticità di metodo. L’incipit di questa sezione, costituito dai termini Persona, Scuola, Famiglia, non sembra veicolare un messaggio univoco né offrire una chiara direzione tematica, risultando anzi caratterizzato da una certa disarticolazione concettuale. Come osserva Italo Florin, già coordinatore nel 2012 del Comitato scientifico per le Indicazioni nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo di istruzione, tali termini, pur rilevanti, appaiono tra loro scollegati e privi di una coesione argomentativa esplicita, mentre nelle Indicazioni precedenti il paragrafo Cultura, Scuola, Persona esprimeva con immediatezza l’idea che la scuola aiuta la persona a realizzarsi tramite la cultura [2].

L’impressione di un messaggio poco coerente e non chiaramente definito si rafforza a seguito della lettura del capitolo dedicato alla famiglia (ivi: 8-9). Pur riconoscendo il ruolo centrale che essa riveste nel processo formativo delle giovani generazioni, il documento propone una rappresentazione idealizzata della famiglia, distante dalle molteplici e complesse realtà presenti nella società contemporanea. Il testo, infatti, tende a trascurare – diversamente da quanto avveniva nei documenti precedenti – i contesti scolastici critici e realistici nei quali alunni e docenti quotidianamente operano, privilegiando invece scenari ideali. In tali condizioni, l’applicazione delle linee didattiche proposte risulterebbe, di fatto, un obiettivo difficilmente raggiungibile, se non addirittura utopico.

Del resto come sottolinea Antonio Calvani, per identificare punti di convergenza su cui costruire interventi migliorativi efficaci, è fondamentale partire da un’analisi approfondita delle criticità della scuola, della loro evoluzione e delle priorità in cui si manifestano (Calvani, 2022). Questo approccio critico sembra mancare nella bozza, che, pur dichiarando un’intenzione di apertura, appare lontana dalle concrete esigenze del sistema educativo contemporaneo. Fin dalle prime pagine, infatti, si ricava l’impressione di un documento distante dalla complessità e dalle istanze del nostro tempo, sensazione che trova ulteriore conferma nella sezione dedicata alla descrizione delle finalità delle varie discipline, in particolare di quelle umanistiche, su cui torneremo nel paragrafo successivo.

9788879468213_0_0_0_0_0Le perplessità, di fatto, persistono quando si esamina il titolo dell’ultimo punto della Premessa, che si conclude con il concetto di personalizzazione. Questo concetto emerge nel paragrafo finale, intitolato Scuola che sa essere inclusiva. Tuttavia, sarebbe più corretto affermare che la scuola deve essere inclusiva, piuttosto che “sa essere inclusiva”, poiché quest’ultima formulazione sembra ammettere che esistano scuole che, per loro natura, potrebbero non esserlo. In questo modo, si lascia aperto uno spazio per una pericolosa deriva, in cui l’inclusività diventa una qualità facoltativa piuttosto che un principio imprescindibile. In particolare, emerge con chiarezza una spinta particolarmente anti-egualitaria, come evidenziato da Massimo Baldacci, legata all’uso poco chiaro del concetto di personalizzazione, tenuto conto di ciò che si legge a pagina 14 del documento: «Postulato squisitamente pedagogico, la personalizzazione presuppone l’assunzione di un paradigma antropologico che interpreta l’agire scolastico nei termini di un accompagnamento intenzionale dell’allievo a riconoscer-si capace, al di là della difficoltà, di sviluppare i suoi talenti». Da questa definizione e da ciò che segue, sembrerebbe che secondo la Commissione le inclinazioni che i bambini mostrano a scuola potrebbero dipendere dai condizionamenti degli ambienti sociali in cui crescono. Se si interviene per rafforzare queste inclinazioni, si rischia di rafforzare le disuguaglianze create da questi ambienti, invece di ridurre la loro influenza sul percorso scolastico. Questo non vuol dire che tali inclinazioni vadano bloccate, ma che la scuola dell’infanzia e il primo ciclo di istruzione dovrebbero concentrarsi su un altro problema prioritario: garantire che tutti gli studenti raggiungano le conoscenze e competenze fondamentali per diventare cittadini a pieno titolo. Per ottenere questo risultato, però, è necessaria una strategia diversa, quella dell’individualizzazione, che prevede la flessibilità nei percorsi didattici per raggiungere obiettivi comuni per tutti gli alunni, incentrati sulle competenze e conoscenze essenziali (Baldacci 2005) [3].  Anche nelle pagine precedenti, tali idee vaghe erano già state evidenziate, come si evince dal testo, in particolare riguardo ai temi dell’inclusione, della libertà e dell’etica del rispetto. 

«Una mente libera è una mente che sa dialogare, che sa accogliere le diversità senza paura, che sa pensare criticamente senza cadere nel dogmatismo o nell’individualismo esasperato. In questo modo, la scuola diventa il luogo in cui la libertà si trasforma in responsabilità, il pensiero in azione, l’identità in appartenenza a una comunità più ampia e inclusiva in cui tutti riconoscano in se stessi il senso del limite e imparino il valore delle norme che regolano la convivenza civile» (ivi: 10-11). 

Questi concetti, pur essendo centrali nel dibattito educativo, appaiono trattati in modo ambiguo, senza una definizione chiara e operativa che possa guidare efficacemente le pratiche didattiche. Il dubbio nasce dal rischio di affrontare il tema del senso del limite in modo indistinto, senza tener conto delle profonde differenze che caratterizzano le diverse fasce d’età: del resto, spiega Tommaso Fratini, il limite è fondamentale nell’educazione a tutti i livelli, perché esso sta a significare il confine e il divieto che non possono essere oltrepassati nel rispetto degli altri e in quello di sé (Fratini, 2019: 354). Parlare di limiti con bambini della scuola dell’infanzia o della primaria, con preadolescenti o con adolescenti non può avvenire nello stesso modo, poiché ciascuna fase evolutiva presenta specificità cognitive, affettive e relazionali che incidono sulla percezione e sull’interiorizzazione del concetto di limite, soprattutto in riferimento all’educazione affettivo-relazionale [4].

Tuttavia, nel documento in esame, la distinzione tra le diverse fasce d’età appare poco articolata, quando non del tutto sfumata, al punto da risultare quasi trascurata. Un approccio pedagogico fondato su basi scientifiche dovrebbe, al contrario, modulare i contenuti e le strategie educative tenendo conto delle specifiche caratteristiche cognitive, affettive e socio-relazionali che contraddistinguono ciascuna fase dello sviluppo (Phillips, 2000). Un’impostazione di questo tipo rischia non solo di semplificare indebitamente la complessità dei processi di crescita, ma anche di compromettere l’efficacia educativa degli interventi proposti, a maggior ragione se seguita dall’assunto secondo cui l’interiorizzazione del senso del limite costituirebbe un antidoto alla hybris, soprattutto nei bambini e adolescenti provenienti da contesti familiari con povertà educativa e stili affettivi disfunzionali, appare riduttivo e problematico. La formulazione proposta tende a generalizzare eccessivamente, rischiando di etichettare i minori in categorie stereotipate – “piccoli tiranni” o “fragili prede” – e trascurando la complessità dei processi evolutivi. Ne deriva il rischio di un’impostazione eccessivamente generalista, in cui il concetto di senso del limite viene trattato come universale e omogeneo, senza una reale contestualizzazione rispetto ai differenti stadi dello sviluppo evolutivo (Phillips, 2000).

9788807882678_quarta-jpg-800x800_q75Le riflessioni potrebbero essere molto articolate, ma per concludere questa sezione riflessiva centrale, riteniamo fondamentale sottolineare che le bozze in questione sono suscettibili di modifiche. Non è un caso che le Indicazioni siano state pubblicate sul sito del MIM con l’allegato di una nota esplicativa e un sottotitolo che recita Materiali per il dibattito pubblico, il che implica, in linea con i suoi intenti, che si tratti di un testo esaustivo ma “aperto” – in linea con la sua stessa essenza programmatica – a ulteriori interventi, scaturiti da un confronto partecipato con tutte le parti coinvolte. Tuttavia, tale intenzione sembra in contrasto con l’uso continuo di un linguaggio marcatamente assertivo che attraversa l’intero documento, rendendo difficile conciliare l’idea di un testo “aperto” con un tono così perentorio.

Una contraddizione ancor più evidente se si considera che, nei giorni successivi alle comunicazioni del Ministro, si era alimentata la concreta speranza poi delusa di poter incidere sul testo attraverso un confronto partecipato con i Dirigenti Scolastici e i docenti, con l’obiettivo di integrare o rivedere aspetti trascurati dagli esperti, in gran parte provenienti dal mondo accademico. Tale aspettativa viene prontamente disattesa con la diffusione di un questionario destinato esclusivamente ai Dirigenti, ai loro Staff o, eventualmente, a un ristretto gruppo di docenti selezionati per lo scopo. Le domande proposte nella consultazione si concentrano soprattutto sulla struttura del documento, oltre alla chiarezza e leggibilità: in sostanza non si mette minimamente in questione l’aspetto didattico e pedagogico ma esclusivamente quello formale, che quindi è da intendersi, secondo la nota, “di particolare rilevanza”.[5] Fin da subito, pero, i tempi previsti e le modalità appaiono sospettosamente ristrette per un confronto che voglia davvero essere tale: risulta difficile credere che possa essere costituito in modo efficace un gruppo di lavoro, come espressione del collegio dei docenti, che disponga del tempo necessario per riunirsi e leggere con la dovuta attenzione il testo al fine di rispondere alle domande previste.

A prima vista, l’impressione complessiva è che non si stia realmente cercando di dare voce alle opinioni dei professionisti che operano nelle scuole, un aspetto che dovrebbe essere centrale in un autentico processo di confronto. Questo contrasto appare ancora più evidente se lo si paragona a quanto avvenuto durante la consultazione precedente alla stesura delle Indicazioni nazionali del 2012, quando invece il dialogo con gli operatori scolastici, i dirigenti e i docenti si rivelò ampio e costruttivo, permettendo di raccogliere una vasta gamma di contributi che hanno arricchito il documento finale. In questa nuova fase, invece, sembra che tale apertura sia stata notevolmente ridotta, suscitando dubbi sull’effettiva volontà di coinvolgere in modo significativo il mondo scolastico nel processo di definizione delle nuove linee guida. Tuttavia, al termine del modulo è previsto uno spazio per “suggerimenti e osservazioni” che consente un massimo di 250 caratteri, spazi inclusi, un numero inferiore a quanto consentito in un post sui social network. Tale limitazione non lascia sufficiente spazio per esprimere riflessioni approfondite o commenti costruttivi,  vanificando così la possibilità di un reale contributo al dibattito.

A questo punto, si sono immediatamente opposte le organizzazioni sindacali, che hanno denunciato il modus operandi di tale processo di consultazione, dal quale non emerge alcuna dimensione valutativa finalizzata ad analizzare punti di forza e criticità ma che si pone come un mero adempimento formale dovuto prima dell’adozione definitiva del testo. Dalla rilettura della modalità con cui sono state formulate le domande, annunciano compattamente le diverse sigle, emerge l’implicita presunzione di un consenso generale, lasciando come unica possibilità di intervento la proposta di suggerimenti generici su eventuali modifiche auspicabili. Questo approccio risulta particolarmente evidente nei quesiti relativi all’impianto delle discipline, per ciascuna delle quali viene proposta, in modo ripetitivo e standardizzato, la medesima triade di opzioni di risposta.

Per tali ragioni, a seguito di letture più approfondite delle Nuove Indicazioni, si consolida l’impressione che, nonostante le premesse ambiziose, si tratti ancora una volta di un’occasione mancata. La scuola, troppo orientata a rispecchiare le inclinazioni individuali, rischia di perpetuare le disuguaglianze sociali, riducendo le opportunità di riscatto culturale e sociale. Gli studenti provenienti da contesti privilegiati acquisiscono una solida preparazione culturale, mentre quelli in situazioni più svantaggiate sono limitati a forme di intrattenimento, con conseguenti difficoltà nel proseguire gli studi e affrontare la vita. La scuola, invece, dovrebbe garantire a tutti pari opportunità formative, favorendo un percorso comune e solidale. La volontà di innovare, dunque, pare non tradursi in un reale cambiamento di paradigma, ma piuttosto in una serie di aggiustamenti superficiali che rischiano di non affrontare in modo adeguato le sfide strutturali e sistemiche del nostro sistema educativo. 

61e5mnfabcl-_ac_uf10001000_ql80_Dal documento alla didattica: la rappresentazione delle discipline umanistiche 

Leggendo i paragrafi dedicati alle discipline umanistiche, emerge con maggiore chiarezza che il documento in questione non rappresenta un semplice aggiornamento, ma piuttosto un intervento che sembra eludere un autentico cambiamento di paradigma. Tale approccio appare distante dalle intenzioni espresse dalle Indicazioni del 2012 e da altri documenti che hanno posto al centro del sapere una pluralità di discipline. In realtà, la scuola dovrebbe favorire l’integrazione tra i vari saperi e le differenti esperienze, al fine di sviluppare una conoscenza complessa e articolata. Questa conoscenza, capace di rispondere alla complessità e alla molteplicità dei problemi e degli oggetti di studio del mondo contemporaneo, è fondamentale per formare cittadini in grado di affrontare le sfide globali in modo critico e consapevole. Un approccio che non riconosce pienamente l’interconnessione tra le discipline rischia di limitare la capacità degli studenti di comprendere la realtà nella sua interezza e di sviluppare competenze trasversali necessarie nel mondo odierno: 

«Non basta ricorrere ai raccordi fra materie e discipline: occorre un nuovo paradigma, occorrono nuove mappe cognitive capaci di orientare i futuri apprendimenti degli studenti d’oggi. È nella scuola, infatti, che si formano le nostre idee di fondo sull’umanità, sulla storia, sulla natura, sull’universo, sulla società, sulla mente, sui problemi planetari, sul sapere stesso» (Ceruti, 2017: 16). 

Soffermandoci, dunque, sulla parte dedicata alle varie discipline, e in particolare sulla sezione relativa alla Scuola secondaria di primo grado, emerge l’assenza di un progetto educativo che promuova una visione integrata e complessa del sapere. La frammentazione e la mancanza di un coordinamento tra le diverse aree disciplinari riducono l’efficacia dell’educazione, impedendo agli studenti di acquisire una conoscenza articolata e multidimensionale, necessaria per affrontare le sfide del mondo contemporaneo. L’assenza di un’adeguata considerazione dell’educazione linguistica democratica, in particolare, compromette il raggiungimento di obiettivi formativi che siano veramente inclusivi e orientati alla cittadinanza attiva. In questa fase di transizione – da intendersi non solo digitale, ma del tutto antropologica – si manifesta con ancora più forza la necessità di adottare approcci pedagogici flessibili e inclusivi, capaci di rispondere ai bisogni educativi di tutti gli alunni, valorizzando le diversità, promuovendo il pensiero critico e favorendo un apprendimento attivo e partecipativo.

A partire dal titolo del paragrafo, Scuola e Nuovo Umanesimo, si auspica nel documento l’affermazione di un rinnovato legame tra scuola, didattica e competenze digitali, con l’obiettivo di porre al centro l’uomo e i suoi bisogni in una prospettiva partecipativa. Ma, ancora una volta, le speranze di un cambiamento coerente con i tempi vengono deluse, poiché l’affermazione «La libertà è il valore caratteristico più importante dell’Occidente e della sua civiltà sin dalla sua nascita, avvenuta fra Atene, Roma e Gerusalemme» suggerisce nuovamente una spinta ideologica, oltre a risultare storicamente confusa [6].

Siamo giunti, quindi, a uno dei nodi più controversi delle Indicazioni, rappresentato dalla frase iniziale del paragrafo dedicato alla Storia. Il capitolo si apre con un’affermazione netta, al limite del provocatorio: «Solo l’Occidente conosce la storia» (ivi:.68), seguita dalla precisazione che «Altre culture, altre civiltà hanno conosciuto qualcosa che alla storia vagamente assomiglia». Tale visione risulta in contrasto con l’intento stesso del titolo del paragrafo, Perché studiare la storia, che suggerisce un approccio più inclusivo e globalmente consapevole delle diverse modalità con cui le varie civiltà hanno concepito e praticato la storia. Lo studio della storia non si limita alla narrazione dell’Occidente, ma deve piuttosto ampliare la comprensione della pluralità di esperienze storiche, promuovendo una visione più articolata e complessa che superi una visione unilaterale e eurocentrica.

È stato inevitabile a questo punto l’intervento della Società Italiana di Didattica della Storia (SiDidaSt) che ha immediatamente espresso il suo dissenso riguardo alle nuove Indicazioni,  poi condiviso da altre società storiche e associazioni professionali.

La critica si concentra su due aspetti principali: il metodo di consultazione, ritenuto superficiale e privo di un vero confronto, e il contenuto della bozza, che, secondo la SiDidaSt, riduce la storia a una narrazione mitologica e nazionalista, invece di promuovere una ricostruzione scientifica e critica del passato, rivelando le «potenzialità di una didattica in grado di lavorare su grandi problemi, trasversali alle diverse epoche e civiltà» (Panciera, Valsierati, 2019: 11). Inoltre, viene denunciata la prevalenza di un approccio moralistico e sentimentale che, unito all’esclusivo uso di lezioni frontali e manuali, limita la possibilità di stimolare riflessioni critiche negli studenti. un intervento ideologico piuttosto che educativo[7]. La Commissione, di fatto, sembra essersi dimenticate le finalità intrinseche all’insegnamento della storia, che non può più limitarsi a perseguire una sterile conoscenza nozionistica degli eventi del passato, ma deve essere finalizzato soprattutto alla comprensione del presente e all’assunzione di consapevolezza e di responsabilità con capacità di impegno motivato e proficuo rispetto alle questioni che prospetta l’attualità.

Analogamente, sono passate in secondo piano gli obbiettivi educativi fondamentali dell’insegnamento della lingua italiana e della sua dimensione letteraria, finalizzata a sviluppare nei giovani una consapevolezza linguistica che li renda capaci di interpretare e confrontarsi criticamente con il mondo che li circonda, utilizzando la lingua come strumento per analizzare, esprimere e interrogare la realtà sociale e culturale. L’italiano, inteso come storia della letteratura, deve andare oltre la semplice trasmissione di un corpus di opere letterarie, ponendo invece al centro l’approccio critico ai testi, che consenta agli studenti di acquisire competenze interpretative e di cogliere i legami tra il passato e le problematiche contemporanee, rendendo la lingua stessa uno strumento di partecipazione attiva alla cultura e alla società. A questo si collega la raccomandazione del documento di non ‘fare storia della letteratura’ alla scuola media inferiore, ma di ampliare autori e generi considerati, dando spazio a tipologie testuali vicine alla sensibilità e ai gusti degli adolescenti, affermazione che anche secondo l’Associazione degli Italianisti si può considerare condivisibile [8]. Del resto, in questa fase è importante approcciarsi al meglio alle varie tipologie testuali e sviluppare le competenze di base di riconoscimento e analisi del testo, che poi saranno potenziate e messe in atto nel ciclo di studi successivo. Questo aspetto aggrava un limite già presente nelle precedenti indicazioni, ovvero la divisione tra i due ambiti, ignorando il fatto che l’educazione alla testualità, così come la comprensione e produzione di testi, non può prescindere dalla formazione letteraria e dall’acquisizione di un solido metodo di lettura, analisi e interpretazione. Nelle Nuove Indicazioni Nazionali, in relazione all’insegnamento della letteratura, sembra invece emergere come unico criterio di riferimento l’«allenamento alla lettura già avviato nella scuola primaria» (ivi:.43).

9788858130728Ancora una volta, le Nuove Indicazioni si presentano come un documento frammentato, privo di una visione coerente e organica, con le sue intenzioni e obiettivi programmatici divisi e non armonizzati. Questo approccio appare distante dai reali bisogni della scuola, riflettendo una disconnessione tra le aspirazioni dichiarate e le necessità concrete del sistema educativo. Ciò che risulta ancora più preoccupante è che sembrano essere state ignorate alcune lezioni fondamentali legate all’educazione linguistica democratica, un ambito cruciale per lo sviluppo di competenze critiche e partecipative tra gli studenti (De Mauro, 2018) [9].

Le riflessioni di Mari D’Agostino e Maria Rosa Turrisi evidenziano come l’espressione «L’educazione linguistica è compito dei docenti di tutte le discipline» compaia una sola volta nella prima pagina in una formulazione quasi identica a quella delle Indicazioni del 2012. A prima vista, questa ripresa terminologica e concettuale potrebbe sembrare un segno evidente di continuità con l’impianto didattico precedente e già consolidato. Tuttavia, come osservano le autrici, tale continuità non è presente, non solo per il fatto che l’espressione appare unicamente nelle pagine dedicate all’italiano, ma anche perché è venuto meno l’impianto che sosteneva l’unitarietà di sguardo su ‘lingua materna, lingua di scolarizzazione e le lingue europee’. Questo assetto, presente nelle Indicazioni del 2012, aveva visto il concetto di ‘educazione linguistica’ frequentemente affiancato, o addirittura sostituito, da quello di ‘educazione plurilingue’, espressione che, invece, è scomparsa dalla sezione delle Nuove Indicazioni dedicate all’italiano (DAgostino, Turrisi, 2025). Diventa quindi fondata la preoccupazione per la chiara separazione tra l’insegnamento della lingua e quello della letteratura, una distinzione che ricorre in diversi passaggi del documento, dove le due aree disciplinari vengono presentate come ambiti distinti, privi di connessioni reciproche. In tal modo, viene disattesa la promessa di interdisciplinarità che costituisce uno dei principi fondanti del curricolo.

A61iffud1l-_ac_uf10001000_ql80_vviandoci a conclusione, in questa sede, non si vuole in alcun modo negare il bisogno di nuove linee guida per l’insegnamento, soprattutto nel primo ciclo di istruzione, dove è fondamentale gettare le basi per un apprendimento solido e duraturo. Riteniamo, infatti, che le linee guida dovrebbero essere uno strumento di orientamento formidabile verso una didattica integrata, trasversale e centrata sullo studente, in grado di connettere conoscenze, competenze e contesti reali. Del resto, già nel 1999 il pedagogista Umberto Margiotta aveva descritto le competenze trasversali come un intreccio tra sapere, saper fare e saper essere che consentono di agire in modo adeguato rispetto a situazioni, eventi e contingenze. Secondo questa visione, le competenze trasversali rappresentano un insieme integrato di conoscenze, abilità e atteggiamenti che permettono all’individuo di ottenere risultati efficaci nei contesti per lui significativi, manifestandosi come capacità di affrontare e gestire problemi della vita quotidiana attraverso l’impiego di abilità sia cognitive che sociali (Margiotta, 1999).

Per diversi aspetti, però, l’approccio delle Nuove Indicazioni risulta ancora troppo legato a logiche che, senza indugiare in esagerazioni, possono essere considerate ideologiche. La bozza a nostra disposizione sembra non affrontare in profondità le problematiche strutturali e sistemiche del nostro sistema educativo, limitandosi a introdurre una serie di aggiustamenti superficiali, che non riescono a incidere sulle radici delle sfide educative. Le discipline umanistiche, che potrebbero rappresentare una risorsa fondamentale per la formazione critica e riflessiva degli studenti, sembrano essere trattate in modo marginale e ridotte a un elenco di competenze da acquisire, senza considerare il loro ruolo centrale nel promuovere una visione umanistica e inclusiva della società. Questo approccio rischia di non favorire un’autentica trasformazione del sistema educativo, lasciando intatte le disuguaglianze e le carenze strutturali che ne limitano l’efficacia. L’assenza di un cambiamento radicale nelle logiche educative evidenzia la difficoltà di affrontare questioni complesse con interventi che non vanno oltre il piano superficiale delle modifiche e senza prendere realmente in considerazione gli attori protagonisti di questa grande sfida.

Tuttavia, si auspica che il dibattito e la riflessione non vengano influenzati da polarizzazioni politiche, né tanto meno strumentalizzati, ma che si orientino verso un confronto costruttivo e pluralista, capace di valorizzare le diverse esperienze e competenze nel rispetto della complessità del sistema educativo, dal momento che la scuola di oggi richiede un’evoluzione più decisa, proponendo soluzioni innovative che possano rispondere realmente alle esigenze di una società in costante trasformazione. 

Dialoghi Mediterranei, n. 73, maggio 2025
Note
[1] Per una consultazione approfondita delle Indicazioni Nazionali della Scuola dell’infanzia e Primo ciclo di istruzionee dei documenti ufficiali relativi al curricolo scolastico, si rimanda al sito del Ministero dell’Istruzione e del Merito, accessibile all’indirizzo: https://www.mim.gov.it/documents/20182/0/Nuove+indicazioni+2025.pdf/cebce5de-1e1d-12de-8252-79758c00a50b?version=1.0&t=1741684578272. D’ora in poi citato nel testo con il solo riferimento delle pagine.
 [2] La versione integrale dell’intervista al Professor Italo Fiorini, presidente della Scuola di Alta Formazione EIS e “Educare all’Incontro e alla Solidarietà” (EIS) dell’Università LUMSA di Roma, dove insegna Didattica generale e Pedagogia e didattica speciale, è disponibile online al seguente link: https://www.tuttoscuola.com/nuove-indicazioni-nazionali-italo-fiorin-emerge-unidea-di-scuola-che-guarda-al-passato-manca-una-visione/
[3] Questa distinzione tra individualizzazione e personalizzazione è già stata chiarita da Baldacci nel suo saggio Personalizzazione o individualizzazione? pubblicato nel 2005. L’individualizzazione, come specificato, si riferisce alle strategie didattiche che mirano a garantire a tutti gli studenti il raggiungimento delle competenze fondamentali del curricolo, attraverso una diversificazione dei percorsi di insegnamento. La personalizzazione, invece, riguarda le strategie che puntano a garantire a ciascun studente la possibilità di coltivare le proprie potenzialità intellettive, in un contesto di eccellenza cognitiva individuale. Come spiegato da Baldacci, mentre l’individualizzazione si concentra su obiettivi comuni per tutti, la personalizzazione ha come obiettivo lo sviluppo dei talenti personali di ogni singolo studente.
[4] Il paragrafo successivo è dedicato all’educazione relazionale e presenta alcuni problemi legati all’uso di terminologia inappropriata, come l’impiego del termine “patologia” in riferimento alla violenza di genere. Questo uso fa pensare alla violenza come a una malattia, perpetuando lo stigma che associa la violenza solo a coloro che soffrono di disturbi psicologici. Un tale approccio meriterebbe una riflessione più approfondita, che, per ragioni di spazio e di esaustività, non possiamo affrontare completamente in questo contesto. Tuttavia, è evidente che l’uso di certe espressioni, soprattutto nelle indicazioni nazionali, rivela una concezione riduttiva e medicalizzata della violenza di genere. Questo lessico è particolarmente rivelatore delle difficoltà che esistono nel trattare un fenomeno tanto complesso e radicato nelle disuguaglianze sociali e culturali.
[5] Cfr. https://www.insegnareonline.com/rivista/cultura-ricerca-didattica/indicazioni-2025-questionario-consultazione-scuole-osservazioni
[6] Si tende a dimenticare che Atene e Roma furono società schiavistiche. Atene, ad esempio, riservava il concetto di eleutheria (libertà) a una ristretta élite di cittadini adulti maschi, escludendo donne, schiavi e stranieri.
[7] Cfr. https://www.sididast.it/2025/03/23/indicazioni-nazionali-2025/
[8] Documento dell’Associazione degli Italianisti (AdI) e dell’Associazione degli Italianisti Sezione didattica (AdI-sd) rivolto alla Commissione: https://www.italianisti.it/news/adi/nin
[9] Si rimanda al volume L’educazione linguistica democratica (2018) che raccoglie scritti di Tullio De Mauro, voluto dal GISCEL e curato da Silvana Loiero e Maria Antonietta Marchese. L’antologia raccoglie studi eterogenei (relazioni dei Convegni del GISCEL, saggi estratti da miscellanee), risalenti dagli anni ’70 a oggi, molti dei quali tratti da libri non più in circolazione. Il filo conduttore è l’educazione linguistica democratica e la sua evoluzione nel contesto sociale, politico e scolastico italiano. Divisa in cinque sezioni, l’opera offre percorsi di studio e approfondimento su temi come variabilità linguistica, plurilinguismo, comprensione, svantaggio scolastico, e fornisce motivazioni teoriche e sperimentali per interventi didattici. In appendice, sono riportate le Dieci tesi del GISCEL. 
Riferimenti bibliografici 
Baldacci M., Personalizzazione o individualizzazione?, Trento, Erickson, 2005.
Calvani A., La vecchia scuola e il disastro attuale. Una riflessione trasversale tra ideologismi, responsabilità pedagogiche, evidenze e buon senso, SapIE, luglio 2022, https://sapie.it/wp/wp-content/uploads/2022/07/La-vecchia-scuola-e-il-disastro-attuale.pdf
Ceruti M., La scuola e le sfide della complessità, in «Studi Sulla Formazione/Open Journal of Education», 20(2), 2017: 9–20.
DAgostino M., Turris M. R., Appunti sulle Nuove Indicazioni Nazionali. Dov’è finita l’educazione linguistica?, in «Insegnare», marzo 2025, https://www.insegnareonline.com/rivista/cultura-ricerca-didattica/appunti-nuove-indicazioni-nazionali-finita-educazione-linguistica
Da Re F., La didattica per competenze , in Guida Pearson per la scuola che cambia, Torino, Pearson, 2013: 11-30
De Mauro T.,. L’educazione linguistica democratica, Roma, Laterza, 2018.
Fratini T., Emozioni scuola apprendimento. Una prospettiva pedagogica, Roma, Anicia, 2019.
Margiotta, M., L’insegnante di qualità. Valutazione e performance, Roma, Armando Editore, 1999.
Panciera W., Valsierati., La Didattica della Storia in Italia e in Europa. Un’introduzione, in Prospettive per la Didattica della Storia in Italia e in Europa (a cura di E. Valseriati), Palermo, New Digital Frontiers, 2019: 7-14.
Phillips A., I no che aiutano a crescere, trad. Cornalba, Milano, Feltrinelli, 2000 (ed. orig, 1998).
Tessaro F., Il curricolo verticale nella scuola del primo ciclo. Analisi, percorsi, strumenti. Padova, Libreria Universitaria Edizioni, 2019.

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Veronica Medda, laureata magistrale in Filologie e Letterature moderne, presso l’Università degli studi di Cagliari, con una tesi sull’intertesto mitologico delle Operette morali (un estratto dal titolo «L’ombra di Edipo: interferenze mitiche nel “Dialogo della Natura e di un Islandese” di G. Leopardi» è stato pubblicato nella rivista Medea, ha recentemente terminato un percorso biennale come assegnista presso l’Università della Valle D’Aosta con un progetto dal titolo Natura e paesaggio nello Zibaldone di Leopardi. Materiali documentari della Fondazione Natalino Sapegno. Al momento, in parallelo all’impegno come docente di materie letterarie nella scuola secondaria di secondo grado, sta lavorando alla stesura di una monografia, esito finale degli ultimi due anni di ricerca scientifica. Nel 2022 ha pubblicato per RISL un contributo da titolo «L’impianto mito-logico dei dialoghi “alla maniera di Luciano”: sistematicità, scomposizione e nuovi significati».

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